1. House
“Kira è
Dio. Kira è legge. Non importa che cosa fai, non importa quanto tu sia
intelligente, perché Kira è tutto. Ricordalo”
I suoi
genitori lo dicevano sempre, lo ripetevano di continuo come una preghiera.
Quella
mattina, nel taxi che li portava all'aeroporto, per non sentire i
discorsi fanatici dei giornalisti, aveva alzato il volume dell'Ipod al massimo. Di tanto in tanto vedeva gli sguardi
infuriati dei genitori.
Guardò
fuori dalla finestra. Le dispiaceva moltissimo lasciare l'Inghilterra: era
cresciuta lì e mai avrebbe immaginato di doverla abbandonare così
all'improvviso per un ordine di Kira.
“Kira
ha ordinato che, per migliorare l'integrazione fra le civiltà industrializzate
del mondo, le famiglie si trasferiscano in luoghi diversi. Con questo
illuminato provvedimento, il nostro dio vuole abbattere il razzismo e le
incomprensioni fra le culture. Obbediremo quanto prima al suo volere; ciascuno
avrà cura di mantenere la propria funzione sociale e il proprio impiego, per
non creare disordini nell'attuale società perfetta e ripulita da ogni crimine.”
aveva detto qualche giorno fa la
portavoce di Kira, Takada Kiyomi,
una bella giornalista di successo.
Non
appena avevano sentito questo annunciò i suoi genitori, fedeli seguaci
di Kira, avevano deciso ubbidire subito a tale mandato. Perciò fu costretta a
raccattare i suoi pochi averi (i suoi genitori non la consideravano molto dato
che non si dimostrava credente) e fare le valige in fretta e furia. Non sapeva
ancora la destinazione.
“Togliti
questi affari dalle orecchie!” ringhiò sua madre strappandole con forza gli
auricolari, Kumiko non si lamentò: non le
avrebbe concesso quella soddisfazione
“Ben ti
sta!” la canzonò Hatsumomo, sua sorella. Si
detestavano.
Entrambe
avevano nomi giapponesi: i suoi genitori sapevano che Kira era originario dal
Giappone e per onorarlo avevano deciso di chiamarle così. Kumiko
non ne era mai andata fiera. Lei non era d'accordo con la dottrina violenta del
Dio del Nuovo mondo, come lo chiamavano tutti, lei non approvava quel mondo di
sola luce, una luce opaca che copriva i crimini con altri crimini e censurava e
cancellava i dissidenti.
“Non
rompere, Hatsumomo” sibilò la ragazza con acidità.
“Kami ti punirà per questo!”
Kami... Kami. Sempre quel ridicolo appellativo! Ma nessuno lo
capiva? Il loro Dio così caro era un essere umano, un mortale con dei poteri
omicidi, che aveva deciso di estirpare il male dal mondo nella maniera più
errata possibile. Quelle persone così devote non erano altro che stupidi
codardi che non riuscivano a pensare con la loro testa e si appellavano al
pensiero del più potente, del criminale: e accettando i suoi omicidi,
diventavano a loro volta assassini. Ma nessuno ci era mai arrivato, nessuno
tranne L e pochi altri della polizia. Erano loro i veri simboli della
giustizia.
“Dove
stiamo andando, mamma?” chiese sua sorella.
“In
Giappone”
Kumiko ci
avrebbe scommesso la vita che andavano lì.
“Ecco
perché hai comprato questo libro che insegna il giapponese!” esclamò ancora sua
sorella mentre lo sfogliava velocemente. Probabilmente non aveva capito molto.
E infatti lo disse. “Ma è impossibile! Scommetto che neppure tu hai imparato
qualcosa!” aggiunse rivolta a lei che guardava ancora fuori dal finestrino.
“Invece
sì” si limitò a rispondere.
Fin da
piccola era stata una ragazzina sveglia, la sua intelligenza era nettamente
superiore alla media. All'inizio suo padre e sua madre erano stati talmente
entusiasmati dalla qualità che l'avevano mandata a una scuola - orfanotrofio.
