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Autore: ZannaBianca22    05/12/2016    1 recensioni
Questa storia ha più storie, in poche parole. Magari più di quante ne possiamo immaginare.
Anche noi abbiamo vissuto tante storie diverse. Non ci credete? Allora facciamo un esempio: i sogni. I sogni sono tante storie diverse.
Questa è una storia per Delphox17 (spero di aver scritto giusto…comunque lei sa ;-; (?))! Grazie per tutto, tesoro!
Genere: Avventura, Malinconico, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il ragazzo premeva i tasti delle tante lettere dell’alfabeto senza neanche correggere gli errori di battitura, senza neanche guardare. Con uno sguardo indecifrabile inviava velocemente i messaggi, cullato dalla melodia del vento che passava rapido tra le chiome degli aceri circostanti.

Era seduto su un enorme masso, il solito masso. Era freddo, quasi ghiacciato, ma aveva percorso dei chilometri per arrivare fino a lì, difficilmente avrebbe proseguito senza prima una breve pausa. Esatto, non si era fermato nemmeno in un piccolo bar e non aveva alcuna intenzione di farlo, le persone avrebbero così potuto riconoscerlo facilmente e riportarlo a “casa”.

Scappare dalla città in cui era nato era il suo unico desiderio, non sarebbe tornato indietro questa volta. Avrebbe cambiato il suo nome, nessuno lo avrebbe più riconosciuto. Sarebbe stato finalmente libero, senza più preoccupazioni o tantomeno schiavitù. Ma i suoi cosiddetti coetanei non lo capivano, eppure gli volevano bene. Il ragazzo non capiva perché alcuni dei suoi più fidati amici, che lo avevano fatto ridere e piangere, erano contrari a questa sua idea.

“Torna subito a casa, fuori è peggio!”

“Morirai di fame!”

“Non fare scemenze e torna subito a casa”

Casa? quella era una topaia dove vinceva la legge del più forte e del più apprezzato, e, nel suo caso, quello stupido del suo fratello minore che, pur avendo una giovane età, era più terribile di un terremoto. I suoi genitori, poi, non lo capivano. Veniva continuamente picchiato, deriso e maltrattato dai suoi stessi familiari. Quella non era casa, ma i suoi amici non riuscivano a capirlo e lo rimproveravano continuamente. Ormai, il giovane uomo, non ci faceva quasi più caso. Faceva scorrere i messaggi, ma neanche li leggeva. Erano sempre gli stessi: uguali a quelli di tre giorni fa, a quelli di una settimana fa, a quelli…sempre uguali! Niente cambiò da ieri a oggi, anche il posto era sempre lo stesso.

La cosa che cambiava, però, era che oggi sarebbe scappato davvero. Aveva provviste, il suo cane, la motivazione…non gli mancava niente, allora perché tirarsi indietro?

Il suo nome compariva più volte sullo schermo del telefono, ma lui non leggeva, non ascoltava. Il telefono si sarebbe spento e lui avrebbe avuto tutto il tempo di scappare e trovarsi un nuovo lavoro che gli avrebbe dato tante soddisfazioni e uno stipendio di buona quota. Certo, non voleva diventare come il nuovo presidente d’America, però avrebbe desiderato una vita senza problemi: Senza i suoi genitori.

Chiamò velocemente il suo cane e si alzò da quella fredda pietra, per poi proseguire la sua meta ancora indefinita. Seguiva solo la scia delle foglie, sparse un po’ ovunque, a mo’ di tappeto, sulla terra umidiccia. Qualche volta guardava in alto, sperando in un suggerimento degli uccelli, che si limitavano però a cinguettare felici tra i rami degli alberi, talvolta accovacciati nei loro nidi. Anche il vento freddo d’autunno sembrava guidarlo il più lontano dalla sua città, soffiando verso Est.

Lì c’era una piccola cittadella dove non era mai stato: Rimpel City, sicuramente sarebbe andato lì, per il resto dei suoi giorni, che almeno avrebbe passato felice. Senza più essere schiavo di nessuno: libero.

Libero come un uccellino che, ancora nel suo piumaggio da neonato, sbatteva velocemente le ali e spiccava per la prima volta il volo, varcando per la prima ed unica volta la soglia di casa, per non tornarci mai più.

Libero come un prigioniero che riesce dopo anni di tentativi ad evadere di prigione e farsi una seconda vita, cambiando opportunamente nome.

Libero. Libero come lui sarebbe stato, dettando le proprie regole.

Non vedeva l’ora di arrivare in quel posto paradisiaco, così aumentò il passo senza neanche accorgersene. Il suono delle foglie struscianti accompagnava la sua camminata e in men che non si dica arrivò all’entrata di quel paesino.

Sembrava tranquillo, senza anima viva in giro. Dai tetti delle case, sui quali vi era qualche corvo appollaiato, spuntavano dei bellissimi camini. Le strade invece non erano asfaltate e non erano molte le macchine che vi passavano sopra, erano quasi assenti. Il giovane uomo ne vedeva in giro poche, erano parcheggiate distrattamente vicino ai marciapiedi.

Si sentiva spaesato, non aveva la più pallida idea di dove fosse. Sapeva solo che doveva scappare. Poi, a dirla tutta, ovunque era meglio che restare in quella che per molti sembrava una normale casa.

Dopo aver pensato allungo sul da farsi decise di entrare un locale dove non era mai stato, accorgendosi un secondo prima di entrare di non avere uno straccio di banconota in tasca. Accidenti, avevo preso almeno un centinaio di soldi! Dove sono finiti?!

