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Autore: Elizabeth_Carre    03/12/2016    1 recensioni
"Ma in questo giorno più triste di altri, la certezza che due di noi potrebbero morire nelle prossime settimane ci fa sentire già tutti morti, e forse un po' lo siamo già."
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Katniss Everdeen, Peeta Mellark
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 4




Per qualche secondo rimango a guardare un po' divertito un po' inorridito il nostro mentore che cerca invano di tirarsi su dal proprio vomito. Ma ogni volta che sembra ci sia finalmente riuscito ecco che ci ricade ancora sopra. 
Il tappeto ai suoi piedi ormai è irriconoscibile e l'odore acre misto ad alcool che c'è nell'aria mi provoca dei conati che cerco di tenere sotto controllo con tutte le mie forze. Sono deciso a tenermi nello stomaco tutto quello che ho mangiato.
Effie ha ragione, la nostra guida non è un granché, ma è tutto quello che ho per cercare di far uscire Katniss viva dall'arena.
Scambiandoci un muto accordo con lo sguardo io e Katniss prendiamo ciascuno un braccio di Haymitch e lo alziamo.
- Ho inciampato? - chiede lui. - C'è puzza. - Si passa la mano lurida di vomito sul viso sporcandosi anche l'unica parte di sé ancora pulita.
- Ti riportiamo in camera tua - dico. - Datti una ripulita.
Faticosamente riusciamo ad arrivare nel suo appartamento e optiamo per metterlo direttamente sotto la doccia con tutti i vestiti. Lui se ne accorge appena essendo in uno stato di semi-incoscienza.
Non credo sia il caso che Katniss rimanga mentre io lo svesto e lo lavo perciò le dico che da qui in poi ci penserò da solo. 
Con un misto di gratitudine e sospetto negli occhi sta ferma per un minuto a guardarci.
- Bene - dice dopo un po' - Posso mandare qualcuno di Capitol City ad aiutarti. Ce n'è un sacco sul treno. Gente che cucina per noi. Che ci serve. Che ci sorveglia. Il loro lavoro è prendersi cura di noi.
- No. Non li voglio intorno - replico forse con un po' troppa durezza. Ma meno vedo la gente della capitale e meglio sto. 
Non riesco a credere che proprio lei mi proponga di farli venire qui. Infondo tutto questo è colpa di Capitol. Siamo qui per colpa di Capitol. Abbiamo abbandonato le nostre case e le nostre famiglie per colpa di Capitol. Ventitré ragazzi ogni anno muoiono per colpa di Capitol.
Non avrei voluto esprimermi con tanta veemenza ma la rabbia ha avuto il sopravvento. So già che la testolina di Katniss sta pensando alle peggiori manovre da parte mia per ottenere la benevolenza del nostro mentore ma non ce la faccio a lottare anche con lei, sono troppo stanco. 
Per un attimo penso voglia fermarsi ad aiutarmi e so già come finirebbe. Dovrei pulire lui e stare attento a non offendere il pudore di lei, e non ne ho voglia. A questo punto vorrei soltanto che questa giornata finisse.
Un po' titubante lei esce comunque dalla stanza senza voltarsi. Deve aver letto la disperazione nei miei occhi.
Non muoio dalla voglia di lavare lo sporco di dosso ad Haymitch ma da qualche parte dovrò pur cominciare con lui. Devo fargli prendere sul serio il suo ruolo di mentore. Deve capire che è la nostra unica speranza. Deve aiutarci. E se per ottenere qualcosa devo   occuparmi di questo compito rivoltante, lo farò.
Faccio del mio meglio, lo lavo e lo metto nudo sul copriletto ricamato dopo averlo asciugato sotto il getto d'aria calda. Una conversazione sarebbe inutile in questo momento, biascica parole incomprensibili tra le quali comunque mi sembra di riconoscere un grazie.
