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Autore: BrokebackGotUsGood    08/12/2016    4 recensioni
In cambio di dettagli su un caso particolarmente intrigante, Sherlock, seppur inizialmente riluttante, si ritrova ad accettare di vedere uno psicologo, scelta che Mycroft, preoccupato per le condizioni del fratello, ritiene necessaria.
Nessuno degli esperti contattati dal maggiore degli Holmes, però, sembra essere intenzionato ad andare oltre la prima seduta.
Nessuno...tranne uno.
[Johnlock]
Ispirata al film ''Good Will Hunting''
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Mycroft Holmes, Sherlock Holmes
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Alla fine ce l'ho fatta ad aggiornare anche questa storia, non ci credo. :')
Mi scuso ancora una volta per la mia insopportabile lentezza, ma a parte questo non ho molto da dire, se non che da adesso in poi i dialoghi ispirati o tratti dal film saranno seguiti da un asterisco.
Buona lettura....spero. <3


 

Capitolo II
 



 

«Devo ammettere che mi ha sorpreso, John. Pensavo non sarebbe stato disposto ad andare avanti con le sedute».
Sherlock si tolse il cappotto e si sedette sulla sedia a lui riservata, e il professore, che si stava affrettando a riporre alcuni documenti in un piccolo armadio, si voltò con aria incuriosita. 
«Perché? Credeva di avermi spaventato?» 
«O quantomeno suscitato la sua ira».
John ridacchiò e raggiunse la sua sedia. «Beh, non nego di aver provato un irrefrenabile desiderio di prenderla a pugni. Ma sarebbe stato decisamente poco professionale, non crede?».
Il moro fece un breve sorriso e lo guardò con curioso interesse, seguendo i suoi movimenti mentre prendeva posto e trovava una posizione confortevole.
«Si comporta così con tutti, quindi? Voglio dire, deduce la vita di una persona, ricavandone dettagli che la persona in questione preferirebbe non venissero alla luce, nel tentativo di allontanarla?»
«Io mi limito ad osservare, sono le persone ad allontanarsi di loro iniziativa. Come se le loro relazioni segrete, i loro fallimenti o gli spiacevoli eventi della loro esistenza fossero colpa mia. Non è niente per cui valga la pena rammaricarsi, comunque: sono tutti degli idioti».
Il professore rise sommessamente e sollevò le sopracciglia, pensando che nonostante anche Mycroft si ritenesse superiore al resto dell'umanità, non lo aveva mai dichiarato così esplicitamente. «Oh, beh, la ringrazio»
«Ma lei non si è allontanato».
Non aspettandosi quella risposta, John tornò serio, piantando gli occhi su quelli di Sherlock per un lungo e silenzioso istante.
Nessuno dei due seppe definire cosa passò esattamente in quello sguardo: forse una giocosa sfida, o forse semplicemente l'inizio di una reciproca conoscenza interiore.
«Perché fa uso di droghe?» chiese il professore, rompendo il silenzio.
Il paziente, che da quella frase capì che John a quel punto si era reso conto che con lui non ci sarebbe stato alcun bisogno di essere delicati, non riuscì a trattenere un sorrisino compiaciuto.
Ma non rispose.
Prese a guardarsi intorno, facendo scorrere lo sguardo dai piccoli (e orrendi) quadri appesi alle pareti agli scaffali pieni di libri; si alzò e si avvicinò lentamente ad essi per leggerne i titoli con sguardo critico e scrutatore.
«"Storia degli Stati Uniti, Volume 1"*. Le è di qualche utilità leggere...» prese il libro e lo sfogliò, arrivando alle ultime pagine per constatarne il numero «...1123 pagine di nomi e date?».
John accavallò le gambe e alzò le spalle. «La storia mi ha sempre affascinato»
«Non è la risposta alla mia domanda»
«Che cosa...intende con "le è di qualche utilità"?».
