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Autore: Rowena    19/05/2009    3 recensioni
E dopo averla ripresa sulle spalle, comincio a correre per il cortile, e poi giù per le scale. Black Mamba rimane lì, sepolta con il suo maestro, dopo aver deturpato il nome di Bill.
La mia vendetta è compiuta e posso lasciarmi tutto alle spalle con mia figlia, finalmente.
Tutto va bene, nella giungla. [Scritta per le Olimpiadi tra Writers Arena e Collection of Starlight]
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Note: Ho scritto questa storia per il contest Lifetime - Film della prima edizione delle Olimpiadi tra Writers Arena e Collection of Starlight, come avrete già letto.
La traccia preveva l'inserimento di due citazioni, oltre che l'utilizzo di un proverbio cinese come prompt per la storia.
Le due citazioni sono entrambe prese da Kill Bill volume 2.
La prima è: qualunque cosa dica Pai Mei, obbedisci. Se farai trasparire anche per un solo istante un sguardo di sfida ti caverà gli occhi e se poi sul tuo volto apparirà quell'arroganza d'americana ti spezzerà la schiena e il collo come fossero ramoscelli. E fine della storia.
La seconda: se un solo colpo andrà a segno, ti chiamerò maestro. Vengono entrambe dal capitolo otto di Kill Bill, I Crudeli Insegnamenti di Pai Mei. Non sono molto originale, lo so, ma non ho trovato altro che ci s’infilasse bene.
In più, ho anche inserito un secondo proverbio cinese, di cui mi sono innamorata alla prima lettura ma su cui difficilmente sarei riuscita a costruire una storia senza finire nelle stupidaggini.
L’ultima frase, tutto va bene nella giungla, è la parte finale dell’excipit sempre del secondo volume del film.
Volevo riprendere lo stile con cui la Sposa commenta gli avvenimenti prima come voce fuori campo e poi direttamente, nella sequenza alla guida della macchina, spero di esserci riuscita. La storia vuole essere un po’ un missing moment, perché mi sembra impossibile che Beatrix non sia tornata nel tempio del suo maestro dopo aver scoperto che Elle lo aveva ucciso. Non subito, con ancora la vendetta da ultimare, ma una volta sistemati i conti in sospeso…
Disclaimer: Personaggi e luoghi non appartengono a me, ma a Quentin Tarantino, alla Miramax e a quanti altri ne detengono i diritti. Non scrivo a scopo di lucro e pertanto nessuna violazione del copyright è intesa.



Chi mi adula è mio nemico, chi mi rimprovera è mio maestro.

Mi guardo nello specchio del bagno, pensierosa.
Sono stata una delle migliori donne killer del pianeta.
Sono stata l’amante di uno degli uomini più pericolosi al mondo.
Sono stata la Sposa, una spietata vendicatrice decisa a non fermarsi davanti a nessuno.
Ora, dopo aver risolto le faccende rimaste in sospeso, sarò anche una madre. Solo una madre.
Ho ancora la mia spada al fianco, e nella borsa un paio di pistole, eppure so già che non ne farò più uso. Parlo dei giocattoli a proiettili, ovviamente; un giorno una ragazzina nera arriverà alla mia porta a chiedere la giusta vendetta, e meriterà che io sfoderi quel gioiello creato da Hattori Hanzō. Ma non è ancora arrivato il momento di preoccuparsi di Nikki.
Il foglietto su cui ho segnato la mia lista è ancora sul tavolo della camera che abbiamo affittato in questo motel, ieri notte. Devo avere una penna, da qualche parte…
Nello stesso momento in cui spunto con una discreta soddisfazione personale l’ultimo nome rimasto, il mio sguardo corre di nuovo verso B.B., la bambina che credevo persa e che ieri sera è saltata fuori come da un coniglio dal cappello a cilindro del suo prestigiatore, fingendo di spararmi. Lo shock che ho provato è stato così intenso, che neanche se avesse premuto il grilletto di una vera pistola sarei rimasta tanto sconvolta.