- Ti aspettiamo domani per la colazione! - cerco di dare a questa frase il tono più autoritario possibile, sperando di smuovere un po' la sua coscienza. Haymitch borbotta ancora qualcosa e si gira dall'altro lato mentre io lascio la sua stanza.
Una volta in camera mia mi butto subito sul letto. La doccia la farò domani. Adesso ho un'orribile emicrania che mi fa sentire spossato oltre misura.
Il treno continua a viaggiare veloce, chissà quanto ci metterà ad arrivare a Capitol City. E chissà come verrà accolta Katniss dalla folla alla stazione.
Non riesco a togliermi dalla testa che questa è la mia occasione per aiutarla come avrei voluto  fare quando ne ha avuto più bisogno.
Ricordo che il giorno dopo l'episodio del pane,  raccolsi tutto il coraggio di cui disponevo  e l'aspettai davanti i cancelli di scuola. Avrei voluto parlarle, chiederle se le fosse piaciuto il pane, dirle che a me poteva chiedere qualsiasi cosa. L'avrei aiutata nonostante le conseguenze. Ma come avvicinare l'inavvicinabile?
Non la vidi arrivare, sentii il suo sguardo su di me. Mi stava osservando attentamente. Il suo cipiglio ombroso era visibile ad un chilometro di distanza. Anche lei a quanto sembrava voleva parlarmi, ma non volevo si sentisse in obbligo di un ringraziamento e mi voltai dall'altro lato cominciando a parlare con dei miei amici del più e del meno.   
La guancia ancora mi faceva male per i colpi ricevuti da mia madre e tutti mi chiedevano cosa mi fosse accaduto ma io inventavo una caduta maldestra in cucina provocando ilarità in tutti quelli che mi stavano ascoltando. 
E' sempre stato facile per me far ridere la gente con una battuta, o incantarli mentre parlavo. Lì nel dodici nessuno ha mai letto in vita sua tutti i libri che io avevo già letto a tredici anni, perciò per me parlare era molto semplice. 
Quando mi preparai ad entrare in classe però mi voltai nella sua direzione. Non mi stava più guardando. Teneva la testa bassa.  Vidi un sorriso spuntarle sulle labbra mentre si abbassava a raccogliere qualcosa da terra.
Quel giorno non entrò in aula con noi. Corse a perdifiato lontano da me. Il mio primo istinto fu di seguirla, e l'avrei anche fatto se la maestra non fosse uscita proprio in quel momento per intimarci di entrare in classe.
Appena uscito da scuola però non tornai subito a casa. Volevo assicurarmi che tutto andasse bene. La cercai dovunque, mi inoltrai persino nel Giacimento, ma non la trovai. Alla fine, mentre tornavo sconsolato verso il villaggio, sentii le risate di una ragazza provenire dal Prato. 
Mi avvicinai furtivo perché avevo riconosciuto la voce. Mi nascosi dietro un masso e vidi lei e sua sorella correre con dei cestini pieni di qualcosa di giallo tra le mani. 
Ricoprirono tutto il perimetro fino alla recinzione e le osservai a lungo mentre strappavano fiori. Ero felice di vederla serena ma non capivo a cosa fosse dovuta tutta quella gioia. Solo quando se ne furono andate ebbi il coraggio di addentrarmi dove fino a poco fa girovagavano, per cercare di capire cosa avessero raccolto per tutto quel tempo. E li vidi. 
Denti di Leone ormai appassiti, raccolti e poi calpestati per essere sostituiti con fiori freschi. Non capii subito a cosa potessero servirle, ma poi ebbi un'illuminazione. Mi ricordai di una lezione che avevamo tenuto a scuola un po' di tempo prima che suo padre morisse. 
Generalmente le nostre lezioni vertevano su argomenti riguardanti il carbone o il funzionamento delle miniere  essendo noi il distretto che se ne occupa, ma quel giorno la maestra ci fece uscire in giardino e ci parlò delle piante e dei fiori. Una cosa inusuale. Ma mi ricordo che Katniss era preparata su tutto. 
