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Autore: inmymind_    03/12/2016    0 recensioni
[...]sussurrò nuovamente il nome di sua figlia: Maria Anastasia.
Maria, come la Beata Vergine a cui l'aveva affidata e Anastasia, come l'ultima zarina di Russia

Anastasia, chiamata da tutti Stasia, è la figlia sedicenne di un generale dell'esercito romano, legato al Fascismo. Nata sotto la luce di un miracolo nella Pasqua del 1926, vive la sua adolescenza durante uno dei più bui periodi della storia: la Seconda Guerra Mondiale. Persa tutta l'ingenuità e la spensieratezza di bambina e divenuta donna nel giro di pochi anni, è costretta a vivere in un mondo al quale non sente di appartenere e, osteggiata dalla sua famiglia e da chi la circonda, lotta per i suoi ideali (a costo di diventare, come lei stessa sostiene, ''come tutti gli altri'') e cerca di mantenere accesa la fiammella di quell'amore che il mondo pare aver spento. Nel corso di quegli anni viene anche a scoprire una verità che aveva smesso di cercare da tempo e rivive sulla sua pelle le stesse esperienze e gli stessi errori che qualcuno aveva già commesso verso una persona a lei molto cara anni prima.
STORIA BASATA SULLA DRABBLE ''A MARTA'', GIA' PUBBLICATA.
Genere: Drammatico, Guerra, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Novecento/Dittature, Olocausto
- Questa storia fa parte della serie 'Anastasia'
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Le campane suonavano a festa. La Pasqua aveva portato con sé un dono divino.

In preda ai dolori, aggrovigliata tra il lenzuolo avvolto in una brandina nella sua minuscola stanza e spingendo sempre più forte aveva dato alla luce una bambina. La sua prima bambina.

L'unica persona che aveva amato ancor prima di sapere chi fosse. L'aveva amata da quel giorno in cui si era sentita male e la donna che l'aveva cresciuta, entrata nella sua stanza con una bacinella di ceramica tra le mani, le aveva annunciato la sua gravidanza. Se lo ricordava ancora quel momento, e mentre stringeva forte al petto la neonata, che nel frattempo aveva preso a piangere per avvisare il mondo della sua nascita, le sgorgarono dagli occhi quelle lacrime che contenevano i ricordi di nove mesi prima e che per tutto quel periodo erano rimaste con lei e con la vita che pian piano stava crescendo dentro di se.

Chiuse gli occhi e la prima immagine che vide fu quella di una ragazzina chiusa in una stanza che, di fronte allo specchio, stringeva le braccia intorno alla pancia non ancora cresciuta.

Si dondolò leggermente con la schiena, sussurrando parole dolci alla neonata che nel frattempo aveva smesso di piangere.

La baciò prima sulla guancia rosea e calda, poi sulla fronte e la chiamò per nome.

La pulì come meglio poteva con un fazzoletto e lo avvolse nel suo scialle di lana grezza. Una donna uscì dalla stanza e , tenendo i lembi della gonna del vestito, corse per il corridoio alla ricerca di colui che aveva dato la vita la piccola bambina. Con un cenno della testa l'uomo la seguì fino alla stanza dove la ragazza aveva partorito. La levatrice guardò prima lei e poi il piccolo fagottino che reggeva tra le braccia, intimandole con gli occhi di lasciarle fare il suo lavoro, ciò che era stato concordato. La donna strinse forte a sé la creatura e le sussurrò il suo nome all'orecchio assieme a delle parole che comprese solo lei,

Lei annuì e, con gli occhi lucidi e rossi, lo vide allontanarsi scortato dalla levatrice. Quando la porta si chiuse, posò la testa sul cuscino e sussurrò nuovamente il nome di sua figlia: Maria Anastasia.

Maria, come la Beata Vergine a cui l'aveva affidata e Anastasia, come l'ultima zarina di Russia

Era il 1926.

 

 

 

Roma, 1930

 

-''Tre...''-

 

Vittorio era appoggiato con la testa contro un tronco, che contava. Giona, veloce come una lepre aveva già trovato il nascondiglio perfetto: dietro un albero, forse il più grande tra tutti quelli presenti nel giardino che circondava la mia casa.

 

-''Due...''-

 

Un altro numero in meno. La bambina si guardò intorno spaurita, cercando almeno un cespuglio di rose che potesse coprirla dallo sguardo di Vittorio.

 

-''Stasia!''-

 

Sentì qualcuno pronunciare il suo nome e si girò a destra e a sinistra per cercare di capire da dove venisse quella voce.

