Anime & Manga > Vocaloid
Segui la storia  |      
Autore: Mistryss    09/12/2016    3 recensioni
Basata sulla band VanaN'Ice, composta da Kaito, Len e Gakupo, è la storia di come un po' per caso, e un po' per (tanta) follia sia nata la loro band Visual Kei. Si tratta di una commedia semplice, senza troppe pretese, che narra le disavventure dei membri principali del gruppo nella luuuunga strada che li potrerà a diventare idoli del web!
Premetto: non ci sarà alcuna tematica yaoi/shonen-ai, né ce ne saranno accenni di alcun tipo. In questa fic i personaggi sono tutti felicemente ETERO. Quindi se non è quello che cercate, vade retro
Genere: Comico, Commedia, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Gakupo Kamui, Kaito Shion, Len Kagamine, Rin Kagamine, Vy2/Yuuma
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
– Kaito sei uno stupido, ti odio!!!
 Fu con queste parole che piangendo Miku si lanciò fuori della sala di registrazione, mentre dall’interno una voce cercava ancora di farla ragionare.
– Ehi, no, aspetta...! Miku...! - Sull’uscio comparve proprio il suddetto Kaito che, con l’immancabile sciarpetta azzurra coordinata alla propria chioma blu, con aria affannata stava tentando di riportare la calma in quella faccenda. – Miku! –  La chiamò. – Dai, torna qui! Insomma, Miku...!
 La chiamò più e più volte cercando di farla tornare sui suoi passi, ma ottenendo in risposta solo il silenzio del corridoio vuoto, dopo qualche minuto sospirò: non sarebbe tornata indietro. Non per il momento, almeno.
– Complimenti Kaito, bel lavoro. – lo apostrofò sarcastica una voce femminile.
 Si voltò. Meiko, la sua ragazza, da uno dei divanetti della sala lo osservava con una tutt’altro che celata espressione di rimprovero. Era quella che si poteva definire una bella ragazza: le labbra carnose, ben disegnate, davano un tocco di sensualità; gli occhi color nocciola brillavano sempre di un’energia dirompente, e capelli corti castani contribuivano a darle un’aria matura. Se poi questo si abbinava al generoso seno, che sapeva sempre valorizzare con altrettante generose scollature, era perfettamente in grado di mandare fuori di testa praticamente ogni uomo. Ma Kaito non era dell’umore per apprezzare questi dettagli. Anzi, mentre la donna si alzava, lui si girò dall’altra parte, seccato.
– Si può sapere che ti è preso? L’hai praticamente aggredita! – gli chiese avvicinandosi.
Il ragazzo tornò a guardarla, scoccandole un’occhiata irritata.
– Guarda che è colpa sua! Non hai visto come si è impuntata quando le ho parlato della canzone? Io volevo solo proporre qualcosa di nuovo per la band! Cosa ne posso se si comporta da principessa sul pisello?! – replicò nervoso iniziando ad alzare il tono di voce.
Meiko tuttavia non si scompose, e decise di affrontare la situazione e colui che l’aveva creata.
– Kaito, ti sei messo a litigare con una ragazzina! Piantala di essere così immaturo, vedi di crescere un po’.
Credeva che rimproverandolo avrebbe calmato le acque, ma con sua sorpresa quell’azione sortì l’effetto contrario, facendo arrabbiare di più il ragazzo che tornò indietro, prese basso, custodia, e tornando sulla porta si fermò, senza voltarsi.
– Crescere eh? Beh, sai che ti dico? Ti dico che forse più che io, quelle che dovrebbero crescere siete voi ragazze. Qualunque cosa Miku faccia voi la difendete e, per quanto  mi riguarda, sono stufo di stare dietro a voi e a quella mocciosa viziata. Quindi... – si caricò il basso in spalla, guardandola negli occhi. - ...me ne vado! – e così dicendo prese la porta e sbattendola sparì.