Sapeva quale fosse il metodo esatto per staccare i fiori, quali erano velenosi e quali commestibili, con quali preparare infusi o medicine. Stupì chiunque. Pensavano però che fosse tutto merito della madre farmacista, io solo avevo capito che per tutta quella conoscenza doveva ringraziare soprattutto il padre. 
L'uomo che le aveva insegnato a vivere e a sopravvivere. Che le aveva insegnato a cacciare e immaginai anche a conoscere il resto su fiori e  piante. Non fu difficile per me collegare tutto sapendo delle loro domeniche trascorse nei boschi in cerca di cibo.
Tornai a casa contento anche io quella sera, e non m'importò di prenderle per l'ennesima volta da mia madre perché avevo fatto tardi. Pensai soltanto che forse a farle riavere la gioia di vivere potevo essere stato io dandole quel pane. Mi presi il merito della sua rinascita.
Col senno di poi capisco che ero soltanto un ragazzino ingenuo. Pensarla cosi mi aiutò unicamente a lenire il senso di colpa per averle lanciato il pane piuttosto che porgerglielo. Ma non importa. Il passato è passato e non può essere cambiato si può solamente imparare da esso, e migliorarsi errore dopo errore.
Domani parlerò con Haymitch. Gli dirò chiaramente quali siano le mie intenzioni. Dovrà aiutarmi a far uscire Katniss viva da tutto questo. 
Per la sua salvezza non penso di poter fare qualcosa. Dovrà occuparsene da sola, perché io non ci sarò per darle una mano. Sarò morto nei giochi, non potrò aiutarla a difendersi e salvarsi dai danni mentali ed emotivi che l'arena le procurerà.
Il pensiero della mia morte mi disturba, ma lo scaccio rigirandomi nel letto. Le luci dei distretti scorrono velocissime davanti ai miei occhi. Dovremmo essere nel Distretto Otto, legname.
A quest'ora nel dodici avranno già staccato l'elettricità. Si avvia all'imbrunire e si scollega quando è ora di dormire. 
Mi stupisce vedere che negli altri distretti invece la fornitura continui anche di notte, sono sempre stato convinto che nonostante qualcuno fosse più favorito di altri, le regole fossero uguali per tutti.
Solo adesso invece mi rendo conto che siamo stati e saremo sempre trattati come l'ultima ruota del carro. Un distretto di poco conto nonostante da esso derivi uno dei combustibili più importanti di tutta la nazione.
Piano, piano il movimento ondulatorio del treno mi culla e mi aiuta a scivolare in un sonno senza sogni.
Mi risveglio di soprassalto e mi ci vuole un po' per riuscire a focalizzare la stanza. L'assenza di sogni mi ha aiutato a dormire ininterrottamente e in modo pieno. Mi sento riposato come non mai. In panetteria ho imparato a svegliarmi da prima che si alzi il sole oggi tuttavia la sua luce filtra già attraverso il finestrino.
Mi alzo di fretta e vado a guardare fuori. Voglio cercare di capire in che distretto ci troviamo. Potrebbe indicarmi quanto tempo ho per parlare con Haymitch e fargli capire la situazione.
Vedo distese di mare infinite e capisco di essere nel Distretto Quattro, pesca,  quindi non credo di averne molto. A questa velocità forse ho solo un paio d'ore prima che il treno arrivi alla stazione di Capitol City.
Faccio una doccia veloce e inizio a vestirmi. Non so dove sia il nostro mentore ma decido comunque di iniziare a cercarlo nella carrozza ristorante e rimango stupito di trovarlo lì. Seduto a tavola che imburra una fetta di pane.
- Buongiorno – mormoro in tono deciso e fermo. Voglio che capisca che non deve trattarmi alla stregua di un ragazzino.
- Buongiorno – risponde troppo allegramente. Penso subito che sia già alticcio ma quando mi siedo accanto a lui noto che il bicchiere che ha davanti è colmo di succo d'arancia. Forse non ci sarà bisogno di fare il discorso della responsabilità che ha nei nostri confronti.
