5.
E |
ra il cigolio di un meccanismo.
Nell’oscurità della sua mente poteva
percepirlo, sentire i suoi congegni logori muoversi in un concerto di crepitii
metallici. Dietro le sue palpebre, quel mosaico caotico di viti, perni,
ingranaggi e pistoni era quasi visibile. Poi il cigolio si fermò, inceppato; la
serratura non si schiuse del tutto.
Era sollievo
quello che provava?
Fece un
respiro profondo. Alex aprì gli occhi e l’immensità del paesaggio attorno a lei
la colse alla sprovvista. Senza parole, scrutò il vuoto, lo sguardo che si smarriva
in quell’infinita distesa incolore dove cielo e terra erano un’unica essenza.
Non c’erano confini, limitazioni. Ebbe un moto di vertigini a tal pensiero.
Inspirò e fece
un passo avanti titubante. Il suono di quella mossa echeggiò tutt’intorno in un
sinistro riverbero. Tenne lo sguardo basso. L’invisibile superficie su cui
posava sembrava sorreggerla, ma ciò non limitò la sensazione di precarietà che
il suo cervello continuava a percepire. Se solo ci fosse stato….
Sussultando,
Alex scattò all’indietro quando sotto i suoi occhi si materializzarono
centinaia e centinaia di candidi fiori, che si espansero in un soffice manto fino
ai confini dell’orizzonte. Sconcertata e al contempo lieta di aver un elemento
fisico su cui concentrarsi, si chinò quel tanto che bastava per accarezzare un bocciolo,
curiosa di avvertirne la presenza. Le sue dita sfiorarono appena i petali quando
un gemito alle sue spalle l’arrestò. Si voltò lentamente e nel suo campo visivo
comparve una bambina con la schiena incurvata e scossa dai tremiti, che nascondeva
il viso piangente tra le mani. Per un attimo, Alex rimase bloccata. Non sapeva cosa
fare ma, guidata dal proprio istinto, decise di avvicinarsi. Non si accorse nemmeno
della scia di fiori anneriti e morenti che lasciò al suo passaggio.
Man mano che
la lontananza che le separava si assottigliava, Alex incominciò a vedere le
similitudini che la univano a quella piccola figura tremante. Il vestito bianco
di pizzo, i lunghi capelli scuri, il ciondolo dal cristallo azzurro che le
pendeva dal collo.
Allungò una
mano. Titubante, il tempo si dilatò nel frattempo che le sue dita sfiorarono il
capo della bambina. Come se si fosse resa conto della sua presenza, questa
smise di piangere. Abbandonò lentamente le braccia lungo il corpo e girò di
scatto il capo verso di lei.
L’oscurità
divorò quel luogo. E in quelle tenebre, migliaia di occhi si focalizzarono su
di lei.
Riprendere
conoscenza dopo essere stati posseduti da uno spirito errante era più o meno
come risvegliarsi in ospedale dopo essere stati investiti dall’intera squadra
di rugby della scuola: uno schifo.
Non che parlasse per esperienza, dato che non aveva mai
avuto la prontezza di presenziare a un tale evento sociale, ma rimaneva della
convinzione che come premio di consolazione le sarebbero aspettati almeno dei
popcorn e una coca cola. Magari un hot dog se era il suo giorno fortunato. Purtroppo
per lei, il destino aveva un senso dell’umorismo pessimo quanto il suo e tutto
ciò che ottenne si limitò alla bocca riarsa per la sete e un fastidioso
retrogusto amaro, oltre che al corpo ridotto a un ammasso di membra doloranti e
ammaccate. Per cui sì, era davvero uno schifo.
Attraverso il torpore che la soggiogava, Alex gemette
appena, gli occhi ancora serrati. La sua mente claudicava nel tentativo di
riacquistare una lucidità appena passabile per comportarsi da essere umano. I
ricordi sugli eventi della serata erano caotici, confusi, troppo veloci per
ghermirli e collocarli in un ordine preciso.