 Seguirono alcuni istanti di silenzio, in cui Meiko fissò allibita la porta chiusa finché sentendosi osservata, non si voltò, incrociando lo sguardo preoccupato di Gumi e IA. Scrollò le spalle con noncuranza.
– Tornerà. – sentenziò. – Lo conosco, non è tipo da lasciarci senza compositore.

                                                                          ***

Seriamente, che gli era passato per la testa? Kaito continuava a domandarselo mentre col basso in spalla, tornava a piedi dalla sala dove si era tenuta la discussione. Ancora non riusciva a credere a quanto aveva appena fatto: era riuscito a litigare con Meiko! La sua ragazza! Con la quale non aveva mai litigato! Si sentì assalire la voglia di morire per l’avvilimento e la vergogna. Tuttavia, non aveva intenzione di tornare sui suoi passi, ormai aveva deciso: aveva mollato la band, e non sarebbe tornato.
Sospirò. E dire che quando tutta quella faccenda era iniziata, circa un anno e mezzo prima, credeva avrebbe potuto funzionare. Era partito tutto proprio da Meiko e Miku: amiche d’infanzia, unite quasi come fossero sorelle, avevano deciso di mettere su un gruppo. La castana era un’ottima batterista, mentre la ragazza dai capelli verde acqua aveva dalla sua la chitarra e una bella voce. Non restava che trovare altri membri. Per prima tirarono dentro Gumi, compagna di classe di Miku nonché la futura tastierista del gruppo, poi fu il turno di IA, un’ottima chitarrista conosciuta dalla castana mettendo un annuncio vicino al ristorante dove lavora part-time. Tutto bello e tutto perfetto, ma mancava un dettaglio: un bassista. Non trovando una ragazza che lo sapesse suonare nemmeno per scherzo, avevano chiesto a lui. Sul momento gli era parsa una buona idea: era un bassista, il ragazzo di Meiko, e conosceva già un poco Miku. Le carte in regola le aveva, quindi perché non accettare? Poteva essere divertente, infondo. Fin da subito si mise  a collaborare con il quartetto femminile, componendo assieme alla vocalist principale e confrontandosi con lei. Tutto sembrava andare bene, ma pian piano notò come stavano veramente le cose: Miku decideva per tutti; sceglieva se una canzone andava bene o meno, decideva le armonie, il tema della canzone o dell’eventuale concerto che tenevano per quei pochi fan che avevano. Quello che insomma faceva un effettivo leader, solo che lo faceva nel modo sbagliato. Non si consultava con nessuno, e se una cosa non le andava bene iniziava a piagnucolare, a borbottare e recriminare, cercando sempre di passare per quella carina e gentile mentre chi le si opponeva immancabilmente era dalla parte del torto. Insomma, manie di protagonismo. Aveva provato a far ragionare lei, o Meiko, o le altre, ma senza successo: in un modo o nell’altro davano sempre ragione a lei, giustificandola e appoggiandola. Aveva deciso di sopportare e lasciar perdere, provando a guardare il lato positivo, ovvero passare più tempo con Meiko, ma alla fine, nemmeno mezz’oretta prima aveva finito per sbottare e litigare non solo con la vocalist, ma anche con la propria ragazza. Bel lavoro davvero.
Si portò una mano alla fronte per proteggersi dai raggi solari di fine giugno che minacciavano di cuocergli gli occhi, e osservò il cielo: era di un azzurro intenso, privo di qualsiasi nuvola. Sbuffò sonoramente, riabbassando lo sguardo. (nota: rivedere)
– Che giornata di me...
                                                                           ***
– Che giornata sprecata! – sbottò Len lanciando un’occhiata fuori dalla finestra mentre percorreva il corridoio della scuola. – Mi pare assurdo che con una così bella giornata di sole fuori, ci tocchi stare chiusi qui tutto il tempo!
 Era primo pomeriggio, e fuori la calura estiva sapeva come farsi sentire. Per quanto per alcuni fosse seccante, non era così male trascorrere le ore più calde al riparo dall’afa, anche se questo implicava doversene stare nell’edificio scolastico.