Mia figlia è viva, e ora è qui con me.
Quella è stata l’ultima volta che B.B. ha toccato un’arma, anche se giocattolo. Ora il piano originale può ripartire, senza altri intoppi. Crescerà lontano da questo mondo sporco e violento in cui io e suo padre ci siamo conosciuti e amati. Non ci sarà un banale e rozzo venditore di dischi usati a occupare il posto di Bill: questa volta non ci sarà nessuno.
È stato lì il mio errore, perché la leonessa può crescere i suoi cuccioli senza alcun bisogno di un compagno. Forse dovevo imparare la lezione, no?
Sarò anche come Superman, Bill, ma posso cambiare per amore di mia figlia.
Niente più Black Mamba, dunque, niente più duelli all’ultimo sangue.
Solo…
Ho ancora una cosa da fare, prima di rinunciare per sempre a questa vita.
Torno nella camera da letto; la piccola è ancora stesa sul letto e ride davanti ai cartoni animati, ma avvertendo la mia presenza cerca subito il mio sguardo.
Le sorrido. Quante volte ti ho sognato, bambina mia, desiderando di poterti abbracciare fino a toglierti il respiro!
«B.B., hai mai preso l’aereo?», domando accarezzandole i capelli castani.
Lei scuote il capo, diventando seria all’improvviso. Quando può sembrare adulta, anche se ha solo quattro anni…
«Avresti paura, se salissimo su un aereo?»
Domanda sciocca.
«Io non ho paura di niente, mamma».
È figlia mia e di Bill, in fondo, perché mi stupisco del suo carattere?
Due ore dopo, siamo in aeroporto.

Eccoci a Hanoi, alla faccia dell’operatrice turistica che alla partenza mi aveva sconsigliato una vacanza in Vietnam con una bambina così piccola.
«Allora, ti è piaciuto volare?»
B.B. sorride, tenendomi per mano e alzando il capo verso di me. «È stato divertente, mamma. Lo rifacciamo?»
«Presto, amore mio. Prima la mamma vorrebbe andare a trovare un amico».
Uscendo dall’aeroporto, il clima torrido è uno schiaffo sulla pelle di entrambe. Maledetta estate monsonica…
Arrivare al tempio del Loto Bianco sarà una bella sfida; non conosco l’ubicazione esatta del luogo, né ho badato alla strada che ho percorso con Bill la prima volta. E anche noi avevamo girato a vuoto per qualche tempo, questo me lo ricordo bene.
Quando il mio addestramento è arrivato al termine, Pai Mei mi ha salutata con un inchino e mi ha intimato di sparire senza troppi cerimoniali; non che mi aspettassi qualche addio più sentito o commosso, da lui. Ho vagato in cerca di un villaggio per qualche giorno, prima di trovarne uno in mezzo a quella giungla selvaggia, e da lì sono tornata nel mondo civile.
La domanda da porsi adesso è: come si chiamavano quelle quattro palafitte?

Dicono che con la forza di volontà si ottiene tutto.
Dovrei essere la prova vivente di questa verità, visto che sono sopravvissuta a una pallottola in testa. Per non parlare degli incontri poco piacevoli che ho fatto in quest’ultimo periodo…
Del resto, non è da tutti ritrovare un tempio Shaolin nascosto nella giungla, ammetto trionfante spegnendo il motore della jeep noleggiata nella capitale un paio di giorni fa.
B.B. osserva incuriosita l’imponente scala di fronte a noi. «Com’è alta!» esclama con una meraviglia che scalda il cuore. «Il tuo amico abita lassù, mamma?»
«Abitava, tesoro», rispondo io mestamente. Mia figlia dovrà incontrare la morte ancora una volta. «Aveva offeso una signora cattiva, e lei si è vendicata».
I suoi occhi mi osservano, mentre rimane a bocca aperta cercando di trovare un’altra domanda da pormi. È la prima volta in quasi una settimana che, forse, non sa cosa dire, chiacchierona com’è.
