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Autore: ShioriKitsune    08/12/2016    3 recensioni
[Taekook]
Genere: Angst, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Jeon Jeongguk/ Jungkook, Kim Taehyung/ V
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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C'è qualcosa di tremendamente affascinante nella sensazione di essere persi. Un continuo domandarsi dove si stia effettivamente andando e il piacere nel potersi permettere di rimandare la risposta ad un altro momento, di continuare a brancolare nel buio, senza riflettere più di tanto sui come e sui perché. Essere persi, sotto un certo punto di vista, è quasi come essere liberi. Totalmente liberi da ogni vincolo, da ogni catena. Da ogni preoccupazione.

Il problema nasce nel momento in cui la consapevolezza di non poter essere persi per sempre si impianta nel proprio cervello: prima o poi, bisognerà dare delle risposte e prendere delle decisioni. E quello è il momento in cui, solitamente, tutto crolla. Il momento in cui si viene a patti con se stessi, e ci si rende conto che essere persi non è poi così bello.

'Dove sarai, domani?' Domanda di poco conto, il domani è dietro l'angolo e non serve perdere tempo a preoccuparsene, ma basta un 'Dove sarai tra un anno?' a complicare le cose. Il lungo termine è il vero dramma.

Taehyung era bloccato nella fase uno, in cui il perdersi era sinonimo di spensieratezza. In cui prendeva ciò che veniva, inseguendo un sogno troppo lontano eppure così vicino da poterlo toccare con la punta delle dita. Era quello il suo unico punto fermo, circondato da una luce divina quasi a volerlo distaccare da questo mondo, idealizzandolo fino al punto da mettere in dubbio la sua stessa devozione a quel sogno. Poi, qualcosa era accaduto e anche quel punto fermo aveva smesso di brillare. Il vecchio se stesso era sicuro di ciò che voleva. Il nuovo? Non così tanto. E quando Jeongguk, carezzandogli il volto, gli chiese se lo avrebbe amato l'indomani, Taehyung non esitò ad acconsentire. Ma quando, qualche tempo dopo, Jeongguk gli domandò 'Mi amerai ancora, tra un anno?' Taehyung si ritrovò a non saper cosa dire.

Perché è il lungo termine che ammazza chi è perso.

 

1.
Shattered

 

Taehyung guardava il mondo a testa in giù. Non aveva la presunzione di reputarsi speciale o diverso: semplicemente, amava guardare le cose - e le persone - da diverse prospettive. Proprio per questo, sin da quando era ancora un bambino, il suo più grande sogno era stato quello di scrivere: scrivere di qualcosa, qualsiasi cosa, purché riuscisse ad esprimere i propri sentimenti. Sua madre lo aveva sempre incoraggiato, amando quel lato creativo e un po' folle del suo bambino, leggendo le sue storie e spronandolo ad andare avanti perché secondo lei, se c'era una cosa che sapeva fare davvero bene, era proprio trasmettere emozioni.

E così, un po' per rendere fiera la sua mamma, un po' perché scrivere gli piaceva davvero, non aveva più smesso di farlo. Da quel momento, il sogno di diventare uno scrittore si era impiantato nella sua mente e tutto il resto era contorno, mere distrazioni nella sua vita. Aveva un obbiettivo ed era sicuro che, prima o poi, lo avrebbe raggiunto.

Era stato così facile, da piccolo, immaginare il suo futuro; pensare a dove e chi sarebbe stato tra dieci anni e potersi dare una risposta certa: nell'ingenuità della fanciullezza, ciò che non gli mancava era di certo la determinazione. Mai avrebbe pensato che da lì a qualche anno il suo intero mondo si sarebbe capovolto, lasciandogli solo e soltanto la certezza del suo esistere ma tenendo appese ad un filo tutte le altre mille domande, fino a farlo perdere in quel labirinto che era il suo vero io.

Non so chi sono e vorrei saperlo, ma non adesso, si ripeteva sempre. Perché l'adesso esigeva delle risposte che non poteva o non voleva darsi e il procrastinare aveva il gusto dolce della libertà.

Quando per la prima volta Taehyung e Jeongguk s'incontrarono, una svariata serie di cocci era ai loro piedi.

Cocci di vetro, quelli del bicchiere infranto sul pavimento di un bar, e cocci di cuore, che con ogni probabilità non sarebbero più tornati al loro posto. E quando il minore diede voce ad un flebile 'stai bene?' l'unica risposta che ottenne fu 'chiedimelo domani'.

