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Autore: Kat Logan    07/12/2016    2 recensioni
Paradiso e Inferno; è ciò che si ritroveranno ad affrontare i protagonisti di Stockholm Syndrome in questa nuova avventura.
Hanno amato, realizzato i propri sogni, hanno accarezzato il paradiso nella pacifica Osaka ed ora devono ristabilire l'equilibrio; troppa gioia tutta in una volta è da pagare.
Per uno Yakuza la cosa più importante è l'onore, così, Akira e Haruka seguiranno le proprie tradizioni.
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"Ovunque andrò, sarai con me. E avrei voluto dirlo in modo diverso, in un’occasione differente…magari al lume di candela, su un tetto, sotto alla luna, al nostro terzo matrimonio. Ma sai, un momento giusto non c’è mai. Quello giusto è quando lo senti, ovunque tu sia..quindi…lo dico adesso, forte come non l’ho mai sentito prima d’ora. Ti amo e questo non cambierà, non è cambiato nemmeno nel momento in cui non mi sono più riconosciuta".
[Sequel di Stockholm Syndrome].
Genere: Azione, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shoujo-ai | Personaggi: Haruka/Heles, Michiru/Milena | Coppie: Haruka/Michiru
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Violenza | Contesto: Nessuna serie
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Mondo Yakuza'
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Capitolo 8
Déjà vu
 

 
“You'll never know what hit you
Won't see me closing in
I'm gonna make you suffer
This hell you put me in
I'm underneath your skin
The devil within
You'll never know what hit you
I will be here
When you think you're all alone
Seeping through the cracks
I'm the poison in your bones”
 
(The Devil Within – Digital Daggers).
 
 
Il crepitio del fuoco e la luce fioca illuminò le pareti del tempio. Una brezza leggera soffiò da est ma era ben lontana dallo scalfire le lingue aranciate danzanti nel buio. Rei ne era affascinata. Il calore delle fiamme era avvolgente e rassicurante per lei; era come ipnotizzata da quello sfrigolare di scintille incandescenti.
Il peso calato più sulla punta delle dita che sui talloni, una lunga fila di passi in sua direzione e poi il loro svanire d’improvviso.
L’alito caldo di Setsuna le solleticò la linea del collo, poi fu il turno delle sue labbra. Si schiusero con un flebile schiocco e le sussurrarono all’orecchio parole basse come i macigni che Rei aveva dimenticato nel suo stomaco.
La giovane non diede peso a quel messaggio, si beò della sua presenza socchiudendo gli occhi.
Il buio sotto alle palpebre venne illuminato solo da fievoli macchie color ocra e la voce di Setsuna al suo orecchio cantava una vecchia canzone.
Quando il canto cessò riconobbe una frase “segui il rosso, non ti fermare”.
Rei riaprì le palpebre e nel fuoco vide un’immagine dapprima confusa poi sempre più nitida.
Un’auto in corsa. E un’altra scena ancora, sempre più familiare tanto da farle percorrere la spina dorsale da una lunga scia di brividi che la scossero.
Quella che vide era la loro auto cappottata, poi lo scoppio avvenuto dopo l’incidente.
Il terrore l’attanagliò ma Rei non riuscì ad urlare. Fece per voltarsi e vedere il viso di Setsuna ma non ci riuscì. Le era impossibile muovere anche un solo muscolo.
Deglutì e le fiamme persero il loro fascino.
Un tocco sulle sue spalle e due mani che s’intrecciarono all’altezza della vita stringendola saldamente.
Rei inspirò ed espirò. Udì un battito prepotente all’interno di una cassa toracica, ma quel battito non apparteneva a Setsuna. Aveva passato notti intere ad ascoltare il suo cuore e il ritmo era differente, le pause tra una spinta e l’altra contro le ossa non coincidevano con quelle che l'avevano cullata nelle notti più buie. Nemmeno le mani erano quelle che aveva conosciuto e l’avevano accarezzata tra le lenzuola che odoravano di fresco nei torridi pomeriggi estivi in cui il canto delle cicale era più forte di ogni altro rumore.
La ragazza tentò di dimenarsi da quella stretta senza alcun risultato.
Il falò si era spento e tra i fumi della cenere, nella penombra, scorse il suo riflesso nello specchio.
Buio profondo attorno a lei e il sorriso di Jadeite alle sue spalle.

