Anime & Manga > Axis Powers Hetalia
Segui la storia  |       
Autore: Giuu13    05/12/2016    1 recensioni
Una scommessa porterà una piccola nazione scorbutica a conoscere una dolce e solare ragazza (molto umana) e a scontrarsi con la vita che gli uomini sono costretti a vivere, nel bene e nel male.
Dal testo:
«Vi troverò un italiano che preferisca l’Italia a voi, che non vi ami proprio, che vi detesti. Poi dovrete baciarmi il culo, idioti!»
Genere: Commedia, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Sud Italia/Lovino Vargas, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Si stiracchiò, si contorse nel letto avvolgendosi nelle lenzuola. Sentiva gli uccellini cinguettare, il calore del sole che entrava gentile tra le persiane donando luce alla stanza e le lancette dicevano che era appena mezzogiorno.
«Tappatevi il becco, vi strappo le corde canterine, razza di uccellacci!» urlò in direzione della finestra. Come se avessero capito che rischiavano la morte, gli uccelli tacquero e il canto soave si spense facendo spazio al gracchiare di qualche corvo più coraggioso.
Romano lanciò le coperte per aria e scese in cucina, avrebbe fatto colazione in casa quel giorno. Si aggirava tra la stanza nudo, quello era il suo pigiama, comodo e pratico.
Aprì il frigorifero per prendere del latte, poi lo chiuse di botto facendo tintinnare le bottiglie all’interno; alzò lo sguardo all’orologio appeso al muro. Pensò al suo appuntamento con Chiara e corse a cambiarsi, uscì di casa spettinato. Non voleva perdere la ragazza che avrebbe umiliato Inghilterra e America.
Stava pensando d’inventarsi una qualche scusa, che aveva trovato traffico (era a piedi), che non si ricordava dove fosse il bar (ci passava davanti tutti i giorni), ma alla fine decise di non dire niente.
Chiara era seduta sulla sua Vespa e sorseggiava un liquido scuro in un bicchierone di carta, chissà da quanto lo stava aspettando; non appeno lo vide alzò una mano per salutarlo. Romano rispose con un cenno della testa e si avvicinò. Nessuno dei due fece cenno al ritardo del ragazzo e Romano si sorprese, di solito le ragazze si imbestialivano per i ritardi.
«Cosa vuoi fare oggi?» chiese lui sospirando, già pensando a giri per negozi e passeggiate al parco o robe del genere. Sarebbe stato come stare con Veneziano.
«Non lo so, qualcosa che fanno gli amici di solito. Anche se noi lo saremo per un mese» disse lei bevendo l’ultimo sorso dal bicchiere.
«Non so cosa fanno gli amici, dimmi tu»
«Non hai amici?» chiese candidamente lei.
«Sì che ne ho, che credi. Solo che… noi non facciamo… stiamo in riunione e…» cosa stava dicendo? Stava parlando a vanvera, non sapeva che dire. In effetti con le altre nazioni si incontrava solo per le riunioni ed eventi mondiali; era suo fratello l’amicone, quello che usciva con Ludwig e Kiku, quello che si divertiva fuori. Romano aveva come amico solo Veneziano, che tra l’altro era suo fratello, quindi non valeva.
«È complicato, va bene?» con questo Romano chiuse il discorso.
Chiara prese il casco dalla sella e glielo lanciò. «Allora andiamo al cinema, è uscito un film che voglio assolutamente vedere» disse allacciandosi il suo e mettendo in moto.
Al suono del motore che scalciava Romano fu attraversato un brivido in ricordo della prima volta che era salito lì sopra con lei.
«Preferisco andare a piedi, non mi piacciono le moto» mentì spudoratamente.
«Ma se ieri la guardavi con gli occhi a forma di cuore, se stavi per piangere per tutta la bellezza che è racchiusa qui dentro» disse lei con un ampio gesto che abbracciava tutta la moto.
«Diciamo più che altro che hai paura» lo stuzzicò.
