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Autore: Trailunwinki    07/12/2016    1 recensioni
Dopo il matrimonio e la nascita della piccola Watson, tutto sembrava essere tornato alla normalità. Ma non è così, perché tra un caso intrigante e un pomeriggio insieme a una bambina di un anno, Sherlock si ritrova a dover risolvere una questione rimasta in sospeso per troppo tempo.
Sarà pronto ad accettare ciò che ne conseguirà?
Genere: Generale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: John Watson, Mary Morstan, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Una serata alquanto ordinaria
 
E dopo l’ennesima giornata di lavoro, si trovarono nuovamente nella piccola cucina di Baker Street.
Era ormai un'abitudine che due volte a settimana la famiglia Watson si fermasse a cena dal detective. All’inizio la situazione non era stata delle più facili, ma alla fine i due uomini avevano dovuto cedere davanti all’insistenza della giovane neomamma Mary Morstan.  
Così era passato più di un anno e mezzo.
Un anno da quando c’era stato il presunto ritorno di Moriarty.
Un anno da quando era nata Elisabeth.
Un anno da quando Sherlock aveva rischiato un’overdose.
Capitolo della sua vita che sembrava chiuso, o almeno si sperava lo fosse.
Per questo erano nate le serate a Baker Street: per non lasciare il famoso consulente investigativo solo, per farlo sentire come se niente fosse cambiato, che tutto fosse rimasto ai tempi in cui erano loro due "contro il resto del mondo”. Però per quanto, sia Sherlock che John, facessero finta che tutto fosse tornato alla normalità la loro non era che una mera illusione. Infatti il detective passava la maggior parte del tempo in silenzio, era sfuggente, dormiva e mangiava meno di prima, ma soprattutto non si esibiva più come un tempo davanti alla polizia con il suo modo di fare melodrammatico e strafottente. Forse per Sherlock era solamente un periodo difficile, forse l’astinenza da sostanze stupefacenti lo faceva diventare un po’ più chiuso in se' stesso, plausibile; ma il dottore era certo che la causa principale del suo malessere fosse il fatto che John non era in grado di affidarsi e fidarsi completate di lui.
Sì perché, per quanto Mary cercasse di tranquillizzare il marito, dicendogli che non sarebbe successo nulla, il pensiero di lasciare Sherlock solo con la sua piccolina lo faceva impazzire.
La cosa curiosa è che John Watson era pronto a gettarsi tra le fiamme dell’inferno per lui, a uccidere chiunque minacciasse la vita del detective, eppure ogni volta che Sherlock aveva in braccio Elisabeth, John tratteneva il fiato, terrorizzato per l’incolumità della bambina.
Perché dopotutto era di Sherlock che si stava parlando.
Lo Sherlock che si metteva a suonare il violino alle tre di notte.
Lo Sherlock che faceva esperimenti di ogni genere sul tavolo della cucina.
Lo Sherlock che nel frigo teneva cibo (cibo?) insieme a dita e teste umane per studi di oscura natura.
E soprattutto lo Sherlock che in preda alla noia poteva sparare contro la tappezzeria della casa disegnando una faccina, arpionare un maiale morto, oppure fare qualunque cosa gli passasse per la testa per tenersi occupato.
In aggiunta, per quanto il detective si sentisse un po’ ferito della cosa, in realtà non sembrava completamente a suo agio quando quel fagottino girava per l’appartamento: la osservava come fosse un bomba pronta ad esplodere da un momento all’altro. Quindi i dubbi del dottore erano sempre più fondati: Sherlock non era assolutamente tagliato per fare da babysitter.
Quella sera invece il detective era troppo preso anche per accorgersi della presenza della piccola Elisabeth seduta tra le gambe della madre. Infatti di fronte alla parete del divano, dove erano state poste foto, articoli e note riguardanti il caso, Sherlock borbottava qualcosa tra se’.
John, dal canto suo, se ne stava seduto sulla poltrona rossa in uno stato di dormiveglia: era oramai da qualche tempo, per essere precisi più o meno da quando era nata Elisabeth, che il dottore non solo assisteva il detective durante le sue indagini, ma aveva anche un lavoro regolare come medico al St Bartholomew's Hospital (W Smithfield, London EC1A 7BE). Il risultato? Ogni sera era più stanco della precedente.
Per questa ragione ci mise più del necessario per accorgersi che la candida camicia del detective era macchiata sull’avambraccio destro.
_Sherlock quella macchia da dove salta fuori?_ chiese lui alzandosi barcollando dalla poltrona.
Il detective, dopo una trentina di secondi, capì che John stesse parlando con lui.
_Cosa stai dicendo?_ rispose.
_Certo, fai il finto tonto signor Holmes_ gli afferrò con fare decido il gomito _Sto parlando di questo Sherlock.
_Non è niente John, mi stai disturbando_ rispose secco lui.
_Me lo avevi promesso Sherlock, lo avevi giurato_ disse il medico abbassando il tono.