Gli occhi le si spalancarono e un urlo disumano le sfuggì dalle labbra rosee. Rei si alzò di scatto, scalciando le lenzuola e cercando di riprendere il controllo di se stessa. Era ferma come una statua di sale a fissare il buio.
Poteva percepire ogni singola goccia di sudore scivolarle sulla pelle e i nervi tesi come corde di violino tentare di sciogliersi. Contò mentalmente fino a cinque, deglutì e ruotò il capo in direzione della specchiera. Non vi era alcun riflesso se non la sua sagoma scura, sia Setsuna che Jadeite erano scomparsi.
 
 
***
 
“Hanno messo sottochiave tutta la documentazione questa mattina. Il detective Jadeite è l’unico che può accedervi al momento…”.
Sadao, spalle dritte sul sedile, guidava cauto in mezzo al traffico di punta. Rei non sapeva se lo facesse per tatto nei suoi confronti o meno, ma di certo era una di quelle persone sempre controllate alla guida.
Dall’accaduto, nonostante non volesse ammetterlo nemmeno a se stessa, Rei non riusciva più a tenere le mani sul volante. Così si era fatta venire a prendere dal suo nuovo sottoposto senza sentirsi in colpa di averlo degradato ad autista.
“Non preoccuparti non ti farò passare dei guai col capo” disse la mora guardando distrattamente oltre al vetro la fila di macchine ferme nella corsia a fianco.
“Non ho paura” sentenziò lui con voce ferma “siamo una squadra ora, lo ha detto lei agente Hino”.
Una squadra. Rei non poté fare a meno di pensare che anche con Setsuna e Haruka era stata una squadra e qualche ingranaggio nel loro meccanismo doveva aver fatto cilecca perché avevano perso un membro. Forse Sadao ancora non sapeva che essere un team non portava necessariamente fortuna, ma Rei tenne quel timore per sé; lo soffocò senza esternarlo così come faceva quando doveva fare i conti con la propria perdita.
“E siccome lo siamo…” il ragazzo sorrise trionfante e il suo entusiasmo ne contagiò il tono di voce che da intimidito si fece più squillante, “abbiamo un vantaggio in più”.
“Si, certo. Stiamo andando dal nostro vantaggio” lo interruppe Rei poco in vena di far conversazione.
“No, no non intendo la ragazza. Come ha detto si chiama?”
«Mimì» rispose perentoria lei.
“Non intendo Mimì” Sadao rallentò ed entrò nel parcheggio dell’ospedale attento a sostare senza recare danno ad altre vetture né alla propria.
“Guardi sul sedile posteriore”.
Rei con fare svogliato si sganciò la cintura. Le falangi tremarono a quel gesto e dovette sforzarsi di non rivedere Haruka insanguinata dietro di lei.
Ma ciò che trovò alle sue spalle non fu la bionda. Rei trattenne il respiro e la sua espressione prese le tinte del più profondo stupore.
“Come hai fatto?!”.
Il motore dell’auto tornò a dormire e Sadao la guardò come un cucciolo in attesa dell’approvazione del proprio padrone.
“Sono riuscito a prendere una delle cartelle prima che mi facessero svuotare la sua scrivania. Non c’è molta documentazione, ma è meglio di nulla e loro avranno dei buchi nell’indagine. Credo siano loro quelli svantaggiati, nonostante noi dovremmo essere quelli fuori dal caso…”.
Nonostante la sua ingenuità Sadao era più furbo di quanto si potesse pensare e probabilmente Setsuna lo aveva capito sin dal principio visto che aveva cominciato a mettere sotto torchio proprio lui.
Rei, ancora incredula, gli batté una pacca sulla spalla.
“Ben fatto”.
 