– Su fatti coraggio, almeno le lezioni sono finite! – cercò di tirarlo su di morale sua sorella Rin ridacchiando divertita e dandogli una pacca sulla spalla. – Ora c’è soltanto più il club! – cantilenò allegra compiendo un paio di balzi avanti, mentre iniziava ad intravedersi a metà corridoio la sala del club scolastico.
– Dici che gli altri ci sono già tutti? – le chiese lui, ottenendo però solo un’alzata di spalle in risposta.
Arrivati davanti alla porta dell’aula, Len la spalancò di scatto, con la sua solita mancanza di grazia.
– Scusate il ritardo! – esordì seguito dalla gemella, che spiegò come il loro turno di pulizie fosse durato più del dovuto.
Si aspettavano di trovare tutti i membri presenti, e invece c’erano solo Piko, intento ad accordare il proprio basso, e Miki, che seduta su un amplificatore stava sgranocchiando un pacchetto di cracker. I due li salutarono allegri come loro solito, ma dei restanti membri, nemmeno l’ombra.
– Eh? Ma gli altri?
Piko scrollò le spalle.
– Asakura è malato, Akatsuki è dovuto uscire prima. Namine-senpai invece, è andata a prendere non so cosa per la tastiera; dice di averlo lasciato in classe. – spiegò indifferente, continuando a dedicarsi al proprio basso.
Len sbuffò appena.
– Uff, e io che non vedevo l’ora di fare un bel giro tutti assieme! – borbottò seccato sbottonandosi il colletto della camicia della divisa e andando a prendere la propria chitarra lasciata lì giusto a inizio mattinata. – Anche se con questo caldo devo ammettere che mi passa un po’ la voglia di fare qualsiasi cosa...
Facevano parte del Club di Musica Leggera della loro scuola media, fondato circa due anni prima da un senpai staccatosi dal semplice coro della scuola e che aveva deciso di fare qualcosa di un po’ diverso dal solito, prendendo come ispirazione un manga basato proprio sulle attività di un Club di Musica Leggera. A detta di tutti era un’assurdità, figuriamoci se glielo avrebbero permesso; eppure, con grande sorpresa generale, non solo ce la fece, ma riuscì anche ad attirare membri! Non si trattava di un club particolarmente agitato come si potrebbe vedere nei fumetti, ma certo non era nemmeno composto da elementi così pacati: anche senza il principale fondatore a guidarli, i membri spesso si consultavano fra loro, litigavano sui brani, si riappacificavano e facevano chiasso. Indubbiamente, erano un gruppetto vivace. Dei sette, Piko era il bassista nonché l’ultimo arrivato, essendo solo al primo anno, ma compensava l’età con la bravura; Miki, del terzo, aveva preso le redini del club diventandone il leader dopo che il senpai aveva lasciato, e si dedicava al violino elettrico; Namine Ritsu come Miki era del terzo, e faceva da tastierista fin dalla fondazione del gruppo, avendo preferito questo al coro. Asakura, del secondo anno, era il batterista del gruppo, e con Akatsuki, suo migliore amico che suonava la chitarra elettrica, formava un duo affiatato, anche se non sempre perfetto. Infine, Len e Rin, al secondo anno, si occupavano rispettivamente di chitarra elettrica (come Akatsuki) e voce. La bionda non aveva ancora trovato uno strumento che la soddisfacesse pienamente, così aveva deciso di limitarsi a sfruttare le proprie capacità vocali: aveva un range che variava e si poteva adattare un po’ ad ogni genere di canzone, dalle più dolci a quelle rock. Il fratello su questo punto le assomigliava, ma con la voce ancora in corso di maturazione era un’incognita come si sarebbe sviluppato.