«Non ho paura, semplicemente ci tengo alla mia vita! Non hai idea di come guidi, tu» mentre lo diceva si stava allacciando il casco e mentre borbottava qualche parolaccia si sistemò dietro di lei stringendola forte.
Romano non riuscì a trattenersi dall’urlare un paio di volte durante il tragitto, pizzicava il fianco di Chiara quando faceva manovre troppo azzardate e le ringhiava nell’orecchio che se fosse morto l’avrebbe perseguitata da fantasma.
«Fa che oggi – PORCA PUTTANA – io non muoia. Fa che io – OH CAZZO – riesca a tornare a casa sano – CRISTO, LA CURVA! – e salvo»
Sceso dalla moto, Romano lasciò passare qualche secondo per ritrovare la calma interiore. Non si rendeva conto di non averla mai avuta, nemmeno ai tempi con Nonno Roma.
«Due biglietti per il nuovo film» disse Chiara in biglietteria. Romano guardò la locandina e fece una smorfia.
«Lo so, è un film americano, ma non devi inchiodarti qui» Chiara gli mise un dito sulla fronte. «Devi riconoscere e accettare le diversità. Devi ricordarti chi sei prendendo il meglio che ti possono dare gli altri, se no rimarrai chiuso dentro te» detto questo gli consegnò il suo biglietto e corse al bar a prendere da mangiare mentre Romano rimase dov’era. Al bancone gli chiese urlando cosa volesse, se pop-corn oppure un hot-dog, poi rise e chiese se per caso non volesse un piatto di amatriciana con un bicchiere di vino.
Romano si coprì la bocca, non riuscì a trattenersi dal sorridere; si avvicinò e ordinò una porzione media di pop-corn, mentre Chiara prese dei dolcetti, un hot-dog e delle patatine e una lattina di coca.
«Vuoi diventare una balena?» disse Romano sedendosi al suo posto e vedendo tutta la roba che la ragazza aveva tra le braccia.
«Problemi? Voglio mangiare tutto quello che mi piace, la vita è una sola, dopotutto» aveva aperto il pacchetto di patatine e ne mangiava tre alla volta. Gli tese il sacchetto che lui spinse via, aveva già da mangiare e lui non voleva diventare una botte.
Il film iniziò dopo venti minuti di scartavetramento di palle, o come molti dicono “pubblicità”. Ai titoli di apertura, lui aveva già finito metà porzione di pop-corn e si maledisse per non essere riuscito a trattenersi.
Il film raccontava la storia di un ragazzo con qualche problema a livello relazionale che riesce finalmente a farsi degli amici dopo il suicidio del migliore amico, che si innamora di una ragazza dolce che però è fidanzata con qualcuno che non la merita. Parla dei problemi dell’amico gay, che deve tenere nascosta la relazione con il ragazzo perché lui non vuole rivelarsi, soprattutto al padre. Alla fine il ragazzo viene ricoverato per aver tentato il suicidio, cose del suo passato sono emerse prepotenti e cattive; alla fine riesce a stare con la ragazza di cui è innamorato; la fine è lui con le braccia alzate al cielo, sul pick-up dell’amico, con il vento che gli si getta contro.
 
«Allora? Ti è piaciuto?» chiese Chiara uscendo dalla sala.
«Mmm» Romano alzò le spalle. Cristo, se gli era piaciuto, ma non lo avrebbe mai ammesso davanti a lei.
«La prossima volta lo scelgo io, però, il film» disse tenendo aperta la pesante porta d’uscita.
«Quindi ci sarà una prossima volta?» Chiara lo abbracciò e per togliersela di dosso, Romano dovette lasciare la porta che gli si chiuse contro, sbattendogli addosso; finirono a terra tutt’e due tra gli sguardi divertiti della gente lì intorno.
«Che cazzo vi ridete? Aiutare no, eh?» urlò il ragazzo pulendosi i pantaloni. Un uomo si avvicinò e gli tese una mano, stava ancora ghignando per lo spettacolino.
«Non ho bisogno di aiuto, idiota» gli disse a denti stretti. Prese per un braccio Chiara e uscì veloce dal cinema. Lì dentro non ci avrebbe mai più rimesso piede, aveva deciso.