Rilasciando la tensione me ne verso un bicchiere anche io. 
Ricordo il suo sapore nonostante abbia bevuto una spremuta di arance solo una volta in tutta la mia vita. Quelle poche che riuscivamo a racimolare facendo affari  con il Forno le abbiamo sempre usate per preparare le conserve che poi rivendevamo ai nostri clienti. Ci permetteva di guadagnare qualcosa in più.  
Un giorno pero' mio padre riuscì a convincere mia madre ad usarle come bevanda. Avrebbe voluto diventasse una nostra tradizione di famiglia anche se non fu mai possibile. Le nostre condizioni economiche erano migliori rispetto ad altre ma non tanto migliori da poterci permettere di comprare arance per una cosa così futile come le tradizioni per il Giorno del Raccolto. 
Lo disse mia madre. Avevo otto anni e quando vidi quella brocca traboccante di liquido arancione ne rimasi affascinato e quando l'assaggiai, conquistato. Ma questo succo qui, non ha nulla di paragonabile a quello della mia infanzia. Pur non essendo un esperto so riconoscere la qualità di arance superiore.
La tavola è imbandita delle leccornie più varie. E un piatto pieno di roba da mangiare mi è stato servito sotto il naso senza che me accorgessi. Uova, bacon, prosciutto e patatine fritte. Al centro della tavola c'è un cestino colmo di panini, ma il pezzo forte è la tazza che mi viene servita adesso.  
Densa , marrone e calda. Il suo odore dolciastro è un invito a nozze e nonostante il ben di Dio che mi ritrovo davanti, l'assaggio. 
Mai bevanda sarà più apprezzata di questa in tutta Panem penso. Il suo sapore è qualcosa di fantastico. Mano a mano che il liquido  scende in gola, lo sento. Sento il calore, la dolcezza. Lo sento fino nello stomaco e oltre. Fino ai piedi. Una sensazione di benessere mi pervade e chiudo gli occhi per assaporarla meglio.
- Cioccolata calda. - Haymitch mi informa sul nome di questa bevanda portentosa e io riapro gli occhi. Avevo quasi dimenticato dove mi trovo.
- Peeta, giusto? - mi chiede mordicchiano la fetta di pane. A questo punto prende qualcosa che fino ad ora ha tenuto nascosta sotto il tavolo. Una bottiglia di un liquido bianco che usa per allungare ciò che è rimasto del succo d'arancia nel suo bicchiere. Il nervosismo torna a fare capolino nel mio stomaco.
- Si. Haymitch, sbaglio? - non lo dico in tono simpatico, ma nel modo più indisponente di cui sono capace.
- Simpatico il ragazzo – dice più a sé stesso che a qualcuno in particolare – Ma la simpatia non ti basterà per uscire vivo dall'arena – Prende un olivo da un piatto e sputacchia il nocciolo sulla tovaglia accanto a me a mo' di sfida guardandomi.
Cosa sta cercando di fare? E' il suo modo di mettermi alla prova? Vuole sondare le mie reazioni?
- Ma io non uscirò vivo dall'arena – dico con disinvoltura. Vedo stupore nei suoi occhi mentre casualmente, ma non tanto, inizio ad imburrare una fetta di pane. Lo vedo mentre mi osserva pensieroso. 
Non avrei voluto fargli sapere delle mie intenzioni in questo modo, ma ormai l'ho sparata.
-  Hm. Sono contento della tua assennatezza figliolo. Meno aspettative avrai su di me e i miei obblighi nei tuoi confronti e meglio sarà per tutti e due – ammicca e continua a bere.
- L'unica persona che dovrai far uscire viva dall'arena è Katniss- glielo dico così. Non c'è altro modo. 
Il bicchiere che stava portandosi alle labbra si arresta a metà strada mentre lui mi scruta attentamente. Sembra quasi che voglia leggere i miei pensieri. Carpirli per capirmi. Credo che mai nessuno in tutta la storia degli Hunger Games abbia dichiarato una cosa del genere. 