L’abbraccio, ho sempre voglia di farlo; non diventerai così, io t’insegnerò a non desiderare mai la vendetta.
«Mamma, dobbiamo salire fin lassù?» mi chiede ancora B.B., che da qualche giorno deve pensare che mi manchi qualche rotella. O forse no, a quattro anni non ci si pongono tanti problemi. Ed è cresciuta con Bill, come cerco di dimenticarmi…
Come io ho sempre voglia di stringerla tra le mie braccia, così lei ripete la parola “mamma” ogni volta che può. Dolce come un bon bon.
«Oh sì, è là che dobbiamo arrivare. Vuoi che ti prenda in braccio?», le propongo dolcemente.
«No, ce la faccio», risponde orgogliosa saltellando sui suoi robusti scarponcini. Non abbiamo fatto dieci scalini, che già ha cambiato idea. «Mi prendi in braccio, mamma?» piagnucola allungando le mani verso di me.
Torno indietro, mi chino e me la sistemo sulle spalle; pesa come un uccellino, come ho già potuto constatare, molto meno delle grosse conche d’acqua che Pai Mei mi costringeva a portare fino al tempio ogni mattina.
«Se vuoi, ti racconto una storia» le propongo. B.B. non risponde, affascinata dalla fitta vegetazione che ci circonda, ma io comincio lo stesso.
«Sai, quando il papà e la mamma ancora si volevano bene, lui mi propose di venire qui a farmi allenare da un suo vecchio amico, un saggio monaco conosciuto per la sua abilità nelle arti marziali. Il suo nome era Pai Mei».
«Come quello dei film? Con papà ho visto tante volte Il clan del Loto Bianco» m’interrompe B.B. agitandosi un po’ sulle mie spalle.
«Non come quello dei film, è quello dei film».
«Ma nel film è morto!»
Anche nella realtà, se Elle non ha mentito. Non ne avrebbe avuto motivo, a meno che non volesse farmi incazzare per divertimento. Se è così, se ha messo in scena una simile storia solo per spregio nei miei confronti… Beh, allora era più disturbata di quanto pensassi.
«Beh, nel film faceva finta di morire», rispondo laconica. Di certo avrebbe preferito andarsene come accadeva in quella vecchia pellicola, ma non è stato chiesto il suo parere a riguardo.
Chissà, magari ora salterà fuori il suo gemello cattivo e m’inviterà a combattere contro di lui, proprio come da copione.
Ora la salita procede in silenzio.
Arriviamo in cima in pochi minuti, solo per scoprire che in questo luogo il tempo si è dimenticato di scorrere. Sarà rimasto disabitato? Non ho mai incontrato nessuno oltre a Pai Mei, qui, ma il clan del Loto Bianco potrebbe aver insediato qui un altro maestro.
Meglio stare attente.
«E cos’è successo quando sei venuta ad allenarti?»
Non posso certo dire di essermi divertita… Ma in fondo non era lo scopo del mio soggiorno in questo tempio.
«Mi sfidò non appena arrivai, e vinse lo scontro con una facilità umiliante». Lo ricordo come se fosse successo ieri.
Se un solo colpo andrà a segno, ti chiamerò maestro. Se ci fossi riuscita, mi sarei davvero meritata un simile onore, ma com’era prevedibile non riuscii neanche a sfiorarlo. O meglio, lo colpii, eppure lui non accusòò il minimo dolore. Stupidamente, mi ero basata su un altro vecchio film in cui compariva credendo che sarebbe accaduto come nella storia. Quella sconfitta e la seguente umiliazione mi fecero bene: io dovevo accettare fino in fondo di essere inferiore e di avere solo da imparare. Ma m’insegnò anche ad avere più rispetto di me stessa, e a non lasciarmi mai piegare.
«Se sono riuscita ad arrivare a te, lo devo a lui».