Sherlock tornò al suo posto, piantando il suo sguardo gelido su quello più scuro ed espressivo del professore. «Le è mai servito nella vita? Le ha mai portato qualche vantaggio in circostanze pericolose? Le è mai stato d'aiuto per raggiungere i suoi obiettivi?».
John, confuso, aggrottò la fronte e scosse leggermente la testa. «È semplicemente un interesse, non deve necessariamen...mi è di utilità morale, ecco»
«Noioso».
John arricciò le labbra (un gesto che faceva spesso, notò Sherlock) e, dopo aver posizionato il gomito sul bracciolo della sua sedia, appoggiò il mento sul palmo della mano. «Lei dice?»
«Vi riempite tutti la testa di inutile spazzatura, ignorando ciò che invece può rivelarsi veramente importante»
«Quindi lei mi sta dicendo...che non si interessa di nient'altro al di fuori di esperimenti e delitti?»
«Tutto ciò che conta per me è il lavoro. Il resto è solo distrazione e mi rallenta».
Il professore annuì lentamente, per poi abbassare gli occhi su un punto indefinito con aria pensierosa, mentre Sherlock prese a guardare distrattamente fuori dalla finestra dietro la scrivania.
«Quindi non ha nemmeno...una ragazza?».
Il moro spostò lo sguardo verso di lui solo per un millesimo di secondo.
«Ragazza? No, non è esattamente il mio campo» rispose con tono basso e stranamente pacato.
L'altro annuì di nuovo. «Mh». 
Gli ci volle qualche secondo per rendersi conto del significato che quella frase avrebbe potuto nascondere, e quando lo capì tornò a guardare il suo paziente con curiosità, mista a un briciolo di sorpresa. «Oh. D'accordo. Ha un ragazzo, allora?».
A quel punto Sherlock si voltò, guardandolo con circospezione.
«Va bene comunque»
«Lo so che va bene».
John sorrise gentilmente, cosa che però non aiutò molto a smorzare la tensione inevitabilmente creatasi. «Quindi ha un ragazzo?»
«No»
«Va bene, ok».
Sherlock, insospettito, lo guardò inumidirsi le labbra e abbassare poi lo sguardo con malcelato imbarazzo, accentuato da un successivo schiarimento di voce.
Come aveva potuto non pensarci prima? 
John era un ex soldato, abituato alla sola presenza di persone di sesso maschile, e negli eserciti non era insolito che determinati istinti prendessero il sopravvento; più volte il suo sguardo si era soffermato sul collo diafano del detective, lasciato in bella mostra a causa dell'assenza della sciarpa blu che era solito indossare (indizio debole ma da tenere comunque in considerazione); Mycroft gli aveva raccontato che John non era mai stato incline a parlare dei suoi genitori, probabilmente a causa di un rapporto burrascoso, e aveva senso: era sulla quarantina, quindi cresciuto negli anni '80, dove la diffusione dell'AIDS aveva dato vita a oppressivi pensieri e atteggiamenti omofobi.
Problemi di fiducia.
Bisessuale represso.
Era interessato a lui? Aveva appena...tastato il terreno? Non era una violazione del rapporto analista/paziente? 
Tecnicamente no, non lo era. La professione di John non comprendeva le sedute e questa per lui era un'eccezione, inoltre, per sua scelta, non veniva nemmeno pagato da Mycroft. 
«Non ha risposto alla mia domanda iniziale, in ogni caso» disse l'oggetto della sua analisi dopo qualche istante di silenzio, interrompendo l'inarrestabile flusso dei suoi pensieri e intrecciando le mani sul grembo.
«Perché faccio uso di droghe?»
«Esattamente. Lei non vuole essere...rallentato da nulla, a quanto ho capito. Quindi perché?».
Sherlock inspirò. «La droga non mi rallenta, a dire il vero. Anzi, è uno stimolo alquanto efficace, mi è d'aiuto quando devo immergermi nel mio palazzo mentale durante le indagini»
