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Autore: Yugi95    05/12/2016    3 recensioni
Immaginate di scoprire che la realtà, in cui avete da sempre vissuto e conosciuto, non sia altro che una parte di un qualche cosa di più grande. Immaginate di scoprire un nuovo mondo di cui ignoravate persino l'esistenza e che adesso è lì, dinanzi a voi, pronto a rivelare i propri segreti. La Dimensione Magica nasconde un terribile segreto, una storia così scellerata che si è addirittura voluta dimenticare. Per Bloom e le sue amiche sarà quasi impossibile risolvere il mistero. Nuovi e vecchi nemici, provenienti dalle tenebre più profonde dell'universo magico, sono pronti a colpire e, questa volta, non ne risentirà solo il corpo ma anche l'anima. Tuttavia una luce, fioca e debole, brilla nell'oscurità. La luce racchiude l'unica speranza di salvezza, ma, per poter ardere, ha bisogno di essere alimentata dai venti dell'amicizia, della fiducia e dell'amore. La battaglia finale è alle porte e l'esito dello scontro deciderà non solo le sorti di Magix ma di tutti i mondi conosciuti.
Genere: Avventura, Dark, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Winx
Note: AU, Missing Moments, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Winx Club - Cassiopea's Chronicles'
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Capitolo XIX – Il sogno di una vita
 
Bloom rimase in silenzio con la bocca spalancata. Sebbene cercasse di muovere le proprie labbra, non riuscì ad articolare alcun suono. I suoi occhi, che fino a quel momento avevano continuato a “produrre lacrime”, quasi non avessero più la necessità di essere idratati dal movimento delle palpebre, restarono spalancati… puntati sul volto di Brendon. Le mani della rossa strinsero quella del ragazzo e, accarezzandone dolcemente il dorso, cercarono di apprezzarne il calore. Tuttavia, nonostante il clima all’interno della stanza fosse particolarmente tiepido, la mano di Brendon era gelida e insensibile al tatto, come fosse fatta di porcellana. La Principessa di Domino, in quel momento, osservando per la prima volta il suo amico così da vicino, si rese conto di quanto fosse “innaturale” il suo aspetto. La pelle, infatti, era pallida e rigida, come se non fosse costituita da materiale organico, mentre le labbra erano secche e scure. Gli occhi inespressivi, dai quali continuava a fluire uno strano liquido nero, invece, erano privi di quella “luce”, che accomuna tutti gli esseri viventi. Il naso e la bocca, infine, per quanto potesse essere impossibile, sembravano non incamerare né tanto meno “cacciare fuori” aria. La rossa, estremamente sconcertata da tutta quella serie di peculiarità, iniziò ad essere tormentata da un’orrenda quanto inspiegabile preoccupazione. Di conseguenza, nonostante la logica le suggerisse tutt’altro, si decise a compire un gesto che le avrebbe permesso di fugare i propri dubbi. Bloom, senza proferire parola, lasciò la presa sulla mano dell’amico e, sporgendosi in avanti, poggiò il proprio orecchio sinistro sul petto di Brendon. Questi, sebbene fosse rimasto colpito dall’azione della ragazza, non si scompose più di tanto e, dopo essersi asciugato il viso, abbozzando un timido sorriso, esclamò:
«Quello… non batte da un pezzo ormai».
La rossa, assumendo un’espressione terrorizzata, si ritrasse di colpo e, dopo essersi messa in piedi, indietreggiò lentamente verso la porta della stanza. Brendon, invece, conscio della paura e del turbamento che la sua particolare condizione causava agli altri, rimase fermo al proprio posto ad osservare le mosse dell’amica. Bloom, non appena sentì la presenza dell’anta di legno, portando le braccia dietro la schiena, iniziò a cercare la maniglia. Tuttavia il ragazzo, sentendo uno strano quanto inspiegabile bisogno di compagnia da parte dell’amica, le disse:
«Ti prego… non andare via».
La Principessa di Domino riuscì in quello stesso istante ad afferrare la dorata maniglia della porta e, abbassandola di colpo, gridò con voce tramante:
«Non ho alcuna intenzione di trattenermi con un essere come te, con… con un mostro!».
«Rossa … sono… sono sempre io, Brendon» replicò il ragazzo, indicandosi il volto con un dito.
«È proprio questo il punto: io non so nulla di te… di Brendon!» sentenziò, rabbiosa, Bloom.
«Lascia che ti spieghi allora, permettimi di farti conoscere il vero me» sbottò Brendon, mettendosi in piedi.
«No, non voglio» piagnucolò la rossa, abbassando la testa.
«Perché?» chiese Brendon, dopo essersi avvicinato all’amica.
Bloom, a quel punto, rialzando gli occhi colmi di lacrime, bisbigliò:
«Perché ciò che potresti dirmi mi spaventa a morte. Io non voglio che un mio amico m’incuta paura».
«Gli altri non ne hanno avuta» replicò, asciutto, il ragazzo, guardando la giovane fata negli occhi.
«Gli… altri?» balbettò, stupita, la Principessa di Domino.
«Elizabeth, Max e… Selina» spiegò Brendon con tranquillità.