 

-''Uno e mezzo...''-

 

Quanto tempo rimaneva? Pochissimo! Oddio, sarebbe stato come tutte le altre volte. Giona ben nascosto dietro qualche albero o tra le foglie, Vittorio che con con gli occhi di un falco vedeva oltre l'orizzonte e lei, piccola bimba di quattro anni, in mezzo al giardino, ancora intenta a cercare il posto perfetto per non farmi scorgere.

 

-''Stasia! Stasia, vieni qui!''-

 

La voce di Giona. L'aveva riconosciuta, finalmente. Ma dov'era? Si guardò intorno nuovamente, cercando, questa volte, di capire dietro qualche albero si fosse nascosto.

 

-''Uno e un quarto...''-

 

-''Stasia!.''-

 

Sentì una stretta afferrarle un braccio e poi qualcuno che la tirava indietro. Si girò e vide Giona che le sorrideva. Aveva compiuto otto anni da un mese, e la conosceva da quando era nata. Le asciugò col pollice i due lacrimoni che le erano scesi sulle guance, temendo di essere scoperta troppo presto, e quindi di perdere il gioco. Non sopportava vederla piangere.

 

-''Uno! Vengo a cercarvi!''-

 

La voce squillante di Vittorio risuonò per tutto il giardino. Giona l'abbracciò, un abbraccio infantile, ma al tempo stesso dolce e pieno d'affetto, ed lei sorrise.

-''Hai visto? Ti sei nascosta anche tu questa volta!-''

-''Si...''-

-''Tana libera per tutti!''- Gridò Vittorio che da dietro l'albero aveva sentito le nostre voci. I due bimbi nascosti si guardarono indietro, poi Giona prese la mano di Stasia e le intimò di scappare. Iniziarono così a rincorrersi tra le risate e le urla, così forti che oltrepassavano gli alberi e giungevano nella casa.

-''Tanto è inutile che correte, non mi prenderete mai! Sono più veloce io!''- Gridava Stasia, mentre i due amici dietro di lei cercavano di avvicinarsi sempre più.

-''Intanto tu continua a correre!''- Giona finalmente la raggiunse, e l'afferrò per un braccio. La bambina cercò di liberarsi dalla presa, e nel tentativo di scappare nuovamente inciampò su un ramo secco accanto ai suoi piedi. Cadde, e con lei anche Giona, che la teneva per il fiocco del vestito e Vittorio, che nel frattempo li aveva raggiunti con la sua mole. Risero fino alle lacrime, fin quando il peso dei due non iniziò a gravare sulla schiena della bambina.

-''Alzatevi voi due, siete pesanti!''- disse, mentre si contorceva per cercare il modo migliore di farli sollevare da lei senza farsi del male. Vittorio e Giona si alzarono e a stento si tennero in piedi. Si accasciarono nuovamente a terra, non riuscendo a trattenere le risate.

 

 

 

Roma, 1943

 

 

-''Hai sentito?''- Camminavo avanti e indietro, indicando nervosamente la radio che annunciava ogni giorno notizie sconvolgenti. I lunghi capelli rossi mi dondolavano sciolti sulla sua schiena. Mio padre spesso si chiedeva da chi li avessi ereditati. Io a volte ipotizzavo una certa somiglianza con mia madre, ma lui ogni volta rifuggiva l'argomento e andava via sbattendo la porta arrabbiato. Con gli anni ho imparato a non porgli più domande simili, perchè se la reazione era questa...evidentemente c'era qualcosa che non voleva raccontarmi. Pensavo gli facesse male...gli toccasse il cuore così tanto da non riuscire ad avere altra reazione se non quella di scappare. Ho sempre pensato che, molto in fondo, lui avesse un cuore. Un cuore che, forse, aveva dimenticato di possedere.

Vittorio mi posò una mano sulla schiena e me la carezzò. -''Io davvero non riesco a capire come puoi essere d'accordo con loro... Proprio tu, il mio migliore amico!''- Mi fomentavo sempre quando ascoltavo le sorti della guerra alla radio, o dalla bocca di mio padre o le apprendevo dai giornali. E soprattutto, c'era qualcosa in me che si muoveva ogni volta che Vittorio, il mio più caro amico, cercava di imitare quei quattro pazzi che rincorrevano la palla sul campo della vita, calpestando prima di tutto loro stessi e la loro dignità. Non potevo e non volevo credere che, pian piano, lui stesse diventando esattamente come loro.