Era rimasta lì fino a pochi mesi prima, quando aveva superato con il massimo
dei voti tutti gli esami.
In
tutti quegli anni nemmeno una volta aveva ricevuto la visita dei suoi genitori,
che avevano ritenuto opportuno allontanarsi da lei per non influenzare i
suoi studi. Il risultato era che lei non riusciva proprio a piegarsi al volere
di Kira, anzi nessuno all'interno di quella scuola condivideva i pensieri di
Kira. Eppure non sapeva come i dirigenti riuscivano a mascherare bene questo
fatto: l'istituto non era stato chiuso.
Erano
arrivati alla loro destinazione, di fronte a loro l'aeroporto di Londra si
elevava nella sua massima bellezza nostalgica da posto dei mille adii.
La
ragazza si alzò quasi contro voglia e prese al volo la sua piccola valigia.
Seguì la propria famiglia senza dire una parola mentre li osservava
parlottare felicemente fra di loro. Facevano programmi sulla loro vita futura
in Giappone, ma nessuno di loro si rendeva conto di ciò che stavano facendo?
Prima
di entrare nell'aeroporto, si girò per dare un ultimo sguardo alla sua città.
Qualunque cosa fosse successa lei ci avrebbe fatto ritorno, era il suo voto.
“Parte
fra un'ora” le informò Roy, loro padre.
“Dove è
la mamma?” domandò sua sorella.
“In
bagno” poi posò, miracolosamente (infatti Kumiko
temeva di essere diventata invisibile a tutti), lo sguardo su di lei “com'è che
oggi non dici niente?”
“Non ho
niente da dire” tagliò corto lei. Dopo così tanto tempo voleva fare il
genitore? aveva decisamente sbagliato figlia, poteva provarci con Hatsumomo, con chiunque fosse come lui, lei non aveva
niente a che fare con loro. E poi si sentiva tradita.
Poco
dopo fece ritorno Mary, sua madre.
Era una
donna alta, dal fisico asciutto, il suo corpo era geometricamente perfetto.
Aveva il taglio a caschetto e nemmeno uno di quei capelli biondi era fuori
posto; quel giorno indossava un tailleur nero dal taglio pulito e serio.
I suoi
occhi erano piccoli e quando fissava Kumiko si
rimpicciolivano ancora di più come per focalizzarla meglio. Fra madre e figlia
non vi era mai stato un buon rapporto ma erano capaci di sopportarsi; se
la ragazza prodigio, come la definiva ironicamente davanti alle sue amiche che
venivano a prendere il tè, era ancora a
casa era tutto merito di Roy, che non aveva ritenuto opportuno abbandonare loro
figlia nella scuola- orfanotrofio. Kira non lo avrebbe voluto.
Se Kumiko avesse dovuto fare una graduatoria fra chi era il
più fissato con Kira all'interno della famiglia, era senza dubbio sua madre.
“Ho
appena ricevuto un messaggio della Università di Tokyo” disse Mary rivolta a
lei “hanno detto che hai passato l'esame con il massimo dei voti in tutte le
materie. Perciò hanno accettato la tua domanda di iscrizione. Hai già deciso
che facoltà scegliere? Mi hanno detto di riferirti che sarebbe meglio se ti
decidessi in fretta. Ad ogni modo sei stata brillante, complimenti” aggiunse
dandole un colpetto sulla spalla destra. Ma lei non aveva bisogno di quelle
carezze vuote e fredde. Non le voleva.
Si
limitò ad annuire mentre riprendeva in mano la valigia e li seguiva.
Le
sarebbe piaciuto ritornare alla sua vera casa, la Wammy's
House. Lì si sentiva a suo agio con
ragazzi come lei, si era fatta delle amicizie lì dentro, e il giorno in cui si
erano lasciati, avevano promesso che prima o poi si sarebbero ritrovati. Ma a
quanto pareva doveva trascorrere ancora molto tempo affinché ciò avvenisse.