La ragazza, ascoltando quei nomi e in particolare l’ultimo, si sentì smarrita e, sebbene non ne avesse avuto il diritto, tradita. Questo perché, benché potesse anche comprendere “l’omertoso silenzio” di Elizabeth e Max, i quali conoscevano Brendon da molto più tempo di lei e delle altre Winx, non riusciva ad accettare che Selina le avesse mentito. Da quando si erano riappacificate, entrambe avevano deciso di basare il loro rapporto di amicizia sulla fiducia e il rispetto reciproco. Di conseguenza il sapere che la fata dai capelli verdi l’avesse tenuta all’oscuro di una faccenda così importante, la fece infervorare al tal punto che, sbattendo i pugni contro la porta, gridò all’amico:
«Selina sa?! Sa della morte dei tuoi genitori?».
«Selina è a conoscenza di tutto» rispose il ragazzo dai capelli neri con tono pacato.
«Perché… perché non mi ha detto nulla?» piagnucolò la rossa, tirando su con il naso.
«Guarda che Selina avrebbe voluto, sono stato io a chiederle di non farlo» le disse Brendon.
«Come mai?» mormorò Bloom, rialzando il capo e asciugandosi gli angoli degli occhi con i polsini della maglietta.
«Avrei preferito parlarti personalmente e al momento opportuno» spiegò l’altro con un leggero imbarazzo, poi aggiunse: «Mi dispiace di averti spaventato o fatto arrabbiare… non era mia intenzione, scusami Bloom».
«È… è la prima volta, che mi chiami con il mio vero nome» sibilò la ragazza con fare stupito.
«Beh… dovevo prima capire una cosa» esclamò il ragazzo.
«Cosa?» chiese, curiosa, la rossa.
«Se ad un così bel nome, corrispondesse un altrettanto bella persona» spiegò Brendon, abbozzando un timido sorriso.
La Principessa di Domino, colpita dalla bontà e dalla sincerità di quelle parole, dopo aver richiuso la porta della camera, si posizionò a pochi centimetri di distanza dall’amico e, allargando entrambe le braccia, lo strinse a sé. Brendon si sentì preso alla sprovvista e, non sapendo cosa fare, rimase immobile a fissare il vuoto oltre la rossa chioma della ragazza. I due rimasero uniti l’un l’altro per una trentina di secondi, poi Bloom, avvicinando la propria bocca all’orecchio del ragazzo, bisbigliò dolcemente:
«Scusami anche tu… per tutto ciò, che ti ho detto».
«Tranquilla è acqua passata» rispose l’amico, poggiandole una mano dietro la schiena.
A quel punto la giovane fata, spostando leggermente la testa, incrociò lo sguardo di Brendon e, sebbene i vitrei occhi del ragazzo le incutessero una certa agitazione, rimase a fissarli. Lo stesso fece Brendon, specchiandosi nei grandi e luminosi occhi azzurri di Bloom. Trascorsero altri secondi, che ai ragazzi sembrarono essere un’eternità, poi, poiché entrambi si resero conto che quel loro abbraccio stesse durando stranamente troppo, si separarono con imbarazzo.
«Bene… …cioè… penso si tutto a posto, no?» balbettò la Principessa di Domino.
«Si… …ehm… si, si tutto risolto» biascicò l’altro, massaggiandosi la nuca.
«Adesso perché non mi racconti tutta questa storia?» domandò la rossa, andandosi a sedere sul letto.
«D’accordo, ma ti avverto non sarà piacevole» rispose Brendon, raggiungendola.
«Immagino…» replicò la ragazza con voce cupa.
«Da dove vuoi che cominci?» chiese l’amico.
«Non saprei… vediamo... Brendon è il tuo vero nome?» esclamò, seria, la ragazza.
«Che razza di domanda è?» sbuffò Brendon, alzando lo sguardo.
«Ormai mi aspetto di tutto!» replicò la rossa, incrociando le braccia.
«Puoi stare serena, mi chiamo veramente Brendon» tagliò corto il ragazzo dai capelli neri.
«Perfetto! Almeno una cosa l’abbiamo assodata» cinguettò, leggermente divertita, Bloom.
«Se proprio lo ritenevi necessario» disse l’amico pieno di sconforto.
La Principessa di Domino, a quelle parole, rise di gusto, poi, dopo essersi calmata, riassunse un’espressione seria e con voce bassa riprese a parlare.
«Adesso sono pronta. Dimmi tutto… dall’inizio».
Brendon, allora, stringendosi nelle spalle, cominciò a raccontare la sua storia.
«I miei genitori si chiamavano Thomas e Martha Williams, entrambi erano originari di una città chiamata Cardiff. Mio padre era libraio, mentre mia madre era fioraia. I due si conobbero all’incirca ventisei anni fa per puro caso. Papà, che a quel tempo era innamorato di un’altra ragazza, voleva comprare per quest’ultima un mazzo di fiori, al fine di conquistarne l’affetto. Il poveretto, dopo aver girato mezza città a vuoto, s’imbatté in un piccolo negozio di fiori della periferia. Non essendo un esperto, chiese consiglio alla giovane commessa del locale, che, sebbene non avesse la minima voglia di sprecare tempo appresso a lui, con una santa pazienza gli diede una mano nella scelta. I due persero quasi tre ore per cercare il giusto regalo e, nel frattempo, dialogando amabilmente tra di loro, impararono a conoscersi. Quando, poi, fu il momento di andare via, mio padre, comprato un bouquet di fiorellini aventi la corolla gialla e i petali azzurrini con sfumature bianche, lasciò a malincuore il negozio e la sua nuova amica. Tuttavia, passata una notte insonne a meditare su ciò, che gli era accaduto, e sulle emozioni provate in quel momento, decise di ripresentarsi al locale. Così, il mattino seguente, armato di una buona dose di coraggio e follia, papà tornò dalla cassiera del negozio e, regalandole il mazzo di fiori, preso il giorno precedente, le chiese un appuntamento. La ragazza, o meglio mia madre, dapprima titubante, accettò la sua richiesta e, dopo un paio di mesi, si fidanzò ufficialmente con lui. Trascorsero un anno insieme, poi, quando papà riuscì ad aprire la sua prima libreria e mammà ereditò l’attività di fioraia dai genitori, si sposarono».