_Per l’amor del cielo John sempre la stessa storia. Sei come mio fratello_ gridò.
_Per una buona volta nella tua vita potresti fidarti di quello che ti dico? E comunque, qualsiasi cosa sia, non sono affari tuoi.
_Ehi, cosa diamine vorresti dire con questo? Io...
L’orologio batté le nove risuonando per tutto il salotto.
_Bene_ cominciò Mary _salvati da un orologio.
La donna si alzò prendendo la piccola in braccio: _E’ l’ora della nanna peste, domani ci aspetta una nuova giornata.
La bimba sbuffò in risposta ma la madre non le diede possibilità di lamentarsi: quella sera c’erano già abbastanza mocciosi capricciosi nella sala.
Prese per mano il marito e lo allontanò dal detective che era nuovamente ricaduto nel suo stato quasi catatonico davanti alla prove del caso.
_John dai, è tardi. Lo sai che è fatto così_ gli sussurrò all’orecchio.
_Lo so Mary, ma quando si parla di lui e di quel suo maledetto vizio perdo completamente il controllo_ ringhiò stringendo i pugni nelle tasche dei pantaloni.
 _ Si ti conosco troppo bene mio caro; ma siamo tutti stanchi e spossati. Quindi non credi che sia saggio rimandare questa discussione a domani?
Sbuffò visibilmente guardandosi la punta delle scarpe.
_Si forse hai ragione tu. Comunque a proposito di domani, ho dovuto fare un cambio di turno al lavoro e quindi nel pomeriggio non riesco a passare a prendere la bambina all’asilo. Non puoi andarci tu?
_Ma John non ti ricordi più? Ti ho ripetuto almeno un migliaio di volte che uscivo con Molly e avevo una visita dall’oculista.
Sembrava che quella sera nulla filasse per il verso giusto.
_Mary cara, ho un mal di testa terribile e domani devo svegliarmi presto per andare al lavoro, non è meglio rimandare anche questa conversazione a domani mattina? Dopotutto, come hai sottolineato tu, siamo tutti stanchi e spossati.
Le diede un bacio sulla fronte cercando di fare la faccia più colpevole possibile; poi sorrise guardando la figlia: _Guarda ha le palpebre che cadono. Portala di sopra, così almeno sarà più tranquilla.
_Va bene, ci vediamo tra poco_ rispose lei.
La donna si voltò verso la porta, fece in modo che Elisabeth desse un bacio sulla guancia ad un indaffaratissimo Sherlock e poi sparì su per le scale.
John allora si diresse in cucina avvicinandosi a una delle sedie del tavolo.
_Organizzarsi per andare a prendere Elisabeth sembra sempre più difficile che pianificare un assalto alle truppe afgane.
Sapeva benissimo che Sherlock faceva come se in quel momento lui non esistesse, forse per il suo modo di fare, oppure perché si sentiva offeso. In ogni caso ormai il dottore aveva imparato a sopportare qualsiasi cosa lo riguardasse.
Certe volte lo invidiava per la sua grande capacità di concentrazione: era in grado di cancellare ogni cosa lo circondasse e focalizzarsi su un unico obiettivo dimenticando anche ciò che era davvero importante al di fuori del suo lavoro investigativo.
Però John non era come Sherlock, non poteva smettere di pensare. Quindi l'unica soluzione era lavorare, lavorare e lavorare ancora fino a quando la stanchezza non avrebbe cancellato tutto abbandonandolo a un sonno, forse non ristoratore, ma almeno senza incubi.
Così si mise a sparecchiare gli ultimi piatti rimasti della cena e a lavarli nel lavandino alle sue spalle. Dopo aver asciugato e riposto le stoviglie nei loro ripiani tornò verso la sua poltrona distrutto, ma almeno più tranquillo di prima.
Si staccò l'orologio dal polso e prima di appoggiarlo sul tavolino gli diede un ultimo sguardo: le 9.40 pm
_Ho il dubbio che Elisabeth non sia l'unica addormentata al piano di sopra_ sorrise.
_ Più tardi andrò a chiamare Mary per tornare a casa_ e così si appoggiò allo schienale chiudendo gli occhi.
Solo allora Sherlock aprì bocca: _Se vuoi vado io.
_Cosa? A chiamare Mary? Senti Sherlock se sei arrabbiato e vuoi che ce ne andiamo per quello che è successo prima mi dispiace. Lo sai che mi preoccupo per te.
_Lo so_ continuò il detective rimanendo rivolto alla parete _ ma non volevo dire questo.
Fece una pausa.
_ Se hai bisogno che qualcuno vada a prendere Elisabeth, ci vado io.
John non voleva rispondere in quel momento, non era più tanto lucido ed aveva paura che qualsiasi cosa avrebbe detto potesse suonar alquanto scortese. Così tra uno sbadiglio e l'altro, con gli occhi più chiusi che aperti farfugliò un "Si,si" girandosi sull'altro lato.
Per poi addormentarsi.

  
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