È vero, anche se non potrò mai dirle quanto sia davvero riconoscente a Pai Mei; non si può certo raccontare a una bambina che suo zio ha sepolto viva sua madre nella tomba solitaria di Paula Schultz.
Il cortile è più spoglio di quanto ricordassi, e a una seconda occhiata mi rendo conto che mancano le rastrelliere con le armi, pronte per ogni genere di combattimento. Chi è stato qui dopo la morte del Loto Bianco?
«Mettimi giù, mamma, ora posso camminare da sola!»
Ubbidisco, cercando di non perdermi nei miei ricordi. «Non allontanarti troppo, B.B., rimani in vista».
Era là, seduto su una specie di basamento di granito, immobile come una statua.
Niente più armi, poiché non c’è più nessuno da sfidare.
Mi aggiro con cautela, facendo sempre attenzione con la coda dell’occhio ai movimenti della bambina. E la vedo. La sua tomba.
Una stele scura semplice, alta e imponente. I soli caratteri incisi nella pietra recitano il nome del morto sepolto lì e quello di colui che lo ha tumulato.
A un amico, a un maestro. Bill.
Pai Mei avrebbe riso disgustato e l’avrebbe distrutta con un colpo della mano, prima di lisciarsi baffi e barba con un unico lento gesto, come sempre.
Dunque Bill sapeva della sua morte. È stato qui.
Un sacco di domande mi vengono in mente: Elle gli ha confessato la verità riguardo alla dipartita di Pai Mei, o ha imputato la colpa alle teste di pesce avariate? Un conto è vantarsi con me di un simile viscido imbroglio, certa di mandarmi all’altro mondo a fargli compagnia, ma con Bill… Con Bill è sempre un altro paio di maniche.
Rileggo l’epitaffio, pensando che difficilmente Pai Mei lo avrebbe considerato un amico.
Forse ha considerato la perdita di un occhio sufficiente, come punizione per quella vipera malefica? L’uomo che conoscevo io non si sarebbe mai accontentato di così poco, anche se avrebbe dovuto considerare l’offesa personale. Sentendosi toccato, sapeva trasformarsi in un vero carnefice. Il massacro ai Due Pini, ne è un esempio perfetto, per dire.
Avrà pensato che se Pai Mei si era fatto fregare in modo così stupido, forse meritava di morire. Ricordo cosa Bill mi disse prima di abbandonarmi in fondo alla scala che ho appena ripercorso con mia figlia.
Qualunque cosa dica Pai Mei, obbedisci. Se farai trasparire anche per un solo istante un sguardo di sfida ti caverà gli occhi e se poi sul tuo volto apparirà quell'arroganza d'americana ti spezzerà la schiena e il collo come fossero ramoscelli. E fine della storia. Stando a questo ammonimento, Elle avrebbe anche potuto considerarsi fortunata ad aver perso solo un occhio. Per quanto mi riguarda, strapparle anche l’altro mi è sembrato doveroso.
Sorprende che abbia osato tanto alla presenza di Pai Mei. Si sa, come dice il saggio si deve attraversare il fiume prima di dire al coccodrillo che ha un cattivo alito.
E Pai Mei era un coccodrillo piuttosto irascibile, in effetti.
Sento una manina che mi tira per l’orlo della maglia. «Mamma, ho fame».
I cattivi pensieri sono rimandati a un altro momento.

Ho comprato onigiri e altre cose facili da trasportare, non sapendo quanto tempo sarebbe servito a ritrovare la nostra destinazione in mezzo alla giungla.
B.B. assaggia quei nuovi piatti con curiosità, mentre io fisso la lapide di Pai Mei. Su quella stele, sono incisi i nomi degli uomini che hanno segnato la mia vita.
Entrambi hanno anche tentato di togliermi quella vita, anche se con obiettivi decisamente diversi.
Pai Mei mi ha sottoposta a un addestramento estenuante, e qui ho sopportato condizioni davvero critiche, ma in fondo era quanto mi aveva promesso. Avrei potuto rinunciare, piuttosto che continuare a soffrire la fame e il freddo, oltre che a distruggermi le nocche contro una tavola di legno.
