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Autore: DarkLatias2000    08/12/2016    0 recensioni
La figura dell'Oscuro leggendario Darkrai è da sempre avvolta in una coltre di mistero; nessuno ha mai saputo veramente quale sia la sua vera natura: spietata? Fredda? O semplicemente piegata ad una realtà spietata che non può accettarlo?
I fatti rivelati nell'Ascesa di Darkrai' sono estremamente contraddittori. Inizialmente quest'essere sembra avere un'indole ostile, ma ciò che è scritto nel diario di Godey sembra spiegare che si tratta solo di una mera apparenza: si tratta forse invece di un essere solitario e ferito, rifiutato da mondo a cui appartiene e che tuttavia sembra incapace di sopportarlo, che ha forse più bisogno d'amore di quanto non lo abbia qualunque altra creatura vivente che lo abita?
Cosa ha determinato l'incontro tra l'Oscuro leggendario e una ragazzina diversa e innocente che si rivelò la chiave per salvare la propria patria dalla furia dei titani leggendari del Tempo e dello Spazio?
Ciò che mai fu raccontato del passato fra Darkrai e Alicia è qui raccolto e ideato dalla mia immaginazione, se siete pronti a scoprirlo, procedete pure...
Genere: Dark, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Darkrai, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments, Movieverse, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Anime, Videogioco
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Buio.
Vuoto, infinito buio.
Un buco nero senza fondo in cui regnava il nulla assoluto.
Era questo che accadeva dopo la morte?
L’Oscuro non aveva mai neanche lontanamente pensato a cosa significasse essere morti. Forse perché, grazie a tutti i mali di cui la sua pelle era imbevuta, da secoli gli appariva come una cosa del tutto scontata. La gente nasceva, la gente viveva, la gente moriva; la gente violava e dava inizio a guerre colmate di pura violenza per interessi del tutto effimeri; e per essi la gente lottava. La gente si combatteva, la gente uccideva. La gente moriva ogni giorno.
Che c’era di strano nel morire?
Semplicemente, a lui non era mai capitato.
Era il più vicino alla morte fra tutti loro, per questo da sempre gli era sembrato facile ingannarla. Neanche lui però aveva mai visto, tantomeno compreso, la sua vera natura.
All’improvviso non sentiva più una sola traccia di attaccamento alla vita, non provava più alcuna disperazione; in realtà… non provava proprio niente. Non c’era più alcuna emozione, derivante da una primordiale natura umana ormai dimenticata, a dimenarsi nelle sue carni. Non aveva più niente da provare. L’unica cosa presente era il silenzio.
Non era in grado di descrivere quella situazione... probabilmente non era più neanche in grado di pensare. Riposante, forse. Così l'avrebbe descritta. Un eterno presente nero nel nulla più totale.
Forse… poteva paragonarla a una dolce, eterna animazione sospesa.

Animazione… sospesa?
All’improvviso si rese conto di essere ancora in grado di pensare. Non era possibile. Non all’altro mondo. I morti perdono tutto; i morti non possiedono più le capacità di ragionamento che hanno sfruttato in vita.
Tu sei morto…
I morti non pensavano. I morti non erano niente, niente al di fuori di una carcassa abbandonata sulla Terra come cibo per permettere ad altre vite di proseguire. E lui era morto.
Tu sei morto… non sei… morto…?
I suoi stessi pensieri erano una prova contraria inequivocabile. No, non poteva essere morto. Non poteva che essere ancora in vita. In qualche modo, gli esseri umani probabilmente lo avrebbero definito ‘miracolo’, era sopravvissuto. Non sapeva che cosa provare, non aveva mai saputo provare quella che loro chiamavano ‘gioia’, o ‘serenità’. Solo una grande sorpresa.
Vivo. Sei ancora vivo.
I vivi potevano provare sensazioni fisiche. Lentamente, come per confermarlo, il suo corpo iniziò a percepire un piacevole fresco che lo richiamava alla vita. Che cos’era?
Ricorda… cosa ricordi?
La tortura del proiettile che lo devastava dall’interno era completamente sparita. Percepiva del dolore, comunque; ma era uno di quei dolori buoni, che seguono al togliersi una spina acuminata dal fianco o al passare di una qualche sostanza benefica su una ferita aperta. Una di quelle sofferenze che si sopportano serenamente per un tempo limitato, un prezzo che ogni creatura vivente è felice di pagare in cambio del preservamento della propria vita, altrettanto limitata. Un limite che veniva compensato solo da un senso che rendesse preziosa quella stessa vita.