Troppo… estranei.
Alla fine smise di provarci e si arrese
all’inevitabile possibilità di aver perso qualche rotella.
Socchiuse gli occhi e sospirò. Distesa su quello che
ipotizzò essere il divano, si stiracchiò lentamente, attenta a non attirare
subito l’attenzione su di sé. Attorno a lei risuonavano voci famigliari, i cui
proprietari si muovevano appena fuori dal suo campo visivo con un’urgenza che
quasi la sorprese. Sembravano nervosi, spaventati, come un piccolo gregge
confuso che correva dritto verso la sua rovina.
Con quel pensiero contorto nella mente, incominciò a
scivolare nuovamente nell’oblio, finché nella stanza non alleggiò un silenzio
soffocante. Pessimo segno.
Un’inequivocabile spostamento d’aria le segnalò che qualcuno
si era accomodato accanto a lei, scostandole dolcemente i capelli dal viso.
«Alex! Alex, mi senti?»
Emily.
Controvoglia riaprì gli occhi, osservando il viso
sfuocato dell’amica. Attraverso le lenti degli occhiali, il luccichio delle
lacrime non ancora versate le decorava il viso gonfio dal pianto; i riccioli
biondi sembravano ancora più selvaggi del solito, come se ci avesse passato più
volte le mani. Ma non furono quei dettagli a colpirla. Emily la guardava in
modo strano, con un miscuglio di preoccupazione e sollievo che non le aveva mai
visto prima. Beh, tutto considerato, era anche la prima volta che evocavano
chissà quale spirito nefasto per girare una scena di possessione degna di un B
movie.
«Ehi…» mormorò lei in risposta dopo qualche istante d’esitazione.
Poi, con sua grande meraviglia, rischiò nuovamente la
vita.
«Oddio! Stai bene!» urlò Emily. Le gettò le braccia
attorno al collo senza badare alla delicatezza, stringendola in uno dei suoi
abbracci soffocanti e sfogandosi piangendo contro la sua spalla.
«Emily…» gemette, ma l’amica parve non sentirla
tant’era sollevata.
«Non lo sarà ancora per molto se continui così»
sentenziò in lontananza la voce di Sarah.
Emily sussultò e, quando si accorse della sua
espressione agonizzante, la liberò immediatamente dalla sua presa mortale,
portandosi le mani al viso per togliersi gli occhiali e asciugarsi le lacrime.
«Scusami… Mi dispiace… Alex, ero così preoccupata…
Io…»
Alex alzò a stento una mano per fermare il suo
sproloquio.
«Non importa» mormorò in tono appena udibile. Abbassò
lo sguardo e il frammento di un ricordo le apparve nella mente, colpendola con
violenza. Sorpresa, si ritrovò ad esaminare di sottecchi la propria camicia
immacolata attraverso i lembi della mantella. Quelle macchie nere… saranno
state un’allucinazione provocata dall’adrenalina e il dolore. Tutto qui.
«Non importa? Ci hai fatto invecchiare precocemente
dalla preoccupazione, mo álainn.»
Alex sgranò gli occhi.
Colta alla sprovvista, si tirò a sedere così velocemente da spaventare Keiran
che, appoggiato con le braccia sullo schienale del divano, l’aveva osservata
per tutto il tempo. Prima che potesse inveire contro di lui, la vista le si
offuscò e la stanza iniziò a ruotare attorno a lei. Il giovane la prese giusto
in tempo per impedirle di accasciarsi come una pera cotta.
«Ma tu guarda…» Keiran sorrise e
l’aiutò a mettersi seduta, per poi accomodarsi al suo fianco, pronto ad assisterla
se fosse caduta di nuovo. Dopotutto, era così cavalleresco e preoccupato da
essersi praticamente spalmato contro di lei.
«Fallo di nuovo e giuro che
ti uccido» gemette Alex, tenendosi la testa tra le mani.