Sperava che fossero caduti da qualche parte lì vicino, ma purtroppo non fu così. Si guardò in torno, come un bambino che aveva perso di vista i suoi genitori. Niente, non li trovava da nessuna parte. Decise di guardare ancora una volta nelle tasche accorgendosi di una terribile e indiscutibile verità: le tasche erano bucate! Come poteva essere così stupido da non averlo notato prima?! Ed ora cosa poteva fare? Non aveva neanche un soldo in tasca e le scorte stavano per finire.

Arrivò così alla conclusione di avere in tasca solamente due miseri euro e qualche spicciolo trovato per caso nelle tasche dei pantaloni di cui manco sapeva l’esistenza. Tanto valeva cercare un bar, sicuramente sarebbe riuscito a comprarsi almeno un pezzo di pane, anche solo per placare quella poca fame che aveva.

Trovò una panetteria che dava come prima impressione di essere molto costosa, i pretzel posti sulla vetrina avevano un’aria molto invitante. Entrò così, accompagnato dal profumo dei pretzel e di qualche biscotto che le persone mangiavano sedute sul tavolo.

Il ragazzo stava per chiamare un cameriere, o una qualunque persona che lavorasse lì, ma si fermò a causa di diverse urla provenienti dal bancone fatto in legno, come quasi ogni altro oggetto nella stanza.

- signora, o paga oppure non le posso dare quel maledetto pezzo di pane! Lo vuole capire sì o no? -

- ma è tutto ciò che mi rimane, non può farmi neanche un piccolo sconto? Il mio nipotino è stato male in questi giorni e… -

- No! - disse strappandogli una pagnotta dalle mani - deve pagare ora, oppure può anche andarsene. -

La vecchia donna si incupì ed uscì dal locale, a passo lento e capo chino. Il ragazzo rimase sconcertato. Lui stesso aveva vissuto ingiustizie del genere e non sopportava che altre persone ne fossero vittima. Uscì dal locale correndo verso la donna, sotto lo sguardo incredulo dei tanti clienti che si trovavano lì in quel momento.

- aspetti! - gridò correndo come un pazzo verso la vecchia donna che camminava zoppicante in mezzo alla strada. Ella si voltò, quasi a fatica, per poi guardarlo stupita. Finora nessuno avrebbe mai fatto quel gesto tanto importante, quanto avventato, di aiutarla.

Non si rivolsero la parola, studiandosi a vicenda. I loro occhi stavano come dialogando. Il nostro piccolo uomo non era mai stato un tipo espansivo e aperto, ma era di sicuro un giovanotto dal cuore grande e puro. Non come certe persone con cui si è ritrovato a passare i peggiori anni della sua vita.

- la prego, tenga. - disse solo, mostrandole tutti i suoi spiccioli rimanenti. Non erano certo molti, ma bastarono per rallegrare la vecchia donna. - Credo che questi siano suoi.

Le labbra della donna si arricciarono in un sorriso effimero ma pieno di riconoscenza. Esso però si capovolse immediatamente, come stesse guardando il terreno, intanto gli occhi neri dell’anziana guardavano il viso del giovane con immenso dispiacere. Il ragazzo non capiva il motivo di quel pianto silenzioso.

- Ma sono tuoi, Hardin Lennon. - rispose, pronunciando il suo nome come fosse la cosa più ovvia del mondo. Il ragazzo impallidì: come conosceva il suo nome? Che avesse usato la stregoneria?

- Ma lei come fa a…? -

- Ti sono caduti questi poco fa. - Detto ciò la donna gli porse dei soldi. Hardin, ancora tremante e sconvolto, li prese senza fiatare.

- …è forse una veggente? - chiese titubante il ragazzino.

- No, ho solo pensato che quei soldi potessero appartenere solo ad un giovanotto così onesto e ben educato come te, Hardin. -

- Come fa a conoscere il mio nome? - Hardin la guardava cercando di capire cosa nascondessero quei piccoli occhi neri che conservavano i pensieri della donna.

Calò un profondo silenzio tra di loro, era come se quest’ultimo tagliasse ogni rumore circostante. Silenzio interrotto solo però dal suono di una carrozza che si avvicinava pericolosamente a loro.

- Perché io so chi sei. - Rispose soltanto, senza muovere un solo muscolo.

- E come lo sa’? - chiese il giovane senza smettere di guardare la signora negli occhi.

 
 

Ecco, per l’ennesima volta si svegliò in piena notte.

- Cosa vuoi da me, Hardin Lennon…? -  

 
 

*Angolino-che-non-si-fa-sentire-da-anni-e-che--eviterà-di-scrivere-cose-lunghe-per-il-sonno = Angolino della Lupacchiotta*

 

Ciaos, Gente!!! Da quanto non mi facevo sentire, saranno passati anni luce. Magari vi siete anche dimenticati di me…Va beh, tanto nessuno si ricorda mai di me e del mio compleanno. T^T

Cooomunque, questa storia la scrivo per la mia Nipotina Giu (dai, non puoi lamentarti…ho messo anche il cane (?) ;-;)! Ti voglio tanto bene, sai che se non fosse per te e le altre non sarei qui! Non ti ringrazierò mai abbastanza… ma intanto grazie (?)! Buon onomastico, tesoro! Esatto, questa roba penosa è tutta per te…e ci saranno altri capitoli, che gioia per tutti, eh!

Tutti: wiii “-_-

Spero vivamente sia decente e se qualcuno ha da fare critiche le faccia, io amo tantissimo le critiche (se costruttive).

Ok, ora sono stanca e ho sonno. Il mio letto ha bisogno di me e chi sono io per rifiutare?

 

Ciaos Das Kaya!!!!!!!!!! Uns Bacios!!!!!!!

 

P.S: sì, ho usato la frase di un film chiamato “Eva” (mi pare, non lo vedo da mesi ;-;) come titolo…mi sembrava molto carina e opportuna…spero.

   
 
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