Peccato che non abbia un senso, la tua vita.
Dunque, perché poteva ancora pensare? Perché era ancora in grado di respirare? Ricordare… ricordare tutto…
Cosa era successo?

Mi spararono.
Sì, ricordava bene quella caccia frenetica e quell’inseguimento pazzo, fra le rocce. Così come ricordava benissimo quel dolore lacerante nel petto, quell’agonia di vagabondaggio fra gli alberi e le piante, e il suo combattimento disperato e delirante contro i membri della sua specie del tutto sua nemica.
Poi…
Per un momento era stato davvero sul punto di perdere la sfida: logorato dal parassita sparato da quell’arma infernale, aveva rischiato di lasciar vincere su di lui gli umani, a cui aveva giurato di non consegnare mai la sua testa. Per un attimo era stato davvero sull’orlo dell’abisso della morte… che ora si allontanava lentamente da lui, cacciata da un qualcosa che, nonostante le apparenze fisiche, non aveva niente a che fare con i carnefici che, ancora una volta, non erano riusciti a ucciderlo.
Inesatto. Qualcuno che non aveva nulla a che fare con i carnefici che ancora una volta non erano riusciti a ucciderlo.
Gli tornò alla mente l’immagine di una chioma biondissima, un visino delicato e due grandi occhi cristallini che non avrebbero potuto essere più puri. E la sensazione di un tocco pieno di vita capace di respingere la sofferenza più atroce. Ricordò quel profumo dolce e quell’odore di bosco.

Una ragazza… governava sulla foresta…
Quella era una nobile…

Fu a quel ricordo che si riscosse del tutto.
Principessa!
Fu come una scossa di migliaia di volt.
Di colpo il buio fu squarciato con violenza da una luce brutale, che occupò tutto il suo campo visivo.
D’improvviso tornò a percepire interamente il proprio corpo, dai nervi sottocutanei alle articolazioni e ai muscoli sfiancati. La vista, un tempo appannata e malata, lo raggiunse subito dopo, perfettamente chiara.
La prima cosa di cui si accorse fu la sorgente della luce. Una luce disturbante e fredda, certo non naturale: era una sorgente artificiale che si trovava proprio sopra di lui, illuminando un ambiente di colore chiaro. Questo poteva voler dire soltanto una cosa.

Umani.
Decisamente assurdo: non avrebbe mai potuto essere vivo in un luogo in cui vivevano esseri umani. Eppure lo era. Ma un solo pensiero aveva preso possesso completamente della sua testa.
Dov’è? Lei, dov’è?
Fece scattare la testa di lato con frenesia, guardandosi attorno con foga e smarrimento: non vedeva nemmeno un essere umano. Ancora più paradossale: si trovava in una struttura di loro proprietà, eppure non vedeva nessuno. Ma la cosa passò subito in secondo piano, e in lui si fece largo una classica rassegnazione.
Hai solo sognato.
Sì, molto probabilmente era stato un sogno, illusorio e ingannevole: non esistevano umani capaci di guardarlo in quella maniera, tantomeno di toccarlo, come aveva fatto la principessa. Si irritò al pensiero di essere ancora così simile agli esseri umani, tanto da arrivare a illudersi come loro: era stato solo il sogno febbrile di un delirio, che andava al di là del suo controllo, nient’altro.
Basta. Questo posto è pericoloso, cerca l’uscita.
Non aveva tempo per continuare a fare mente locale: il tempo era poco, e la sua sopravvivenza tutt’altro che garantita, man mano che passavano i secondi: fece per alzarsi in fretta e furia alla ricerca di una via di fuga, quando un paio di dita sottili gli avvolsero la spalla fresche, facendolo rabbrividire.
Mi hanno preso!
I nervi, pieni di vita, si tesero come corde, le ali si spalancarono minacciose, le unghie scattarono fuori pronte a uccidere e lui si volse a fissare ringhiante la sorgente di quel contatto con gli occhi inferociti.
Non azzardarti a toccarmi, feccia!
Fece appena in tempo a voltarsi che i nervi si afflosciarono, le ali si ripiegarono sul corpo, il ringhio si spense in un attimo. Stava fissando due grandi occhi chiari che gli restituivano lo sguardo carichi di preoccupazione. Non gli ci volle neanche un secondo per riconoscerli.
“Va tutto bene… siamo solo io e te.”
La ragazzina da capelli biondi, l’umana che l’aveva avvicinato. Era la principessa. Non si era affatto illuso: la sua figura, i suoi occhi, il suo profumo… era reale; lei esisteva davvero.
E gli aveva salvato la vita.
“Come ti senti?”