«Cosa? Coglierti alla
sprovvista o salvarti da bravo cavaliere? Sappi comunque che quando sei
spaventata sei piuttosto carina.»
Alex mise il broncio e gli
lanciò un’occhiataccia. Era troppo stordita per ribattere.
«Keiran! Smettila di
stressarla o sarò io a prenderti a calci! Ha bisogno di riposo» lo rimbeccò
Emily, mentre Sarah sospirava.
«Scusa, non ti arrabbiare»
si difese il ragazzo, alzando le mani in segno di resa.
Si era svegliata da nemmeno
un paio di minuti e la sua emicrania non faceva che aumentare. Forse avrebbe
dovuto fingersi morta ancora per un po’…
«Che cosa è successo?» chiese, interrompendo il
litigio dei due. Quasi si stupì nell’udire quanto fosse roca e debole la sua
voce.
Come se le avesse letto nel pensiero, Emily le porse
immediatamente il resto della sua bottiglia d’acqua in modo che potesse
rinfrescarsi e Alex dovette fare uno sforzo per non strappagliela dalle mani. Gemette
di piacere quando il liquido le scivolò lungo la gola come un balsamo e non
poté fare a meno di apprezzare la compagnia della giovane, anche se ebbe da
ridire quando, una volta finito, la costrinse a rimanere seduta.
Uno sbuffo le uscì dalle narici, ma Emily non ci fece
caso.
«Va meglio?» le domandò dolcemente l’amica.
«Sì, grazie. Ora però rispondimi.»
«Davvero non ricordi nulla?»
Alex socchiuse gli occhi, incerta su come interpretare
quella domanda. Inclinò leggermente il viso e dopo una breve pausa scosse il
capo. «Niente di niente.»
Emily fece un respiro profondo. Si massaggiò le
tempie, gesto che compiva solo quando accumulava troppo stress o si trovava di
fronte a un complesso problema matematico. In quel momento, sembrò solo stanca.
«Dopo… Beh, lo sai, ci hai fatto prendere un colpo.
Sei corsa via come una furia, non sembravi nemmeno tu. All’inizio nessuno
sapeva che fare, eravamo tutti troppo sconvolti, poi Ren ti ha inseguito e…»
A quella rivelazione, Alex s’irrigidì. Si passò una
mano sulla fronte, cercando di ricomporre i suoi ricordi, specialmente quelli
che riguardavano la sua discussione con il ragazzo.
… e ti
scuserai con Keiran per averlo gettato contro il muro. Perché la voce di Ren le risultava irritante persino nella
sua mente?
Voltandosi verso l’amico, notò allora che si teneva un
braccio contro il petto e che gli stava comparendo un livido sullo zigomo.
Deglutì a fatica.
«Keiran, mi dispiace…» incominciò lei.
Il ragazzo le rivolse uno sguardo gentile.
«Non preoccuparti, mo álainn. Sto bene. Piuttosto, sei pregata di non rifare mai
più una scenata del genere. Non scherziamo quando diciamo che ci hai spaventati
a morte!»
«Non ne dubito… E poi?»
Il sorriso di Emily, seppur teso, si intensificò.
«Ren è ritornato qui a passo di carica, con te tra le
sue braccia e…»
Alex raggelò. Incurante di chi aveva intorno, si alzò
la gonna. Sospirò di sollievo
nell’accertare che indossava ancora i leggins. In
quel momento, la pelle di Keiran assunse la stessa tonalità dei capelli, ma non
osò distogliere lo sguardo.
«Alex! Che diamine stai facendo?» sbottò Emily, riabbassandole
con forza la gonna sulle gambe.
«Controllo di avere ancora le mutande» spiegò
candidamente lei.
Dopo un attimo di esitazione, Emily le rifilò una
sberla sulla testa. «Scema. Era davvero preoccupato.»
«Quando è entrato era una furia, tanto che ha quasi
gettato giù dal divano Dakota per farti stendere.»