«È una storia bellissima. Quanto mi piacerebbe vivere una “favola” così romantica» lo interruppe la giovane fata, sospirando.
«Tu stai per sposare un principe… cos’altro vuoi di più?» replicò, sarcastico, il ragazzo.
«Non è la stessa cosa…» sbuffò Bloom con aria offesa.
«Continuo a non capire» disse Brendon.
«Sei un maschio… non potrai mai capire» concluse, sorridendo, la rossa.
Il ragazzo dai capelli neri, spiazzato da quella risposta, decise di non approfondire la faccenda e, riprendendo da dove si era interrotto, continuò il proprio racconto.
«Dopo dieci mesi di matrimonio, nacqui io. I miei genitori erano al settimo cielo, nonostante avessero due diverse attività commerciali da mandare avanti, cercavano sempre di trascorrere quanto più tempo possibile insieme a me. Quando, invece, erano via per lavoro, passavo le giornate con i miei nonni materni. In particolare adoravo visitare insieme a loro i luoghi storici della città come il Castello di Cardiff e la Cattedrale di Llandaff. Divenuto un po’ più grande, iniziai a frequentare la scuola e, conseguentemente, conobbi tante nuove persone con le quali strinsi amicizia. Tutto sembrava andare per il verso giusto, la nostra vita, sebbene semplice e ordinaria, era felice. Purtroppo le cose belle non durano a lungo. Quando avevo poco più di cinque anni, mamma e papà decisero che fosse giunto il momento di avere un altro figlio. Non fraintendermi… l’idea di avere un fratello o una sorella, con cui condividere il mio tempo e l’affetto dei miei genitori, mi rese felicissimo. Tuttavia, nonostante i diversi tentativi e le mie numerose quanto ingenue insistenze, questo bambino non arrivò. Così i miei, speranzosi di poter trovare una soluzione al loro problema, si rivolsero ad un medico. Questi, dopo aver eseguito diverse analisi, diagnosticò a mia madre una sterilità secondaria cioè l'impossibilità di concepire un secondo figlio dopo aver già concepito e/o portato a termine una normale gravidanza*. Per entrambi fu un durissimo colpo anche perché i medici non furono in grado di spiegare la causa, che aveva portato a questa particolare condizione. Di quel periodo, sebbene nel corso degli anni queste e altre cose mi furono raccontate, ho un bruttissimo ricordo. Nonostante i miei genitori facessero finta di niente, mi resi ben presto conto che qualche cosa si fosse irrimediabilmente “rotta”. L’armonia e la serenità, che fino ad allora avevano scandito il nostro quotidiano, erano state compromesse. Papà, di punto in bianco, smise di descrivermi le gioie, le responsabilità e le difficoltà che l’avere un fratello/sorella comportassero e si tuffò a tempo pieno nel lavoro, mettendo da parte la propria famiglia. La mamma, al contrario, lasciò il negozio di fiori alle cure dei miei nonni e, chiudendosi da sola nella camera da letto, trascorreva le sue giornate a piangere e disperarsi. Quante volte mi sono fermato davanti la porta della stanza a sentire i suoi lamenti, avrei voluto tanto poterla consolare… abbracciare. Lei, però, teneva lontani tutto e tutti, imprigionando sé stessa nel proprio dolore. La nostra famiglia stava candendo a pezzi… i miei genitori si stavano punendo per una colpa, che non era loro… per un un’ingiustizia voluta dal destino».
Mentre Brendon proseguiva il proprio racconto, Bloom, seduta di fronte a lui, lo guardava con gli occhi lucidi e in religioso silenzio prestava attenzione ad ogni singola parola.
«La situazione rimase in stallo per ben due anni, finché un evento, sebbene tragico, non restituì la forza e la speranza a mio padre e mia madre. La morte di mia nonna, infatti, per quanto possa aver fatto soffrire me e mi nonno, spinse quest’ultimo ad affrontare i miei genitori e i loro problemi. Ricordando loro le responsabilità, che avevano nei miei confronti, e facendo leva sull’eventualità di alienarsi il mio affetto, qualora avessero continuato a comportarsi in quel modo, riuscì a farli ragionare. Il nonno, infatti, gli fece capire che, sebbene l’impossibilità di avere altri figli fosse terribile e angosciante, loro un bambino già lo avevano e che su questo bambino dovevano riversare amore e affetto… non dolore e solitudine. Il suo intervento fu provvidenziale, quasi miracoloso. Mamma e papà compresero i loro errori e, mettendo da parte la tristezza e le incomprensioni, decisero di dare un taglio netto passato… decisero di ricominciare a vivere. Così alcuni mesi dopo la morte di nonna ci trasferimmo a Glasgow, lasciando a malincuore mio nonno a Cardiff. Lì i miei aprirono una libreria, quella dove vi abbiamo ospitato, e un grande vivaio. Sebbene ebbi non poche difficoltà ad adattarmi ad una nuova città, anzi ad un nuovo stato, grazie al rinnovato appoggio di mio padre e mia madre, fui in grado di superare i miei problemi iniziali e d’integrami pienamente con quella nuova realtà. Finalmente la pace e la felicità erano tornate a regnare incontrastate sulla nostra famiglia. Tutti e tre avevamo un lungo e prosperoso cammino davanti. Nessuno avrebbe potuto impedirci di portarlo a termine, nessuno sarebbe stato in grado di dividerci… … nessuno… …».