 

 

Taehyung era rannicchiato contro il muro, lo sguardo perso nel vuoto, mente si stringeva addosso gli ultimi pezzi di se stesso. Tutt'intorno girava troppo velocemente, mentre il mondo andava avanti senza accorgersi di nulla.

La musica in quel pub era troppo forte perché qualcuno avesse potuto sentire le sue grida e la mano che gli era stata premuta sulla bocca non aveva facilitato le cose. Tutto era accaduto troppo velocemente: un secondo prima c'era questo tizio che flirtava con lui, offrendogli da bere, e il secondo dopo era stato spinto contro il muro in un angolo di quel sudicio bagno, confuso e spaventato, forse troppo ubriaco per poter reagire propriamente.

Eppure, quegli attimi erano stati così lunghi da fargli desiderare la morte in svariati modi.

Dopo quella che gli sembrò un'eternità, ciò che rimase fu il suo riflesso nello specchio e il vetro di quel bicchiere rotto che gli graffiava i polpastrelli, che in qualche modo cercavano di afferrare la vita, qualsiasi forma avesse in quel momento.

Taehyung non seppe mai quanto tempo passò prima che qualcuno, calpestando i cocci, si accorgesse di lui.

Un paio d'occhi scuri come l'ossidiana si posarono sulla sua figura e Taehyung voleva aggrapparsi con tutto se stesso a quello sguardo. Forse in quel momento la sua disperazione divenne palese e lo sconosciuto si sentì in dovere di fare qualcosa.

«Mi chiamo Jeongguk», fu la prima cosa che disse, avvicinandosi lentamente. « Non ho intenzione di farti del male, permettimi di aiutarti»

E Taehyung si limitò a fare cenno di sì con il capo, permettendo a Jeongguk di strappargli i cocci di vetro dalle dita.

 

Il processo di guarigione non fila sempre liscio, soprattutto quando la ferita che deve rimarginarsi è tutto fuorché esterna. Ma per qualche ragione che a Taehyung non era chiara, Jeongguk si era incollato al suo fianco fin da quell'episodio.

Non era stato difficile farsi strada nelle grazie di Taehyung - che in quel momento non si fidava di anima viva al mondo ma Jeongguk era pur sempre il suo salvatore - e prima che entrambi se ne rendessero conto, erano diventati dipendenti l'uno dalla presenza dell'altro.

Col senno di poi, forse Jeongguk si sarebbe reso conto di quanto malsano fosse quel rapporto, che consisteva in lui che raccoglieva i pezzi di Taehyung e cercava di rimetterli insieme; in quel momento però, ogni cosa sembrava giusta. Anche quando Taehyung si dimenticava dei loro appuntamenti, lasciando il minore ad aspettarlo per ore. Anche quando Jeongguk, preoccupato, bussava alla porta dell'altro solo per trovarlo a letto, ai suoi piedi bottiglie di birra ormai vacanti. Anche quando, dopo il loro primo bacio e il conseguente 'cosa siamo adesso?' , Taehyung fece spallucce e gli rispose che ne avrebbero parlato domani. Ma quel domani non arrivò mai.

Sembrava giusto, in un certo senso, perché Taehyung aveva bisogno d'aiuto e Jeongguk era un tipo paziente. Non avrebbe mai potuto sapere che neanche l'aspettare una vita intera sarebbe bastato a tirar fuori risposte da qualcuno che non voleva darne, da qualcuno che aveva fatto del procrastinare il suo unico punto fermo, a dispetto dei sogni che aveva un tempo.

Taehyung era... vuoto, ormai. Spento. Come se ogni sogno, ogni aspirazione, gli fosse stata succhiata via quella notte. Aprendo gli occhi la mattina, pensava a tutte le cose che avrebbe potuto fare ma che avrebbe irrimediabilmente rimandato all'indomani, preferendo restare a letto, magari bere qualcosa, contemplare il nulla. Non provava niente, nemmeno rabbia. Eppure, la presenza di Jeongguk sembrò, per un periodo, essere riuscita a svegliarlo dalla sua catalessi.

 

Jeongguk lo aveva trascinato fuori, all'aria aperta, perché era il periodo di Natale e la città era in festa. Il minore aveva pensato che le luci, i colori e gli odori non avrebbero che giovato all'uomore immutabile di Taehyung. Spesso, si domandava che tipo di persona fosse prima di quell'avvenimento. Se fosse stato un tipo solare, se fosse stato più affabile, più amante della vita. Non era una vera e propria domanda, perché era certo che prima Taehyung fosse così: a volte, nelle sue giornate migliori, sprazzi di gioia gli dipingevano un sorriso sul volto che Jeongguk difficilmente avrebbe dimenticato. Ed era quel desiderio bruciante di conoscere il vero Taehyung a spingere il minore a continuare a lottare.