***
 
Superarono le porte automatiche chiedendo all’infermiera di turno dove si trovasse la paziente.
Rei e Sadao salirono in silenzio le scale sino al secondo piano, attraversarono il lungo corridoio impregnato dal pungente odore di alcool e disinfettante, sino a che la giovane tentennò quando la sua attenzione venne catturata da un candido braccio penzolante da una barella posta in corridoio. Il lenzuolo ricopriva l’intera figura, ma riconobbe l’arto come quello appartenente ad una donna dalle unghie ben curate, dipinte di un intenso verde scuro.
Rei sbiancò sentendosi venir meno. Sapeva di averla seppellita, sapeva di aver scelto il vestito per il suo ultimo giorno sulla terra, sapeva di averla stretta fra le braccia prima che anelasse il suo ultimo soffio vitale, eppure, Setsuna era ovunque e si ostinava a perseguitarla.
“Tutto bene?” indagò Sadao con voce tremolante. Gli ospedali non gli erano mai piaciuti, la sola vista degli aghi lo mandava fuori di testa e pensare che Rei potesse svenire da un momento all’altro non lo rendeva più tranquillo.
“S-si”.
Lei dovette farsi forza, mandare giù il nodo in gola, stringere le palpebre e fare un paio di passi in avanti per superare quel corpo senza vita che l’aveva completamente bloccata sul posto.
“Agente Hino…” insistette lui vedendola ancora assente.
“Si, Sadao, dannazione sto arrivando”.
“No, è che…”.
“COSA?!” sbottò Rei sgranando le iridi e prendendo a sudare freddo.
“Ci sono…due energumeni fuori dalla stanza” borbottò con un filo di voce il ragazzo per poi ostentare uno sguardo da cane bastonato e riportarlo subito dopo sui propri piedi.
“Ma che cavolo…” la morettina si concentrò sul nuovo mistero riuscendo così a procedere a passo deciso sino alle due figure imponenti che come guardie piantonavano l’ingresso della camera ospedaliera.
“Agente Hino, fatemi passare!” niente divisa da poliziotti, ma solo due facce da delinquenti che la guardarono con ghigno beffardo.
“Può mostrarci un distintivo, signorina?” il più alto lo domandò con tono derisorio. Allargò la sua smorfia mostrando un paio di denti d’oro e si fece ancora più a scudo dell’entrata.
“Hey, Hey ragazzi. Ma cosa state facendo!?” una voce dall’interno interruppe quella sorta di conversazione.
“Non vi ho detto di essere gentili con le signore?!”.
La zazzera color grano di Haruka spuntò da dietro le spalle dell’uomo che bloccava la via d’entrata a Rei.
“Alla buonora morettina!”.
La ragazza spintonò l’uomo facendosi largo, mentre Sadao chiese il permesso alzando un dito e si ritrovò a fare un balzo all’indietro quando i due lo spaventarono con uno verso gutturale improvviso.
“Cosa ci fai qui?! E questi chi sono?” inquisì Rei.
“Un grazie mai, vero?”.
Haruka le sorrise per poi avviarsi verso la tendina bianca che fungeva da separé con le altre parti della stanza.
“Ho pensato di battere sul tempismo chiunque e di mettere questi bravi ragazzi a fare i cani da guardia. Giusto per rallentare qualche curioso in più ed evitare che qualche bastardo la faccia a pezzi sul serio”.
Rei si trattenne dal controbattere, decidendo di crogiolarsi nella visione di Jadeite intento a convincere con i suoi bei modi i due yakuza a entrare se mai fosse arrivato a trovare Mimì.
Haruka aprì la tenda con uno strattone e rivolse uno sguardo ammaliatore alla giovane accompagnatrice. Rei non poté fare a meno di pensare che Mìmì guardasse Haruka con lo stesso sguardo di un animale riconoscente al proprio padrone per averlo tratto in salvo.  Le fissò meglio in silenzio e scovò qualcosa in più sul loro rapporto. Quella che le si era parata sotto agli occhi non era cieca ubbidienza o gratitudine; quella che Mimì provava nei confronti dell’altra era una profonda devozione. E quando le mani della ragazza ferita si posarono sul dorso di quelle dell’altra, capì che per Mimì doveva essere come toccare il proprio santo protettore.
