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Autore: _Frame_    04/12/2016    4 recensioni
1 settembre 1939 – 2 settembre 1945
Tutta la Seconda Guerra Mondiale dal punto di vista di Hetalia.
Niente dittatori, capi di governo o ideologie politiche. I protagonisti sono le nazioni.
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[On going: dicembre 1941]
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[AVVISO all'interno!]
Genere: Drammatico, Guerra, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Miele&Bicchiere'
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N.d.A.

In un punto del capitolo, il Palazzo d’Inverno verrà descritto di colore rosso. Al giorno d’oggi è verde, e lo è stato quasi sempre, tranne appunto nel periodo sovietico in cui era stato tinto con un colore più adatto alla politica di quel tempo. Vi ho avvisati in anticipo perché magari a qualcuno sarebbe parso strano, giustamente, sentirlo descrivere come “rosso e bianco”. Per fortuna mi sono ricordata in tempo di questo particolare, perché stavo per cannare anch’io (xD).

 

 

105. Pesci e Squali

 

 

La busta era arrivata.

Svezia la raccolse dalle mani del suo ufficiale, strinse l’involucro giallo che scricchiolò sotto le sue dita, leggermente più umido e sciupato agli angoli della lettera, e lo rigirò sulla parte piatta, sul retro.

Stampate sulla superficie gialla e liscia, a caratteri timbrati in inchiostro nero e circondati da una cornicetta sbavata agli spigoli, due parole.

 

Strettamente Confidenziale

 

Nessuna firma.

Svezia inspirò trattenendo il fiato nel petto, irrigidì il viso, le punte delle sopracciglia si contrassero in un’espressione tesa che scurì gli occhi di ghiaccio assottigliati dietro le lenti. Il battito del cuore si appesantì, rimbombò lento e profondo nel silenzio della stanza, e pulsò nella testa.

Girò di nuovo la busta, infilò l’indice sotto la lingua di carta tenuta incollata fra i risvolti, e la slabbrò con uno strappo secco. C’era un foglio ripiegato in due nella busta. Svezia lo prese fra due dita e lo estrasse sollevando un fruscio lento e sabbioso. Aprì la pagina, lesse la lettera composta da poche righe.

Gli occhi scorsero fra le parole, la mano strinse più forte sul bordo del foglio, il braccio e la presa si indurirono sotto una fredda scossa di timore scaricata dal cuore. Vide grigio, la sottile nebbia di confusione gli aleggiò nella mente e ronzò nelle orecchie, il senso di angoscia premette sul petto, dove si era accumulato il respiro che aveva trattenuto, e gli rabbuiò il viso già cupo e incrinato dalla punta di ansia che aveva attraversato lo sguardo.

Svezia abbassò la lettera, si girò e si strinse la fronte aggrottata, sospirò tenendo le labbra chiuse e piatte. Il foglio che reggeva ancora in mano cominciò a pesare, un breve fremito gli attraversò la mano facendo vibrare le dita contro la carta. Svezia lanciò un’ultima occhiata alla pagina, alla penombra che la tagliava in due come una lama di inchiostro. Fu uno sguardo di disprezzo.

Richiuse la lettera, la rinfilò nella busta, e custodì tutto nella tasca della giacca.

Si incamminò verso l’uscita, superò l’ufficiale che gli aveva portato la busta – l’uomo lo seguì con lo sguardo – e uscì dalla camera.

Doveva tornare a Leningrado.

 

♦♦♦

 

13 dicembre 1940,

Bulgaria, Argini del Danubio

 

Bulgaria marciò superando la prima fila di autocarri tedeschi parcheggiati ai lati della strada innevata, si infilò pestando i piedi fra due dei mezzi, valicò il mucchietto di neve che si era accumulato sotto gli pneumatici, e calpestò l’asfalto ghiacciato che scricchiolò come vetro rotto. Accelerò il passo, indossò l’ultima manica della giacca che si era buttato sulle spalle, corse in mezzo a una ventata di aria gelida che gli fischiò nelle orecchie, e attraversò la strada soffiando rabbiose nuvole di fiato che gli appannarono lo sguardo furente. Le guance si erano già arrossate, gli occhi lampeggiavano di rabbia, i pugni bianchi di tensione oscillavano cadenzando la marcia pestata sul suolo innevato. Conati di disgusto gli ribaltavano lo stomaco a ogni autocarro tedesco che gli balenava sotto gli occhi, le fiamme di rabbia gli incendiavano il petto fumando dalle orecchie e facendogli salire la pelle d’oca per i fremiti d’ira che gli scuotevano le vene.

Bulgaria schivò una fila di autocarri che stavano procedendo a passo d’uomo, passò davanti al radiatore di uno dei mezzi e finì investito da una gettata di fumo del primo della fila che avanzò con un rombo metallico. Saltò un cumulo di neve, sbuffò nello sforzo gonfiando una nube bianca, resse il bavero della giacca contro la guancia e contro la bocca per non inalare il tanfo del gas di scarico, e sgusciò in mezzo a una seconda fila di autocarri posteggiati sul secondo lato della carreggiata. Le ruote erano ferme in mezzo alla neve e a gruppi di uomini in uniformi tedesche che scaricavano sacche e casse da sotto i teli sollevati.

Tre dei soldati si girarono a guardarlo, alcuni fecero due passi indietro per lasciarlo passare, altri irrigidirono stando appiattiti contro i carri. Bulgaria marciò senza nemmeno guardarli in faccia, affondò i piedi nella neve che gli arrivava alle caviglie, frantumò i grumi più duri e ghiacciati, scivolò in mezzo al brusio di altri passi che si spostavano sul ghiaccio e sull’asfalto, di voci che borbottavano in tedesco, di motori ancora accesi e di clangore dei bagagli che venivano scaricati dai carri, finché le parole di uno dei suoi comandanti non gli rimbalzarono alle orecchie.

“Vi ripeto che è inammissibile che operazioni del genere vengano eseguite senza l’approvazione del Governo Bulgaro.”

Bulgaria si spinse fra le spalle di due uomini che stavano scaricando zaini di stoffa dagli autocarri e accelerò il passo rabbioso verso il suo comandante. L’uomo tese il braccio verso la fila di autocarri, rivolse lo sguardo a un generale tedesco in piedi davanti a lui e affiancato da altri due ufficiali.

“E anche se si tratta di ordinarie ricognizioni avremmo tutto il diritto di –”

“Non c’è nessuna violazione dei patti,” ribatté il generale tedesco, sollevando il mento, “e voi non avete potere né fisico né politico per impedirci la ricognizione.”

Il comandante bulgaro ritirò il braccio e puntò l’indice a terra, alzò la voce e divenne anche lui rosso in viso sotto l’ombra del copricapo. “Insisto a voler parlare con la vostra rappresentanza al fine di evitare incidenti di cui nessuno di noi vorrebbe rendersi complice.”

Bulgaria saltò di una falcata più lunga, guadagnò una boccata di fiato pungente al sapore di neve fresca e carburante, e gridò per farsi sentire. “Che cosa diavolo state facendo?” I pugni schiacciati ai fianchi già bruciavano per la rabbia che stava ribollendo nello stomaco e che gli infiammava le orecchie e le guance. Aprì e schiacciò di nuovo le dita per strizzare la voglia di buttare le mani addosso a qualcuno. Due rabbiose boccate di fiato sciolsero la tensione dei nervi che sfrigolavano sotto la pelle.

Il comandante bulgaro si voltò per primo, incrociò lo sguardo di Bulgaria, i suoi occhi scuri scattarono in allarme, e il suo corpo si irrigidì di colpo, come una corda che viene tesa all’improvviso. Batté un saluto a petto rigonfio, “Signore”, unì i tacchi sulla neve e la condensa di fiato attorno a lui celò il rossore che ancora gli macchiava le guance. “Mi perdoni, signore, abbiamo provato a intervenire, ma...”

“Si può sapere chi vi ha autorizzato allo spostamento delle truppe e a una ricognizione del mio territorio, eh?” Bulgaria si buttò fra il suo comandante e il generale tedesco, si levò sulle punte dei piedi, agguantò il colletto del generale e lo tirò verso di sé. Digrignò i denti, gettò il braccio libero a indicare le file di autocarri e di soldati. “Avete occupato tutti gli argini del Danubio, razza di –”

Abbiamo l’autorizzazione alla ricognizione del territorio, signore.” Gli occhi gelidi del generale lanciarono un’occhiata buia e dura a Bulgaria, sbollirono le fiammate di rabbia e i tremori della mano artigliata al suo bavero. Il generale strinse il polso di Bulgaria e sciolse la presa, si tirò di un passo all’indietro continuando a guardarlo in viso con occhi di pietra, inflessibili. “E il nostro è un semplice esame del territorio e una preparazione delle truppe in previsione di un attraversamento del Danubio.”