Annoiato, Len strimpellò distrattamente un brano dal sapore un po’ rock mentre con lo sguardo agognava già il mondo fuori dalla finestra, con la fine delle lezioni quotidiane prima, e direttamente con le vacanze estive poi. Riconoscendo nelle note accennate dal fratello il motivo di Kodoku no hate, canzone da loro composta qualche tempo prima, Rin gli si avvicinò istintivamente per ascoltare meglio, e decidendo di usare quello per scaldarsi la voce, iniziò a cantare, spingendo il gemello a suonare in risposta con un poco più di serietà. Miki, mettendosi comodo sulla cassa, ascoltò in silenzio quella specie di duetto voce-chitarra improvvisato dai due, mentre una mezza idea iniziava a prendere forma nella sua mente.
– Ragazzi... – esordì a fine brano, cercando di attirare l’attenzione dei due biondi, che si voltarono in contemporanea e con una sincronia talmente perfetta da mettere quasi i brividi. – Ho avuto un’idea! – trillò gioiosa, saltando giù dalla cassa per avvicinarsi ai gemelli che la guardavano con una sottile preoccupazione nello sguardo: quando Miki aveva un’idea, raramente era qualcosa di positivo. – Che ne direste al festival culturale di duettare? Componete sempre di tutto, e insieme siete così bravi da sembrare una persona sola. Sono certa che se voi due foste i nostri frontmen, l’esibizione sarebbe un successo!
 I due gemelli, colti alla sprovvista, si scambiarono un paio di occhiate leggermente titubanti.
– Che ne dici? – chiese Len alla sorella, che si strinse nelle spalle.
– Credo si possa fare.
Si scambiarono un sorriso e un altro lo rivolsero a Miki, che a sua volta si illuminò.
– Quindi è un sì? Grandioso! Allora iniziamo subito! Dobbiamo decidere un sacco di cose: le canzoni, la scaletta, i costumi...
E perdendosi in chiacchiere e programmi sul festival che si sarebbe tenuto non prima di settembre, il pomeriggio volò.
                                                                         ***
Il sole stava già lentamente dirigendosi al tramonto quando, finite le attività del club e quindi i loro doveri, i due gemelli poterono finalmente dirigersi a casa.
– Siamo tornati! – dissero in coro entrando in casa dopo essersi tolti le scarpe.
– Ben tornati ragazzi! – rispose loro la signora Kagamine dal piano superiore.
Avvenente donna che si avviava alla quarantina, la signora Kagamine era nata e cresciuta in Svezia, dove aveva scelto di studiare lingue orientali per orientare la sua futura carriera verso il mercato asiatico. Assunta da un’azienda giapponese per lavorare come interprete con i clienti stranieri, la donna aveva poi conosciuto il signor Kagamine, fioraio, e se n’era innamorata. Non passò molto tempo prima che i due decidessero di sposarsi e mettere su famiglia, generando in questo modo due gemelli che avevano preso più tratti della madre, inclusi i capelli biondi e gli occhi azzurri, che dal padre, di cui avevano principalmente i tratti orientali.
Per quanto i lavori dei due coniugi differissero di molto, erano felici, e non mancavano mai di dimostrarlo e di viziare i figli.
– Allora? Come sto? – chiese la donna uscendo dalla propria camera da letto e facendo una giravolta.
Indossava un abito da sera nero un poco scollato, abbinato ad un paio d’orecchini lunghi d’argento ed un paio di bracciali al polso sinistro nello stesso materiale. I lunghi capelli biondi, erano lasciati sciolti ed incorniciavano il volto, sul quale un rossetto rosso e un delicato ombretto spiccavano, rendendolo più luminoso.
Gli occhi di Rin vedendola brillarono incantati, quasi come se avesse visto una modella.
– Sei bellissima, mamma! – esclamò ammirata e rapita da quella visione.
Len invece, da bravo uomo qual’era, si limitò inizialmente ad annuire prima di concordare con la sorella.
– Però perché sei vestita in quel modo? Vai da qualche parte? – le domandò un poco confuso, rompendo la magia del momento e guadagnandosi un’occhiataccia da parte della gemella.
– Non ti ricordi nemmeno che giorno è oggi?! – sbottò indignata. – E’ l’anniversario di matrimonio di mamma e papà; vanno a cena fuori!