Rei dovette ammetterlo a sé stessa, quel tipo di rapporto aveva un che di affascinante, eppure dovette simulare uno starnuto che coprisse un principio di risata all’idea di paragonare una persona come Haruka a qualcosa di sacro.
“Lei è l’agente Hino, Mimì”.
Haruka introdusse Rei con garbo e gentilezza lasciandola esterrefatta per un momento da quel comportamento anomalo.
“Ci siamo già conosciute…” Rei tagliò con i convenevoli. “Anzi, scusami per il modo in cui ti ho trattata”. Distolse lo sguardo dall'altra morettina nel pronunciare quelle parole, poiché le sovvenne in mente che Setsuna l’avrebbe costretta a far ammenda.
Mimì ricambiò con un sorriso gentile senza commentare il vecchio episodio che entrambe avevano deciso di lasciarsi alle spalle.
“È certa fossero scagnozzi della regina rossa” disse in tono grave la bionda, sistemandosi con la mano libera un ciuffo che le ricadde sugli occhi cerulei.
“Avevano scoperto che avevo parlato con l’agente Meiō”. Pronunciò quel cognome piano, come se potesse essere un’arma nei confronti di Rei. “Qualcuno deve averci notate. Non so se dei clienti o chi altro. Ma le voci girano in certi ambienti. Stavo per andarmene e lasciare la città ma loro mi hanno anticipata. Non so come altro aiutarvi”.
“È tutto okay, nessuno ti farà più del male. Te lo prometto” le giurò Haruka.
Mimì la guardò riconoscente portando una mano sullo sterno per il dolore. Aveva una gamba e un braccio rotto, oltre a diverse escoriazioni su tutto il corpo e le costole incrinate.
Le sarebbe potuto andare ancora peggio. Pensò Rei  nel guardarla, cercando di mantenere il controllo di sé stessa.
Sarebbe potuta finire come Setsuna, o magari… Cercò di bloccare quel pensiero sul nascere anche se ne conosceva il finale.
Avrebbe preferito ci fosse stata lei al posto di Setsuna. Se c’era da sacrificare qualcuno, avrebbe preferito fosse il testimone e non la sua fidanzata.
Rei avrebbe dovuto inorridire davanti a quel malsano desiderio ma se c’era una cosa che Tokyo le aveva insegnato era che l’umanità non aveva nulla di buono. Nessuno poteva mantenere il candore di un bambino per sempre. In un caso o nell’altro l’animo dell’uomo si sarebbe sempre sporcato, che fosse a causa di un’azione, di pessime intenzioni o di desideri oscuri come quelli.
Rei avrebbe venduto l’anima anche al diavolo per riavere indietro Setsuna.
“Hai capito dove volevano portarti? Hanno parlato di qualche luogo in particolare?” domandò Rei.
La giovane mosse il capo in segno di diniego.
“Intanto dai al pivello questa” la interruppe Haruka porgendole un foglio ripiegato in quatto.
Rei le rivolse un’occhiata interrogativa.
“Sono andata a controllare i posti dove coltivano le piante di Ricino. Pensavo avessi bisogno di una vacanza, così ho fatto i compiti per la scuola io per te. Assieme ad un paio di amici in realtà, ma li ho fatti…”.
Rei passò a Sadao il foglio che lo afferrò con presa salda per poi decidere di conservarlo all’interno della giacca.
“Se non ti dispiace rimarrei ancora un po’”.
“È il tuo lavoro, non il mio…” alzò i palmi in aria Haruka.
“Una sola domanda, come li hai convinti i tuoi scagnozzi?”.
“Il silenzio è una delle poche cose che si può ancora comprare col denaro” le chiarì lei.
Le casse del clan avevano subito un grosso buco, ma in fin dei conti l’Oyabun poteva amministrarle a suo piacimento, o almeno era stato quello il pensiero dell'intrigante yakuza.
 