Bulgaria sbuffò di nuovo, i pugni incollati ai fianchi tremarono, le falangi scricchiolarono e le unghie premettero sulla carne dei palmi. Restrinse le palpebre, aggrottò la fronte e storse gli angoli della bocca in una smorfia di disgusto e superiorità. “E secondo voi vi lascerò passare?”

“Signore.” Il comandante bulgaro fece un passetto dietro di lui e gli posò la mano sulla spalla, si chinò a parlargli all’orecchio. “Cerchi di calmarsi, possiamo ancora risolvere la faccenda e...”

Bulgaria si liberò con uno strattone, buttò un’altra occhiata affilata al generale tedesco, i due ufficiali che lo accompagnavano lo guardarono storto e uno di loro tese la mano verso la pistola allacciata al fianco. Un sottile brivido si sciolse lungo la schiena di Bulgaria. Aveva ricominciato a nevicare. Fiocchi di ghiaccio si erano posati e squagliati sulla pelle del collo, sotto la giacca. Bulgaria si strofinò un braccio, spolverò la pallina della giacca e lanciò occhiatacce contro le file di autocarri in mezzo alla foschia di neve, sbirciando fra le sagome dei soldati che marciavano avanti e indietro, bagagli e casse sulle spalle. Le loro marce scandite dagli stivali che frantumavano il ghiaccio e dal brusio delle loro parole soffuse.

Bulgaria fece due passi di lato, salì di nuovo sulle punte dei piedi, sorvolò le teste dei soldati e lo strato di condensa gonfiato dai loro fiati. Cercò un viso familiare. “Dove diavolo è il vostro responsabile?”

Il generale tedesco gettò un’occhiata ai suoi due sottoposti, sollevò un sopracciglio ma non rispose.

Bulgaria scese dalle punte dei piedi e tornò ad agguantargli il bavero, lo tirò verso il basso facendogli chinare le spalle. Gli urlò addosso, “Voglio parlare con il vostro responsabile!”, gonfiandogli una nuvoletta di fiato bianco contro il collo.

La mano appesa alla stoffa del colletto strinse, le unghie stridettero graffiando le medagliette e le piastrine dei gradi puntati sulla stoffa, un ribollio di rabbia tornò a fargli scivolare un conato di ira fra i denti che rimasero serrati e stridenti

Giuro che spaccherò la faccia a quel crucco ancora prima di...

“Di là, signore.” Il generale tedesco girò lo sguardo alle sue spalle e rivolse la punta dell’indice in mezzo alla caduta della neve, oltre i tettucci delle file di autocarri.

Lo sguardo di Bulgaria volò seguendo la scia lasciata dal dito teso del generale. Sorvolò i profili e le ombre dei soldati, delle loro teste riparate dagli elmetti. Un piccolo gruppo di uomini si sciolse, imbracciarono le sacche appena scaricate e fecero cenno al guidatore dell’autocarro di avanzare. Il mezzo emise un rombo, il gas di scarico uscì a fiotti dalla marmitta, e gli pneumatici avanzarono scricchiolando e lasciando le impronte nel suolo.

Il fumo grigio si dissolse, qualcuno gridò qualcosa in tedesco e i soldati avanzarono lasciando la strada libera, avvolta solo da foschia bianca di neve e condensa. I riccioli di nebbia si abbassarono, scivolarono sull’asfalto e passarono in mezzo alle gambe di due sagome che stavano avanzando lungo la strada. La sagoma scura più alta si chinò, abbassò il viso all’altezza della spalla della figura più piccola, gli indicò la parte delle posizioni prese dai tedeschi e gli porse sotto gli occhi una cartella rigida di carte, bacchettando con il dorso della penna un punto segnato sui fogli.

La seconda figura abbassò lo sguardo sulle carte, si strinse nella stoffa della giacca, accostando un lembo del bavero alla guancia, e continuò a marciare lungo la strada in pattuglia. Disse qualcosa. Un sottile sbuffo di fiato bianco scivolò dalle labbra su cui premevano due sottili punte di canini aguzzi, capelli fulvi incorniciavano il viso pallido e leggermente sbavato di rosso all’altezza delle guance. I malinconici occhi d’ambra di Romania si spostarono dalle carte indicate dall’ufficiale e tornarono a guardare il bordo della carreggiata su cui stavano sfilando altre pattuglie tedesche.

Bulgaria udì il suono della sua rabbia stridergli nelle orecchie e fischiargli nella testa come la punta di un trapano che perfora il cranio. Quel risucchio di furia nelle orecchie lo trascinò a un mese prima, davanti a Germania e a Romania, i documenti di adesione all’Asse gettati sul tavolo davanti a lui, le occhiatacce di minaccia di Germania, quelle di odio che lui stesso aveva rivolto a Romania. La stretta di Romania sul suo polso che lo aveva tirato a sé, il braccio che lo aveva sbattuto sul muro, i pugni schiacciati contro il suo petto tanto da farlo salire sulle punte dei piedi. Gli occhi di Romania che fiammeggiavano nella penombra, il suo ringhio sottile che gli aveva sibilato le parole contro il viso, “Sei impazzito o cosa? Vuoi farti ammazzare?”, e la porta che gli aveva sbattuto in faccia, come un ceffone scagliato sulla guancia, così forte da lasciare l’impronta.

I pugni, le braccia, le spalle e la spina dorsale di Bulgaria vibrarono aggrediti da spasmi di rabbia liquida che gli infiammò le vene e i muscoli. Bulgaria strinse i denti fino a morsicarsi il labbro inferiore, il sapore viscido e ferroso del sangue accompagnò il pugno di nausea e disgusto che gli centrò la bocca dello stomaco.

Razza di...

Gli corse addosso senza accorgersene. I piedi volarono sopra i grumi di neve macchiata dalle marce dei soldati e schiacciata dagli pneumatici dei carri, e la sua ombra schizzò verso Romania.

La voce del comandante lo chiamò. “Signore!” Ma Bulgaria già non lo sentiva più.

 

.

 

L’ufficiale tamburellò due volte il dorso della penna contro la tabella tracciata sulla cartella rigida, spinse di più i fogli sotto lo sguardo di Romania, in modo che potesse vedere meglio gli appunti, e indicò un punto oltre gli autocarri con un’alzata di mento. Finì il discorso. “... organizzando la disposizione di una delle armate corazzate in questo punto.”

Romania strinse il bavero della giacca contro la guancia, spostò lo sguardo verso il basso. Fece un sospiro flebile che condensò un sottilissimo strato di fiato davanti alla punta del naso e alle labbra su cui spingevano le punte dei canini. Raccolse la cartella, continuò a camminare a passi scricchiolanti sull’asfalto ghiacciato, e i suoi occhi scorsero ancora una volta attraverso le righe della direttiva.

Il cielo nuvoloso e l’aria grigia, impregnata di nebbia, neve e fumo, gli appannavano il colore delle iridi opache, sporche e senza barlumi di vita, come sassi d’ambra lasciati giacere al buio e alla polvere.

L’ufficiale tedesco stette al passo con Romania, puntò l’indice sopra gli appunti, e si schiarì la voce arrochita dal freddo umido e pungente. “E lì ci sarà anche da considerare che il ghiaccio sul Danubio ridurrà il terreno inagibile fino a marzo inoltrato, ma considerando che l’inizio delle operazioni è previsto per...”

Tu!

Il grido esplose come lo schiocco di un tuono, spaccò il brusio ovattato del nevischio, e fece impennare gli sguardi di Romania e dell’ufficiale.

Bulgaria corse lungo l’asfalto innevato, la nebbiolina di neve si spalancò come il tendone di un teatro, le due ali di fumo e condensa sventolarono ai suoi piedi, addensandosi fra i cumuli di neve mezza sciolta e diventata nera per la sporcizia degli autocarri. L’espressione di Bulgaria vibrò di rabbia come la sua voce, lasciò scivolare un ringhio fra i denti stretti, i pugni che oscillavano per assecondare la corsa si tesero verso di lui. Romania fece roteare lo sguardo, soffiò uno sbuffo annoiato, e tornò a passare la cartella di documenti all’ufficiale.

Bulgaria gli saltò addosso, si aggrappò alla sua giacca buttando Romania di un passo all’indietro. Tornò a tirarlo a sé con uno strattone, le fronti si sfiorarono. “Chi merda ti ha autorizzato a entrare nel mio territorio, eh, fetente di un vampiro sdentato?” Il fiato rauco di Bulgaria, appesantito dalla corsa, batté sul collo di Romania, gli occhi fumanti di rabbia gli trapassarono lo sguardo.

L’ufficiale tedesco si abbracciò al fascicolo di documenti e scattò di un passo all’indietro. “Signore!” esclamò. Un ago di sorpresa e paura gli era penetrato nel petto, facendolo sobbalzare.