Magari, un giorno, sarebbe tornato in superficie.

«C'è troppa gente», mormorò Taehyung, stringendosi al fianco dell'altro. Il suo sguardo vagava, senza fermarsi mai su qualcosa in particolare. Teneva le mani nelle tasche e, come sempre, restava in silenzio protetto dalla figura del minore.

Jeongguk sospirò, stringendogli un braccio intorno alla vita prima di indicargli una bancarella. «Guarda, Tae-Tae», lo chiamò, catturando la sua attenzione. «Non è una macchina da scrivere, quella?».

Per un istante e solo uno, negli occhi di Taehyung brillò qualcosa. Sorrise flebilmente, senza distogliere lo sguardo dall'oggetto. «Un tempo, l'avrei desiderata più di ogni altra cosa». Jeongguk lo sapeva, era proprio per quello che gliel'aveva indicata. «Se la vuoi, possiamo chiedere quanto costa», suggerì in un tono che sperò fosse totalmente casuale.

Taehyung scosse la testa. «Non sono più quella persona, Jeongguk. Non sono più bravo ad esprimere emozioni. Anche se volessi ricominciare a scrivere, non ne sarei più capace. Piuttosto», mormorò, facendo un passo verso la bancarella. «Potresti comprarmi questo».

Jeongguk fissò l'oggetto indicatogli, aggrottando la fronte. «Questo?».

Era un semplice bicchiere di vetro, con delle forme astratte a decorarlo. Era bello, certo, ma nulla di particolare. Perché Taehyung avrebbe dovuto volere proprio quello?

«Ha un'aria fragile», disse il maggiore, rispondendo senza saperlo ai pensieri dell'altro. «Se si rompesse, e riuscissimo a riaggiustarlo, forse ci sarebbe speranza anche per me».

Jeongguk rimase a bocca aperta, fissando il suo profilo. C'era tutto un mondo dentro la testa di quel ragazzo, un mondo a cui lui non aveva accesso completo. Deglutì, ma ad un certo punto non riuscì più a trattenere quelle parole, che da tempo lottavano per essere pronunciate.

«Ti amo, Tae».

Taehyung non distolse lo sguardo dal bicchiere, ma sorrise appena.

«Non vedo come tu possa, Jeonggukie. Ma per quello che può valere, ti amerò domani».

Jeongguk strinse le labbra, confuso. Ci avrebbe messo più di “domani” a capire cosa Taehyung intendesse.

 

 

Un giorno, Taehyung decise di alzarsi dal letto. Si guardò allo specchio e tutto ciò che scorse fu l'ombra di se stesso. Ciò che prima era, ora non esisteva più. Ma, in un certo senso, andava bene così.

Calciò via le bottiglie di alcol vuote che trovò lungo la strada. Di solito era Jeongguk a pulire i suoi casini, ma non era a casa da un paio di giorni e Taehyung si domandò se finalmente non si fosse reso conto che la sua vita era più importante, più preziosa di così. Sprecarla con lui non aveva il minimo senso. Sospirando, si guardò intorno fino a posare lo sguardo sul bicchiere, quello stesso bicchiere che Jeongguk gli aveva comprato un anno prima. Non l'aveva mai usato, perché il minore lo aveva proibito: aveva poggiato l'oggetto su di una mensola in alto, quasi a volerlo proteggere da tutto. Come se, se quel bicchiere fosse rimasto intero, anche Taehyung lo avrebbe fatto.

Il maggiore stava per tornare a letto, quando sentì la porta aprirsi. Jeongguk aveva il cappello imbiancato dalla neve e il naso arrossato dall'aria gelida. Eppure, quando vide Taehyung in piedi, sorrise come se non avesse altre preoccupazioni al mondo.

«Tae», lo salutò, stringendolo in un abbraccio. Lo sguardo di Taehyung vagò oltre la spalla del più piccolo, fino a posarsi sul pacco che Jeongguk aveva lasciato sull'uscio. Lo studiò, ma senza dire nulla, fin quando l'altro non seguì i suoi occhi e il suo sorriso divenne ancora più ampio.

