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Autore: SherlokidAddicted    05/12/2016    2 recensioni
[ Wholock | Johnlock ]
[ Seguito di "The side of the Angels", per capire questa storia bisogna leggere la precedente ]
"I tuoi occhi.
Al solo pensiero che non potrò rivederli mai più sento come una stretta al petto che mi impedisce di respirare. Dopo mesi e mesi a darmi la colpa per tutto quello che è successo a Mary, dopo mesi sentendo che niente e nessuno avrebbe potuto sollevarmi il morale, ho trovato in te la felicità che avevo perduto. E adesso mi è scivolata dalle mani come sabbia.
Mi manchi.
E mi mancherai.
Mi sembra l’unica cosa che posso dire adesso."
Genere: Azione, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altro personaggio, John Watson, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The side of the Angels'
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Lame affilate

 

Mi ritrovo disteso su un freddo pavimento, sento dolori in tutto il corpo e faccio fatica ad aprire gli occhi. La testa fa male e sento le tempie pulsare fastidiosamente. Provo ad aprire un occhio e l’unica cosa che vedo è uno sfondo offuscato. Apro anche l’altro e con tutte le mie forze cerco di mettere a fuoco ciò che mi sta attorno. Ci riesco dopo un bel po’ e mi rendo conto di trovarmi in una stanza di forma circolare completamente vuota, con una sedia di metallo al centro, fissata saldamente al pavimento, e una grossa porta per poter uscire.

Mi tiro su facendo peso con entrambe le braccia e all’improvviso sento un conato di vomito che mi costringe a portarmi le mani alla bocca per trattenerlo.

Maledetti viaggi senza capsula! Come fa Jack a sopportare tutto questo?

Cerco di prendere fiato e porto le mani alle tempie mentre con la schiena mi poggio alla parete. Sto bene, devo solo provare ad alzarmi, anche se la testa mi gira da morire. Strizzo gli occhi e mi ripeto che posso riuscire a stare fermo su due piedi. Traballo un po’ ma ce la faccio.

- Ok, Dottore. Spero tu non sia molto lontano. – Tiro fuori la pistola e la tengo lungo il fianco mentre mi avvicino alla porta di metallo. So che non servirà a nulla contro dei robot con dei cervelli umani, ma… sempre meglio di essere indifesi.

L’ingresso non ha una maledetta maniglia, nè riesco ad aprirlo spingendo la porta metallica. Solo dopo mi rendo conto del pulsante sulla parete e mi do dello stupido per non essere riuscito a notarlo prima. Non lo premo subito, voglio accertarmi che non ci sia nessun pericolo dall’altra parte, quindi poggio un orecchio sulla porta per una manciata di secondi. C’è il silenzio, un tombale ed inquietante silenzio. Potrebbe essere un buon modo per ingannarmi, non mi fido della calma e della quiete, quindi sollevo la pistola con entrambe le braccia ed emetto un respiro profondo prima di premere il pulsante e fare così in modo che la porta si sollevi. Punto l’arma a destra e a sinistra sulla difensiva, ma con mio totale sollievo mi rendo conto che sono solo e fuori pericolo.

Non chiedetemi che scopo abbia la stanza che mi sono appena lasciato alle spalle, non ne ho la più pallida idea, ma per un momento ho pensato di essere finito in un luogo che non è la nave Cyberman. E se non è questa? E se per un momento i miei pensieri hanno deviato su altro e non sono finito dove avrei dovuto essere? Come faccio ad accertarmi di essere nel posto giusto? L’unico modo è esplorare e trovare qualcosa che mi faccia capire dove mi trovo.

Dannazione, se solo sapessi com’è fatta una nave spaziale! Se solo avessi una maledetta mappa!

Decido di andare a destra, il mio istinto dice che la destra è la direzione adatta. Cammino lentamente, poggiando i piedi sul pavimento con la lentezza e la delicatezza disarmante che uso di solito quando John si addormenta sfinito dal lavoro sul divano.

Oh, John… vorrei fossi qui.

Suvvia, posso farcela. In fondo, prima dell’arrivo di John nella mia vita lavoravo da solo e ne ero totalmente abituato… adesso non credo di esserlo più.