Romania voltò la guancia per non prendersi in faccia la condensa, salì sulle punte dei piedi per allentare la pressione sul collo, e guardò Bulgaria di traverso. Aggrottò la fronte, rabbuiò il volto sotto i ciuffi di capelli, come una maschera d’ombra, e gli occhi persero il velo di sporco, brillarono come quelli dei gatti, scintillando come le punte dei suoi canini. “Levati.” Agguantò un polso di Bulgaria e se lo strappò di dosso. Si voltò di profilo aggiustandosi il colletto e le spalline della giacca, e lisciò la stoffa lungo il petto. Non lo guardò. “Intralci il mio lavoro.”

Bulgaria pestò un passo all’indietro – crick! – spezzò il ghiaccio e stritolò i pugni lungo i fianchi. La condensa soffiata fra le labbra vibranti e il viso rosso diedero l’impressione che stesse prendendo fuoco persino sui capelli. “Il tuo lavoro?” abbaiò. Piantò l’indice a terra e alzò di più la voce. “Questo territorio è mio! A te non è rimasto niente dopo che hai dato in pasto la tua nazione a quel crucco di –”

“Signore, aspetti!” La sagoma del comandante bulgaro si materializzò in mezzo alla neve. L’uomo corse affianco alla fila di autocarri reggendosi il copricapo con una mano, boccheggiò nuvolette bianche, si posò la mano sul petto per riprendere fiato e si mise di fianco a Bulgaria.

L’ufficiale tedesco sollevò il mento, squadrò di traverso prima Bulgaria e poi il suo comandante. “Cosa sta succedendo?”

Romania scosse il capo con un gesto lento e calmo. “Nulla.” Si tirò via una manciata di capelli dalla fronte e sollevò di più il colletto della giacca, fino alle labbra toccate dai denti aguzzi. “Va tutto bene. Io sto solo eseguendo gli ordini.”

Bulgaria storse la punta del naso e tornò nero in viso, i pugni prudevano e continuavano ad ardere dalla voglia di stamparsi sul suo muso.

Romania gli camminò di fianco, si fermò e gli mormorò a voce più bassa, stando dritto e immobile. “Che ti piaccia o meno, Germania passerà per il tuo territorio, e lo farà anche se si trattasse di schiacciarti, per aprirsi un passaggio per entrare in Grecia.” Voltò il viso, incontrò gli occhi affilati di Bulgaria e ricambiò lo sguardo. Le palpebre assottigliarono, gli occhi sfumarono in una tinta rossa, e solo un sottilissimo velo di condensa aleggiò davanti ai piccoli movimenti delle labbra. “Lo hai detto tu stesso, come non hai i mezzi per affrontare una guerra, non ne hai nemmeno per resistere a lui.”

Bulgaria ingoiò un insulto che sapeva di acido, il cuore galoppò furioso, gli venne così caldo da sentire la nevicata sciogliersi attorno a lui. Le braccia e le spalle tremarono come una corda pronta a spezzarsi e a sbattere in faccia al bastardo.

Romania distolse lo sguardo e fece un lento passo distante da lui. Il tono sprezzante della voce mascherò l’ombra di dolore che gli attraversò il viso. “Ti conviene accettare il fatto di passare sotto i comodi di Germania, se non vuoi che questa diventi la tua tomba.”

Bulgaria trattenne il respiro e gli si rivoltò addosso, caricò un pugno sopra la spalla. “Razza di...”

Le braccia del suo comandante si allacciarono al suo busto, trattenendolo. “Signore, la prego!”

Bulgaria rimbalzò fra le sue braccia con uno slancio, il comandante gli intrappolò i gomiti ai suoi, intrecciandoli, e lo tirò indietro di due passi, lontano da Romania. Sbuffò, e la sua schiena fremette contro il petto dell’uomo. Gli occhi puntati addosso alle spalle di Romania che si stava allontanando e il cuore che ancora martellava rabbioso pompandogli il sangue alle tempie.

Bulgaria inspirò forte, contrasse le spalle contro il petto del comandante, e pestò un passo in avanti trascinando il peso dell’uomo. “Sai una cosa?” urlò.

Romania si fermò, gettò lo sguardo sopra la spalla e sbirciò da dietro una ciocca di capelli finita sulla guancia.

Bulgaria tirò a sé un braccio incatenato dal comandante, senza riuscire a sfilarlo, ma scagliò l’indice d’accusa contro Romania. “Moldavia sta bene dove sta, piuttosto che sia sotto la protezione di uno che se la fa sotto come te e che non avrebbe le palle per proteggerlo!”

L’aria attorno a Romania divenne nera. Un soffio di vento spazzò una gettata di neve che gli volteggiò attorno in un ululato, agitò i lembi della giacca, scosse i capelli contro il viso, sulle guance e sulla bocca spaccata dai denti aguzzi che brillavano come punte di rasoi. Fiamme cremisi ruggirono negli occhi lividi di una rabbia che pulsò attorno al suo corpo accrescendo l’ombra nera che lo circondava come fumo.

Romania contrasse le mani, senza chiuderle. Scintille rosse pizzicate dalle unghie schioccarono fra le dita, si mescolarono al vortice di neve che gli volava attorno. Schiuse i denti – le punte rimasero a toccare il labbro inferiore – e le parole uscirono in un gorgoglio cavernoso.

“Ti ammazzo.”

Si scagliò contro Bulgaria, tirò su una mano schiacciandola a pugno, e la sua ombra lo investì.

“No, no, no, fermi!”

L’ufficiale tedesco balzò alle spalle di Romania e gli trattenne il polso. Romania finì slanciato all’indietro e fece volare un calcio a vuoto che sfiorò il ginocchio di Bulgaria.

Bulgaria pestò un passo in avanti, “Dai!” gli gridò addosso, il comandante ancora aggrappato alle sue braccia. “Riprovaci se hai il coraggio!”

Romania scagliò in avanti l’altra mano, gettò una scia di scintille scarlatte, e l’ufficiale tedesco gli agguantò anche l’altro polso, fece forza e lo trascinò di tre passi all’indietro.

Il comandante alle spalle di Bulgaria gli accostò il viso alla guancia, stando attento a non prendersi una spallata sul mento. “La prego, signore, comportiamoci da persone mature.”

Bulgaria esplose. “Mature?” Tirò prima un gomito, poi l’altro, e riuscì ad avanzare di un passo calpestando gli strati di neve e ghiaccio. Schizzò un calcio di neve contro Romania. “Come posso essere maturo con uno che si è completamente bevuto il cervello?”

Romania tirò in avanti le spalle, e i capelli gli finirono contro gli occhi e agli angoli della bocca ancora digrignata di rabbia. “Meglio essermelo bevuto piuttosto che non averlo mai avuto come te!”

Bulgaria gonfiò i muscoli delle spalle e delle gambe, graffiò l’aria trascinandosi in avanti, e sfiorò la mano di Romania tesa verso di lui, pronta ad afferrarlo. Le scintille pizzicarono.

“Si calmi, la prego.” L’ufficiale tedesco tirò indietro Romania di due passi, lo fece girare di fianco. Romania diede altri due calci a vuoto, schizzando spruzzi di neve, e l’aura scarlatta lampeggiò attorno alle mani a ritmo dei suoi respiri affannosi.

Lui e Bulgaria si tirarono un’ultima occhiata di minaccia. Bulgaria sbuffò una soffiata di condensa, Romania fece lo stesso lasciando fuoriuscire una nuvoletta bianca dai denti aguzzi, e per un attimo ci fu solo il suono dei loro boccheggi spanti all’aria nevosa.

L’ultima occhiata di Romania arrivò spietata e affilata, Bulgaria provò la sensazione di avere i suoi denti piantati nel collo, udì il suono viscido della carne lacerata e strappata via di rabbia, e la sensazione bollente e umida del sangue che cola, raccolto e raschiato via dalla sua lingua. Capì che voleva ammazzarlo sul serio.

Bulgaria si voltò portandosi dietro il peso del suo comandante e scosse via il brivido di paura che gli era scivolato fra le ossa. Rimase il fremito di rabbia a fargli vibrare le labbra contratte, gli occhi gettati a terra vacillarono.

Attraversare il Danubio per entrare in Grecia. Tirò via un braccio dalla stretta del comandante e l’uomo gli lasciò libero anche l’altro. E certo! Bulgaria si voltò di spalle e si strofinò l’avambraccio. E poi usare le armate in ritirata per sfondare in Russia. Schiacciò i pugni, la neve vorticò anche attorno a lui, gli rabbuiò la vista. Non posso accettarlo. Voltò la coda dell’occhio.

L’ufficiale tedesco liberò l’ultimo braccio di Romania e anche lui si ricompose, lisciò le maniche della giacca e spazzolò i capelli spettinati con due gesti rabbiosi. Aveva ancora le mani spolverate di rosso.