«Tu dovresti fare qualche esercizio per contenere la rabbia» commentò Chiara mentre tirava fuori le chiavi della moto. «La rabbia fa venire le rughe sulla fronte. Ne vedo già una, proprio qui» disse indicando il viso del ragazzo.
«No, un corno!» Romano scacciò la mano della ragazza. «Non ho nessuna voglia di contenere la rabbia. Sono caduto davanti a tutti quegli stronzi per colpa tua, mi sembra anche normale essere arrabbiato» disse trattenendosi dall’urlare.
«Ma non oggi, tu sei sempre così. Hai sempre le sopracciglia così aggrottate che sembra che tu abbia il monociglio, hai la fronte corrugata e il sorriso all’ingiù. E non ti ho mai visto sorridere, chissà come sei?»
Romano contò fino a dieci e girò i tacchi. Non aveva intenzione di restare un minuto di più, aveva passato abbastanza tempo con Chiara quel giorno.
«Non vuoi un passaggio?»
Romano non rispose, non fece alcun gesto con la testa o con la mano. Stava pensando che doveva sopportare quella ragazza per un mese, fino al prossimo raduno. Perché lo avrebbe fatto, perché ne valeva la pena.
Chiara osservò il ragazzo allontanarsi, la testa abbassata a guardare i suoi passi e le mani in tasca; non avrebbe fatto niente per andargli dietro, magari era davvero stufo. Accese la Vespa e partì per tornare a casa.
 
Erano le undici e lui era davanti al bar da un’ora e passa, stava aspettando di vedere spuntare la moto rossa da un momento all’altro. Fece passare altri due minuti ed entrò nel locale, si sedette e aspettò.
 
Passò la serata sul divano a fare l’emo-depresso-pentito, si sentiva in colpa per aver trattato male Chiara il giorno prima. È che lo aveva fatto cadere davanti a tutto il cinema, lo trascinava ovunque come un cagnolino, era normale essere arrabbiati.
Sbuffò e guardò la televisione fino ad addormentarsi durante una pubblicità.
Si svegliò e l’orologio segnava le tre del mattino; fece per alzarsi, ma una fitta di dolore gli impedì di muoversi. Aveva il collo bloccato, ogni movimento gli procurava dolore, si era addormentato con la testa penzoloni sul petto. Andò in camera dove senza neanche spogliarsi si stese sul letto, troppa fatica, troppo dolore al collo per sfilarsi la maglietta.
Spera solo di esserci domani o dovrai vedertela con me. È per colpa tua che ho fatto il depresso sul divano fino ad addormentarmi. Pensò.
Erano le nove e vide un’amica di Chiara, una di quelle che erano al bar il primo giorno, entrare al bar. La seguì dentro e la vide incontrarsi con le altre due. La ragazza posò lo zaino a terra e dopo baci e abbracci cominciò a parlare con le amiche. Romano si avvicinò al loro tavolo cercando di sorridere, doveva fare il gentile se voleva delle informazioni. Si vide riflesso nella vetrina dei dolci al bancone e quello che vide fu un ragazzo inquietante con un sorriso terrificante, quasi da maniaco. Glielo avevano detto che quando sorrideva a comando faceva paura. Lasciò stare, tornò alla sua solita espressione scocciata.
«Ciao» disse alle tre che si voltarono velocemente verso di lui, gli fecero una veloce radiografia e, ritenendolo passabile, sorrisero.
«Ciao» dissero in coro muovendo le manine con le unghie colorate.
«Voi siete amiche di Chiara, giusto? La ragazza in Vespa» mimò il gesto di accelerare in moto. Loro sorrisero un po’ tristi. Romano credette di aver visto male, così non chiese niente e continuò.
«E sapete dirmi dove trovarla? Ieri dovevamo vederci qui davanti, ma lei non è venuta»
«E come mai non è venuta?» chiese quella vestita di giallo.
«Che ne so perché» rispose acido lui.