Con espressione un po’ stupida, Len si diede una manata in fronte, cadendo solo in quel momento dalle nuvole.
– Ah già, l’anniversario! Ma è già stasera?!
La madre, un poco divertita, si abbandonò ad un sospiro rassegnato.
– Sei proprio come tuo padre... – commentò allungando la mano a scompigliare i capelli del figlio che protestando cercò inutilmente di sottrarsi.
– Ma papà? – le chiese Rin guardandosi intorno. – Non l’ho ancora visto...
– E’ andato a far benzina, non appena torna andiamo. – replicò la donna, giusto poco prima che il suo smartphone, dalla stanza accanto, iniziasse a squillare. – Oh, questo dev’essere lui. – girò rapidamente su sé stessa per tornare in stanza, dove prese telefono e pochette, per poi superare altrettanto rapidamente i gemelli, rimasti sulla soglia a seguirla con lo sguardo. – La cena è nel forno, dovete solo scaldarla – disse frettolosamente loro mentre scendeva le scale, controllando di avere tutto nella borsetta – terremo entrambi il telefono acceso in caso di emergenza, quindi in caso serva qualcosa chiamate. – si fermò un attimo al pianterreno, per un’ultima sistemata allo specchio. – Ah, ho chiamato qualcuno perché dopo cena venga a darvi un’occhiata – aggiunse distratta – voi fate i bravi ok?
– Cosa?! – sbottarono i figli in coro.
– Hai chiamato una babysitter?! – disse Rin incredula.
– Ci hai preso per dei bambini?! Guarda che sappiamo badare a noi stessi! – incalzò Len, offeso.
Tuttavia, la madre si limitò a ridacchiare, voltandosi verso le due teste bionde che l’avevano seguita a pochi passi di distanza dalla camera fino all’ingresso, dove si stava mettendo le scarpe.
– Per me, sarete sempre i miei bambini. – rivelò loro affettuosa, prima di schioccare a ciascuno un rapido bacio e uscire dalla porta diretta al cancello, dove il marito in auto la stava già aspettando.
– Che rottura! – si lamentò la ragazzina dopo qualche minuto dalla partenza dei genitori, gonfiando le guance risentita.
– Per una volta che avevamo la casa libera... – si accodò il fratello, palesemente deluso dalla piega che aveva preso la serata da un istante all’altro. Sospirò. – Va beh, quel che è fatto è fatto. Dai, andiamo a preparare la cena, poi nell’attesa della “babysitter” – con tanto di virgolette mimate – possiamo sempre farci una partita alla Play.
Quando il campanello suonò, i gemelli erano seduti sul divano in salotto intenti in una partita alla Playstation.  Si guardarono l’un l’altro, incerti sul da farsi e sul chi dei due dovesse andare ad aprire.
– Vado io! – si offrì il biondo – Deve essere la nostra “babysitter” – e senza aspettare una conferma da parte della sorella, si alzò e avviò alla porta.
Ancora non riusciva a crederci. Come avevano potuto i loro genitori arrivare a chiamare qualcuno che badasse a loro? Ma li prendevano davvero per dei bambini? Alla sola idea si sentiva dannatamente umiliato. Chissà chi avevano chiamato, tra l’altro? Magari la signora Takamoto, la signora anziana che viveva dall’altro lato della strada? Di certo non erano i nonni, dato che vivevano campagna. La cugina Lily? Impossibile, aveva certamente di meglio da fare che badare a lui e Rin. Ma allora chi? Un totale estraneo? Poteva essere effettivamente probabile, anche se gli sembrava strano.
L’unico che non si aspettava, fu proprio quello che si ritrovò davanti quando aprì la porta.
– Kaito?! – esclamò incredulo, quando incontrò il sorriso smagliante del ragazzo.
– Yo! Come va?
Len lo guardò stralunato, come se non si capacitasse di ciò che gli stava di fronte, quasi fosse una sorta di visione.
– Be’... bene. Ma tu che ci fai qui? Non vorrai dirmi che sei tu quello venuto a tenerci d’occhio!