 
***
 
 
Haruka si lasciò alle spalle il brusio delle quattro infermiere intente a parlare del suo bell’aspetto. Affrontò il freddo del primo inverno con solo una sciarpa e una felpa scura addosso a coprire le spire del dragone che ora le si snodava sulla colonna vertebrale.
Le fauci della bestia, spalancate sulle sue scapole le provocarono una fitta di dolore.
Qualcosa non andava, ma capì immediatemente che era dovuto a qualcosa di più di un malessere fisico, quando due agenti in divisa le si pararono davanti intimandola a fermarsi.
Accennò un saluto con un cenno del capo, ma quando fece per passare oltre le due figure venne bloccata con uno strattone al braccio.
Il drago ruggì silenzioso e il dolore provocatole dall’incidente si accese come una fiammata bruciando ogni singolo nervo del suo corpo.
“Ci segua in centrale”.
Haruka fece appello al suo sarcasmo divincolandosi dalla stretta dello sconosciuto.
“Il mio turno è finito, capo!”.
L’altro non sembrò far bocca da ridere, tutt’altro.
Le bloccò le mani impedendole di estrarre la pistola mentre il collega le puntava addosso una canna nera lucente.
“Wow, ragazzi avete sbagliato canaglia!”.
“Tutto quello che dirai sarà usato contro di te”.
Un paio di manette le andarono ad adornare i polsi come bracciali argentei.
La bionda fece resistenza, ma un calcio sui reni la piegò a mezzo.
Sputò sull’asfalto, invocando aria e cercando di mettere a tacere il dolore lancinante.
“Fai la brava, puttana” le soffio all’orecchio quello che l’aveva ammanettata.
E il dragone sulla pelle le rivelò la verità dei fatti. Qualcuno doveva aver usato la sua stessa moneta. Come aveva detto a Rei, il denaro poteva comprare ancora tante cose tra cui il silenzio. In quel caso, qualcuno si era potuto comprare due agenti di polizia.
Tokyo con un ghigno le aveva appena mostrato un altro lato della corruzione e lei era stata la vittima designata. Ma la regina d’oriente aveva in serbo qualcos’altro, perché nello stesso momento in cui Haruka venne sbattuta sul sedile posteriore della volante, a dieci chilometri di distanza, qualcuno stava riversando la sua vendetta sulle persone a lei care.
 
 
***
 
 
Avevano passato poco più di mezz’ora all’interno dell’atelier di abiti da sposa.
Qualcuno aveva confidato a Michiru che una donna quando trova il proprio vestito lo sente. Capita persino di piangere per la commozione e ci si sente come una vera principessa.
Michiru non ricordava di chi fossero quelle parole, non sapeva se appartenessero al ricordo lontano di sua madre o a qualche amica frequentata ai tempi della scuola. Eppure, se ben fosse scettica su quel tipo di cose, nel fruscio di stoffa bianca di un abito a sirena ritrovò quell’esatta sensazione.
Quell’abito era stato fatto appositamente per lei. Trovò quella certezza nel sospiro di Minako, aggrappata al pouf quadrato nel quale aveva arpionato le unghie e nel riflesso dello specchio.
Nei suoi occhi blu era in procinto lo scatenarsi di una tempesta. Sentì un pizzicore e lo sguardo le si fece liquido.
Michiru però si morse le labbra e s’impedì di cadere nel cliché di chi apre i rubinetti e piange per una cosa simile. Ma l’emozione sbatté ugualmente dentro di lei. Sentì la gioia rivoltarsi nella cassa toracica e il desiderio ardente di farsi vedere da Haruka con addosso quel candido splendore tempestato di gemme scintillanti sulla parte superiore del corpetto.
“L’abbiamo trovato!” sussurrò Minako, per poi scattare in piedi e dire alla commessa di fermare l’abito per la futura sposa.
 