Il ragazzo dai capelli neri s’interruppe e, stringendo i pugni delle mani, iniziò a contorcersi in preda ad uno strano dolore. La Principessa di Domino, resasi conto della grave situazione, in cui versava l’amico, esclamò preoccupata:
«Brendon cosa succede?! Ti stai sentendo male?».
L’altro non rispose e, lasciandosi cadere sul pavimento, continuò a mugugnare per la sofferenza. La rossa, mettendosi accanto a lui, cercò di aiutarlo, sfruttando i suoi poteri curativi. Questi, però, non ebbero alcun effetto, anzi sembrarono peggiorare la situazione. Gli occhi di Brendon, intanto, si stavano colorando di rosso, mentre le punte dei suoi capelli stavano sbiadendo. Bloom, terrorizzata da tutta quella situazione, rimase in ginocchio a pochi centimetri di distanza dal corpo tremante dell’amico, aspettando e sperando che quella situazione volgesse al termine. Il ragazzo, al fine di calmarsi, si colpì più volte il petto e la testa con la mano destra, fino a quando non riprese il controllo di sé. Brendon, a quel punto, mettendosi a carponi con fatica, mormorò:
«Bloom, scusami se ti ho fatto assistere a questo… a questo scempio».
«Cos’è successo?» domandò la rossa con voce tremante.
«Voleva… uscire, ma sono riuscito a controllarlo» sibilò Brendon.
«Chi voleva uscire, Brendon?! Non capisco» replicò, impaurita, la ragazza.
«Il “nessuno” che ha rovinato la vita a me e ai miei genitori» rispose l’altro, mettendosi in piedi.
La giovane fata, allo stesso modo, si rialzò e, dopo essersi assicurata che l’amico stesse bene, sedendosi nuovamente sul materasso, gli domandò dolcemente:
«Te la senti di continuare?».
«Si! Non preoccuparti, ormai ci sono abituato» rispose, sicuro di sé, il ragazzo.
«Io ancora non capisco…» biascicò la Principessa di Domino.
«Dammi altri dieci minuti e tutto ti sarà chiaro» la rassicurò Brendon.
«D’accordo… mi fido di te» esclamò la rossa, facendogli un sorriso.
Il ragazzo, allora, dopo aver preso una sedia posta accanto alla scrivania, la posizionò per sicurezza a debita distanza dal letto e, una volta sedutovisi sopra, riprese a parlare.
«Come ti stavo dicendo, per cinque lunghi anni tutto filò liscio. Il vivaio di mamma, essendo uno dei più grandi e più forniti della regione, attirava sempre un gran numero di curiosi visitatori; la libreria di papà, allo stesso modo, era piena di clienti, pronti a fare di tutto pur di mettere le mani su un libro antico. L’unica “macchia nera” di quel periodo fu rappresentata dalla scomparsa del nonno, il quale, però, in punto di morte, riferì ai miei genitori di essere contento di andarsene da questo mondo, sapendo che le cose nella nostra famiglia fossero tornate a posto. Tuttavia il destino si oppose nuovamente al nostro volere. Quando avevo undici anni, mi recai in gita scolastica al Bosco dei Cento Petali. Quel giorno non lo dimenticherò mai per due semplici motivi. Innanzitutto conobbi Max e Elizabeth, che da allora sono rimasti sempre al mio fianco. In secondo luogo… …beh… quel giorno semplicemente la mia vita cambiò».
«Cosa successe?» lo interruppe, curiosa, la giovane fata.
«Iniziò il mio peggiore incubo» sentenziò, cupo, Brendon.
«Spiegati meglio» balbettò la rossa, stringendo a sé un cuscino.
«Quando visitaste il bosco, notaste per caso pietra rotonda, incastonata nel terreno e ricoperta da rune dal significato misterioso?» domandò, all’improvviso, l’altro.
«Si… si, mi sembra che la prima ad accorgersene sia stata Musa» rispose la ragazza, portandosi la mano al mento.
«La struttura presentava delle vistose crepe sulla propria superficie, giusto?» continuò il ragazzo, abbassando il tono della voce.
«Esatto! La percorrevano per tutta la sua lunghezza» esclamò, convinta, Bloom, per poi chiedergli «Dove vuoi arrivare con tutte queste domande?».
«Quelle crepe tredici anni fa non c’erano» spiegò Brendon.
«E… quindi?» replicò la ragazza.
«Quindi qualcuno provocò quelle spaccature…» disse l’amico con tono malizioso.
«Non sarai stato tu?» starnazzò la Principessa di Domino.
«Si, invece…» sibilò, serio, Brendon.
«Perché avresti compiuto un atto del genere?» domandò, stupita, la rossa.
Il ragazzo, allora, dopo essersi stiracchiato la schiena, le raccontò della disavventura, che lui e i suoi due amici, vissero nel parco naturale di Glasgow e il motivo per cui la “Trappola del Demone” si fosse crepata.