«Sa che può essere estremamente dannoso?»
«So calcolare le dosi»
«Eppure di recente è stato più volte vicino all'overdose».
Il moro roteò gli occhi ed espirò rumorosamente. «Era per un caso» disse, scandendo ogni parola.
John annuì, anche se non del tutto convinto, e si inumidì le labbra; poi prese il suo block notes dalla scrivania e scribacchiò velocemente qualche appunto.
Forse era meglio affrontare quell'argomento più avanti, pensò: era una faccenda che necessitava di particolare attenzione e, nonostante non fosse un esperto per quanto riguardava il crimine, era certo che un caso non fosse abbastanza per giustificare un'overdose.
«Che mi dice, invece...» finì di scrivere, posando il blocchetto sulle ginocchia e su di esso la penna. «...riguardo al frustare i cadaveri?».
Il più giovane, divertito, sollevò un angolo della bocca. «Temo proprio che Mycroft sia dell'idea alquanto ridicola che sia il mio nuovo modo di sfogare una sorta di rabbia repressa»
«Non è così?»
«Nelle ultime settimane ho seguito un caso per il quale mi serviva sapere quali ematomi si formano a venti minuti dalla morte. Non è di certo un mio passatempo».
Il professore (che sembrava sollevato dall'ultima affermazione) scrisse ancora qualcosa, per poi fissare il foglio in silenzio con aria assorta.
«Sta valutando se ritenermi uno psicopatico?».
A quella frase si riscosse e alzò lo sguardo sul detective, la fronte leggermente aggrottata. «Perché? È questa la conclusione a cui sono giunti gli altri terapisti?»
«Soprattutto durante la mia adolescenza»
«Beh, no, non è a quello che pensavo. Certo, devo ammettere che lei è piuttosto...fuori dall'ordinario, ma mi sembra un po' affrettato formulare certe ipotesi».
John era quello giusto, ormai Sherlock se ne stava convincendo.
Poteva non essere la mente più brillante in circolazione, ma era riuscito ad attirare la curiosità e l'interesse del più giovane in sole due sedute, e il fatto che, come Mycroft aveva previsto, riuscisse a sopportare la sua indole arrogante con una certa abilità giocava decisamente a suo favore.
Sherlock non credeva che John sarebbe riuscito a cambiarlo, questo no. Non sarebbe diventato magicamente...come tutti gli altri.
Ma forse avrebbe potuto trovare in lui la prima persona che avesse mai realmente apprezzato in tutta la sua vita.
Il professore, invece, non riusciva ad inquadrare il suo strano paziente.
La mancanza di amici di quest'ultimo sembrava aver trovato una spiegazione nel fatto che tutti fossero spaventati dalle sue impressionanti capacità deduttive o, altra ipotesi più che probabile, dalla vita che conduceva; era anche vero, però, che non era una situazione a senso unico, perché lui decisamente non si sforzava di piacere alle persone: doveva esserci una ragione specifica che lo spingeva ad assumere determinati aggettamenti e che lo aveva portato alla ferma convinzione che tutto ciò che non riguardava il suo lavoro fosse uno svantaggio.
Una ragione da ricercare sicuramente nel profondo del suo passato.
Avrebbe dovuto avere pazienza.
«Pensavo solo al fatto che dovrò lavorare precchio» disse sinceramente, passandosi la lingua sull'interno della guancia. «È difficile farsi un'idea su di lei»
«Pensavo che saper leggere nell'animo umano facesse parte del suo lavoro»
«Beh, io insegno questa roba, non ho mai detto di saperla fare*».
Sherlock fece una breve e sommessa risata e abbassò lo sguardo sul block notes di John, con un'idea folle ma piuttosto allettante che cominciava a prendere forma nella sua mente.
A dire il vero ci sarebbe stato un modo con cui avrebbe potuto aiutare il professore a...beh, farsi un'idea su di lui.