«So che non è ancora Natale», iniziò, sfilandosi la sciarpa ed i guanti. «Ma vorrei che tu lo aprissi subito».

Ecco dov'era stato, si rese conto. A fare turni extra in quello squallido magazzino pur di comprargli un regalo di Natale.

Taehyung spostò lo sguardo sul volto felice di Jeongguk e in quel momento qualcosa in lui si mosse. Gli sarebbe piaciuto amarlo, davvero.

Se ne fosse stato capace, lo avrebbe amato con tutto il cuore.

Non notando alcuna reazione, Jeongguk gli si avvicinò con il pacco tra le braccia e lo scartò al posto suo. Le labbra del maggiore si schiusero.

«Te la ricordi, Tae? È la macchina da scrivere che abbiamo visto lo scorso anno».

La posò sul tavolino di fronte a loro, lasciando che Taehyung la osservasse. «Sarebbe bello se ricominciassi a scrivere, hyung. Sono sicuro che potresti fare grand-».

«Non posso», la risposta secca stroncò l'entusiasmo del minore.

«Puoi provarci»

Taehyung sospirò. «Domani».

Procrastinare, sempre. Ma Jeongguk era umano e, per quanta pazienza avesse, era stanco anche lui. Stanco di vivere in quell'impasse, stanco di quel continuo rimandare ogni cosa, stanco di non poter pensare al futuro. Perché per Taehyung tutto ciò che contava era l'attimo e tutto ciò che non contava era rimandato al domani, ovvero a mai. Pensare ad un ipotetico se stesso tra un anno, o tra un mese o addirittura tra una settimana, lo spaventava così tanto da mandarlo nel panico.

Jeongguk afferrò il maggiore, sbattendo la sua fragile figura di spalle contro il muro. Questo provocò una scintilla di terrore negli occhi dell'altro, che si spense il secondo successivo. «Sono stanco, Taehyung. Non posso combattere da solo».

Taehyung distolse lo sguardo, fissandolo sul bicchiere, lì in alto, protetto dal mondo. Deglutì.

«Va' via, Jeonggukie. Non puoi tenermi tutta la vita come quel bicchiere».

Il minore sgranògli occhi, sussultando e stringendo la presa. «Voglio solo proteggerti».

«E io voglio solo cadere a pezzi, non lo capisci?».

Taehyung non alzava la voce, mai. E sentirglielo fare adesso scosse l'altro su più livelli. Fece un passo indietro, allentando la presa. «E sia».

Se ci avesse pensato di più, probabilmente non lo avrebbe fatto. Se si fosse fatto prendere meno dalla rabbia e avesse pensato più razionalmente, si sarebbe reso conto dell'enorme sbaglio che stava per compiere, mentre afferrava il bicchiere dalla mensola e, lanciandolo con forza contro il muro, osservava i cocci spargersi in tutta la stanza.

Taehyung rimase immobile, lo sguardo spalancato, le spalle leggermente tremanti.

«Cadi a pezzi, Taehyung, e rimetti i tuoi cocci a posto da solo».

Jeongguk si concesse un'ultima occhiata all'altro, prima di sbattersi la porta alle spalle.

Non appena fu lontano, le lacrime gli rigarono le guance ma non tornò sui suoi passi.

Prima o poi, Taehyung avrebbe capito.

Prima o poi, forse, sarebbe riusciuto ad aggiustare quel bicchiere rotto.

Prima o poi, magari, le loro strade si sarebbero incrociate di nuovo, quando sotto i loro piedi non ci sarebbero stati pezzi di vetro da calpestare.

 

 

 

 

Taehyung non avrebbe mai immaginato, un anno dopo, di sedersi davanti a quella stessa macchina da scrivere.

Sospirando, si fissò le mani. Non era sicuro di quello che stava facendo, ma poteva provarci.

Era da così tanto che non provava, eppure qualcosa dentro di lui era cambiato, lo sentiva. Fissò il bicchiere alla sua sinistra, quello che aveva rimesso insieme con tanta fatica e pensò che forse tra una settimana, o un mese, o un anno, sarebbe stato in grado di ritrovare Jeongguk e amarlo come da sempre avrebbe dovuto fare, rimettendo insieme anche l'ultima delle cose che aveva rotto.

Chiuse gli occhi, battendo le dita sui tasti senza fretta. In fondo, nessuno gli avrebbe impedito di continuare domani, dopo domani o il giorno dopo ancora.

Sorrise, pensandoci.

Il lungo termine non era più un problema.

   
 
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