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Autore: LadyCrow07_    07/12/2016    3 recensioni
"A questo punto, distinguere tra le due realtà era diventato sempre più complicato.
Ogni sera, prima di andare a dormire, Kei sperava disperatamente di dimenticarsi degli sguardi che, in un’altra vita, si erano lanciati, pieni di incertezza e imbarazzo; sperava di dimenticarsi di quelle parole sussurrate che si erano rivolti con naturalezza, come se non ci fosse al mondo nulla di più semplice che amarsi, o delle carezze, o degli istanti che avevano preceduto il loro primo bacio, o la prima volta in cui Tadashi era stato veramente suo."
Reincarnation!AU
Questa storia partecipa al contest "Christmas Game - Puzzle Time" a cura di Fanwriter.it!
Parole: 1592
Prompt: A e B sono reincarnazioni... ma solo uno se ne ricorda.
Genere: Fluff, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Kei Tsukishima, Tadashi Yamaguchi
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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The hardest thing
 
A Roberta,
 perché ho davvero sclerato troppo con te,
 e quindi è giusto dedicartela.

Tsukishima aveva iniziato a ricordare nel momento stesso in cui, sette anni prima, il suo sguardo aveva incontrato per la prima volta quello spaventato e liquido di pianto di Yamaguchi.
Kei non era mai rimasto particolarmente affascinato, o colpito da qualcuno, eppure, per qualche strano motivo, i suoi occhi erano stati totalmente incapaci di guardare altrove.
C’era qualcosa di strano, in quel ragazzino, aveva pensato inizialmente Kei. Quel corpo esile, quel nasino all’insù, quei capelli disastrosi, quegli occhi castani …
 Tutto, in lui,  aveva l’aria di far parte di un ricordo mai vissuto, un sogno troppo reale, ma al contempo, dolorosamente impalpabile.
Tsukishima aveva esitato un paio di secondi, i piedi ancorati al pavimento, tentando invano di recuperare frammenti di un ricordo che sentiva essere suo, lottando per riappropriarsi di qualcosa che non gli apparteneva del tutto.
Ricordare era stato semplice, quasi elementare: Kei aveva semplicemente sentito la sua mente farsi carico di una serie di scene che non aveva mai vissuto.
Lui le aveva esaminate, una ad una, in quella manciata di secondi che contenevano una vita intera. Era stato difficile darvi un senso, all’inizio: Kei aveva continuato a tenere lo sguardo fisso su quel bambino, tentando disperatamente di comprendere  che connessione ci fosse tra quel tipetto patetico e quello che popolava i suoi ricordi.
Gli occhi erano gli stessi, senza alcuna ombra di dubbio. Tsukishima non avrebbe mai potuto confonderli con altri, ne era certo. Avrebbe riconosciuto ovunque quelle ciglia scure e lunghe, che facevano da schermo alle iridi castane, o anche solo quello sguardo, pieno di paura, ma intrinseco di un irremovibile orgoglio. Uno sguardo troppo forte, troppo intenso, per un corpo così esile e fragile.
Tutto, in Yamaguchi Tadashi, era straordinariamente simile al bambino druido che, in quella vita mai vissuta, Kei aveva avuto al suo fianco, in un’amicizia indissolubile vincolata  prima dal terribile segreto sulla vera identità del ragazzino, dalla necessità di tenere nascosta la magia che gli scorreva nelle vene, poi, da quel sentimento nascente che aveva travolto entrambi.
Tutto, proprio tutto, a parte quella miriade di puntini che gli costellavano il viso.
Kei aveva iniziato ad odiarle più di quanto non facesse lo stesso Yamaguchi, quelle dannate lentiggini.
Non ci sarebbero dovute essere, continuava a ripetersi, mentre si ritrovava più e più volte a contarle, o a scoprire le mille figure che tracciavano sul volto dell’altro .
Un’imperfezione, ecco cos’erano.
 Kei non poteva fare a meno di osservarle con insistenza, di chiedersi perché diavolo deturpassero il viso del suo Tadashi, di domandarsi perché dovessero esistere e basta.

Odiare Yamaguchi era stato decisamente facile, all’inizio.
Era stato straordinariamente semplice convincersi di detestare quegli occhi, quella voce, quei capelli, quel Tadashi.
 Yamaguchi, poi, tormentato da quelle insicurezze che gli lambivano la mente, dava poca importanza alle risposte acide dell’altro, o allo sguardo pieno di disgusto ed indifferenza che segnava il suo volto, e finiva sempre per scusarsi, con quel suo “scusa, Tsukki” ripetuto quasi come una cantilena, e ad avvicinarsi un po’ di più, terrorizzato all’idea di perdere l’unico vero amico che avesse mai avuto.
Era stato anche facile, per Kei, fingere che la presenza dell’altro gli fosse del tutto indifferente, o che non fosse dannatamente difficile stargli vicino e non detestare quelle lentiggini, o quel sorriso, o quella mente, la cui unica colpa era quella di non ricordare assolutamente nulla.
La prima volta che aveva avuto il coraggio di parlare della loro vecchia vita, convinto che l’altro tacesse a riguardo solo per imbarazzo, Tadashi gli aveva lanciato uno sguardo confuso, dubbioso, e Tsukishima aveva immediatamente compreso.
Ci aveva fatto l’abitudine, col tempo, a quella vita. Si era costretto ad erigere una barriera tra le due esistenze parallele alle quali doveva far fronte, separando con cura maniacale tutto ciò che era e tutto ciò che invece era stato.
Lui non era il principe di Camelot, ad esempio, e Yamaguchi non era un bambino druido sfuggito dalle mani dei cacciatori di taglie e catapultato in una realtà in cui la magia era punibile con la morte.
 Quello non era altro che un ricordo di una vita passata, così come erano un ricordo le mille notti in cui Tadashi si svegliava urlando, le lacrime copiose sul volto assolutamente privo di lentiggini e, con la vocetta tremante di paura, chiedeva a Kei di dormire con lui, solo per quella notte. Erano un ricordo anche le manine strette tra di loro, oppure quella coroncina di fiori selvatici che, tanto tempo prima, Yamaguchi aveva intrecciato e che Kei aveva finto di disprezzare, conservandola invece dentro un portagioie di legno scuro.
Era stato semplice, all’inizio, porre una distinzione tra questi ricordi semplici, pieni di quella magia che appartiene solo all’infanzia, e la realtà.