«È
stato molto premuroso» concordò la giovane con Keiran.
«E dato che c’era si è occupato anche del tuo
braccio?» domandò allora Alex. Si accomodò meglio sul divano, trattenendo
appena un gemito a causa delle sue membra intorpidite. Il collo in particolare
le doleva, come se fosse stata punta da uno spillo. Si massaggiò distrattamente,
cercando di trarne sollievo.
«In realtà… no» rispose Keiran placidamente, come se
non si aspettasse un esito diverso.
Alex sbuffò. Scrollò le spalle, dandosi una sistemata
ai vestiti per poi accasciarsi contro lo schienale.
Mentre Emily continuava a raccontarle gli avvenimenti
accaduti dopo la sua dipartita, scrutò la sala, ormai rischiarata solo dal
chiarore del fuoco. Leyla si era addormentata su una sedia, probabilmente
stremata a causa dell’alcool e dell’adrenalina, mentre Sarah stava riordinando
gli appunti poco lontano da loro. Nonostante l’atmosfera sembrasse tranquilla a
un occhio meno attento, l’inquietudine traspariva nei volti dei presenti come
una cerea maschera.
Per un momento, Alex ebbe l’impressione che mancasse
qualcosa d’importante in quel delizioso quadretto che rasentava la
disperazione, ma evitò di pensarci troppo.
Incominciava a sentirsi irrequieta, il corpo che
desiderava mettersi in azione nonostante le sue condizioni pur di non rimanere
in quello stato di immobilità.
Fece per alzarsi, tenendo faticosamente a bada la
nausea che le montò dentro a causa di quel movimento, ma Emily la bloccò.
«No. Rimani seduta ancora un po'.»
«Emily, sto bene. Davvero non…»
«Smettila di mentire. Non stai bene ed è tutta colpa
mia!» esclamò allora la bionda con un tono talmente duro da stupirla.
Sia lei che Keiran si scambiarono un’occhiata confusa.
Persino Sarah abbandonò quello che stava facendo e alzò lo sguardo per
scrutarli, gli occhi scuri velati dall’apprensione.
«Tutto questo è colpa mia…» gemette di nuovo Emily, i
pugni chiusi sulle gambe e il capo chino.
Alex sospirò.
«Little Bunny…» Nell’udire il suo soprannome, Emily
sollevò lo sguardo per guardarla. «Smettila di punirti per cose di cui non hai
nessuna colpa. Beh, in effetti solo in minima parte, ma…»
«Alexander.» La voce di Sarah la
richiamò, facendola sussultare. Solo allora si rese conto che Emily stava
tirando rumorosamente su con il naso, gli occhi pieni di lacrime che spiccavano
lucidi sul viso arrossato. Lo sguardo di fuoco di Sarah era così intenso da rischiare
di perforarle il cranio e Alex non poteva certo dichiararsi innocente. Almeno,
non questa volta.
«No, Little Bunny. Non fare così.»
Alex si protese per afferrarle le mani, nonostante il suo sguardo vagasse per
la stanza. Aveva fatto male i calcoli. Era ancora troppo scombussolata per
reagire in modo appropriato alle emozioni degli altri e certamente
quell’insinuazione a dimostranza del suo poco tatto era stata del tutto fuori
luogo, specialmente per una ragazza emotiva come Emily. «Andiamo… nessuno
poteva prevedere un esito del genere. Però dai! Una volta usciti da qui avrai
una notizia sensazionale da postare sul tuo blog e…»
Emily scoppiò in un pianto sfrenato,
gettandole le braccia al collo.
«Alexander!» sbottò Sarah, questa
volta visibilmente alterata.
«Su, su. Signorina Gray, non faccia così.» Keiran si sporse e le avvolse le
spalle con un braccio, mentre l’altro finì su quelle di Alex, che s’irrigidì.
«Forza Sarah, vieni anche tu. Un abbraccio di gruppo è quello che ci vuole in
casi come questo.»