Bulgaria sbuffò. Parlarne con quello stupido idiota ormai è inutile. Guadagnò un respiro più freddo e pungente, lo trattenne nello stomaco. Ingoiò forza e coraggio. Mi rimane solo una soluzione.

“Andiamocene.” Marciò via senza nemmeno guardare Romania in faccia, si rivolse al comandante che lo seguì a ruota. “Fatemi preparare un’auto.”

L’ufficiale accelerò la camminata per stargli affianco. Anche lui aveva il fiatone. “Desidera essere scortato a Berlino, signore?” domandò. “Potremmo fare in modo che questo incidente venga discusso di persona con...”

“No.” Bulgaria scosse il capo, diede l’ultima aggiustata alla giacca e ribaltò i polsini delle maniche. “Niente Berlino.”

Si fermò in mezzo alla strada, fra la fila di autocarri posteggiati ai bordi della carreggiata e alla carovana di soldati e mezzi che stavano proseguendo verso di loro a passo d’uomo. Rimase fermo in mezzo alla neve e al fumo, schiena dritta e spalle larghe, sguardo alto.

Se vogliono giocare pesante, schiacciò i pugni ai fianchi e i suoi occhi guardarono lontano, riflessero il colore del cielo grigio, allora gli dimostrerò che anche io so essere pericoloso quando voglio.

Si girò, mento alto, espressione sovrana, e strinse le mani sulle anche. “Portatemi a Leningrado.”

 

♦♦♦

 

14 dicembre 1940, Leningrado

 

Appena il motore si spense, Bulgaria spalancò lo sportello posteriore e mise il primo piede fuori dall’auto, affondò fin sopra la caviglia nella neve fresca impastata dagli pneumatici sporchi di fango e ghiaia che l’avevano resa di un colore grigiastro. Bulgaria si appese allo sportello, spinse le spalle fuori dall’abitacolo poggiando anche l’altro piede, e il freddo sole bianco che troneggiava nel cielo gli abbagliò il viso. I raggi si specchiarono sulla neve fresca, la fecero luccicare come una distesa di briciole di diamanti, scintillarono nell’aria cristallina e fecero risplendere anche le gonfie e lattee nuvole di condensa soffiate dalle labbra di Bulgaria. L’ondata di freddo lo travolse, gli fece rizzare la pelle d’oca, punse sulle guance, negli occhi e sulle labbra, la punta del naso arrossì come gli zigomi. La forte pressione di quell’aria gelida e densa come una profonda sorsata di ghiaccio gli spinse sul petto, arrochì il respiro. I profumi della neve, della strada bagnata, del legno resinoso bruciato, del fumo caldo e quello più pungente del gas di scarico gli salirono alla testa.

Bulgaria scese dall’auto, richiuse lo sportello e si strofinò le spalle soffiando un forte sospiro bianco dentro il colletto della giacca tirata fin sotto la punta del naso. Faceva talmente freddo che iniziarono a fargli male le orecchie e i denti.

Sollevò gli occhi, si portò una mano davanti alla fronte per ripararsi dai raggi accecanti del sole, e posò lo sguardo sulla sagoma del Palazzo d’Inverno, scura e piatta contro il cielo bianco e leggermente sfumato di rosa. Bulgaria dovette fare due passi all’indietro e reclinare completamente il collo verso la schiena per riuscire a vedere la cima della facciata principale che dava sulla piazza. Pilastri dorati dividevano le file di finestre, bianche e lucide come tanti soli racchiusi all’interno dell’edificio. La luce si specchiava sui portici bianchi, abbagliava la facciata rossa, e scintillava fra le pieghe della bandiera sovietica che sventolava sulla cima, contro il cielo.

Bulgaria fermò lo sguardo sulla bandiera, su quel colore sanguigno, e un violento brivido di freddo e paura gli percorse le ossa. Il senso di vertigini gli fece battere i denti e vedere doppio, le nuvolette di fiato soffiarono fuori dalle labbra più corte e rapide. Deglutì secco, aveva la lingua impastata, tolse la mano dalla fronte e strinse le braccia sullo stomaco, dove un fastidioso sfarfallio gli premeva sulla pancia dandogli un senso di nausea e disagio da fargli tremare le ginocchia.

Impallidì.

Ho fatto tanto lo spaccone davanti a loro...

Il formicolio allo stomaco gli torse le budella, la pressione sul petto divenne fitta e pesante, schiacciò il cuore in un nodo di ansia. Batté più forte e dolorosamente, annodandogli il respiro in gola.

Bulgaria allungò la punta del piede e compì un piccolo passetto in avanti. Cri-crack! Il suono della neve scricchiolante gli diede l’impressione di star camminando sul ghiaccio, la paura e il senso di pericolo gli mostrarono l’immagine di una lastra trasparente che si spaccava facendolo sprofondare in acque gelide e scure pronte a inghiottirlo.

Altro passo. La gamba tremò, Bulgaria si strinse di nuovo le spalle e rivolse il viso bianco di paura a terra, nell’ombra del palazzo, lontano dalla bandiera sovietica. Flesse un sopracciglio, si morse il labbro.

Ma l’idea di mettermi davanti a Russia fa tremare le ginocchia anche a me.

Un altro passo – crack!

La facciata del Palazzo d’Inverno divenne ancora più grande, coprì la sagoma del sole bianco, i suoi raggi scivolarono dietro l’edificio, filtrarono attraverso i pilastri e i portici, e allungarono fredde e scure ombre gettate addosso a Bulgaria che avanzava lento e tremante verso lo scalone.

Bulgaria inspirò l’aria gelata di Leningrado, altri brividi gli entrarono nella carne, fecero tremare le ossa e fremere il respiro fra i denti.

Se mi andasse bene, potrei aprire gli occhi a Russia e metterlo contro Germania prima ancora che il crucco sfondi in Grecia, e a quel punto ne rimarrei fuori. Sollevò un sopracciglio. Forse.

Continuò a camminare.

L’aria si fece cupa, il cielo divenne buio, l’ombra del palazzo si dilatò a macchia d’olio, e una soffiata di vento e neve cristallizzata bruciò sul viso di Bulgaria, il freddo penetrò nel suo petto come una mano artigliata che si aggrappa alle costole.

Rabbrividì di nuovo. Ma se mi andasse male, si chiuse di più nell’abbraccio solitario, si fece piccolo piccolo, potrei ottenere l’effetto opposto e finire direttamente sotto le mani di Russia.

Il soffio di vento fu come un abbraccio di Russia. Spire fredde e viscide come tentacoli che si appigliano al collo, alle spalle, che scivolano sotto i vestiti scorrendo sulla pancia e attorno ai fianchi, e che ti trascinano indietro, fino a lui, ingabbiandoti nel ghiaccio.

Bulgaria si pizzicò il labbro, tornò lo sfarfallio allo stomaco. Oppure potrebbe inferocirsi così tanto da triturarmi come una noce.

Vide i tentacoli chiudersi e spaccargli le ossa, sbriciolarlo spappolandogli la carne e riducendolo a poltiglia di organi, viscere e cervella.

Bulgaria paralizzò un passetto a mezz’aria, fermato dalla voglia di fare dietrofront, saltare di nuovo in auto e tornare a casa. Si prese la fronte fra le mani, emise un lungo sospiro di disperazione che terminò con un mugugno.

Forse sto per cacciarmi in un guaio più grande di me.

Una piccola ombra discese lo scalone del palazzo, i tacchi batterono sui gradini di pietra, lo scalpiccio risuonò lungo la piazza ovattata dalla distesa di neve luccicante. I raggi di sole scivolarono come nastri lungo gli scalini, raggiunsero i piedi della sagoma e risalirono attraverso le sue curve, illuminarono il viso sorridente di Ucraina incorniciato dai capelli biondi. “Benvenuto, Bulgaria.” Lo salutò con uno sventolio di mano.

Bulgaria si fermò in fondo allo scalone, sollevò lo sguardo di colpo, gettò via la maschera di ansia che gli appannava gli occhi, e anche le sue iridi splendettero abbagliate dai fasci di sole freddo e bianco. Sbatté le palpebre, trattenne il respiro a labbra socchiuse, e storse un sopracciglio. “Ucraina?” Il terrore scivolò via dal flusso del sangue, rilassò i muscoli irrigiditi e allentò la pressione attorno al cuore, lasciò un sottile e tiepido senso di sollievo e di delusione allo stesso tempo.

Ucraina gli rivolse un sorriso dolce che si infossò nelle guance già rosse per l’ondata di freddo, giunse le mani sul grembo e piegò una piccola riverenza. “Spero tu abbia fatto un buon viaggio.”

Bulgaria flesse il capo di lato, sollevò l’altro sopracciglio in un’espressione smarrita e confusa, e si sfregò i capelli sulla nuca. “Io cred...” Indicò un punto del Palazzo d’Inverno, balbettò. “Pensavo...” Oh, andiamo, sii un po’ più professionale! Si schiarì la voce, appiattì lo sguardo sciogliendo l’espressione da ebete, unì le gambe, raddrizzò le spalle mettendo le mani dietro la schiena, e gonfiò il petto. “Avevo richiesto una riunione con Russia.”