«L’hai fatta arrabbiare, vero?» chiese la biondina con gli occhiali da sole in testa.
«No» disse Romano quasi al limite della sua pazienza. Strinse i pugni dietro la schiena; dopotutto lui aveva chiesto solo se sapevano dove fosse e la risposta era o o no, quelle erano tutte chiacchiere inutili.
«Forse l’ha fatta sentire male per qualcosa. Vi ricordate quando credeva che Francesca non le voleva bene? Che non si è fatta più vedere per giorni» disse la terza ragazza guardando le amiche. Cominciò una discussione su cosa avesse potuto fare Romano per far scappare Chiara, sembrava uno di quei discorsi infiniti.
«Vi ho solo chiesto se sapete dirmi dov’è oppure no. Mi serve una sola risposta» disse esasperato alzando la testa al soffitto. Aveva parlato troppo ad alta voce, alcune teste si voltarono verso di loro.
«Va bene, ma stai calmo, ci stai facendo fare una figuraccia. Dovrebbe essere a casa sua e se non è lì è al parco. Quello lontano dal centro» disse la prima ragazza scrivendo su un tovagliolo di carta l’indirizzo di casa.
«Grazie» borbottò lui prendendo il pezzo di carta. Guardò gli zaini posati a terra, vicino alle loro sedie.
«Non dovreste essere a scuola?»
«Oggi no, piccola bigiata. E tu? Non dovresti essere a scuola?» chiese la biondina con un sorriso di sfida.
«Io no, io lavoro» disse Romano andando verso l’uscita.
«Così giovane?» commentò lei.
«Sono più vecchio di quanto pensi» rispose Romano prima di uscire.
Guardò il pezzo di carta e vide che sotto l’indirizzo c’era un numero di cellulare. Di chi era? Di Chiara o della ragazza? Era per caso un tentativo di conquista da parte sua?
«Al diavolo» disse e prese il telefono. Cancellò il messaggio di aggiornamento sulla situazione della borsa europea e compose il numero. Dopo tre squilli rispose una voce impastata dal sonno che riconobbe per quella di Chiara.
«Sei in ritardo. Di un giorno» disse Romano dirigendosi verso casa della ragazza.
«Romano? Come fai ad avere il mio numero?» chiese la voce, più attenta e sveglia.
«Me lo ha dato una tua amica. Non te l’ho mai chiesto, ma perché non vai a scuola? Hai bigiato in questi tre giorni?»
«No, non vado più a scuola» una nota malinconica sembrò accompagnare quelle parole.
«E perché?»
«Così»
«Perché sei a casa adesso?» cercò di cambiare argomento.
«Sono malata» disse veloce lei.
Rimasero in silenzio, sentivano il respiro dell’altro dall’altro capo del telefono, le rotelline del cervello che giravano in cerca di qualcosa da dire, qualcosa di cui parlare.
«Resta dove sei. Sto venendo»
«Non t’immaginavo quel tipo di ragazzo. Ma va bene, ti aspetto a letto allora» Romano sentì una risata soffocata dall’altra parte. Sorrise divertito e le guance si colorarono di rosso velocemente, lei non lo avrebbe visto.
«Sto arrivando a casa tua, va bene? E non fare più battute così squallide, grazie» cercò di sembrare serio.
«Lo so che ti è piaciuta, stai sorridendo come un idiota» disse lei, la solita nota allegra nella voce.
Romano si fermò sul marciapiede, si voltò da tutte le parti, ma non la vide. Era da qualche parte lì vicino per forza se lo vedeva sorridere.
«Dove sei?» chiese guardandosi alle spalle, magari era dietro quel cassonetto.
«Non ti ho visto, ho sentito il sorriso mentre parlavi. È più facile di quanto sembri»
Romano rimase interdetto qualche istante, scosse la testa. «Ok, se lo dici tu» salutò e riattaccò.
La casa di Chiara era una villetta a due piani con il giardino più verde che Romano avesse mai visto: l’erba era straordinariamente curata, c’erano alcuni alberi in fiore, i fiori rosa e piccolissimi che decoravano i rami; una piccola altalena verde un po’ arrugginita stava sola nel grande giardino, nessun altro gioco in vista.