Un calore prepotente mi risale dalla pancia al viso e so per certo che non è colpa della cioccolata calda. Forse ho sbagliato ad esordire con questa frase. Non voglio che capisca la natura dei miei sentimenti per Katniss.
La porta dello scompartimento che si apre mi salva dalle domande che gli ho visto balenare negli occhi. Se c'è una cosa che ho capito negli ultimi secondi sul nostro mentore è che pur essendo un alcolizzato non è stupido. I suoi pensieri e le sue conclusioni erano ben visibili nella sua espressione. Tuttavia distoglie lo sguardo da me e si rivolge a Katniss. 
Effie si allontana impettita all'interno dello scompartimento con una tazza di caffè tra le mani.
- Siediti! Siediti! - le dice continuando a ridacchiare e facendole più volte cenno con la mano.  Sembra ritornato l'Haymitch di sempre e così mi rilasso.
Katniss indossa il vestito verde del giorno prima e porta ancora l'acconciatura fattale dalla madre per la mietitura. La cameriera le porta subito il suo piatto e la sua tazza.
- La chiamano cioccolata calda – le dico sorridendo – E' buona.
Sono felice di notare che la bevanda riscuota con lei lo stesso successo che ha riscosso con me, infatti si attacca alla tazza e finisce tutto il liquido in pochissimo tempo. Il resto della colazione si svolge silenziosamente. 
Ognuno di noi mangia tutto ciò che ha nel piatto e quando io finisco col mio, mi dedico alla cioccolata calda. L'ho lasciata per ultima. Voglio che il suo sapore mi accompagni anche a Capitol City.
Ci intingo dentro un pezzetto di pane e lo mando giù. Così è anche meglio.
- E così tu dovresti consigliarci – dice Katniss rivolta ad Haymitch.
- Ve lo do subito, un consiglio. Restate vivi – le risponde lui scoppiando a ridere.
Non posso credere che stia ridendo davvero. Non ha il minimo tatto. Il minimo riguardo. Siamo qui. Siamo soli. L'unico in teoria di cui dovremo fidarci e a cui dovremmo affidarci è lui, e lui l'unica cosa che sa dirci è di restare vivi. Come se dipendesse da noi. 
Mi scambio un'occhiata con Katniss e noto il suo sguardo preoccupato.
-  Molto divertente – vorrei alleggerire la tensione ma la rabbia mi acceca e tutta la frustrazione accumulata in questi giorni si riversa nelle mie azioni. Colpisco forte la mano di Haymitch e il bicchiere che stava portandosi alle labbra si rompe in mille pezzi cadendo a terra.
Odio il suo essere leggero. Odio il fatto che non gli importi più di tanto della nostra sorte. Che razza di uomo è?
Il suo pugno mi colpisce inaspettatamente buttandomi giù dalla sedia. Mi sento stordito. Mi aspettavo una qualsiasi reazione ma non questa. Ma almeno mi ha fatto capire che un minimo di carattere ce l'ha.
- E questo che vorrebbe dire? - lo sento chiedere mentre mi rialzo dal pavimento – Mi hanno dato una vera coppia di combattenti quest'anno?
Quando finalmente riesco a tornare in me vedo un coltello tra le mani di Katniss ben piantato tra la mano di Haymitch e la bottiglia di liquore che c'è sul tavolo. Ha trovato il coraggio di reagire alle provocazioni di Haymitch dopo che l'ho fatto io. Buon segno.
Prendo il ghiaccio dalla terrina della frutta e faccio per portarmelo alla guancia.
- No – mi blocca Haymitch che adesso guarda me e non più in modo cagnesco Katniss. - Lascia che si veda il livido. Gli spettatori penseranno che hai fatto a pugni con un altro tributo prima ancora di arrivare nell'arena.
- E' contro le regole – ribatto.
- Solo se ti beccano. Quel livido dirà che hai combattuto e che non sei stato beccato, ancora meglio – sostiene Haymitch. Si gira verso Katniss. - riesci a colpire qualcosa con quel coltello, a parte il tavolo?