Ucraina raddrizzò la schiena e il suo sorriso dolce assunse una piega più triste, di scuse. Si posò la mano sul petto. “Perdonaci, ti prego, so che hai fatto tutta questa strada solo per poter parlare con lui.” Scosse il capo. “Ma Russia purtroppo non potrà riceverti, oggi.”

Bulgaria spalancò gli occhi, aggrottò un sopracciglio, e la bocca cadde aperta in una smorfia di incredulità. Le parole di Ucraina arrivarono come una martellata improvvisa sulle punte delle dita. “Cosa?” esclamò. La voce arrochita dal freddo.

Ucraina mostrò un sorriso rassicurante, il vento le agitò qualche piccola ciocca di capelli contro le guance rosse e lei le tenne in disparte portandole dietro l’orecchia. Chiamò Bulgaria con un gesto della mano libera. “Vieni, vieni, entra pure, non startene lì al freddo.” Si voltò risalendo due gradini con una sgambettata, e inclinò il capo indicando l’entrata. “Parliamone dentro.”

Bulgaria emise un sospiro abbattuto che gli piegò le spalle in avanti e gli fece ciondolare le braccia lungo i fianchi.

Tutta questa strada...

Ma il timore di finire spappolato e trafitto dalle sue stesse ossa spezzate scomparve, si sciolse come neve lasciando una tiepida e piacevole sensazione che rallentò i battiti del cuore e scaldò il sangue raggelato dall’aria di Leningrado.

Non poté far nient’altro che entrare.

 

.

 

Enormi lampadari a fontana pendevano dal soffitto del corridoio, luci dorate e cristalline splendevano sulle finestre ghiacciate e lungo le pareti arabescate di oro, di bianco e di rosso. Fasce di tende di velluto tenute raccolte da nastri lasciavano filtrare il riverbero più chiaro e freddo della luce del sole che si raccoglieva contro il ghiaccio e la neve incrostati ai cornicioni.

Ucraina guidò Bulgaria svoltando in un’ala del corridoio a sinistra, camminarono entrambi sotto la luce delle finestre dorate, i loro passi fecero eco lungo il pavimento che si stendeva fra le pareti di cui non si vedeva la fine. Rallentò per stare a passo con lui e tornò con le mani sul petto, mostrò uno sguardo sconsolato, gli occhi luccicarono di avvilimento.

“Per la verità, speravo anche io che fosse di ritorno già oggi, ma c’è stata una nevicata improvvisa ieri notte e la mobilità nelle strade è rallentata.” Rivolse l’indice fuori da una delle finestre intagliate fra le colonne di marmo e oro, e le tornò il sorriso. Un piccolo sorriso di orgoglio. “Lui e Lituania hanno accompagnato nostra sorella a Serpuchov.”

Bulgaria chiuse a pugno le mani che aveva infilato nelle tasche e scoccò uno sguardo interrogativo a Ucraina. “Ai campi di aviazione?” Il bavero della giacca cominciava a prudere, la pelle già sudava per la luce e il caldo che si stava ammassando sotto la stoffa dei vestiti pesanti.

Ucraina annuì. Giunse le mani sul ventre. “Esatto.”

Bulgaria sbuffò mentalmente, alzò gli occhi al soffitto. Grandioso.

Uscirono dal salone, sfilarono davanti a una scalinata di pietra sormontata da un tappeto rosso che dava al corridoio inferiore, illuminato anche quello di oro e luccicante dei cristalli che componevano i lampadari. Proseguirono lungo il corridoio.

Bulgaria allentò il colletto della giacca e la sbottonò, sventolò il lembo facendo prendere aria alla pelle sudata. “E non c’è la possibilità che torni in giornata?”  

Ucraina gli rivolse uno sguardo confuso. Si fermò davanti a una delle finestre, tenne strette le mani in grembo, e flesse il capo, gli occhi apparvero disorientati e lucidi sotto i raggi bianchi che le toccavano le guance e i capelli.

Bulgaria si fermò davanti a lei, più vicino rispetto a quando stavano camminando, e le rivolse uno sguardo implorante, la voce tornò carica di tensione come quando era sceso dall’auto davanti al Palazzo d’Inverno. “Ucraina, ti prego, è una questione troppo importante e non posso aspettare neanche un giorno, sarebbe troppo pericoloso.” Ricominciò a sentire i brividi scaricati dalla neve pungente sulla pelle. La sto davvero implorando di portarmi davanti a Russia con cattive notizie?

Ucraina si posò una mano davanti alla bocca, sobbalzò spaventata. “Pericoloso?”

Bulgaria annuì e le indicò un punto fuori dalla finestra, aggrottò la fronte, inspessì il tono di voce. “Germania sta muovendo delle operazioni sulla linea del Danubio, sta cominciando a piazzare armate nei Balcani tramite Romania. Siete...” Inspirò forte e si batté la mano sul petto. Il colpo spinse via il peso di paura che si era raggrumato nel cuore, fu come inghiottire un boccone andato di traverso. “Siamo tutti in pericolo,” specificò, “e Russia deve essere avvertito immediatamente di questo. C’è in ballo l’intero destino della guerra!”

Una voce di ghiaccio gli vibrò dietro l’orecchio. “Se ci fosse in ballo l’intero destino della guerra, Bulgaria...”

Bulgaria si sentì ghiacciare le ossa. Quella voce lo trapassò come una scarica elettrica, lo lasciò fulminato. Il cuore divenne un peso di piombo, crollò in fondo allo stomaco facendogli diventare il volto grigio come cenere, gli occhi larghi e lucidi come biglie di vetro tremarono di terrore e videro nero. Il corridoio dorato cadde nel buio come se una nuvola plumbea fosse scivolata davanti al disco del sole, un forte e nauseante senso di vertigini storpiò le pareti che si torsero in un vortice stridente.

Bulgaria aveva ancora le labbra socchiuse e paralizzate. Non riuscì a chiuderle o a muovere la lingua. Voltò la guancia, lentamente, sentendo le vertebre del collo scricchiolare, pietrificate.

Il viso di Russia gli sorrise da sopra la spalla. Occhi sottili e dai riflessi violacei gli entrarono nello sguardo, gli congelarono il cervello facendogli sentire un fischio nelle orecchie e mozzandogli il fiato. Russia stese il sorriso, dolce e innocente, gli trafisse il battito del cuore che ormai era crollato ai suoi piedi.

“Allora dubito che qualcosa di così importante dipenderebbe da te.”

Bulgaria mosse la bocca, il labbro inferiore vacillò, la lingua paralizzata cominciò a bruciare come il nodo di terrore che stringeva attorno allo stomaco. Da... Sudori gelidi gli scivolarono dietro il collo, scaricarono una scia di brividi lungo la spina dorsale, e Bulgaria prese a tremare come se fosse stato con i piedi nudi affondanti nella neve. Da dove diavolo è sbucato?

“Russia caro.”

L’esclamazione di gioia di Ucraina spaccò l’atmosfera raggelata, come un colpo di proiettile che infrange uno specchio. Bulgaria scosse il capo, distolse gli occhi da quelli di Russia, fece un passetto all’indietro, sbatté sulla colonna affianco alla finestra, via dalla sua ombra, e un gemito strozzato lo fece respirare di nuovo. Gli girava la testa.

Ucraina strinse le mani davanti al petto, corse verso Russia e gli sorrise, sospirò di sollievo. “Siete a casa sani e salvi, meno male.”

Passi affrettati risalirono la gradinata che si erano appena lasciati alle spalle. Lituania si passò una mano fra i capelli per tenerli in ordine dietro l’orecchio, si appese al corrimano di pietra, saltò l’ultimo gradino, e zampettò alle spalle di Russia, rimpicciolendosi dietro la sua ombra. Nascose il lieve affanno respirando dentro il bavero della giacca che non si era ancora slacciato.

Ucraina si sporse, si rivolse anche a lui, e i suoi occhi tornarono a velarsi di apprensione. “Ho saputo della nevicata.”

Russia rinnovò il sorriso e raddrizzò le spalle, allentò la sciarpa attorno al colletto della giacca. Anche lui non se l’era tolta. “Siamo appena tornati.”

Bulgaria ne approfittò per scivolare di un altro passo all’indietro, incollarsi con la schiena alla colonna di marmo – la scarica di freddo attraverso i vestiti pregni del sudore di terrore lo fece gemere –, e gli occhi balenarono da destra a sinistra, stando bassi, in cerca di una via di fuga.