Sarah sospirò, ma nonostante la sua
espressione impassibile si limitò a spalancare le braccia e a unirsi a loro,
appoggiando la testa contro quella di Emily che, tremante, iniziò a calmarsi.
Improvvisamente, Alex incominciò a
capire come dovesse sentirsi il ripieno di un toast. Schiacciato, accaldato,
senza aria e a contatto con altre cose appiccicaticce. Il massimo del contatto
fisico insomma, anche se pensata in questo modo non era poi tanto diverso nel
ritrovarsi nella metro all’ora di punta.
Nel tentativo d’ignorare il disagio
provocato da quel contatto fisico, osservò i dintorni, cercando qualcosa che
potesse distrarla. E, in effetti, era proprio la mancanza di qualcosa a
stupirla. Come aveva fatto a non accorgersene prima?
«Dov’è Ren? Cioè, dove sono gli
altri?»
A poco a poco, i suoi compagni di
coccole lasciarono la presa e ritornarono ognuno al loro posto, mentre Emily si
asciugava gli occhi con il dorso della mano.
«Stanno controllando che la via sia libera» spiegò lei,
sedendosi al suo fianco. «Vogliono evitare… beh, altri incidenti.» La sua mano
si strinse sull’imbottitura del divano. Alex le posò sopra la sua, cercando di
ricambiare il suo triste sorriso senza molto successo.
«Ormai dovrebbero essere di ritorno.» Keiran si mosse
accanto a lei, rivelando la sua inquietudine.
«Perfetto, questa è la nostra
occasione!»
Alzandosi per poi ricadere nuovamente
sul divano, Alex dovette fare diversi tentativi per ritrovare il proprio
baricentro e andare a recuperare la borsa.
«Alex, che stai facendo?» domandò
stranita Emily.
«Me ne vado, mi sembra ovvio. E dato
che c’è un bel po' di carne fresca che scorrazza in giro, è il momento migliore
per passare inosservati.»
«Lo sai, vero, che per ritornare da
dove siamo venuti dovrai fare il giro della casa?» Keiran incrociò le braccia
al petto, osservandola zoppicare verso la porta. Nonostante cercasse di
mostrarsi serio, il tremolio delle sue labbra nascondeva il suo tentativo di
non scoppiare a ridere nel vederla ancheggiare come una bambola di pezza.
«Lo so. Ed è proprio per questo che non dobbiamo
sprecare un minuto di più!»
«Ma non riesci nemmeno a camminare!» sentenziò Emily.
«E poi non possiamo lasciare da sola Leyla.»
Come se avesse percepito di essere presa in causa, la
cugina si accoccolò meglio contro la sedia, borbottando qualcosa d’indecifrabile
e attirando ogni sguardo presente.
Sarah fece spallucce, come per dimostrarsi
miracolosamente d’accordo con Alex.
«Oh, tranquilla. Non credo che andrà da qualche
parte.» Alex riuscì finalmente ad arrivare sulla soglia e ad afferrare la
maniglia. «E poi…»
La porta del salotto si aprì di scatto, facendole
perdere l’equilibrio. Alex non riuscì a trattenere un ansito sorpreso, mentre
cercava senza successo di rimanere in piedi, finendo contro il petto di Ren
prima di cadere a terra a causa dell’impatto.
Il ragazzo si limitò ad osservarla inespressivo,
focalizzandosi su di lei come un falco. Poi si concentrò sugli altri con
un’occhiata di rimprovero.
«Perché è in piedi? Vi avevo detto di tenerla
tranquilla finché non tornavo.»
«Certo, provaci tu» sbottò Emily.
«Alex!»
Gregory si fece strada attraverso gli altri ragazzi, correndo
a raggiungerla. Come Emily, anche l’amico aveva il viso tirato dalla
preoccupazione e lo sguardo angosciato, che la scrutava attentamente in cerca
di chissà quali ferite.
Chinandosi verso di lei, si protese ad aiutarla. «Stai
bene? Cos’è successo?»