Era
salita sul pullmino che portava all'aereo. Le voci sembravano leggeri soffi che
non riuscivano a raggiungere le sue orecchie, chiuse al mondo esterno per paura
di essere colpite da esso. Non aveva voglia di ascoltare e benché meno di
essere ascoltata. Nessuno l'avrebbe capita. Preferiva starsene in un angolo con
i suoi pensieri, analizzarli e dialogare con loro. Capirsi da sola e
riscoprirsi matura o ingenua oppure antipatica e pignola. Rideva di se stessa e
per se stessa.
“Potresti
studiare giurisprudenza” disse a un certo punto la madre mentre scendevano dal
pullman.
Kumiko fece
finta di non averla sentita. Non voleva studiare giurisprudenza, la giustizia
non esisteva più, Kira era la legge e questo lei non lo avrebbe mai accettato,
perché era semplicemente privo di senso.
Il suo
posto nell'aereo era vicino al finestrino e in fianco a lei, per fortuna non sedeva
nessuno. Prese un foglio e una penna , li portava sempre nelle tasche dei
pantaloni, e iniziò a scarabocchiare.
Scrisse
una "x" a metà del foglio. Era lei. Attorno varie lettere del
alfabeto, che indicavano le sue materie
di studio preferite. Poi attribuì a queste valori numerici che andavano dal 1
al 10, in base a quelle preferiva di più rispetto alle altre. Alla fine del suo
lavoro, sul foglio era rimasto uno schema complesso che solo lei era in grado
di decifrare senza confondersi: se una lettera era elevata al quadrato o al
cubo, voleva dire che era la prediletta, se invece era elevato a un cubo
negativo era una che non amava particolarmente, le altre numerate dall'uno al
dieci erano materie che non la interessavano ma che sosteneva con impegno.
Ora
doveva snellire le informazioni e decidere cosa doveva fare.
“Mi
scusi... che cosa gradisce come pranzo?” chiese una giovane donna giapponese.
Parlava un inglese spigoloso.
“Io
capisco il giapponese” affermò subito Kumiko non
volendo creare disaggio nella hostess.
“O..
meno male. In ogni caso, prima mi ha capita?”
“Sì.
C'è l'onigiri?”
“Sì.
Solo questo?”
“E
acqua. Grazie”
La
ragazza sorrise e si allontanò spingendo il carrello. La guardò allontanarsi.
Chissà se pure lei la pensava come tutti, se pensava come Kira. Bevette un
sorso d'acqua e riguardò il suo foglietto.
Sociologia...
sì. Era proprio ciò che faceva per lei. Sarebbe riuscita ad analizzare con
rigorosa diligenza i rapporti umani alla base della società. Forse così avrebbe
capito un po' di più sulla mentalità di Kira e dei suoi fedeli. Magari sarebbe
riuscito a trovarlo e a sconfiggerlo. Sorrise all'idea. Era troppo persino per
lei.
Tolse
dalla sua valigia, talmente piccola che le avevano permesso di portarla
all'interno dell'aereo, il suo portatile nero: il suo unico compagno di
avventure. Accese il computer, e si presentò la schermata per immettere la
password; era la parte che preferiva in tutto quel processo perché conferiva alla
banale azione di accendere un computer l'importanza di accedere a informazioni
che nessun altro potrebbe guardare.
Curiosò
un attimo in giro e poi lo spense, lo rimise al suo posto e si addormentò.
Trascorse
tutto il resto del viaggio così.
“Gentili
passeggeri, preghiamo a tutti di controllare le cinture perché l'aereo sta per
atterrare” l'informò la voce di una hostess.
Kumiko
controllò la sua cintura e si preparò all'atterraggio. Entro poco avrebbe
toccato il suolo giapponese.