Non so per quanto tempo cammino, ma questo corridoio sembra non finire più. Poi arrivo davanti ad una grossa finestra che lascia intravedere sotto di me il bianco polare della neve, quel colore così acceso mi fa rabbrividire, anche se sembra che questa astronave sia immune alla temperatura esterna.

Posso dire di aver avuto la conferma di essere proprio nel posto giusto. E tutti i miei dubbi si azzerano quando sento dei passi di marcia farsi sempre più vicini. Provengono dal corridoio che sto per raggiungere e, prima che possa essere troppo tardi, mi nascondo velocemente dietro la rientranza di un’altra porta di metallo che chissà in quale strana stanza mi potrebbe far finire. Lascio sporgere leggermente la testa e poi li vedo: camminano in fila e senza mai voltarsi, producendo fastidiosissimi rumori robotici. Sono così tanti che ho perso il conto dei secondi interminabili che ho aspettato nascosto. Non esco subito dal mio angolo sicuro, aspetto di sentire il passo di marcia a malapena. In effetti, non conosco questi alieni e quindi non so in quale modo potrebbero farmi fuori, e stavolta nessun bacio del capitano potrà salvarmi, dato che ha già usato il suo “dono” su di me.

Adesso la domanda è: devo dirigermi dalla parte da cui provenivano o sarebbe meglio seguirli?

Rifletti Sherlock.

Hanno appena catturato un Signore del Tempo, l’ultimo Signore del Tempo, il Dottore con i due cuori, l’uomo che potrebbe potenziare l’esercito e renderlo indistruttibile. Avere un prigioniero di così tanta importanza potrebbe suscitare scalpore, e chi non si recherebbe ad assistere a quello che loro chiamano il suo “miglioramento”? Quindi, di sicuro, stanno proprio raggiungendo il Dottore e lui si trova lì. Devo muovermi e seguirli.

Bene, cosa mi sta succedendo?

Perché i miei piedi non riescono a compiere un singolo passo? Perché la mia mano trema mentre stringo con forza la pistola? Perché le mie palpebre faticano a restare aperte? E… perché sento il cuore uscirmi dal petto?
Sicuramente è un effetto del viaggio con il teletrasportatore, ovviamente.

“Eh no, Sherlock! È inutile cercare di trovare alternative, tu hai paura.”

Già, ho paura. In queste situazioni di solito sento l’adrenalina a mille e non mi interessa di rischiare tutto, perfino di rischiare la mia vita. Adesso no, e credo che il motivo sia non solo che non conosco queste creature e non so come si comportino, ma anche perché sono da solo contro qualcosa di sconosciuto. Non ci sono né John, né il Dottore, né Jack. Devo cavarmela da solo e devo farlo per forza.

Prendo l’ennesimo respiro profondo e compio il primo passo verso la direzione che ho scelto di seguire, in
quella dove credo di trovare il Dottore. Ad ogni passo lento deglutisco, ed è come se cercassi di ingoiare e scacciare via tutta la mia ansia e la mia paura.

- Lo sto facendo per John – Sussurro mentre cerco di velocizzare il passo.

Lo sto facendo per John.

Lo sto facendo per John.

Lo sto facen-

Cavolo, altri Cyberman! E per fortuna un’altra rientranza con una porta metallica dove nascondermi.

Li scorgo con la coda dell’occhio mentre trasportano qualcuno dentro una delle tante stanze presenti qui sopra. “Potrebbe essere chiunque” mi dico, ma la voce inconfondibile del Dottore arriva forte e chiara alle mie orecchie mentre dice ancora loro di ragionare su quello che stanno facendo. Ovviamente non gli danno ascolto e lo rinchiudono all’interno.

Quindi queste stanze sono… prigioni?

Mentre mi avvicino, dopo essermi assicurato che i Cyberman si siano allontanati, mi chiedo come delle prigioni abbiano un pulsante per aprire la porta all’interno della stanza, ma capisco tutto non appena mi ritrovo davanti alla porta che divide me dal Dottore. Sulla parete, proprio nel punto in cui dal lato opposto ci dovrebbe essere il pulsante, si trova una piccola tastiera numerica.

Ma certo, c’è un codice per sbloccare la porta! In questo momento è bloccata e il pulsante non funziona.