È stata lei…?
Dopo quel delirio era diventato così debole da perdere completamente la capacità di muoversi. Quindi era stata lei, da sola, a trascinarlo fino a lì?
Tu non sei umana.
La piccola umana piegò la testa di lato per guardarlo da tutti i lati, mettendogli addosso un tentante impulso di allontanarsi sul momento: odiava essere guardato. Ogni nervo fremeva d’irritazione e fastidio quando lo guardavano. Gli umani, poi… lo fissavano sempre con uno sguardo vorace, che nascondeva una follia radicata senza pari.
… a parte lei.

Non puoi essere umana.
Per combattere quella tentazione conficcò con violenza le unghie nella morbida superficie che lo sosteneva: solo allora si rese conto di trovarsi su uno di quei materassi che solo una volta aveva visto usare dagli umani per curare un suo simile. Accanto a lui, di sfuggita, intravide una serie di strumenti metallici di ogni forma e dimensione, alcuni dei quali sporchi di sangue. Quindi…
Questa è una delle loro famose cliniche… per quelli come noi.
Gli occhi sgranati della giovane umana davanti alla sua reazione lo riportarono rapidamente al presente: “Ma… ti fa ancora così male?”
Subito l’Oscuro, più per istinto che altro, andò a cercarsi sul torace il buco che la pallottola gli aveva scavato in petto, mancando per chissà quale volere gli organi vitali: al suo posto trovò una lunga benda bianca avvolta stretta tutta intorno al corpo, sotto la quale solo vagamente riusciva a sentire i bordi della piaga semi-aperta.

Perché?
“No, non toccarla,” Lo raggiunse la voce amorevole della principessa, mentre le sue piccole mani tentavano di allontanargli delicatamente il braccio dalla ferita: “Non guarirà se si riapre.”
Perché?
Di sfuggita l’Oscuro vide, nascosto a tremare in un angolo della stanza della clinica, un Pokemon di media grandezza dai piccoli occhi pieni di terrore, caratterizzato da una grande pancia rotonda e una sacca ovale sul ventre, di colore rosa. Non ne aveva mai visto uno da vicino, era fra gli ultimi dei suoi simili a osare avvicinarsi a lui, ma ne conosceva bene la rara specie: erano i più benvoluti fra i branchi dei selvatici.
Un Chansey.
Allora sto ancora sognando.

Sogno o non sogno, evidentemente la principessa non aveva fatto proprio tutto da sola: una cosa del tutto naturale, una bimba umana non era in grado di estrarre da sola un proiettile come quello che per poco non lo aveva trascinato nell’oltretomba. La domanda però non era come… ma perché aveva scelto di salvargli la vita.
Perché?
“Se ti fa male posso ancora fare qualcosa, ma in fretta, ti prego…”
Voglio una risposta.
Prima di riuscire a decidere se osare comunicare una seconda volta con lei, al suo udito finissimo arrivarono suoni allarmanti a cui i nervi si rizzarono immediatamente: passi regolari, tranquilli e inarrestabili che si alternavano l’uno all’altro; creature bipedi, poco ma sicuro.
Mi hanno trovato.
La principessa percepì i passi subito dopo di lui: allarmata, corse a spalancare l’unica, grande finestra che si trovava nella stanza, tornando poi a fissarlo con uno sguardo ansioso: “Non c’è più tempo: se non ti esporrai dovrebbe guarire in un mese circa. Io ho fatto quello che potevo. Ora vai!”
I passi aumentavano di frequenza, il tempo che aveva a disposizione sempre più breve. Questione di secondi, poi lo avrebbero preso, e definitivamente. Le sue condizioni non gli permettevano nemmeno di difendersi: l’unica scelta possibile era la fuga. Rimanere un minuto di più avrebbe significato vanificare del tutto il lavoro della principessa. Eppure, per la prima volta in vita sua, l’Oscuro si trovò diviso in due.