La parte difficile, però, era venuta dopo, con l’arrivare dell’adolescenza e della consapevolezza di essere drasticamente, ineluttabilmente innamorato di Yamaguchi Tadashi.
A questo punto, distinguere tra le due realtà era diventato sempre più complicato.
Ogni sera, prima di andare a dormire, Kei sperava disperatamente di dimenticarsi degli sguardi che, in un’altra vita, si erano lanciati, pieni di incertezza e imbarazzo; sperava di dimenticarsi di quelle parole sussurrate che si erano rivolti con naturalezza, come se non ci fosse al mondo nulla di più semplice che amarsi, o delle carezze, o degli istanti che avevano preceduto il loro primo bacio, o la prima volta in cui Tadashi era stato veramente suo.
Era stato difficile costringersi ad accettare che la realtà era un’altra, soprattutto quando rifugiarsi in quei ricordi sarebbe stato semplice come respirare.

Ogni mattina, prima di percorrere con Yamaguchi la strada per arrivare alla Karasuno, si ripeteva che no, non sarebbe successo nulla tra lui e Tadashi, che non doveva nemmeno sperarci.
Si ripeteva che no, quegli occhi castani davvero non gli facevano provare nulla; che no, quei capelli perennemente disordinati non gli facevano assolutamente desiderare di affondarvi dita e naso e aspirarne l’odore.
E, ovviamente, quelle lentiggini –che aveva odiato così a lungo da disprezzarle per semplice abitudine- non somigliavano affatto ad una spruzzata di stelle e lui non desiderava assolutamente passavi le dita sopra per ore, fino a scoprirne  i più piccoli disegni.
E poi, una tranquilla sera invernale, Tsukishima Kei era esploso, proprio come uno di quei petardi che colorano il cielo notturno del primo dell’anno.
Il punto è che, forse, invitare Yamaguchi a passare la notte a casa sua non era stata un’idea brillante, considerando tutto ciò che Tsukishima non avrebbe assolutamente voluto fare all’amico e che non avrebbe sicuramente fatto.
E così Kei aveva tentato, ancora una volta, di imporre il confine tra ciò che era vero e non e, ancora una volta, aveva fallito. Aveva tenuto gli occhi fissi su Tadashi praticamente ogni minuto, tentando di imprimere a fuoco nella memoria ogni singolo dettaglio e domandandosi per quale motivo al mondo si fosse follemente innamorato di lui.
Era bastato un attimo, poi.
Un sorriso, uno “scusa, Tsukki”, un’occhiata di troppo a quelle labbra sottili così invitanti, e Tsukishima Kei aveva semplicemente mandato al diavolo tutto e si era avventato sull’amico e lo aveva baciato.
Era stato completamente diverso dal loro primo bacio, quello di cui solo Kei conservava qualche ricordo: se quello era stato un incontro di labbra scoordinato, dettato dalla paura di essere scoperti e da quello strano senso di urgenza che avvertivano avvolgergli il cuore, questo era stato qualcosa di più lento, incerto.
Kei aveva baciato Yamaguchi con il cuore sulle labbra, e glielo aveva donato una volta per tutte, sebbene fosse già suo da tempo.
Sostenere lo sguardo confuso di Yamaguchi, anche solo avere l’ardire di incontrarlo era stata la cosa più difficile che Tsukishima avesse mai fatto.
Kei aveva cercato disperatamente una risposta in quelle iridi castane, in quel rossore dilagante che aveva crudelmente preso possesso delle guance dell’amico, e poi aveva ingloriosamente abbassato lo sguardo, dopo aver borbottato un flebile “Scusa, Yamaguchi”.
Il silenzio si era impossessato dell’aria notturna, così palpabile da poter essere tagliato con un coltello e Kei aveva tenuto gli occhi ancorati al pavimento, come se le tegole consunte del parquet fossero la cosa più interessante al mondo, pienamente convinto di aver commesso il più grande errore della sua vita.
 E poi, in un attimo, la voce squillante di Yamaguchi gli era giunta alle orecchie, con uno “Stai zitto, Tsukki” decisamente troppo acuto, e Kei aveva osato guardare l’amico negli occhi e le loro labbra erano diventate di nuovo una cosa sola e Dio, Tadashi mi sta  davvero baciando.
 
Sì, era stato tutto decisamente troppo difficile, eppure, baciare Yamaguchi era stata, senza ombra di dubbio, la cosa più semplice che avesse mai fatto.
                                                                                                        
 
 
Note della pesudo-autrice:
Ciao a tutti, grazie per essere arrivati fino in fondo! E’ la prima volta che scrivo qualcosa su Haikyuu!! E, ovviamente, non potevo non iniziare da una delle mie due Otp supreme, la Tsukkiyama! Niente da fare, questi due cuties mi hanno davvero rubato il cuore :’).
Spero che vi sia piaciuta quanto a me è piaciuto scriverla! Mi raccomando, se avete qualche consiglio, qualche critica costruttiva, o qualche domanda, lasciatemi un recensione!
Grazie ancora per aver letto! J
NanoDiBurro_
   
 
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