«È strano sai? Io quella mattina neanche ci volevo andare in gita. Non so perché, ma avevo una strana sensazione. La testa mi ronzava, come se qualcuno stesse bisbigliando qualche cosa, mentre lo stomaco era sottosopra. Mi confidai con mia madre, dicendole che non mi sentivo tanto bene e che avrei preferito restare a casa. La mamma, però, assodato che non avessi la febbre, insistette affinché partecipassi a quella visita. Era felice che avessi l’opportunità di visitare il Bosco dei Cento Petali, che, a suo dire, era il più bello di tutta la Scozia. Quel giorno, inoltre, avrei festeggiato anche il mio compleanno e, di conseguenza, non potevo restare a casa perché i miei la dovevano abbellire per la festa, che si sarebbe tenuta la sera stessa. Così, sebbene non ne avessi avuto la minima voglia, salii sul pullman, che ci avrebbe accompagnato al parco. Lì, dopo un’ora di cammino tra alberi, cespugli e piccoli rivoli cristallini, giungemmo alla radura dove si trova la pietra. Il ranger, a quel punto, decise di saggiare le nostre conoscenze sul Bosco e sulle leggende ad esso collegate. Fu così che conobbi Max e Elizabeth, gli unici ad essere abbastanza preparati da poter rispondere. Quanto li ammirai… sapevano davvero tante cose, nonostante fossero dei semplici studenti di undici anni. Lasciando perdere i sentimentalismi, grazie alle loro risposte, venni a conoscenza del mito della “Trappola del Demone”. Secondo un’antica leggenda, infatti, la pietra è un potente sigillo, che serve ad imprigionare una creatura demoniaca. Oggi, però, sarebbe più opportuno parlare al passato, poiché la Trappola ha perso da tempo la sua “funzione”».
«Aspetta! Vuoi forse dirmi che… che il demone esisteva realmente» lo interruppe, preoccupata, Bloom.
«Se mi fai parlare… ci arrivo» replicò, seccato, il ragazzo.
«Ok, scusa. Non lo faccio più» bisbigliò la Principessa di Domino con tono mortificato.
Il ragazzo dai capelli neri, divertito da quell’atteggiamento, le sorrise e, riprendendo da dove era stato fermato, continuò a parlare.
«Bene, terminata la visita alla pietra, il vecchio ranger ci disse di seguirlo in un’altra radura. Così, messi in fila dalle nostre insegnanti, ci inoltrammo in un nuovo sentiero. Io, insieme a Max e Elizabeth, chiudevo il gruppo, di conseguenza approfittai della “nostra vicinanza” per poterli conoscere meglio. Max, fin da subito, si dimostrò cortese e amichevole; quella pazza di Elizabeth, al contrario, ci trattò come due appestati. Credimi c’è un motivo se lei e Stella vanno tanto d’accordo: sono accomunate dallo stesso pessimo carattere. A volte mi chiedo come Max riesca a sopportarla. Comunque questi non sono affari miei e non c’entrano con la storia. Tuttavia, per quanto mi dispiaccia ammetterlo, fu proprio la nostra amica la causa di tutto. All’improvviso, mentre camminavano, quell’isterica si accorse di aver perso quella sottospecie di farfalla, che porta sempre sulla testa. Tu sai benissimo quanto Elizabeth tenga al fermaglio, beh… da bambina non era diversa. Senza dire niente alle nostre insegnanti o al ranger, ritornò di corsa alla pietra, pensando di poter ritrovare l’oggetto. Io e Max eravamo preoccupati per lei e, girando le spalle agli altri, la raggiungemmo. Arrivati alla Trappola del Demone, ci ricongiungemmo con la nostra amica, la quale, nel frattempo, aveva ritrovato il suo fermaglio. Purtroppo la felicità di quel momento durò poco. Dal folto della vegetazione, infatti, comparvero tre ragazzi sui diciassette/diciotto anni dall’aria minacciosa. Questi avevano in mente solo una cosa: abusare di Elizabeth.»
«Ehi… un momento solo! Stella e Elizabeth hanno confidato a me e alle altre questa stessa storia diverso tempo fa» lo interruppe, nuovamente, la giovane fata.
«Hai il brutto vizio di non lasciar parlare le presone» sbuffò Brendon con tono severo.
«Non è vero! Sei tu che non arrivi al dunque» starnazzò Bloom.
«Fammi finire questa caspiterina di storia, poi fai tutte le considerazioni che vuoi» le urlò il ragazzo dai capelli neri alterandosi.
La rossa, sebbene rimase colpita dallo sfogo dell’amico, scoppiò a ridere pochi istanti dopo e, mangiandosi alcune parole, disse:
«Sei… sei troppo buffo quando ti arrabbi».
«Bloom… ti prego» sospirò Brendon con un filo di voce.
«Va bene, va bene… la smetto» disse la ragazza, cercando di riacquistare un certo contegno.
L’altro, una volta che la Principessa di Domino si fu calmata, proseguì il proprio racconto.