Il sorriso dell’altro si allargò, se possibile, ancora di più.
– Sai com’è, i vostri genitori mi hanno chiesto di tenervi d’occhio, e così.... eccomi qua!
Il biondo ricambiò il sorriso e si voltò verso il soggiorno, dove ancora si trovava la sorella, chiamandola a gran voce.
– Rin! Vieni qui! Non indovinerai mai chi è la nostra “babysitter”! – le urlò sghignazzando bellamente quando vide Kaito sbottare contrariato per il soprannome appena affibbiatogli.
– Chi?? – domandò lei in rimando lasciando la morbidezza del divano per precipitarsi in contro ai due ragazzi.
I suoi passi scalzi rimbombarono sul parquet con intensità crescente man mano che si avvicinava alla porta d’ingresso, attirata dal fratello e curiosa di sapere chi i suoi genitori avessero avuto la scellerata idea di chiamare. Aveva varie idee in mente, ma fu solo quando arrivò nell’atrio che scoprì finalmente l’identità della loro misteriosa balia per quella sera. Si fermò di colpo, colta di sorpresa dalla realizzazione, solo per poi scattare se possibile ancor più rapida di prima verso il ragazzo, stringendolo nella morsa ferrea di un abbraccio che quasi lo trascinò a terra.
– FRATELLONEEEE!!! – lo apostrofò serrando di più la presa.
Kaito, che era già abituato alle dimostrazioni d’affetto della bionda, si limitò a ridacchiare, pattandole dolcemente la testa come era solito fare di fronte a quelle dimostrazioni di affetto un po’ estreme.
La sua conoscenza con la famiglia Kagamine infatti era tutt’altro che recente: lui e i gemelli, si erano conosciuti alle elementari, quando loro avevano appena iniziato il primo anno e lui, al sesto, si apprestava a concludere il percorso scolastico delle elementari. Formato un legame così forte coi due bambini, per tutto l’anno scolastico era stato come un fratello maggiore per loro. Poi, aveva iniziato le medie e i rapporti finirono con l’essere recisi per circa due anni. Quasi si era dimenticato di loro quando, l’estate del suo terzo anno, i Kagamine cambiarono casa, trasferendosi in quella accanto alla sua. Aveva così ritrovato le due testoline bionde e rinsaldato il legame che li univa. Le due famiglie avevano stretto amicizia, quindi si incontravano spesso, e non era raro che quando erano più piccoli i gemelli si fermassero da lui a giocare, se non a dormire, mentre lui spesso aiutava i vicini quando una mano in più faceva comodo. Erano, insomma, una sorta di famiglia allargata.
– Ma sei sicuro di poter venire qua di sera? Non dovresti stare al campus? – domandò la ragazzina, decidendosi, con somma gratitudine di Kaito, ad allentare prima e sciogliere poi definitivamente l’abbraccio.
Lui le sorrise dolcemente.
– Nessun problema. – la rassicurò – Fintanto che si tratta di lavoro, anche se di sera quelli dell’università possono fare uno strappo alla regola. – il sorriso mutò, facendosi più sicuro. – E poi, oggi le lezioni erano pure sospese! Quindi sono tutto vostro!
– Allora, che ne dici: partita alla Play? – si fece avanti Len indicandogli con un cenno del capo il salotto.
– Volentieri! Quali sono le opzioni? Picchiaduro? Calcio? Auto? – snocciolò pronto l’universitario: non era la prima e non sarebbe stata l’ultima volta che giocava a qualche videogame assieme al ragazzino, e sapeva bene che in questi casi aveva solo l’imbarazzo della scelta.
In tutta risposta, il biondo ghignò, dirigendosi verso la sala.
– A te la scelta! Tanto ti batterò comunque. – annunciò sicuro di sé, avviandosi lungo il corridoio solo per venire rapidamente intercettato dall’altro, che lo afferrò a sorpresa e gli scompigliò giocosamente la chioma dorata fra risate e schiamazzi.