 

Akira tentò di richiamare Haruka. Non aveva intenzione di rimanere un minuto in più tra donne se non fosse stato necessario a fare la spesa per preparare un lauto pranzo.
Il cliente da lei chiamato non è al momento raggiungibile.
Haruka lo stava lasciando affondare in un mare di guai, soprattutto nel momento in cui Minako gli avrebbe domandato la data precisa per le prove dell’abito di Haruka e lui non ne avrebbe avuta una da dire. La dea bendata, però, parve avergli riservato un po’ di fortuna, poiché aveva fatto sì che le due giovani donne appena uscite dal negozio, fossero troppo intente a parlare del tesoro appena scovato nella botique per prestare attenzione a lui.
“Hai già deciso per i fiori?” la voce squillante di Minako si fece sentire, mentre prontamente spuntò dal block notes la voce "abito sposa".
“Non saprei…magari dei gigli?” Michiru cercò il consenso nell’opinione dell’amica e Akira ritentò un’altra chiamata.
“E per il catering?” la bionda incalzò l’altra con un’ulteriore domanda cercando poi sul proprio smartphone una lista dei migliori ristoratori della città.
Michiru allentò il passo specchiandosi per un momento in una vetrina.
Minako la raggiunse e rimase inebetita a fissare la scaffalatura oltre la superficie trasparente.
“Dici che le abbiamo trovate?” domandò poggiandoci poi il naso come un bambino davanti ad una vetrina di dolciumi.
“Credo proprio di sì”.
Akira fece finta di nulla e si bloccò sul marciapiede per digitare un messaggio S.O.S.
“Le scarpe…” sibilò Michiru “penso siano quelle giuste”.
“Che facciamo? Entriamo e le provi?”.
“Penso sia la cosa giusta da fare”.
Donne. Capaci di perdere il senno con una carta di credito non appena avvistano un capo d’abbigliamento o un accessorio. Akira non se ne capacitava e continuava a scuotere la testa nel frangente di quei pochi secondi in cui le parole venivano digitate sul display del cellulare.
Una vettura rallentò, accostandosi lungo il marciapiede.
 Michiru rise di gusto e Minako le posò una mano sulla spalla.
Un bambino andò a sbattere contro Akira spiaccicandogli contro i pantaloni una scatolina piena di mochi al tè verde.
La madre del monello si scusò con numerosi inchini e il ragazzo si piegò sulle ginocchia rassicurando il bambino per il piccolo danno appena commesso.
Il suo tatuaggio era coperto da una giacca sportiva e il viso pulito dalla barba e privo di cicatrici non lasciava intravedere il suo status di delinquente.
Michiru e Minako fecero dietro front, Michiru posò una mano sulla maniglia del negozio guardando la bionda intenta a sventolare vittoriosa la lista da lei stilata.
Una goccia dall’alto scivolò sulla guancia di Minako costringendola a portarsi una mano sul viso.
La bionda guardò verso l’alto. Il cielo era divenuto plumbeo e Michiru la imitò fermandosi sul gradino.
“Sta per piovere…” constatò ad alta voce.
Qualcuno le afferrò il polso. Una mano destra orfana di un dito riuscì a trascinarla giù dal marciapiede.
Dejà vù.
Michiru era tornata indietro nel tempo in un solo istante. Il presente si era ripiegato su se stesso per farle rivivere l’inferno una seconda volta.
La sua voce raggiunse Minako che scattò in avanti per raggiungerla.
Tokyo liberò la sua furia con un boato. La pioggia bagnò i capelli di Akira, del bambino e il vestito della propria ragazza.