Sorprendentemente, mi ha insegnato anche un rispetto nuovo per la mia persona, una dignità che non conoscevo, e mi ha dato la forza per non rinunciarvi mai.
Bill è stata tutta un’altra storia. Ci siamo amati, questo non lo nego, ma proprio per questo ho creduto scioccamente che non potesse mai arrivare a farmi del male. Grosso errore.
Quindi, si conferma il vecchio detto cinese, una delle poche frasi che conosco in dialetto cantonese: chi mi adula è mio nemico, chi mi rimprovera è mio maestro. Probabilmente chi scrisse questa massima ebbe a che fare con Bill, in una delle sue tante vite.
E anche con il mio maestro, che ha tramandato a me la sua tecnica più leggendaria.
L’esplosione del cuore con i cinque tocchi delle dita.
L’ha insegnata a me, solo a me, la stupida bionda americana che osò tentare di comunicare con lui in giapponese.
Sul perché non abbia scelto Bill per un simile privilegio non vi sono dubbi, chiunque abbia avuto il dispiacere di incontrare un simile personaggio sul proprio cammino saprebbe rispondere senza incertezze.
Quello che mi chiedo, in realtà, è perché non l’ho raccontato a Bill, una volta tornata in America. In un solo giorno ho spiattellato tutto quanto sull’addestramento impartitomi, sul freddo, sul dolore alla mano che m’impediva d’impugnare le bacchette per mangiare. Tutto, ma non questo.
Non per qualche motivo morale, o perché temevo che Bill mi chiedesse di insegnarla anche a lui, sia chiaro. Semplicemente, non ci ho pensato.
Dopo avermi mostrato i movimenti necessari a utilizzare la sua tecnica segreta, Pai Mei mi aveva detto che non avrei avuto bisogno di concentrarmi su di essa: la conoscenza appresa doveva riposare dentro di me, fino a che non fosse arrivato il momento giusto per utilizzarla, e anche dopo morto ha dimostrato di avere sempre ragione.
Con ciò che mi ha insegnato, mi sono liberata dalla trappola mortale di Budd, ho punito Elle – con una morte veloce le avrei concesso un lusso che non si meritava – e, alla fine, ho ucciso Bill.
Ho portato a termine la mia vendetta, dopo aver sterminato la squadra D.I.V.A.S. senza pietà. Non ci siamo mai sentiti come una famiglia o quelle stronzate che spesso si sentono dire nei film sui killer. Facevo il mio lavoro, e loro pure, così quando si è trattato di picchiare a sangue una donna in stato di gravidanza avanzata non hanno battuto ciglio.
Non che mi aspettassi niente di meno da loro…
Ora che nessuno è rimasto in vita, però, non è più tempo di pensare a loro.
Tutto sommato, Pai Mei è sistemato bene, e potrà riposare sereno. Temevo di trovare molto peggio, in questo posto dimenticato dal mondo, ma avrei dovuto mettere in dubbio la quasi onnipotenza di Bill.
Non posso più fare nient’altro qui, se non onorare il suo spirito.
«Cosa stai facendo, mamma?»
«Dico una preghiera per il mio amico, tesoro, perché possa trovare la pace anche nella vita successiva».
Temo che il concetto di aldilà e di mondo spirituale vada oltre alle possibilità di B.B., che però tace e si china accanto a me, prendendo la cosa come un nuovo gioco.
Sono passati solo pochi minuti, quando si stufa e mi prega di andare.
«Va bene, si parte».
E dopo averla ripresa sulle spalle, comincio a correre per il cortile, e poi giù per le scale. Black Mamba rimane lì, sepolta con il suo maestro, dopo aver deturpato il nome di Bill.
La mia vendetta è compiuta e posso lasciarmi tutto alle spalle con mia figlia, finalmente.
Tutto va bene, nella giungla.

   
 
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