Fuggi. Adesso.
E la principessa? L’avrebbe rivista ancora?
Lei è umana. Non la toccheranno.
Lo era solo in parte, o comunque non del tutto. E lo aveva toccato, gli aveva salvato la vita. E se avessero preso lei al posto suo? Ne erano perfettamente capaci: se avessero scoperto l’accaduto avrebbero scaricato su di lei tutte le conseguenze della sua sopravvivenza. Nel peggiore dei casi…
Il proiettile ti ha forse intaccato anche il cervello?
Che idiota, non era una scelta da porsi: se l’avessero scoperta insieme a lui avrebbero avuto un motivo in più per prendersela con lei. Certo che doveva fuggire.
“Corri,” Lo implorò la principessa con gli occhi ricolmi di panico: “Presto, raggiungi i giardini, lì sarai protetto. Vai, vattene da qui!”
Il leggendario Oscuro le rivolse un’occhiata fugace e intensa, imprimendo nella sua mente quegli occhi di bambina; poi sfrecciò fuori dalla finestra in silenzio come un fantasma fulmineo.



Solo dopo che anche l’ultima piuma delle sue ali nerissime fu scomparsa dalla sua vista Alicia osò tirare un sospiro di sollievo e permise alla gioia di invaderla dalla testa ai piedi: aveva vinto. Ce l’avevano fatta: era riuscita a impedire che la Terra si macchiasse del sangue di un Pokemon leggendario, un suo protettore; il Chansey aveva costituito un aiuto fondamentale, era stato solo grazie a lui se erano riusciti a estrargli dal corpo quella pallottola infernale: l’addestramento dei pasciuti medici Pokemon, sebbene recente, era proprio una preparazione di prima qualità. E Darkrai era sopravvissuto: era vivo, e stava bene. Era una vittoria piena per tutti.
Alicia però capì di non avere tempo per prendere fiato, né di risistemare l’attrezzatura che era stata costretta a usare dove l’avevano presa: il Centro si stava rapidamente ripopolando, anche lei avrebbe dovuto seguire l’esempio del Pokemon leggendario e fuggire immediatamente se voleva evitare di farsi cogliere in flagrante direttamente sul posto. Alle conseguenze avrebbe pensato una volta a casa: avrebbe raccontato la storia ai Pokemon che le erano affezionati, avrebbe sparso la voce nei giardini di salvaguardare, almeno temporaneamente, l’esistenza dell’indebolito leggendario: quel Chansey alla fine aveva scelto di aiutarla, era certa che loro non sarebbero stati da meno. E Godey era diverso dalle altre persone, Godey era il suo anziano, simpatico e comprensivo tutore: di lui ci si poteva fidare, lui l’avrebbe capita. Con il suo aiuto tutto sarebbe filato liscio.
Afferrò di corsa il meccanismo sferico che aveva racchiuso quel Chansey che l’aveva notevolmente sostenuta fino a poche ore prima, preparandosi a ritirarlo e a riportarlo da dove veniva.
“Senza di te non ce l’avrei mai fatta, grazie per il tuo coraggio; ma acqua in bocca su quanto è successo, nessuno deve sapere niente.” Il Chansey ancora tremante ebbe appena il tempo di rivolgerle un timido saluto che la ragazzina riaprì e attivò il meccanismo della sfera metallica: il tondo infermiere rosato venne risucchiato in qualche secondo all’interno del contenitore e serrato dentro in fretta e furia. Alicia riuscì a tornare nel magazzino da cui l’aveva preso e a riportarlo dagli altri suoi simili senza essere vista quasi per miracolo, e quando finalmente riuscì a tornare indietro e a lasciarsi alle spalle l’edificio medico si tolse dal cuore un peso così opprimente che le sembrò di essere diventata leggera come un soffione.
Finito. È tutto finito.
Hai vinto. Hai vinto tu.