“Bielorussia sta bene?” domandò ancora Ucraina. “Non si è affaticata troppo, vero? Non ha avuto paura a rimanere da sola a Serpuchov? Ha mangiato abbastanza?” Si sporse di nuovo a cercare Lituania nell’ombra e stese un sorriso più caldo e radioso. Batté le mani davanti al petto. “Voi due sarete affamati, immagino. Se volete vi preparo qualcosa di caldo anche prima di cena.”

Lituania fece un piccolo sobbalzo e le mostrò i palmi. “Ehm, n-no, no.” Piegò un minuscolo sorriso di imbarazzo. “Io sono a posto, ti ringrazio.” Tornò di un passetto dietro alla stazza di Russia.

Russia spostò lo sguardo da Ucraina, gli occhi si strinsero, divennero sottili come il suo sorriso dolce ma gelido, e si posarono un’altra volta su Bulgaria.

Bulgaria sentì il ghiaccio penetrare nel cuore, l’ondata di paura lo pietrificò contro la colonna su cui aveva premuto le spalle sopra, fece diventare di nuovo la vista nera: una fitta nebbia che gli imbottì la testa. I piedi si cementarono a terra, le ginocchia continuarono a ballare, e le mani incollate alla colonna di marmo si contrassero, sudarono come il viso paralizzato dalla paura.

Russia ammorbidì il sorriso. Gli si avvicinò di un passo, superando Ucraina, e posò la mano sulla testa di Bulgaria, facendolo gemere. Si chinò a guardarlo in viso. “Stavi per caso importunando la mia sorellona, Bulgaria?” Strinse lievemente la pressione in mezzo ai capelli, i polpastrelli spinsero sull’osso del cranio, e a Bulgaria iniziarono a battere i denti dalla paura.

“Oh no, caro.” Ucraina tornò a farsi avanti, posò una mano sulla spalla china di Russia e indicò Bulgaria con un palmo. “Anche Bulgaria è appena arrivato e stava solo cercando di dirmi che...”

“Devo...” Bulgaria parlò con uno stridio di voce. Inghiottì un groppo di saliva secca e amara, inspirò dal naso, tremò di nuovo sotto la mano di Russia aperta sulla sua testa, e continuò a fissarlo in quegli occhi che parevano risucchiargli il fiato. “Devo parlarti,” mormorò. Il cuore gli pulsava nelle orecchie e nella bocca. “Faccia a faccia. Ora.” Tirò un po’ più su le spalle facendole scivolare lungo la colonna, si aiutò con le mani sudate, e raddrizzò le ginocchia traballanti. Aggrottò le sopracciglia, sciacquò via il terrore dagli occhi, e per un attimo dimenticò di avere sulla sua testa una mano che avrebbe potuto triturargli il cranio solo flettendo le dita. “Ed è importante.”

Il tenero e dolce sorriso di Russia gli tinse le guance di rosa. Russia fece scivolare le dita dalla testa di Bulgaria, ritirò il braccio dietro la schiena, intrecciando le mani, e flesse il capo regalandogli uno sguardo di commiserazione. “Temo di non essere interessato alle tue chiacchiere, Bulgaria.” Gli passò di fianco, sfilandosi anche dal tocco di Ucraina ancora posato sulla spalla, e proseguì per il corridoio. Lituania gli zampettò dietro restando nella sua ombra.

Bulgaria scosse il capo, si riprese, la testa ovattata di paura ricominciò a funzionare. Scollò le spalle dalla colonna, avanzò di un passetto ma la gamba tremò, come fatta di gelatina. “Russia, ti prego,” lo implorò, “ascoltami, siete in pericolo, siamo tutti in pericolo, Germania sta...”

Russia continuò a camminare e gli rivolse lo stesso sorrisetto di pietà da sopra la spalla. “Non è da te che mi farò riferire le faccende di un mio alleato.”

Una fiammata di rabbia aggredì il cuore di Bulgaria, come quando si era ritrovato con le mani strette addosso alla giacca di Romania, a scuotergli quella testaccia vuota che si rifiutava di capire. Schiacciò i pugni tremanti ai fianchi, pestò un piede a terra, inspirò fino a sentire i polmoni bruciare e cacciò un grido.

“Germania sta per invaderti!”

Lituania si bloccò per primo, voltò il viso di scatto, una ciocca di capelli volò davanti alla guancia, gli nascose il lampo di allarme che era balenato negli occhi. Ucraina sobbalzò, si coprì la bocca, e il suo sguardo spaventato rimase in penombra, volò da Russia a Bulgaria, e di nuovo su Russia.

Russia compì un passo più lento, smise di camminare, si fermò di fianco al riflesso di una delle finestre che lo abbagliavano della luce granulosa sparsa dalla neve. Il chiarore scemò, gettò un velo di ombra su di lui, e la sua sagoma annerì, lo fece sembrare immerso in una nebbia buia. Ci fu silenzio. Il vento fuori dalla finestra scricchiolò contro il vetro ghiacciato, fiocchi di neve vi picchiettarono sopra facendo ondeggiare l’ombra che aveva avvolto Russia.

Bulgaria tornò congelato, trattenne il fiato per non disturbare il silenzio che era piombato nel corridoio, e ricominciò a udire il battito accelerato del suo cuore.

Russia rilassò le spalle, si voltò di profilo e rivolse lo sguardo a Bulgaria. Sorrideva. “Prego?” Un sorriso dolce e tenero come quello di prima.

Lituania abbassò la fronte e si portò di un passetto in disparte. Il suo sguardo era ancora scosso, volò su Bulgaria lanciandogli un’occhiata sottecchi.

Bulgaria aprì e chiuse i pugni, prese un respiro di singhiozzo che sembrò soffocarlo. “Germania,” ripeté. La voce più rauca e pesante, ma il cuore era tornato nel petto, al suo posto. “Germania sta,” inspirò, “sta disponendo le armate da Romania e anche da me. Sta usando il recupero di Italia come diversivo, ma in realtà il vero obiettivo sei tu.” Sollevò un piede, compì un timido passetto in avanti e le suole scricchiolarono sul marmo, infransero lo strato di silenzio. “Sta pianificando l’invasione dell’intera Unione Sovietica e devi,” tentennò, aprì una mano verso la finestra, “devi metterti al riparo, altrimenti gli darai la possibilità di sferrare un attacco a sorpresa e per noi...” Si spinse la mano sul petto, aggrottò a fronte e rafforzò la voce. “Per tutta l’Europa sarebbe la fine.”

Lituania si posò una nocca fra le labbra e si rosicchiò la pelle, gli occhi caddero ai suoi piedi, luccicarono di ansia, un filo di capelli scivolò davanti al viso, nascose l’espressione carica di tensione.

Ucraina si posò una mano sul cuore, rivolse a Russia uno sguardo afflitto e materno. “R-Russia...”

Il sorriso di Russia rimase a incurvargli le labbra, ad addolcirgli il volto disteso. Lui sollevò le sopracciglia, una scintilla di malizia gli balenò negli occhi. “Un’invasione, mh?” Si voltò completamente verso Bulgaria, le mani ancora dietro la schiena. “E questo immagino che sia stato Germania a dirtelo.”

Bulgaria esitò. “N-no, non direttamente, ma...” Sollevò la mano, strinse il pugno, e tornò a gettarlo contro il fianco. “Ma è evidente,” sbottò. “Una nazione come lui o... o come Prussia non si fermeranno mai a una piccola fetta di quello che hanno cominciato a divorare. È ovvio che il prossimo obiettivo sei tu.”

Russia socchiuse le palpebre, incupì la voce, e il viso si fece più buio. “Io e Germania condividiamo una fiducia reciproca molto forte dal punto di vista politico.” Rivolse lo sguardo fuori dalla finestra, la pelle si bagnò di un bianco latteo, gli occhi così profondi sbavarono in una sfumatura più triste e malinconica, infossata dall’ombra delle palpebre. Le sue labbra si mossero morbide sfiorando l’abbraccio della sciarpa. “Ci siamo giurati fedeltà ancora prima che la guerra cominciasse e abbiamo discusso di queste manovre già quando ha iniziato a guidare i primi spostamenti in Romania.” Il sorriso tornò a toccargli la bocca. Russia si strinse nelle spalle e trattenne un trillo di risata che rivolse a Bulgaria. “Perché dovrei credere a te invece che a un mio alleato?”

Bulgaria sbatacchiò le palpebre. “Uh,” si morse il labbro, “ecco, io...” In effetti... “Proprio perché...” Perché tu sei solo un bambino mal cresciuto e troppo ingenuo da capire che nessuno vuole essere tuo alleato, tantomeno tuo amico, e che Germania ti sta tenendo buono solo per azzannarti alle spalle e strapparti il potere dalle mani senza correre il rischio di essere maciullato da te. Continuò a morsicarsi il labbro ma la lingua bruciava dalla voglia di gridarglielo addosso. Bulgaria gettò di nuovo il braccio alla finestra. “Perché è ovvio che ti sta intortando per bene solo per coglierti alla sprovvista quando...”