-''Stasia...te l'ho già spiegato. Non sono d'accordo con loro, però...''-

-''Però sei un codardo, è questa la verità, Vittorio! Lo sai meglio di me...''- sbottai, stanca. Era da anni che mi faceva sempre il solito discorso, ma se prima riusciva a placare le mie domande, ora non sortiva più lo stesso effetto. Dentro di me sentivo nascerne sempre di nuove, ogni giorno che passava. Finivo per pensare che forse quella del ''lo vuole lo Stato'' fosse solo una misera e becera bugia dietro la quale lui si nascondeva per non affrontare la realtà, diventando così un'altra pedina nelle mani di quello ''Stato'' che lui, come gli altri, tanto venerava. E così, col passare del tempo, io sbottavo e lui mi faceva sfogare guardandomi tranquillo, perchè in fondo lo sapeva anche lui che quella era la vera verità e che io ero l'unica ad averlo capito.

-''A proposito...''- Vittorio tirò fuori dalla tasca un foglietto e lo svolazzò sotto i miei occhi, con il sorriso di chi ne stava combinando un'altra delle sue.

-''Che cos'è?''- dissi, appoggiando il mento sulle mani e sporgendo il viso verso il foglio che aveva davanti a se.

Lui alzò le spalle. -''Sai che sono piuttosto bravo a disegnare...''- Girò il foglio verso di me. -''Un piccolo omaggio al nostro caro Duce. Così la smetti di pensare che sono un codardo.''-

Io mi portai una mano davanti alla bocca, per non scoppiare a ridere. Non ci riuscii, evidentemente, dal momento che finii quasi a terra con le braccia attorno alla pancia e le lacrime agli occhi. -''Dai! Smettila immediatamente, stupido!''- dissi, tra le risate.

-''Ma no, su...Guardalo meglio.''- Mi si avvicinò. -''E' un ritratto perfetto. Ho deciso, glielo regalerò.''-

-''Si, la sua parodia! Sai come ne sarebbe felice, se scoprisse che c'è qualcuno che si prende gioco di lui?''- sbuffai, ritornando quasi seria. Posai nuovamente gli occhi sul mio libro di latino, su quelle parole che avrei dovuto tradurre già da molto tempo. -''E comunque smettila sul serio, Vittorio. Se mio padre entrasse e lo vedesse, ti ucciderebbe. Anzi...''- Puntai la matita verso di me. -''Prima ucciderebbe me, perchè ti permetto di comportarti così...e poi ucciderebbe te, che ti diletti a disegnare simili co... Papà!''-

La porta si aprì e lo vidi, nella sua divisa da militare. Me lo ricordavo così da sempre, impettito, sguardo fiero e dritto davanti a sé. Istintivamente afferrai il foglio che avevo posato sul letto e lo accartocciai velocemente, riducendolo ad una pallina di carta. Puntai nuovamente lo sguardo sul mio libro, cercando di apparire assorta nel mio studio. Anche Vittorio cambiò espressione: il sorriso che gli sformava il volto si trasformò in una leggera curva delle labbra rivolta a mio padre come gesto di saluto. Si alzò in piedi.

-''Buongiorno signor Colonna.''-

Mio padre fece un cenno con la testa per ricambiare, poi si rivolse a me. -''Stasia...''-

Io mi voltai. -''Cosa succede?''-

-''Devo uscire. Studia e...Vittorio.''-

Il ragazzo continuò a fissarlo. -''Forse è meglio se torni a casa anche tu.''-

Io sbuffai, mentre la porta si chiuse alle sue spalle. -''Lascialo perdere.''- dissi, non appena fui sicura che se ne fosse andato davvero. -''Mio padre e il suo maledetto conformismo. Perchè due amici dello stesso sesso possono passare anche la notte insieme e noi, invece, dobbiamo sottostare a queste regole assurde?''- mi sfogai, scarabocchiando sul dizionario di latino. Vittorio alzò le spalle. -''E' così...e dobbiamo accettarlo.''- disse solamente. Si allontanò dal letto e si diresse verso la porta.

-''Vittorio, aspetta!''- Lo chiamai un'altra volta. Lui si voltò verso e di me e chiuse la porta, esortandomi con lo sguardo a parlare. Io mi avvicinai a lui e gli presi una mano, stringendogliela poi nella mia. -''Dobbiamo trovare il modo per aiutare Giona.''- gli sussurrai, in un orecchio.

Lui mosse la testa e mi guardò intensamente negli occhi. -''Hai tutto il mio appoggio. Non tradirei mai un amico.''-

Io gli sorrisi e mi gettai su di lui, felice. Lui accolse il mio abbraccio e accarezzò la schiena. Rivedevo ancora, in quei gesti, in quelle frasi, la sua umanità. Il Vittorio che avevo conosciuto da bambina e che la divisa, in fondo, non aveva scalfito. Si staccò da me e mi sorrise.

-''Studia, Stasia.''-

Io sospirai ancora. Si, certo. Avrei studiato, senza dubbio...ma il modo perfetto per aiutare il mio migliore amico.

 

 

 

   
 
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