E ora... le conseguenze. Pochi minuti e nella clinica avrebbero trovato tracce evidenti della sua operazione, e ne sarebbe scaturito un bel caos. L’idea di fare un salto ai giardini per informare dell’accaduto i suoi amici non umani fu scartata, non ne aveva il tempo: doveva parlare con Godey, immediatamente. Lungo la strada di ritorno incappò numerose volte in persone esterrefatte e sospettose nel vederla correre come un gatto impazzito senza alcuna ragione apparente: più di una volta fu costretta a cambiare bruscamente direzione per seminare qualcuno che tentava di chiederle spiegazioni. Non si fidava di quella gente, potevano avere in mente qualsiasi cosa: e anche se fossero stati in buona fede, non le avrebbero mai dato retta. Ma non era un grosso problema, non era la prima volta che si ritrovava a doversela cavare da sola: pochi giorni e l’avrebbero dimenticata del tutto. Così continuò a correre senza sosta e senza curarsi degli sguardi che la analizzavano incuriositi, con l'unico pensiero di tornare a casa, trovare l'architetto che da un paio di anni l'aveva presa sotto la sua tutela e chiedere aiuto.
La vista di casa non le aveva mai procurato tanto sollievo in vita sua: a essa aveva affidato praticamente ogni sua speranza. Se Godey non l’avesse aiutata non aveva idea di ciò che lei avrebbe dovuto pagare in futuro. In fondo, agli occhi degli uomini, aveva appena commesso una follia oscura, se non un peccato capitale.
Ma Godey non era come loro: se non l’avesse capita lui allora lei avrebbe avuto la prova che il mondo era completamente impazzito.
Alicia bussò violentemente alla porta per pura educazione e subito si fiondò all’interno in preda ad un fiatone che non aveva mai avuto: “Zio Godey! Zio Godey! Dove sei, zio Godey?”
Non aveva mai ricevuto quel silenzio tutte le volte che aveva chiamato il suo nome, neanche una, nemmeno quando aveva sviluppato il piccolo vizio di chiamarlo con quell’appellativo familiare: qualcosa non andava. Ed era male, molto male. Cominciò a sudare freddo ancor prima di rendersene conto: corse a cercarlo fra le stanze in preda a un pessimo presentimento: “Zio Godey! Zio Godey, ti devo…”
Fu quando arrivò alla porta della cucina che si bloccò come un pezzo di marmo.
Godey era seduto al tavolo, completamente immobile, in una posizione che lei non aveva mai pensato di potergli attribuire: le rughe che gli solcavano il volto erano molto più accentuate del solito, e lo sguardo che aveva assunto dietro i suoi piccoli occhiali era carico di preoccupazione, stupore, ira e quella che Alicia aveva imparato ad identificare come delusione. Quell’espressione era di una serietà così grave che avrebbe potuto schiacciarla anche solo guardandolo. Le sembrò che il tempo si fosse fermato quando intravide una delle bende che l’infermiera Joy aveva portato con sé, quando l’aveva seguita nei giardini, dimenticata su una delle sedie nella cucina.
Quella donna non era andata a compiere un qualche intervento fuori dalla clinica. Era andata ad informare il suo tutore di ciò che aveva fatto nei giardini di Alamos.
“Entra.” Fu l’ordine secco dell’anziano architetto.











Continua...

 


Nota dell'autrice: che posso dire, non è stato facile: per mia fortuna non ho mai dovuto assistere dal vivo a un'operazione chirurgica, il che mi ha reso difficile un lavoro di descrizione di una clinica che io stessa ho visto raramente nel lungometraggio originale o nell'anime di Sinnoh. Per cui, se l'ambientazione o altro sono poco chiari, fatemelo sapere, sarò lieta di migliorare la struttura del capitolo. Stanno diventando sempre più brevi, è vero, ma ho in mente di separarli in punti ben precisi, tutto calcolato.
Ora, anche se non c'entra un accidente con la storia, c'è una cosa importante che devo far sapere ai lettori interessati: riguarda 'Annales Lucis et Tenebrae'. Tra non molto i capitoli verranno personalmente cancellati dalla sottoscritta: il motivo? Nonostante la mia buona volontà, la storia in questione è partita incredibilmente male: non in senso grammaticale, ma soprattutto per quanto riguarda i personaggi; c'è qualcosa di sbagliato alla radice che ha fatto marcire tutto. Avevo già alcuni sospetti, ma ho dovuto avere una conferma da alcuni 'critici' esterni alla rete per esserne davvero certa, poiché qui le voci del pubblico di EFP evidentemente ancora non arrivano (vi assicuro che le critiche sono molto più preziose di un complimento). Con l'arrivo del prossimo capitolo del 'preludio all'Ascesa', 'Annales Lucis et Tenebrae' leverà le tende dalla sezione fanfiction Pokemon: ho deciso che ricomincerò da capo la storia originale che avevo ideato, puramente di mia creazione, senza Pokemon, in una sezione fantasy a parte. Mi spiace per coloro che avevano cominciato a leggerla, ma, parola di autrice, prometto che ne verrà fuori sicuramente un lavoro migliore.
La Latias oscura per ora si ritira e vi saluta, aspettando pazientemente nell'ombra le vostre opinioni ;-)

   
 
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