 

***

 

Quattro suicidi in serie e un messaggio. Nessuna traccia della valigia rosa.
[Fri 7:33 p.m.]

 

...Mi scusi, credo che lei abbia sbagliato numero.
[Fri 7:36 p.m.]

 

Niente affatto, John.
[Fri 7:36 p.m.]

 

Signor Holmes...?
[Fri 7:37 p.m.]

 

Sherlock, prego.
[Fri 7:38 p.m.]

 

Come ha avuto il mio numero?
[Fri 7:38 p.m.]

 

Mycroft.
[Fri 7:39 p.m.]

 

Certo. Di quali suicidi sta parlando?
[Fri 7:39 p.m]

 

Un uomo, un ragazzo e due donne hanno ingerito esattamente lo stesso veleno, di loro volontà.
Una delle due donne, Jennifer Wilson, ha inciso il nome "Rachel" con le unghie sul legno del pavimento. È completamente vestita di rosa ed è chiaro che avesse con sé una valigia, ma non ce n'è nemmeno l'ombra.
[Fri 7:42 p.m.]

 

Oh, ma certo, si tratta di uno dei suoi casi. Ma perché lo sta dicendo a me?
[Fri 7:43 p.m.]

 

Lei era un soldato.
[Fri 7:47 p.m.]

 

Sì.
[Fri 7:51 p.m.]

 

Avrà visto molte ferite e morti violente.
[Fri 7:52 p.m.]

 

Sì. Sì, abbastanza. Ne ho viste anche troppe.
[Fri 7:52 p.m.]

 

Vuole vederne altre?
[Fri 7:52 p.m.]

 

John Watson, seduto sul bordo del proprio letto, rimase immobile col cellulare in mano, gli occhi leggermente sgranati fissi sullo schermo.
Poco prima stava correggendo gli ultimi compiti dei suoi studenti (disastrosi, come si aspettava a causa della continua disattenzione), poi gli era arrivato quello strano messaggio da un numero che si era rivelato essere quello di Sherlock Holmes e adesso quest'ultimo lo aveva praticamente invitato sulla scena di un crimine.
Gli venne da sorridere per quella svolta decisamente inaspettata.
Sherlock voleva forse dargli un assaggio della sua vita quotidiana per convincerlo del fatto che non fosse poi tanto male? O voleva provargli il contrario, cioè che John non avrebbe più voluto continuare le sedute dopo averlo visto nel suo "ambiente naturale"?
"Se così fosse", pensò, "non sa cosa ho passato con Mycroft".
Erano quasi le otto di sera.
Fuori era già buio, doveva ancora cenare e non aveva nemmeno finito di correggere i compiti...
Al diavolo, pensò.
Erano ormai quattro anni che non succedeva più niente nella sua vita, tutto andava avanti per inerzia: provare qualcosa di nuovo (qualcosa di intrigante) non gli avrebbe di certo fatto male e, chissà, avrebbe anche potuto davvero rivelarsi utile per aggiungere un tassello a quell'intricato puzzle che era Sherlock Holmes.
Smise di pensare e digitò la risposta suggeritagli da una leggera fitta alla sua dannata gamba.

 

Oh, dio, sì.
[Fri 7:54 p.m.]

 

 

***

 