Russia rise posandosi il dorso della mano davanti alla bocca. Fu la risata allegra di un bambino che gioca. “Intortarmi?”

Ucraina tentò un altro passo più vicino a lui, tese le mani in un gesto protettivo, schiuse le labbra per intervenire, ma Russia parlò prima di lei.

“E che prove avresti di questo?” La risata aveva lasciato sulla sua bocca l’impronta del sorriso.

Bulgaria storse una smorfia di disgusto, il buio tinse di nero anche il suo sguardo. Strinse gli occhi sotto le sopracciglia aggrottate, e sputò parole aspre soffiate direttamente dai bollori rabbiosi dello stomaco.

“Il fatto che ti abbia sbattuto fuori dal Tripartito.”

Il sorriso di Russia cadde di colpo, le palpebre si slargarono, gli occhi si infossarono in un’ombra color pece, e le iridi splendettero in un ostile e piatto sguardo di minaccia che trafisse l’aria impregnandola di ghiaccio e buio.

Lituania sbiancò. Sovrappose le mani alla bocca e zampettò all’indietro, si allontanò dall’ombra di Russia come per paura di finire inghiottito nel buio. Ucraina sollevò una mano dal cuore e la posò anche lei davanti alla bocca socchiusa in un gemito muto. L’altra rimase sul petto, strinse la stoffa della camicetta, gli occhi acquosi e afflitti dal dolore cercarono Russia che era rimasto immobile nella sua ombra.

Bulgaria tornò con le spalle alla colonna, si morsicò la lingua desiderando mangiarsela assieme alle parole che gli erano appena scappate. Merda. Trattenne il respiro, sudori gelati tornarono a bagnargli la pelle, il cuore riprese a martellargli nella gola e a ronzargli nella testa. L’ho detta grossa.

Russia chinò la fronte, i capelli scivolarono davanti agli occhi, un suo sospiro infranse il silenzio cupo e pesto che aveva sollevato la nebbia nera attorno a lui. La neve picchiò più forte contro la finestra, il vento vi fischiò sopra e la congelò al vetro creando uno strato rugoso e screpolato che filtrò la pallida luce del sole, incastonando ombre lungo il profilo e il viso di Russia. L’aria graffiò le finestre, lo strato di ghiaccio si inspessì stridendo lungo il vetro, e un lungo ululato del vento spazzò un altro velo di buio sopra il sole.

Russia fece un passo avanti, i lembi della sciarpa sventolarono attorno alle caviglie, l’ombra nera lo seguì, si allungò e toccò i piedi di Bulgaria.

Bulgaria afferrò la colonna con le mani, si tirò sulle punte dei piedi, picchiettò una suola a terra ricominciando a tremare come una foglia. Merda, merda, apriti pavimento, apriti e fammi sparire!

Le labbra ancora in ombra di Russia si curvarono verso l’alto. Quel sorriso zuccherino ma buio gli ghiacciò la voce. “Sai invece com’è che la penso io, Bulgaria?”

Ucraina scattò dalla sua posizione e gli volò incontro, tese le braccia per fermarlo. “Russia...” Lituania saltò in avanti e le strinse il polso. Scosse il capo, il viso ancora bianco e implorante di starsene in disparte.

Russia sollevò lo sguardo, inclinò il capo verso la spalla e il viso tornò in luce, ombreggiato solo attorno agli occhi sottili e scuri come un buco nell’anima. “Io credo che tu sia talmente spaventato da quello che ti sta capitando attorno e da quello che potrebbe succederti, che corri da me a cercare di mettermi contro un mio alleato e sperare in questo modo di starne fuori.” Si strinse nelle spalle, trillò una risata di scherno. “E magari di non fare la stessa fine di quel poveretto di Romania.”

Un reflusso di odio inghiottì la paura di Bulgaria, il cuore batté di rabbia, il viso impallidito tornò rosso all’altezza delle guance, le mani aperte sulla colonna strinsero e le unghie stridettero sul marmo.

‘Quel poveretto di Romania’ posso dirlo solo io!

Russia chinò le spalle, tese la mano inguantata e gli strinse il mento fra le dita, gli fece reclinare la testa verso il suo sorriso. “Sei solo un pesciolino talmente piccolo e insignificante che spera di mettere due squali contro e di scappare via mentre loro sono troppo impegnati ad azzannarsi per badare a lui.” L’ombra calò fra i loro volti, Russia avvicinò la fronte, i suoi occhi splendettero, avidi e ostili, e abbassò la voce. Suonò grave e fredda. “Ma ti insegnerò una cosa, Bulgaria.” Sollevò le punte delle dita e gliele premette sulle guance. Bulgaria gemette fra le labbra leggermente rigonfie per la pressione sulla mascella. “Più lo squalo combatte,” mormorò Russia, “e più ha bisogno di pesci con cui nutrirsi.” Spremette due volte le guance di Bulgaria, come a un pupazzetto, e il suo sorriso divertito si assottigliò. Gli occhi divennero taglienti come lame di ghiaccio spinte sotto la gola. “Evita di sprecare fiato a parole, Bulgaria.” Accostò la guancia ghiacciata alla sua, le labbra gli sussurrarono contro l’orecchio, il suo respiro gelido bruciò sul lobo. “Fra un po’ ti servirà tutta l’aria possibile per non rimanere soffocato nel mare di questa guerra.”

Bulgaria mugugnò un lamento di terrore, e sentì la mano di Russia vibrare contro la sua mandibola tremante. In quel breve sospiro, tutto il profumo di Russia, dei suoi vestiti, della sua pelle e dei suoi capelli gli arrivò addosso. Profumo di sangue, di vodka ghiacciata e di neve bruciante come appena infilata nel naso. Gli fece girare la testa.

Russia staccò la mano dalla guancia di Bulgaria, raddrizzò le spalle e tornò a rivolgergli quel tenero sorriso senza ombra. “Spero che questa visita ti sia stata comunque utile, Bulgaria. Ma ricordati questo.” Sollevò le sopracciglia, gli lanciò un ultimo sguardo felino che arrivò come una soffice carezza alla guancia. “Ci sarà sempre spazio nel mio acquario.” Rimboccò la sciarpa e si voltò. Camminò a passo silenzioso attraverso il corridoio dorato, passò di fianco a Lituania e a Ucraina senza fermarsi. “Vieni, Lituania.”

Lituania sobbalzò. “Ah.” Lasciò il polso di Ucraina e tirò le spalle dritte, le gambe unite. “S-sissignore.” Gli corse dietro, girò un’ultima volta la guancia verso Bulgaria, inarcò un sopracciglio scoccandogli un’ultima occhiata preoccupata, sospettosa e tesa, ma svanì assieme a Russia in un’ala del corridoio.

I loro passi scomparvero, tornò il sibilo più morbido del vento che fece scricchiolare le finestre ghiacciate.

Bulgaria trasse un lento e profondo sospiro che gli scivolò dal petto allo stomaco e riprese a far circolare il sangue. Si posò la mano prima sul petto e poi sulla gola. Ho... Gli occhi gonfi di terrore tremarono, allucinati. Ho appena visto la Morte, credo. Si massaggiò la pelle sudata e che pulsava sotto le sue dita, si strofinò le guance sulle quali sentiva ancora la fredda e appiccicosa impronta della mano di Russia, nonostante i guanti.

La voce di Ucraina gli corse incontro. “Oh, perdonami, caro, non pensavo che ti avrebbe detto quelle cose.” Lo aiutò a raddrizzare la schiena, gli aggiustò i risvolti del colletto e gli spolverò le spalline.

Bulgaria non riuscì nemmeno a sottrarsi. “S-sto bene,” mentì. Aveva ancora le vertigini, il pavimento oscillava e il soffitto si muoveva a onde concentriche.

Ucraina continuò a spolverargli la giacca, gli occhi bassi e colpevoli. “Sai, ultimamente non è stato un periodo facile per mio fratello. Anche i rapporti con Germania sono stati più complicati del solito, e temevo che avrebbe reagito in questo modo.” Un’ultima lisciata alla giacca. La voce di Ucraina si addolcì. “Ecco, non ti ha fatto male, vero?”

Bulgaria ignorò la domanda e scosse il capo. “Io non sono venuto qua per ingannarlo,” sollevò lo sguardo, prese due boccate di fiato, rivolse a Ucraina un’occhiata sincera, “ma per metterlo in guardia.” E salvarmi la pelle.

Ucraina abbassò le palpebre, gli posò una mano sulla spalla e mostrò uno sguardo comprensivo. “Ma vedi, Russia è il primo a temere una simile ipotesi.” Si strinse nelle spalle e mantenne sulle labbra quel piccolo sorriso che le arrossì le guance. “Per questo reagisce in questa maniera, proprio perché anche lui si spaventa, esattamente come noi.” Sfilò la mano dalla spalla di Bulgaria e si posò le punte delle dita sulle labbra, tornò quell’espressione di colpevolezza a farle traballare il sorriso. “Solo che ha tutt’altro modo per esprimere le sue paure.”