«Io e Max cercammo di difendere la nostra amica, ma, essendo poco più che bambini, subimmo una tremenda batosta. In particolare Max fu picchiato fino allo svenimento, mentre a me… capitò di peggio. Uno dei ragazzi mi scaraventò con violenza sulla pietra rompendomi due costole, poi, iniziò a prendermi a calci e pugni rompendomi il naso e lussandomi un braccio. Ero irriconoscibile, avevo lividi e sangue dappertutto. Sarei voluto svenire come Max, ma rimasi sveglio e vigile a causa del dolore. I frammenti ossei delle costole, premendo contro i polmoni, non mi consentivano una corretta respirazione: stavo soffocando nel mio stesso sangue. Elizabeth era davanti a me a pochi metri di distanza… era terrorizzata, aveva capito che nessuno sarebbe accorso in nostro aiuto. Quei disgraziati erano ormai pronti a “divertirsi” con lei, senza importarsi delle disastrose conseguenze che le loro azioni avrebbero causato. Stavo per assistere ad una scena disgustosa e allo stesso tempo orribile, quanto avrei voluto aiutare quella ragazza, conosciuta neanche mezz’ora prima. Quanto avrei voluto che i tre continuassero ad infierire su di me e lasciassero lei in pace. Ero impotente… Elizabeth avrebbe subito quella crudeltà senza che io avessi potuto fare nulla. La mia debolezza e codardia mi facevano ribrezzo. Ad un tratto, però, nella mia testa dolorante riecheggiarono le parole del ranger… parole che ricordo ancora oggi: per poter liberare un demone, qualora esistano, le storie narrano che si debba fare un patto di sangue con esso, dovete cioè offrire il vostro corpo alla creatura, la quale ne prenderà possesso”. Sarò franco… non credevo per nulla tutte quelle sciocchezze, sarebbe stato più probabile che un meteorite cadesse sulla testa dei ragazzi. Tuttavia, dal momento che mi trovavo sulla Trappola del Demone e che il mio sangue ricopriva ormai tutta la struttura, pensai di giocarmi quell’ultima carta. Così, inventandomi di sana pianta una sorta di mistico rituale, pregai il fantomatico demone sigillato nella pietra, affinché venisse in mio aiuto».
«Cos’è successo dopo?» domandò, preoccupata, Bloom, non importandosi di aver interrotto l’altro per l’ennesima volta.
«Nulla… non successe proprio niente» replicò Brendon con tono pacato.
«Quindi la storia del demone imprigionato era una semplice leggenda?» puntualizzò la Principessa di Domino.
«No!» rispose, secco, il ragazzo dai capelli neri.
«Non sto capendo…» biascicò, smarrita, la rossa.
Brendon, allora, facendosi cupo in volto, le rispose.
«All’inizio, nonostante avessi urlato il nome del demone con tutte le mie forze, alla pietra non accadde nulla. Gli aggressori, pensando che fossi impazzito, si misero a ridere sguaiatamente, poi, dopo avermi insultato e minacciato, ripresero a circondare Elizabeth. Ero sfinito… non avevo più neanche la forza di respirare. Di conseguenza mi lasciai definitivamente andare, chiusi gli occhi e abbassai la testa. In quell’istante, però, pronunciai con un filo di voce un ultimo appello al demone. Non so perché lo feci, forse speravo di fargli pietà oppure stavo semplicemente delirando. Dopotutto non mi costava nulla provarci un’ultima volta prima che… prima che morissi. All’improvviso avvertii una strana sensazione, era come se qualcuno avesse acceso un braciere nel mio petto. Provai un piacevole calore, paradossalmente iniziai a sentirmi anche meglio. Purtroppo questa sensazione di benessere durò soltanto pochi secondi, subito dopo, infatti, la pietra si crepò. Dalle spaccature, allora, fuoriuscì un liquido nero viscido e denso, che iniziò ad avvicinarsi al mio corpo. Penso di non aver mai provato così tanta paura in tutta la mia vita. Pur di aiutare una persona in pericolo, avevo commesso un’immane sciocchezza, della quale ben presto mi sarei amaramente pentito. Comunque, non appena il liquido toccò me e le mie ferite, fui avvolto da imponenti fiamme nere. Sebbene le fiamme non producessero calore, il dolore, che né segui, fu atroce. La testa mi scoppiava, sentivo le braccia e le gambe bruciare, nonostante non vedessi segni di scottature, il cuore batteva così forte che sembrava voler sfondare la gabbia toracica. Iniziai a sentire delle voci, prima erano flebili poi divennero sempre più acute e persistenti. Erano urla di paura… urla di morte. Chiusi gli occhi, non riuscivo più a sopportare tutta quella sofferenza».
Il ragazzo si fermò e, stringendo la spalliera della sedia con le mani, cercò di trovare la forza per proseguire. La giovane fata, percepita la difficoltà dell’altro, gli sorrise e, mettendosi in ginocchio davanti la sedia, gli disse:
«Sono qui… tranquillo».
«Quando li riaprii, mi ritrovai in un letto d’ospedale. Affianco a me c’erano Max e Elizabeth, i miei genitori e un uomo di circa quarant’anni dall’aspetto gentile. Si chiamava Richard Craig, era il medico che, dopo l’incidente avvenuto nel Bosco dei Cento Petali, aveva curato me e Max. Non ricordavo nulla di quello che fosse accaduto nel parco, così i presenti, sebbene all’inizio fossero un po’ riluttanti, mi raccontarono tutto. Il demone, preso possesso del mio corpo, aveva letteralmente maciullato i tre aggressori, compiendo uno scempio senza precedenti. Poi, dopo essersi minacciosamente rivolto contro i miei due amici, era svenuto, o meglio il mio corpo non aveva più retto a tutto quello stress. Così, una volta che fummo ritrovati dal ranger, dalla polizia e dalle nostre insegnanti, ai quali fu raccontata un poco credibile menzogna, fummo trasportati in ospedale. Richard, allora, spiegò, nonostante le bugie di Elizabeth e Max, di essersi reso subito conto che il mio stato di salute fosse alquanto strano. Ero vivo, ma, allo stesso tempo, il mio cuore non batteva, i polmoni non si dilatavano per incamerare aria, l’attività cerebrale era piatta. A quel punto i nostri amici, pregando quell’uomo di non farne parola con nessuno, gli rivelarono la verità. Richard, però, sebbene gli avesse creduto, spiegò loro che i miei genitori dovessero essere avvisati della cosa».