Anche Rin si ritrovò a ridacchiare, guardandoli divertita: erano proprio due bambini certe volte! Li seguì per un pezzo, lasciando che i due ragazzi facessero casino come meglio credevano, prima di separarsi da loro per prendere le scale.
– Ho il mio gruppo cosplay che mi aspetta su Skype per una chiamata; voi vedete di non disturbare!
E con queste parole, sparì alla vista dei due.
Kaito e Len si guardarono a vicenda, colti alla sprovvista dalle parole della ragazza, ma poi con una scrollata di spalle, si diressero in salotto, la loro postazione di gioco per quella sera.
– Ma fa ancora cosplay? – chiese il primo, lanciando un’occhiata fugace alla scalinata sulla quale era sparita la ragazzina prima di prendere posto sul divano e afferrare la console già pronta sul tavolino.
– Eccome! – gli rispose Len, già impegnato a frugare nel cassetto sotto la televisione fra i vari titoli per console in suo possesso –  Pare sia piuttosto brava, ha persino vinto qualche concorso un paio di volte...
Grazie all’ottimo lavoro della madre, la famiglia possedeva un salotto di tutto rispetto: arredato secondo lo stile e il gusto occidentali, anche se non era molto ampio i divani e i cassoni erano disposti in modo da ingombrare il meno possibile, lasciando molto spazio nella zona del televisore, così da poter guardare i programmi sullo schermo piatto da 32 pollici senza che nulla ostruisse la visuale.
Ed è proprio da sotto la Tv che riemerse il biondo, stringendo fra le mani un gioco di rally quasi fosse stato il suo più grande tesoro.
– E ora, a noi due! – annunciò, gli occhi che parevano iniettati di sangue mentre inseriva il dischetto nella console nera, in totale contrasto con la stanza, per poi sedersi sul divano in pelle bianca, in armonia col colore del resto della mobilia.
                                                                        ***
– Quindi... come va? Sai, con la scuola e le solite cose... – domandò distrattamente Kaito dopo un’oretta trascorsa a suon di rivincite a rally.
Len intanto guardava lo schermo, bocca aperta ed occhi sgranati di fronte alla sua cinquantesima sconfitta di quella sera. Com’era umanamente possibile che fosse stato miseramente stracciato per un’ora di fila?!
– Sì, insomma... c’è qualcuna che ti piace? – tornò alla carica Kaito, senza darsi per vinto di fronte al silenzio attonito del biondo, che questa volta si girò di scatto, a dir poco sorpreso.
– Cosa?! N-no! – sbottò, agitato.
Il ragazzo sogghignò divertito, e senza tanti complimenti si fece più vicino, pronto a stuzzicare l’altro su quella questione così delicata: Len infatti non aveva una ragazza, e probabilmente nessuna che gli piacesse più di tanto, ma iniziava a sentirsi a disagio pensandoci, visto che molti suoi compagni di classe iniziavano già le prime uscite con le loro coetanee.
– Andiamo, a me puoi dirlo, sai? Sono sempre il tuo fratellone! – cercò di punzecchiarlo.
– Fratellone un corno!! – ribatté lui, piccato. – Tu, piuttosto, non avevi una ragazza? Con cui suonavi pure in una band? – chiese nel tentativo di cambiar discorso.
In risposta, il sorriso dell’altro scomparve, lasciando spazio solo a un sonoro sospiro.
– Hai detto bene: “avevo”. Dopo stamattina non so se si consideri ancora la mia ragazza o meno... – spiegò lasciandosi sprofondare triste nella pelle del divano.
– Eh? Avete litigato? – fu la domanda. Kaito sospirò nuovamente.
– Ho praticamente litigato con l’intero gruppo...
E così gli spiegò tutto. Di come fosse nata la band, di come inizialmente gli fosse parsa una bella idea, ma poi col tempo si fosse reso conto di quanto fosse viziata Miku, la loro vocalist. Gli raccontò dei tentativi di spiegare alle altre il suo punto di vista, e di come in risposta non avesse ricevuto nulla di concreto, fino alla litigata di quella mattina, conclusasi con la sua decisione di lasciare il gruppo.