- Dottore! – Dico mentre annuncio la mia presenza con leggeri colpi sul piano metallico che ci separa. – Dottore, riesci a sentirmi? –

- Sherlock? – La sua voce risulta ovattata, ma sono sollevato che possiamo riuscire a comunicare. – Sherlock,
sei tu? –

- E chi dovrebbe essere, Babbo Natale forse? Beh sai, non è vero che vive al Polo Nord! Secondo i miei calcoli non esiste. –

- Perfetto, sei proprio tu, non ho dubbi adesso! – Mi sfugge un sorriso divertito e sistemo nuovamente la pistola
nel cappotto, dopo essermi assicurato che intorno a me tutto è tranquillo.

- Un codice apre la porta, ma ho poche probabilità di indovinarlo. I Cyberman sono fatti di metallo, quindi non lasciano impronte digitali sui tasti e… -

- Prova 5863 – Inarco un sopracciglio e avvicino la mano al tastierino numerico, esitando a pochi millimetri di
distanza dal numero cinque.

- Come diavolo fai a saperlo? –

- Ogni numero emette un suono diverso ogni volta che viene pigiato. Sono stato bravo ad ascoltare attentamente quando hanno bloccato la porta. – Certo, ero troppo distante sia per vedere quali numeri il Cyberman stesse pigiando, sia per distinguere quali suoni emettessero quei tasti.

Emetto un sospiro profondo prima di digitare i numeri che il Dottore mi ha suggerito. Con mio grande sollievo il codice viene accettato subito e la porta si apre immediatamente, liberando un Dottore coi capelli scompigliati e l’aria esausta.

- Che ti è successo? – Chiedo tirando nuovamente fuori la pistola e reggendola con una mano, in caso di eventuali urgenze.

- I Cyberman sono duri d’orecchio. – Probabilmente ci aveva discusso per così tanto tempo e aveva cercato di convincerli a cambiare tattica in tutti i modi possibili, ma loro non demordevano e il Dottore, stufo di ripetere milioni di volte la stessa cosa, si era passato le mani fra i capelli con fare disperato.

- Beh, se non ti hanno ucciso subito il tuo discorso deve averli fatti ragionare almeno un po’. –

- Ho semplicemente detto loro che il mio cervello aveva bisogno di una macchina più elaborata, e mi hanno chiuso qui in attesa di costruirla. Ho guadagnato tempo perché sapevo che saresti venuto. – Solleva un angolo della bocca e mi lancia uno sguardo d’intesa, che io ricambio senza problemi.

- Su, reggiti a me, così torniamo sul Tardis. – Sto per premere il pulsante al mio polso ma il Dottore mi ferma appena in tempo, spostando la mia mano dal teletrasportatore. Lo guardo irritato, sollevando un sopracciglio. – Dobbiamo andarcene, potrebbero accorgersi che sei fuggito e potrebbero dare l’allarme! –

- Ci sono due persone a bordo, dobbiamo salvarle. –

- Babbo Natale e il suo elfo? – Chiedo con ironia, ricevendo uno sguardo spazientito da parte del Signore del Tempo. Io sospiro e roteo gli occhi. - Ma stiamo per mandare i Cyberman dall’altra parte! Tutto tornerebbe come prima e loro saranno di nuovo a casa. –

- Non ti sfugge qualcosa? – Mi chiede incrociando le braccia davanti al petto e rivolgendomi uno sguardo ricolmo di aspettativa. Sa che ci arriverò da solo, come sempre. Ma a che cosa vuole arrivare?

Jack sta potenziando il dispositivo per mandare l’intera nave nel mondo parallelo, tutto ciò che c’è all’interno non sarà mai appartenuto a questo mondo e… oh, certo!

- Se mandiamo anche quelle due persone insieme alla nave il paradosso non cesserà, la frattura non si
chiuderà perché persone di questo mondo sono dall’altra parte. – Rifletto ad alta voce, mantenendo lo sguardo su un punto indefinito della parete dietro al Dottore.

- Sai, è bello non dover spiegare tutto a qualcuno, tu impari in fretta! – Esclama con un sorriso smagliante e contento, fuori luogo direi, data la situazione in cui siamo finiti. Ma ormai non mi sorprende alcuna stranezza di quest’uomo. Detto ciò, fa dietro front e comincia a camminare spedito e deciso, marcando ogni passo e tenendo le mani nelle tasche del lungo cappotto marrone.