John era perfettamente consapevole delle capacità deduttive di cui era dotato un Holmes: di Mycroft ne aveva avuto prova fin troppe volte, e giorni prima era stato sottoposto anche allo sguardo scrutatore e penetrante di Sherlock. 
Ma non avrebbe mai pensato che le deduzioni di quest'ultimo sulla scena di un crimine potessero lasciarlo ancora più di stucco.
Avevano un qualcosa di assolutamente unico, non solo per la loro complessità o per il fatto che venissero costruite a partire da dettagli a cui nessun altro avrebbe dato importanza, ma anche e soprattutto per il modo in cui gli occhi di Sherlock si illuminavano mentre le parole uscivano ininterrottamente dalla sua bocca: era decisamente nel suo elemento, sembrava che il suo lavoro lo facesse sentire vivo e realizzato, e lo faceva apparire diverso da come il professore lo aveva visto durante le loro due sedute. 
Se aveva avuto l'occasione di vedere questo lato del giovane detective, allora non si era decisamente rivelata una cattiva idea accettare di partecipare alle indagini.
Dopo aver risolto il caso con successo (un tassista dai giorni ormai contati che costringeva le sue vittime a scegliere tra due pillole, una innocua e una letale, in modo che morissero per mano loro e non sua), avevano deciso di recarsi in un piccolo parco lì vicino per discutere di tutto ciò che era successo quella sera.
«Allora? Come ti è sembrato?» chiese Sherlock con un lieve sorriso divertito, la ghiaia che scricchiolava sotto le sue scarpe.
John non fece nemmeno troppo caso all'improvviso passaggio dal "lei" al "tu". «Piuttosto...strano»
«Lo so che ti è piaciuto, non negarlo»
«Beh...sì, ok, non lo nego. Era da un bel po' che non sentivo così tanta adrenalina scorrermi nelle vene».
Il detective piantò lo sguardo su di lui, studiando attentamente i suoi lineamenti al fine di captare la minima emozione che il suo viso lasciava trasparire.
Disagio.
Un brutto ricordo.
Sapeva che non sarebbe stato saggio insistere, ma era dal giorno della loro prima seduta che per qualche motivo non riusciva a darsi pace, continuando a chiedersi cosa fosse accaduto quattro anni prima (questa doveva essere la quantità di tempo passata dalla collaborazione con Mycroft, secondo i suoi ragionamenti).
«Da quattro anni?» si ritrovò a chiedere.
John si irrigidì e smise di camminare, abbassando la testa sul sentiero sassosso e aprendo e chiudendo la mano sinistra.
Poi si spostò verso una panchina a pochi metri di distanza e ci si sedette con un sospiro, seguito da Sherlock, che seguiva con lo sguardo ogni suo movimento.
«Sei testardo, eh? Non lasci proprio perdere» disse il professore con una risatina amara. «Senti, è un argomento che preferirei non toccare e penso che questo ti sia già abbastanza chiaro. Dovremmo parlare di te, non di me»
«Vi sono determinati dettagli in una persona che si possono facilmente dedurre. Se solo ti sforzassi di osservare e pensare, sono certo che saresti in grado di raccogliere quantomeno i dati fondamentali su di me, e costituirebbero tutto ciò che dovresti sapere. Niente di più, niente di meno».
John chiuse gli occhi per un breve istante, come per costringersi a non perdere il controllo, e dosò il respiro; Dio, Sherlock Holmes poteva anche essere un genio, ma per quanto riguardava certi ambiti aveva ancora un'infinità di cose da imparare.
«Se ti chiedessi sull'amore», cominciò il professore, «probabilmente mi diresti che si tratta solo di uno svantaggio, di un...difetto chimico, o qualcosa del genere. Ma non sai dirmi cosa si prova a svegliarsi accanto a qualcuno e sentirsi davvero felici. Non sai come ci si sente ad avere qualcuno di importante ed essere a tua volta importante per questo qualcuno. E se ti chiedessi qualcosa sulla guerra...beh, sono curioso di sapere cosa mi risponderesti, perché sono sicuro che tu non abbia mai sfiorato una breccia, e che tu non abbia mai tenuto in grembo la testa del tuo migliore amico, vedendolo esalare l'ultimo respiro mentre con lo sguardo chiede aiuto*». Strinse nuovamente a pugno la mano sinistra, infilandola nella tasca della giacca, e tirò su con il naso. «Pretendi di sapere tutto di me perché hai tirato fuori delle informazioni da degli oggetti personali nel mio ufficio, ma non puoi sapere cosa ho passato dentro di me. E pensi che io riesca ad inquadrare cosa provi, chi sei, solo perché ho visto un paio di film sulla droga? Basta questo ad incasellarti?*».
Sherlock non rispondeva, lo sguardo imperscrutabile rivolto verso il terreno ricoperto di ghiaia.
Il professore non avrebbe compreso quale effetto le sue parole stessero avendo sul paziente, se, dopo aver voltato il viso verso di lui, non avesse visto il suo pomo d'adamo alzarsi e abbassarsi e la sua mascella irrigidirsi leggermente.
«Non andremo da nessuna parte se non vuoi parlarmi di te», continuò, tornando a guardare davanti a sé. «Io comunque non ho intenzione di costringerti, e non può farlo nemmeno tuo fratello. La scelta è tua».
Detto questo, si alzò dalla panchina e si incamminò verso l'uscita del parco con un'andatura lievemente zoppicante.
Sherlock sentì una goccia di pioggia bagnargli la guancia.





 

Ultima parte: https://youtu.be/cH-lfdkRbM0

   
 
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