Suonò al campanello e una Chiara in pigiama con i capelli scompigliati e più ricci del solito aprì la porta di casa, attraversò il prato lentamente e aprì il cancello. Era a piedi nudi sul prato, il pigiama corto e leggero svolazzava per colpa del vento.
«Così ti ammalerai, idiota»
«Non credo proprio» disse ridendo esageratamente Chiara. Lo accompagnò in casa dove gli offrì da bere, da mangiare e, quando lui rifiutò tutto, indicò il piano di sopra.
«Vuoi direttamente quello allora. Ti facevo un po’ più romantico, però. Ti accompagno in camera da letto, o vuoi farlo sul pavimento come gli animali?»
«Chiara!» Romano aveva le guance completamente in fiamme, distolse lo sguardo e si voltò. Chiara rideva piegata in due, si reggeva al corrimano delle scale.
«Smettila» il ragazzo cercava di star serio, di avere un tono di voce sicuro, ma le parole uscivano tremanti e spezzettate, e sentire le guance ribollire come se avesse il fuoco in bocca non lo aiutava per niente.
«Dovresti vedere la tua faccia, è rossa come… come… non lo so, non esiste un rosso così intenso, dovrebbero inventare un nuovo colore. Color Romano imbarazzato» Chiara era seduta sui gradini e si teneva la testa e la pancia, era completamente distrutta dalle risate.
Lo invitò a salire, ad andare in camera sua precisando, tra una risata e l’altra, che voleva solo fargli vedere camera sua. Romano la seguì con la testa bassa, ancora rosso e imbarazzato.
Chiara entrò in camera lanciandosi sul letto enorme e Romano la seguì più titubante; si tolse le scarpe, come aveva chiesto lei entrando. Le pareti erano blu e il pavimento era ricoperto da una moquette rosso fuoco.
«Rosso Romano imbarazzato» disse Chiara indicando il pavimento e sghignazzando ancora.
Il ragazzo entrò e fu sommerso dai libri messi ordinatamente sulle mensole, alcuni poster appesi alle pareti e qualche cd sulla scrivania. Non c’era l’ombra di una televisione o di un computer. Sul comodino c’era il manichino in plastica di una testa, Chiara lo guardò, gli occhi aperti più del normale.
«Come mai sei qui? Sei venuto a chiedermi scusa per come ti sei comportato l’altro giorno?» disse cercando il contatto visivo del ragazzo.
Romano quasi si pentì di essere andato da lei.
«Forse»
«Accetto le tue scuse» disse sorridendo Chiara.
Romano stava per protestare dicendo che non aveva detto di essere lì per scusarsi, anche se era andato fin lì proprio per quello, ma Chiara aveva cominciato a cantare.
«Cause I'm on top of the world, 'ay 
I'm on top of the world, 'ay 
Waiting on this for a while now 
Paying my dues to the dirt 
I've been waiting to smile, 'ay 
Been holding it in for a while, 'ay 
Take it with me if I can 
Been dreaming of this since a child 
I'm on top of the world
»
Era la stessa canzone che aveva cantato quando erano stati al parco, la stessa che Romano stava canticchiando in quel momento a bassa voce, senza accorgersene.
Passarono così la giornata, seduti sulla morbida moquette a parlare e giocare, quasi fossero dei bambini. Chiara vide il ragazzo sorridere un paio di volte e la sorprese così tanto che non glielo fece notare, se lo avesse fatto lui si sarebbe concentrato a non farlo più, stava cominciando a conoscerlo.
Per tutta la settimana successiva Romano andò a trovarla a casa, dato che lei non poteva uscire. Passavano i pomeriggi in casa o in giardino a parlare di cose che Romano non raccontava mai a nessuno, nessuna delle nazioni si era mai interessata a quello che era al di fuori di Italia, nessuno pensava a lui come Romano.
Il ragazzo tornò ancora a suonare a quel citofono.