Sicuramente sa dove sta andando ma… sta facendo troppo baccano per i miei gusti, dato che fino a dieci minuti fa ero io quello che si aggirava per questi corridoi, con tutta la cautela del mondo.

Quante volte ha affrontato queste creature?

- Come fai a sapere che ci sono persone a bordo? – Chiedo in un sussurro mentre cerco di stargli dietro e, soprattutto di affiancarlo senza fare rumore. Ma è inutile provarci, dato che la sua risposta non è sussurrata come la mia voce.

- Me lo hanno detto loro. Hanno catturato due giornalisti venuti qui per un servizio sul magnifico Polo Nord e vogliono utilizzarli per creare l’esercito. Dovevi sentirli: “loro sono compatibili”, come se fossero due pile per un telecomando. – Dalle sue parole si può udire una punta di disprezzo mischiata ad un leggero pizzico di divertimento, forse per il modo in cui ha cercato di scimmiottare la voce metallica dei Cyberman.

- E dove li troviamo? – Gli chiedo guardandomi intorno, per paura di venire attaccato da un momento all’altro, comunque la mia pistola è sempre ben tesa verso un qualunque rumore sospetto.

- In una delle celle. – Sto per esprimere un mio dubbio ed apro la bocca per fare la mia domanda, ma mi legge nel pensiero e parla prima di me. – Queste sono celle per persone di una certa importanza o di una certa specie. Gli umani vengono rinchiusi da un’altra parte della nave, vicino alle macchine per il miglioramento. È così che li torturano. –

- Così come? –

- Facendogli sentire le urla di quelli a cui viene strappato il cervello. – Sul mio volto compare un’evidente smorfia di disgusto e di pena. Io che provo pena… non lo avrei mai detto, ma è così adesso. Mi immagino al loro posto, a sentire in continuazione le urla di gente innocente, aspettando con timore il mio turno. – Inoltre sono delle normalissime celle, con delle sbarre e tutto il resto. –

- Mh… - Lo seguo portando entrambe le mani dietro alla schiena, e rifletto facendo scorrere i miei occhi sul pavimento, analizzando ogni insignificante macchiolina e passando poi ad una prossima.

- Cosa? – Il suo tono vuole sembrare disinteressato e neutro, ma la sua voce trema per un chiaro segno di curiosità. Si sta chiedendo perché appaio così dubbioso.

- Nulla. –

- No, cosa? – Si piazza davanti a me, impedendomi di continuare a camminare e mi osserva con grande aspettativa.

- Le celle hanno un codice? –

- No, sono diverse da queste, come ti ho detto. -

- Come fai ad aprirle, visto che il cacciavite sonico è nella tasca del cappotto di Jack? – Lui apre la bocca e cerca di dire qualcosa, ma da essa non fuoriesce alcun suono. L’ho colto di sorpresa, è da sempre abituato ad averlo con sé, ma questa volta non ci aveva quasi fatto caso. Sarebbe arrivato alle celle, avrebbe preso il suo amato cacciavite dal suo cappotto marrone, avrebbe aperto i lucchetti e liberato i due giornalisti. Ma non sarebbe stato possibile. – Altre idee? – Chiedo, aspettando invano una sua risposta. Lui sospira, poi si guarda intorno ed infine si rivolge nuovamente a me:

- Prima arriviamo alle celle, e poi escogitiamo qualcosa che non richieda l’uso del mio cacciavite. – Riprende a camminare ed io lo seguo a passo svelto, stavolta non sono più cauto e lento, voglio muovermi e sbrigare questa faccenda. Se il Dottore si sente così sicuro da camminare rumorosamente, allora forse neanche io devo preoccuparmi.

Arriviamo in una parte della nave più oscura, riusciamo a vedere i nostri passi a malapena, ma quello che sentiamo ci fa rabbrividire: un rumore agghiacciante di lame affilate. La macchina è pronta ad accogliere i due giornalisti.



Note autrice;
Buonaseraaaa, sono tornata. Purtroppo il tempo che passa tra un capitolo e un altro non è più quello di prima e credo sarà così anche per i prossimi. Vari problemi.

Non ho altro da aggiungere, godetevi il capitolo e ci rivediamo al prossimo al più presto.
Un bacio!

 
  
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