Michiru gridò, ma Ken Azuma, il fantasma di Daisuke, le tappò prontamente la bocca. La sua voce si disperse nel frastuono dei clacson e nello scrosciare della pioggia.
Akira si rialzò, voltò il capo in direzione di Minako che si scontrò con un altro uomo apparentemente spuntato dal nulla. Lo sconosciuto era sceso dalla vettura, le era andato incontro e quando la giovane fece per scansarlo una lama fredda le impedì di continuare la sua corsa insidiandosi nel tessuto del suo vestito.
Una chiazza rossa, dapprima acquerello e poi sempre più scura le macchiò l’addome. Minako spalancò le labbra portandosi le mani sul fianco deturpato per tamponare la ferita.
Il suo block notes toccò l’asfalto con un rimbalzo finendo in una pozzanghera dove l’inchiostro delle sue parole si disperse nel nulla.
Michiru morse la mano all’uomo e riuscì ad invocare il nome di Minako all’unisono con la voce di Akira.
Il moro preso da una cieca furia tirò un cazzotto all’aggressore.
Qualcuno si tappò la bocca dietro alle vetrine ben allestite scioccato da tutta la scena.
Minako cadde sulle ginocchia e senza rendersene conto cominciò a piangere.
Akira assestò un altro colpo all’uomo, lo disarmò e lo ripagò con la stessa moneta. Gli fece assaggiare la medesima lama spingendogliela nelle carni con un verso tanto rauco da sembrare appartenente ad una belva più che a un essere umano. Si precipitò da Minako, nel modo più veloce in cui le gambe gli permisero di raggiungerla, mentre Michiru scalciò ancora una volta venendo trascinata all’interno della macchina.
“Occhio per occhio” fu il sussurro di Ken Azuma prima di avvicinarle al viso un fazzoletto impregnato di un liquido di cui aveva memoria.
Cloroformio, odore inconfondibile.
I secondi stavano correndo troppo veloci per ognuno di loro.
Michiru vide le braccia di Akira stringersi attorno alla vita di Minako che precipitò col capo reclinato sulla sua spalla; poi tutto si fece più confuso.
La vista le sbiadì e ripensò al suo primo incontro con Haruka.
Il furgone, la pioggia, le sue mani, la guida di Akira e poi il nulla.
Déja vù.
Ma questa volta non si trattava di riscatto, era una vendetta.



Note dell'autrice:
Chiedo venia per l'attesa. E' passato tantissimo dallo scorso aggiornamento ma sono contenta di essere riuscita finalmente a completare il capitolo per farvelo leggere. Ormai siamo alla resa dei conti, non manca molto alla risoluzione di tutto quanto e al finale della storia. Ringrazio tutti i lettori che nonostante gli anni, il tempo e la mia lentezza sono ancora qui a seguire le avventure (e le sfighe) di questi protagonisti. Come sempre sarò ben felice di rispondere ad eventuali domande, scleri e a chi avrà la pazienza e la voglia di lasciarmi la propria opinione. Mi fate sempre crescere un pò con i vostri consigli.
Spero che anche l'ultimo pezzo della storia risulti ben leggebile. Volevo rendere la scena dinamica e veloce quindi ho optato per frasi breve e concise mettendoci nel mezzo anche lo scenario che stava attorniando Akira, Michiru e Minako. And so...non so che altro dire. Probabilemente un giorno revisionerò l'intera storia per renderla più scorrevole e priva di errori. Nonostante rilegga e corregga ne ritrovo sempre ogni volta.
Un abbraccione!

Kat
 
 
 
 
   
 
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