Al termine del racconto Kaito era, se possibile, ancora più sprofondato nel divano dalla depressione, mentre Len con aria assorta, osservava lo schermo su cui il gioco era stato messo in pausa. Sospirò a sua volta, lasciandosi cadere sullo schienale e lanciando un’occhiata all’amico.
– Gran bel casino... – commentò – Quindi? Che pensi di fare?
– Non saprei... – replicò lui – di certo, non intendo tornare indietro anzi! Vorrei far vedere che sto più che bene senza di loro, che sto meglio e soprattutto sono meglio di loro! Voglio che rimpiangano il non avermi dato ascolto quando era il momento. – sentenziò, deciso.
Il biondo sorrise, divertito da parole così grosse per una lite in una band. A volte Kaito, nonostante avesse cinque anni più di lui, si comportava decisamente come un ragazzino. Si impuntava sulle cose più assurde, e soprattutto gli venivano in mente le idee più strambe, e non era raro che cercasse di coinvolgere in esse anche le persone a lui vicine, tipo la sua ragazza, o lui e Rin.
– Certo che un desiderio più semplice non potevi tirarlo fuori, eh? – lo prese in giro sghignazzando – Quindi? Che intendi fare? Non puoi mica crearti una band tua!
Non l’avesse mai detto. Kaito si voltò di scatto, e una strana e pericolosa luce gli brillava già negli occhi. Brutto segno. Len istintivamente cercò di arretrare di quel poco che lo spazio del divano permetteva, ma era troppo tardi: era già stretto nella morsa delle mani dell’altro, saldamente ancorate sulle sue spalle.
– Len sei un genio. – esordì, serio.
– Cosa?
– Ma sì, sei un genio ti dico!! – insistette, deciso – È esattamente quello che faremo! Creeremo una band! – decretò soddisfatto.
Il ragazzino lo guardò confuso per un istante.
– No, aspé. COSA?!




-------------------------------------------------------------------------------


Angolo dell'autrice


Salve! Qui è l'autrice che vi parla!
Grazie mille a chi legge o leggerà questa fanfic, spero possa essere piaciuta! La mia idea sarebbe di fare una sorta di long di circa una decina di capitoli dedicati alle disavventure della band, dalla formazione al successo, cercando di mantenere sempre uno stile leggero e divertente... Dovrebbe essere ambientata in Giappone, ma visto che per quanto ho capito lo stile di vita dei veri giapponesi praticamente renderebbe pressoché impraticabile metà delle cose scritte qui sopra, considerate una "logica da anime/manga", dove raramente l'ambientazione è 100% realistica. Non intendo comunque cadere in errori madornali tipo far fare o parlare di cose che sono tipiche dell'Occidente o dell'Italia, cercando di restare culturalmente realista, ma... entro certi limiti XD Detto questo, mi scuso se il capitolo potesse sembrare confusionario o noioso, ma ho cercato di dare un'idea dell'ambientazione e della situazione di partenza >.< Non sono brava a descrivere scene comiche (ho una capacità comica pari quasi a quella di un sasso), ma farò il possibile per migliorare lo stile e renderlo meno serio. Quindi... scusate e abbiate pazienza!
Tra l'altro, parliamo di cose importanti: la frequenza con cui aggiornerò. Sfortunatamente ho l'università e gli esami spesso e volentieri fra i piedi, quindi potrei essere piuttosto lenta... non posso fare promesse, ma cercherò di aggiornare più o meno ogni 1-2 mesi..... anche qui, abbiate pazienza!
E con questo mi ritiro, rinnovo la mia speranza che vi sia piaciuto, mi scuso per il papiro appena scritto, e spero vorrete farmi sapere che ne pensate! Una recensione, anche piccola sarebbe gradita, idem le critiche, purché costruttive. Ci vediamo al prossimo capitolo!

  
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Vocaloid / Vai alla pagina dell'autore: Mistryss