«Sto bene. Perché continuate tutti a domandarmelo?»
sbuffò lei. Accettò volentieri l’aiuto dell’amico, reggendosi a lui mentre la
accompagnava verso il divano.
Keiran si alzò per lasciarle il posto, conscio del
fatto che Ren li stava fissando, ma Alex lo ignorò, concentrandosi invece
sull’amico e ringraziandolo quando le porse la borsa che era caduta con lei.
Nel vederlo ancora pensieroso, Alex cercò di apparire nelle sue piene facoltà.
«Sul serio, Gregory. Non preoccuparti» rincarò,
passandogli una mano tra i riccioli scuri per rincuorarlo.
Dietro di loro, Ren tossì.
«Abbiamo un problema» disse senza troppi giri di
parole, mentre i suoi amici e Dakota lo raggiungevano, rimanendo in piedi al
suo fianco. Nessuno di loro trasmetteva qualche sorta d’ottimismo e persino
Leyla si risvegliò dal suo letargo, in qualche modo conscia dell’improvviso
cambiamento.
«Che cosa è successo?» domandò tremante Emily
nell’osservare le loro espressioni.
Ren fece per risponderle, ma prima ancora di poter
aprire bocca fu interrotto.
«Non dirmelo. Siamo bloccati qui.» Alex si lasciò
ricadere sul divano con nonchalance, come se tale affermazione non avesse
alcuna aggravante in quella circostanza. Dopotutto un tale risvolto era palese.
Almeno nella sua mentalità da serial killer in erba.
Ren la fulminò con lo sguardo.
«Non dirà sul serio?» sbottò Leyla, la voce acuta dal
panico. Persino Sarah s’irrigidì.
Il ragazzo sembrò sul punto di strozzarla. «Grazie per
averlo espresso in maniera così superficiale, ma sì. Abbiamo provato a sforzare
nuovamente la finestra della cucina, ma sembra essersi inceppata.»
«E fammi indovinare di nuovo: non siete riusciti
nemmeno a togliere le assi alle finestre…»
Un vecchio cuscino polveroso le piombò sul viso. Alex
cercò di toglierselo di dosso, ma qualcuno glielo stava tenendo premuto contro.
«Non dovresti riposarti, dormire o fare la finta
morta?» La voce di Ren era parecchio infastidita. Fortuna che fino a qualche
momento prima gli era stato affibbiato l’appellativo “preoccupato”.
«Rennis, così la uccidi sul serio» gli fece notare
timidamente Emily, che li stava squadrando attentamente.
Ren sbuffò e si allontanò da lei. Dal canto suo, Alex
non gli scagliò contro il cuscino, ma se lo piazzò sotto il capo per stare più
comoda. L’impulso di fargli un gestaccio però fu quasi irresistibile. Si
costrinse a chiudere gli occhi e a fare finta di dormire, tuttavia alla fine
cedette ai piaceri perversi della parola e fermò gli sproloqui del giovane con
gli altri, intenti ad elaborare un piano di fuga.
«Avete controllato le finestre degli altri piani?» gli
propose, osservandolo con un occhio. Lo vide irrigidire le spalle e voltarsi
nella sua direzione, ma prima che potesse rimproverarla, fu interrotto.
«Non mi sembra granché come piano di fuga» sentenziò
Dakota.
«Ebbene, potremmo legare insieme i lenzuoli con cui
sono coperti i mobili per costruire una fune in modo da calarci. È inutile
rimanere qui a girarci i pollici.»
«Sei pazza?» Leyla sembrava essersi un po' ripresa
dalla foschia dell’alcool e la osservava sconvolta.
I ragazzi si voltarono verso Ren, il quale non poté
fare a meno di sospirare, passandosi una mano tra i capelli. Sembrò costargli
molto assentire alla sua idea, ma alla fine incominciò a spartire ordini.