Inaspettatamente Katniss estrae il coltello dal tavolo e lo lancia verso la parete opposta e questo si conficca esattamente nella giuntura tra due pannelli di legno. Sapevo fosse brava ma non così tanto. Credevo che la sua specialità fossero l'arco e le frecce.
- Mettetevi lì. Tutti e due – dice Haymitch, con un cenno verso il centro della stanza. Lui inizia a girarci intorno, punzecchiandoci con le mani, controllando i nostri muscoli, studiando le nostre facce.  - Be', non siete un totale disastro. Sembrate in forma. E una volta che gli stilisti avranno messo le mani su di voi, sarete abbastanza attraenti.
Gli stilisti ci aiuteranno a presentarci meglio ai possibili sponsor. E più belli appariamo più ne attiriamo. 
Pur non essendo gli Hunger Games un concorso di bellezza, questo è un passaggio fondamentale. Gli sponsor inviano dei regali nell'arena per i propri beniamini e a volte riescono a salvare la vita dei tributi. 
- Bene, farò un patto con voi. Voi non ficcate il naso in quello che bevo e io resterò abbastanza sobrio per aiutarvi – dichiara Haymitch. - Però dovrete fare esattamente quello che dico io.
- Ottimo – approvo immediatamente. Credo sia quanto di meglio si possa avere da lui.
- Allora aiutaci – dice Katniss. - Quando saremo nell'arena, qual è la strategia migliore da adottare alla cornucopia per qualcuno….?
- Una cosa alla volta – la interrompe Haymitch – tra qualche minuto entreremo in stazione. Sarete consegnati ai vostri stilisti. Quello che vi faranno non vi piacerà. Ma qualunque cosa sia, non opponete resistenza.
- Ma… - comincia Katniss.
- Niente ma. Non opponete resistenza – replica Haymitch prendendo la bottiglia di liquore e lasciando il vagone.
Rimasti da soli io e Katniss stiamo fermi in silenzio. 
Il vagone si è fatto buio segno che siamo in prossimità di Capitol City. 
Questa deve essere la galleria che risale attraverso le montagne che fungono da barriera naturale tra la capitale e i distretti. Nonostante lo stridio delle rotaie sento il respiro affannoso di Katniss. Non deve essere piacevole per lei restare chiusa in uno spazio buio.
Finalmente il treno esce dalla galleria e la luce invade lo scompartimento. Io e Katniss non riusciamo ad evitarlo e corriamo a guardare fuori dal finestrino, curiosi di vedere dal vivo ciò che fino ad ora avevamo solo visto in TV.
La prima cosa che mi colpisce è la moltitudine di colori di cui Capitol si compone. 
Gli edifici mi appaiono scintillanti e le auto che scorrono per le strade sfrecciano veloci e lucide. Alberi multicolore. Fontane da cui zampilla acqua che ora è verde, e adesso blu, e poi giallo e rosa e così via. Pur essendo tutto troppo luminoso ed artefatto questo tripudio di vita e di colori mi travolge positivamente.
Gli abitanti di Capitol indossano abiti troppo pacchiani ed elaborati. Hanno dei capelli bizzarri e la pelle di diverso colore, ma ci salutano sorridenti e prima che me ne renda conto mi ritrovo a ricambiare i saluti anche se Katniss si allontana alla loro vista. 
Tutta questa loro euforia deve averla disturbata. La guardo e vedo che mi sta fissando disgustata. Faccio spallucce. - Chissà, magari uno di loro è ricco - le dico. E magari qualcuno di loro mi aiuterà a salvarti la vita. Ma questo non lo dico. Sto già lottando con tutte le mie forze per aiutarla il più possibile e spero che lei faccia ciò che faccio io per ingraziarsi il pubblico. 
Ma sento il suo sguardo omicida addosso e capisco che sta pensando già a mille modi per uccidermi.
   
 
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