«Martha e Thomas sapevano del demone?» starnazzò Bloom, mentre il suo volto diventava sempre più pallido.
«Si, Richard e i ragazzi dissero loro tutto» rispose Brendon.
«Come reagirono alla cosa?» domandò la Principessa di Domino.
«Non lo so… non mi hanno mai voluto dire nulla» spiegò l’altro, alzando gli occhi verso il soffitto.
«Capisco» replicò la ragazza con voce triste.
Il ragazzo, a quel punto, riprese a descrivere cosa accadde il giorno in cui si unì a Belial.
 «Mentre gli altri parlavano, rimasi in silenzio con lo sguardo perso nel vuoto. Non m’importava di sapere quelle cose, non m’importava di sapere cosa mi fosse successo, non m’importava… più di nessuno. Ero cambiato, mi sentivo morto dentro. Non riuscivo a provare niente: né il dolore né la stanchezza. Ben presto mi resi conto che non avevo più bisogno di mangiare, bere o dormire. Non riuscivo più a provare niente, ero un contenitore vuoto… anzi sono un contenitore vuoto. Per quanto i miei nuovi amici, mamma e papa, lo stesso Richard cercassero di starmi vicino e di farmi sentire meglio, non c’era verso di farmi “guarire”. Quel demone è parte di me e io sono una parte di lui. Siamo indissolubilmente legati e la prova di questa duplice unione arrivò molto presto».
Detto ciò, Brendon mostrò a Bloom la vecchia fotografia bruciacchiata, sul retro della quale era solito annotare delle cose. La rossa la prese tra le mani e, sebbene l’avesse notata tempo addietro, rimase scioccata nel realizzare cosa rappresentasse. Al centro della foto vi era un ragazzino pallido dai capelli neri, questi aveva un volto inespressivo e la bocca serrata. Ai lati, invece, vi erano un alto uomo dai capelli biondi e una donna dai lunghi capelli scuri. Entrambi poggiavano una delle loro mani sulle spalle del soggetto al centro e, guardando in avanti, sorridevano mestamente. Oltre alle tre figure, già intraviste la sera in cui conobbe Brendon, vi era un’imponente e oscura presenza posta alle spalle dei due adulti, che, avvolta nell’ombra delle tenebre, mostrava un sorriso inquietante.
«Questo… questo è…» balbettò la ragazza, girando la foto al contrario per lo spavento e notando per la prima volta le scritte dell’amico.
«Belial… il demone rinchiuso nella pietra. Il demone presente dentro di me» spiegò l’altro, stringendosi nelle spalle.
«Quando è stata scattata?» domandò la Principessa di Domino con ansia.
«Quello stesso giorno in ospedale» rispose, asciutto, il ragazzo.
«Perché?» aggiunse la rossa.
«I miei volevano che festeggiassi lo stesso il mio compleanno, ma quando videro la foto… …beh… non ne scattarono più» replicò Brendon.
«Stai dicendo che…» iniziò a dire la giovane fata, ma l’amico la interruppe.
«È l’ultimo ricordo tangibile di mia madre e mio padre».
«Brendon, cos’è successo ai tuoi genitori?» chiese, all’improvviso, Bloom, mentre si rialzava da terra e tornava a sedersi sul letto.
Non appena la rossa pose quella domanda, lo strano liquido nero tornò a fluire dagli occhi di Brendon. Questi, però, non ci fece caso e, mantenendo un certo contegno, disse:
«Tenere sotto controllo Belial è difficile… molto difficile. Tuttavia per diverso tempo non ebbi grandi problemi. Mamma e papà erano sempre al mio fianco, pronti ad intervenire nei momenti di crisi. La compagnia di Elizabeth e Max, inoltre, mi rasserenava, quando ero insieme a loro, nonostante le mie evidenti difficoltà di relazione, mi sentivo bene… mi sentivo “normale”. Richard, infine, veniva a farmi visita due giorni a settimana, al fine di monitorare il mio stato fisico e psicologico. La mia vita, per quanto potesse essere incasinata, procedeva senza intoppi, o almeno fu così fino a quel settembre di otto anni fa. Avevo sedici anni, quel giorno mi svegliai presto e con i miei genitori mi recai al vivaio. La mamma stava aspettando che le consegnassero dei nuovi semi, che avrebbe dovuto piantare in una delle serre. Mentre aspettavamo il corriere, mi misi in un angolo a sfogliare una vecchia storia a fumetti, che narrava le avventure di un papero antropomorfo originario, strano a credersi, della città di Glasgow. All’improvviso realizzai che l’oscura presenza di Belial stesse prepotentemente prendendo il sopravvento. Non so di preciso cosa accadde né il perché accadde, sta di fatto che il demone era furioso. Belial non era mai stato così potente, sembrava come se volesse sfogare tutta la sua rabbia. Cercai di controllarmi, ma fu tutto inutile… il demone prevalse. Quando ripresi conoscenza, mi ritrovai steso per terra sul pavimento del vivaio, anzi di ciò che ne restava. Le serre, i magazzini, il negozio era tutto distrutto… tutto era avvolto dalle fiamme. Rialzandomi mi resi conto di essere coperto di sangue… sangue che non mi apparteneva. Poco distanti, infatti, si trovavano i cadaveri