«Direi che non ci rimane molto altro da fare. Mark, prendi
Leyla e portala con te e Sarah al primo piano. John, Gregory e Dakota il piano
terra. Io controllerò il resto.»
«Ma Ren, il secondo piano è ancora in
ristrutturazione! Potrebbe crollare e tu…» Dakota gli afferrò un braccio e lo
guardò sinceramente preoccupata.
Il ragazzo si limitò a posarle una mano sulle sue e a
liberarsi dalla presa. «Per questo è meglio che sia io a dare un’occhiata. Non
preoccuparti, sono sempre attento.»
Cercando di approfittare di quello smielato attimo di
distrazione, Alex fece per alzarsi, ma Ren la intercettò con la rapidità di un
fulmine e la bloccò puntandole contro un dito. «Tu invece rimarrai qui a
riposare.»
«Che cosa?» esclamò lei sorpresa.
Ren la ignorò. «Keiran, non farmi pentire della
fiducia di lasciarti qui come cane da guardia, intesi? Trattienila, anche con
la forza se è necessario.»
«Non potrei mai farle del male» sentenziò l’altro da
bravo gentiluomo.
«Beh, dovrai. Altrimenti sarà lei a farne a te. Ed è
per questo che concedo la grazia a Emily di rimanere con voi. È l’unica a cui
dà ascolto.»
Alex scattò in piedi, ma Ren le diede un colpetto
facendola di nuovo ricadere sul divano con l’unico risultato di farla alterare
ancora di più.
«Non sono un’invalida! Posso darvi una mano!»
«Niente da fare. È già tanto se riesci a stare in
piedi, quindi per una volta chiudi la bocca e fai quello che ti viene detto.»
Alex lo fulminò con lo sguardo, ma Ren non s’intimorì
e ricambiò con la stessa moneta.
Ancora un po' e sarebbe scoppiato un incendio.
Accorgendosi che gli altri erano rimasti impalati a
fissarli, il ragazzo si voltò e le rivolse le spalle, procedendo a grandi passi
verso di loro.
«Forza, andate a controllare ogni possibile uscita. Mi
raccomando, rimanete uniti e se vedete qualcosa…» osservò le ragazze «Non
strillate. Non c’è bisogno di risvegliare altri morti.»
Dopo qualche borbottio e delle vivaci lamentele da
parte di Leyla, i ragazzi fecero come gli era stato detto, ma prima di uscire a
sua volta, Ren si fermò qualche istante per parlare con Emily. Con i capi
chini, si dissero qualcosa a bassa voce, ignorando lo sguardo indagatore di
Alex.
Alla fine, Ren annuì e uscì dalla sala senza
aggiungere altro.
Emily ritornò da loro saltellando, le mani unite e
un’espressione più rilassata.
«Allora, che ne dite di fare qualche gioco?»
Venghino signori, venghino.
Ben ritrovati con un nuovo capitolo.
Lo so, non succede granché, ma
tranquilli. La storia si sta solo mettendo sui giusti binari; si lucida la
carrozzeria ed effettua un controllo dei sistemi prima di partire per andare a
schiantarsi a tutta velocità contro un muro.
Dopotutto, il nonsense regnerà!
Ringrazio sinceramente tutti coloro che hanno
messo la storia tra le seguite e recensito, in particolare Marina Merisi, che ha sopportato le mie lagne incessanti su questo
capitolo.
Vi spoilero già che ho deciso di
apportare alcuni cambiamenti nel prossimo appuntamento (perché se non faccio la
mia pessima azione quotidiana non sono felice) e, essendo già al quinto
capitolo, volevo chiudere con una piccola domanda:
Quale personaggio suscita in voi
irritazione?
(Attenzione: le eventuali risposte non
modificheranno in alcun modo la trama. Ergo non aspettatevi una carnificina… Almeno… Non subito…)
Detto questo passo e chiudo.
A tra un paio di settimane, come sempre,
qui su.. Art Att…
Cazzo, ho sbagliato di nuovo canale!
*bip*