«Che ci fai ancora qua? Non dirmi che comincio a starti simpatica»
«Se vuoi me ne vado»
Chiara scosse la testa decisa e corse ad aprirgli il cancello.
Rimasero in camera anche quel giorno, la finestra aperta per dare aria e luce alla stanza, per far sentire il canto degli uccelli lì fuori.
La ragazza si sedette a terra e iniziò a distribuire le carte, fischiettava.
Squillò il telefono e Romano rispose uscendo dalla stanza, era il suo superiore.
Chiara sentiva parlare Romano in modo concitato, quasi si tratteneva da mandare al diavolo il suo interlocutore. Doveva essere qualcuno di importante se non veniva insultato.
Il moro tornò in stanza e si sedette rumorosamente, sbuffò e riprese in mano le sue carte; ne scartò una.
«Più quattro, prendi» disse arrabbiato.
Lei prese le quattro carte dal mazzo e scartò.
«Non è divertente giocare a “Uno” in due» disse Romano buttando le carte che aveva in mano.
«Che è successo? La ragazza ti ha mollata? La mamma ha detto di tornare a casa?»
«La riunione… il nostro incontro di amici è stato rinviato di una settimana»
«Mmm»
Chiara sistemò le carte nel contenitore e le mise sulla scrivania, prese una scacchiera da dentro un armadio e la posò tra di loro; posizionò i pezzi bianchi e neri ai loro posti.
«Sarà bello per te, ma per me no. Era importante quell’incontro, dannazione» Romano mosse il primo pedone e guardò Chiara in attesa della sua mossa. Sembrava concentrata, lo sguardo dritto sulla scacchiera a guardare quale pezzo muovere. Questa era l’impressione che dava a Romano, ma Chiara era persa in tutt’altri pensieri: come faceva a dire a Romano che non ci sarebbe stata quella settimana? con che coraggio?
«Credo che possa bastare» disse prendendo i pezzi di legno e sistemandoli nelle loro nicchie nella scacchiera.
«Ma non abbiamo ancora iniziato» Romano prese il suo re, voleva farle vedere quanto fosse bravo a scacchi, Veneziano gli aveva insegnato dei trucchi fantastici.
«No, tu puoi bastare» si allungò per prendere il re nero che Romano teneva stretto tra le dita, ma lui si allontanò e si alzò. «Non capisco, spiegati meglio»
Chiara si passò una mano sugli occhi.
«Il mio era un ricatto, “se vuoi che ti faccia il favore, sii mio amico”. Le persone non si costringono in questo modo, le amicizie nascono, non si costruiscono. Vai a casa, dimentica il nostro patto»
Romano cercava il suo sguardo, ma Chiara teneva la testa abbassata, accarezzava il cavallo bianco.
Non credeva possibile che lo stesse cacciando, dopo tutto quello che lui le aveva detto, dopo quello che avevano fatto. È vero, all’inizio era stato costretto ad essergli amico, ma poi era nato qualcosa, qualcosa che lui aveva associato all’amicizia. Lui si era sentito davvero suo amico, ma a quanto pare si era sbagliato.
Uscì dalla stanza in silenzio, fece le scale due a due e uscendo sbatté la porta dietro di sé, sbatté il cancello. Diede una veloce occhiata alla Vespa parcheggiate sul marciapiede, avrebbe voluto graffiarla, far qualcosa, ma non aveva niente tra le mani se non il re nero.
Lanciò il pezzo degli scacchi in giardino, atterrò vicino a un cespuglio di camelie non lontano dall’entrata.
Il cielo si era rannuvolato e come succede solo nei film cominciò a piovere. Romano urlò qualche insulto in tutti i dialetti che conosceva e correndo arrivò a casa, si sedette in cucina esausto e tutto bagnato.
Andò a letto che ancora pioveva, non faceva più tanto caldo, così indossò delle mutande e un paio di pantaloni di una tuta. Guardò le lancette fare un giro completo due volte prima di riuscire ad addormentarsi.
   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Axis Powers Hetalia / Vai alla pagina dell'autore: Giuu13