dei miei genitori. I due erano morti, tenendosi mano nella mano. Avevano cercato di calmarmi… di far riemergere la parte migliore di me, ma purtroppo avevano fallito. Corsi da loro, cercai di rianimarli… cercai di parlargli. Erano freddi come il ghiaccio, i loro occhi erano ruotati all’insù, mentre la loro bocca era spalancata. Le ferite di papà erano molte di più rispetto a quelle della mamma. Evidentemente, una volta capito che non sarebbe riuscito a farmi ragionare, aveva cercato di difendere sua moglie con ogni mezzo. Belial gli aveva strappato via una gamba e distrutto la parte posteriore del cranio. Ad un certo punto, senza alcun motivo, presi mia madre tra le braccia e, accarezzandole dolcemente i lunghi capelli neri intrisi di sangue raggrumito, la strinsi forte a me per un tempo imprecisato. Avrei voluto piangere, avrei voluto urlare… avrei voluto uccidere me stesso per ciò che avevo fatto. Purtroppo il demone, che avevo dentro di me, lo impediva. Le fiamme, intanto, stavano consumando tutto ciò che incontravano sul loro cammino. Molto presto del vivaio dei miei genitori non sarebbe rimasto nulla. Così adagiai nuovamente il corpo della mamma accanto a quello di papà e, senza voltarmi indietro, mi allontanai da quel luogo di morte».
Calò il silenzio, Brendon rimase immobile sulla sedia ad osservare la ragazza, che aveva di fronte a sé. Bloom, sentendosi osservata, abbassò la testa per nascondere al suo amico i rivoli di lacrime, che stavano iniziando a rigarle il volto. Il ragazzo dai capelli neri, però, capì subito lo sconforto e la tristezza, che la sua storia aveva instillato nell’animo della Principessa di Domino. Così, alzandosi dalla sedia, si diresse al suo letto e, dopo essersi messo accanto alla ragazza, le sussurrò dolcemente:
«Bloom non devi vergognarti. Non sai quanto t’invidio… anch’io vorrei poter piangere… provare di nuovo emozioni umane».
«Non è giusto» singhiozzò la fata, girandosi verso l’amico.
«Lo so… ma questa è la vita che mi sono scelto» replicò Brendon.
«Perché… perché agisti così incautamente» gridò la rossa, iniziando a colpire con i pugni il petto dell’altro.
Il ragazzo, meravigliato dal comportamento della giovane fata, cercò inutilmente di tranquillizzarla. Bloom, infatti, non riusciva a smettere di piangere e singhiozzare. Brendon, allora, imitando un gesto che sua madre compiva, quando lui era triste, prese la mano destra dell’amica e, stringendola teneramente, se la portò al volto. La giovane fata, a quel punto, profondamente colpita da quell’azione, posò anche la mano sinistra sul viso del ragazzo e, spingendosi in avanti, lo abbracciò. Brendon, non aspettandosi una cosa del genere, perse l’equilibrio e cadde all’indietro, trascinando con sé l’amica e sbattendo la nuca contro la testata del letto. I due, senza volerlo, si ritrovarono distesi l’uno sull’altra. Il ragazzo di Glasgow conscio di quanto fosse sconveniente quella situazione, cercò di convincere la Principessa di Domino ad alzarsi:
«Bloom sei pesante, levati di dosso».
La rossa, però, non rispose e, continuando a tenere le braccia intorno al collo dell’amico, sospirò profondamente. Solo allora il ragazzo si rese conto che l’amica, a causa dello stress della stanchezza, si fosse addormentata. Brendon, a quel punto, facendo attenzione a non svegliarla, si divincolò dalla presa e sorridendo si alzò dal letto. Dopotutto era contento di sapere che qualcuno gli volesse bene, nonostante tutto il male e il dolore causati.
 
 
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Note dell’autore: Buondì a tutti. Giuro: anche questa volta sarò rapidissimo. In fin dei conti c’è poco da dire su questo capitolo, dal momento che Brendon compie quasi un monologo. Tuttavia permettetemi un paio di precisazioni. Innanzitutto, per quanto possa sembrare lunga, la storia del ragazzo non è completa. Nei capitoli che seguiranno (non vi dico quali XD), infatti, saranno aggiunte altre informazioni, conosciute o meno :D. In secondo luogo prestate molta attenzione alla figura di Richard, nominato precedentemente nel “Capitolo X – Ritorno a casa”, il medico avrà un ruolo di primo piano nel prosieguo. Nella mia fanfiction infine l’anno scolastico ad Alfea, a prescindere di quale si tratti, inizia ai primi di settembre… a buon intenditore poche parole ;D. Piccola nota tecnica la frase, contrassegnata con il simbolo *, è stata presa da Wikipedia, non me ne vogliate se ci sono incongruenze XS. Concludo dicendovi che il titolo del capitolo, così come la storia del papero di Glasgow, sono un mio piccolo riferimento all’opera di Don Rosa: “The Life and Times of $crooge McDuck”. Adesso vi saluto e vi do appuntamento per i prossimi capitoli =) =) =).
Yugi95
   
 
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