***
“Dove
andiamo?” domandò Hatsumomo, giocando con una ciocca
dei capelli castani. Aveva preso molto dalla madre eccetto i capelli. A
differenza sua , Kumiko non assomigliava a nessuno
dei due genitori: aveva i capelli di un biondo chiarissimo, gli occhi a forma
di mandorla erano nerissimi, era abbastanza alta e sottile.
“Nel Kanto, ovviamente” rispose Mary “si trova vicino al lavoro
che abbiamo trovato io e tuo padre e inoltre anche alla università di tua
sorella”
“Io
veramente credevo di andare ad abitare nel Campus dell'università” intervenne,
un po' spaventata. Per nessun motivo voleva condividere il tetto con loro.
“Ma
qualche volta dovrai venire a casa” disse il padre “durante le vacanze, per
esempio”
Kumiko annuì.
Le pareva un buon accordo: avrebbe cercato una scusa per essere il meno
presente possibile.
“Alla
fine hai deciso?” chiese la madre
“Sì.
Farò Sociologia.”
Il viso
dei suoi genitori mutò d'improvviso anche il tassista, che non capiva niente
della loro conversazione poiché parlavano in inglese, aveva afferrato che la
ragazza aveva detto qualcosa di poco intelligente.
“Credevamo
Giurisprudenza! Insomma non tutti hanno le capacità per studiare
nell'università di Tokyo...”
“Non fa
per me” disse distogliendo lo sguardo. Roy e Mary capirono che era inutile
continuare.
Il taxi
si fermò in una stradina tranquilla.
Scesero
in silenzio e rimasero fermi di fronte a una casa. Aveva due piani ed un
giardino. Sembrava accogliente.
“L'abbiamo
comprata a buon prezzo” commentò Roy tanto per dire qualcosa.
“Come
si chiamava?” domandò Kumiko. Voleva sapere chi erano
i vecchi proprietari.
“Sayu Yagami... perché
t'interessa?” rispose Roy. Kumiko odiava le domande
come risposta.
“Curiosità”
rispose scocciata.
------ Fine primo
capitolo-------
Angolino di Hoshimi
Ecco un'altra fan fiction. Sono
soddisfatta di come è venuto questo capitolo; il risultato lo devo alle mie
carissime amiche: Giulia e Michela, che durante una seduta di pullman (io non
c'ero) hanno letto e corretto, la dove c'era da correggere, lasciandomi dei commentini sul foglio che avevo stampato. Le ringrazio di
cuore, perché senza di loro sono convinta che il capitolo non sarebbe venuto
come ve l'ho presentato.
Spero che anche a voi sia piaciuto questo primo capitolo, così
come è piaciuto scriverlo a me.
La frase riportata in giapponese dice:
"Un giorno ci sarà una pagina
in cui innumerevoli nuove persone entreranno nella tua vita.
E così inizia, la tua lunga, lunga storia."
Quella in inglese invece dice:
"Sono stanca di essere quello che tu vuoi che sia
di sentirmi così senza fede
persa sotto la superficie
non so cosa ti aspetti da me
messa sotto la pressione di camminare nei tuoi passi
ogni passo che faccio è un altro errore per te"
Quella dei Linkin Park vuole un po' introdurre lo
stato d'animo delle persone che compariranno nella vicenda, oppresse dalla
volontà di Kira che le desidera perfette, pensano che ogni passo che fanno è un
errore per lui e perciò temono di essere uccise.
Invece l'ultima, vuol dire proprio ciò che dice, insomma nella
vita di Kumiko è arrivato quel giorno, dove
innumerevoli persone entreranno nella sua via, così
avrà inizio la sua storia.
Spero che le frasi riportate vi siano piaciute (spero che la mia traduzione in
inglese sia giusta... non sono molto brava con quella lingua). Se vorrete
continuare a seguirmi , al prossimo capitolo, altrimenti grazie lo stesso per
aver letto .
Con grande affetto vi saluta: Hoshimi