Bulgaria sospirò, più abbattuto. “Tu mi credi, vero?”

Ucraina abbassò lo sguardo, tornò chiusa nelle spalle, e le dita raccolte in grembo si strinsero. “Bulgaria caro,” scosse il capo, “purtroppo non spetta a me giudicare in questi casi, e di sicuro Russia non darebbe retta nemmeno a me.” Si posò una mano sul cuore. “Ovviamente io spero che non accada nulla di simile ma, se davvero dovesse avverarsi quello che tu credi, tutto ciò che sono in grado di fare è comportarmi da brava sorella, stare affianco a Russia, e aiutarlo ad affrontare le difficoltà.”

L’ondata di sconforto fece sentire Bulgaria di nuovo con le spalle al muro. Tutta l’adrenalina che era scivolata via dal corpo gli aveva lasciato un senso di vuoto nel petto e di pesantezza nei muscoli, la testa di nuovo ovattata, come piena di neve, e un peso di impotenza a gravargli sulle spalle. Bulgaria chinò la fronte, emise un sospiro di sconforto. “Ho capito.” Si voltò, infilò le mani nelle tasche della giacca aperta, ma rimase fermo. Il sassolino era ancora nella scarpa a pungergli la pianta del piede. “Però tenete gli occhi aperti.” Girò la guancia e inviò un’ultima occhiata di ammonimento a Ucraina. “Non fidatevi dell’Asse.” Si incamminò sotto la luce dei lampadari e delle pareti dorate, sperando di ricordarsi l’uscita da solo.

“Bulgaria, aspetta.”

Bulgaria si fermò, si girò di fianco e si rivolse a Ucraina con sguardo stanco, di chi non ha altra voglia che infilarsi in auto e tornarsene a casa.

Ucraina lo guardò con occhi tristi e dispiaciuti, fece un passetto verso di lui e chinò il capo in segno di rispetto. “Sono sinceramente addolorata per quello che è capitato fra te e Romania.”

Questo lo stupì. Bulgaria strabuzzò gli occhi, storse un sopracciglio e trattenne un sospiro. Il cuore sobbalzò assieme a lui.

Ucraina gli rivolse uno sguardo dolce, quel viso materno fu come una soffice carezza in mezzo ai capelli. “Perdere un amico e ritrovarsi solo è sempre stata la più grande paura di mio fratello, fin da quando era piccolo, e...” Stropicciò le mani sul grembo e guardò in disparte, a spalle strette. Annuì. “E saprebbe capirti.”

Bulgaria gettò lo sguardo per terra. Non riuscì a ignorare la stretta di dolore che si era ingarbugliata nel petto. Perdere un amico...

“Se un giorno vorrai sentirti un po’ meno solo,” disse Ucraina, “noi ti accoglieremmo volentieri.”

Bulgaria si strofinò la spalla e l’avambraccio, annuì guardandola negli occhi. “Grazie.” Fu sincero. Tornò a voltarsi e si incamminò per il corridoio.

La voce di Ucraina lo raggiunse comunque. “Buon ritorno! Fai attenzione alle strade ghiacciate durante il viaggio e cerca di non affaticarti troppo. Ricorda di riposarti a sufficienza.”

Bulgaria sollevò una mano sopra la spalla e la sventolò. “Ricevuto.”

Dietro di lui, senza che se ne accorgesse, anche lo sguardo di Ucraina affogò nel dubbio e nell’ansia. Lo stesso barlume di sospetto che era balenato negli occhi di Lituania si raccolse anche fra le sue palpebre, le fece diventare il volto grigio, e lei dovette coprirsi la bocca per contenere un sospiro di paura.

“Germania sta per invaderti, il vero obiettivo sei tu, sta pianificando l’invasione dell’intera Unione Sovietica, per tutta l’Europa sarebbe la fine.”

Quelle parole le rimasero addosso come una pellicola di colla appiccicata alla pelle.

 

.

 

 

Bulgaria diede un calcio al pavimento con la punta della scarpa e il marmo singhiozzò, emise un suono stridulo come quello masticato dai suoi denti digrignati. Diavolo. Continuò a pestare i passi percorrendo il corridoio del palazzo. L’eco rimbalzante somigliava a quello martellante dei suoi pensieri che continuavano a picchiettargli la testa. Tutta questa strada per niente, ho ottenuto solo di farmi mettere le spalle al muro come un topo. Storse un sopracciglio, ripensò alle parole di Russia. Pesce, si corresse. Si strofinò d’istinto le guance, dove Russia lo aveva spremuto come un giocattolino.

Svoltò una curva che lo portò in un altro salone illuminato da finestre alte fino al soffitto, colonne bianche arabescate di rosso riflettevano la luce dei lampadari di cristalli che pendevano come fontane capovolte. I passi nervosi di Bulgaria schioccarono facendo rimbalzare l’eco fra le pareti, il suo riflesso lo seguì, scivolando lungo il marmo lucido come uno specchio.

Bulgaria ficcò le mani dentro le tasche, le strinse, una ruga di cruccio gli aggrottò la fronte. Per di più quell’idiota di Romania che ora si è fulminato il cervello.

“Sono sinceramente dispiaciuta per quello che è capitato fra te e Romania,” ripeterono le parole di Ucraina. “Se ti volessi sentire meno solo,” rivide il suo sguardo caldo, la sua espressione materna, “noi ti accoglieremmo volentieri.”

Bulgaria scosse il capo, estrasse una mano dalla tasca e si prese la fronte, schiacciò all’altezza delle tempie, dove le vene pulsavano.

E se un giorno fossi costretto a scegliere davvero? rimuginò. Meglio essere un pesce che nuota da solo in mezzo al pericolo di entrambe le parti, o un pesce sotto la pinna di uno squalo che potrebbe azzannarmi da un momento all’altro?

La mano scivolò dalla fronte, Bulgaria strinse una nocca fra le labbra, tornò buio in viso.

Per di più, mettermi anche contro Romania...

Rivide i suoi occhi minacciosi velati dalla caduta della neve, la bocca digrignata, le punte dei canini affilati premuti sul labbro, le scintille scarlatte che scoppiettavano attorno ai suoi pugni stretti.

Bulgaria diede un altro calcetto al marmo, spinse via quell’immagine. È ovvio che in questo momento vorrei spaccargli la faccia. Arricciò un angolo della bocca e sospirò, abbattuto e sconsolato. Ma davvero riuscirei a fargli del male seriamente durante una battaglia?

Uscì dal salone, imboccò un altro corridoio che rifletteva una luce più fredda, e continuò a guardare a terra. Si strinse la testa fra i palmi, chiuse le unghie fra i capelli.

Merda, ringhiò mentalmente, venire qua mi ha confuso ancora di più le idee. Io che ormai ho capito come stanno le cose non ho potere di fermarli, Russia che ne avrebbe il potere si rifiuta di aprire gli occhi.

Fece scivolare le mani lungo le guance, si tenne il viso stretto, gli occhi grigi e abbattuti rivolti alla fine del corridoio. Sospirò dalle labbra.

Se solo mi piovesse un segno dal cielo che mi dicesse che cosa dovrei fare.

Una dolce vocina gli rimbalzò alle orecchie, cinguettò allegra fra le pareti. “Podul de piatră s-a dărâmat.” Accompagnò la corsa di una piccola ombra riflessa sul pavimento. A venit apa şi l-a luat.

Bulgaria frenò la camminata, piantò i piedi a terra diventando di marmo, come una delle colonne. Spalancò gli occhi, rimase a bocca aperta, il cuore fermo, mentre la vocina familiare continuava a canticchiare la filastrocca. La vocina che tante volte aveva sentito ridere allegra accanto a lui.

Vom face altul pe riu, în jos.” Moldavia sbucò dal corridoio, saltellò nella direzione di Bulgaria agitando le piccole braccia come un uccellino, le maniche troppo larghe dondolarono sulle manine. Altul mai trainic şi mai frum – oh!” Smise di canticchiare, rallentò la corsa, saltellò ancora di due passetti più lenti, e si bloccò. Sgranò gli occhietti e li sollevò percorrendo il profilo di Bulgaria, fermo sull’altra entrata del corridoio. Sbatacchiò le palpebre, se le stropicciò usando entrambi i pugnetti, e non riuscì a chiudere la bocca aperta dallo stupore.

Bulgaria sospirò per la sorpresa. “Ah.” Le guance imporporarono, il cuore accelerò. Sentì solo il suono di quel battito nel silenzio del salone. “Mo...” Le labbra vibrarono, il respiro rimase incastrato in fondo alla lingua. Bulgaria pronunciò quel nome come un beduino smarrito nel deserto sussurra il nome dell’acqua. “Moldavia?”

   
 
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