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Autore: nikita82roma    09/12/2016    4 recensioni
Rick ha detto a Kate che non sarebbe stato a guardarla mentre buttava via la sua vita. È tornato a casa dopo la consegna del diploma di Alexis quando sente bussare alla porta del loft. Ma non è Kate, è Esposito che lo avvisa che Beckett è in ospedale gravemente ferita. Si parte da "Always" ma il percorso poi è completamente diverso.
FF nata da un'idea cristalskies e con il suo contributo.
Genere: Angst, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kate Beckett, Nuovo personaggio, Quasi tutti, Rick Castle, William Bracken | Coppie: Kate Beckett/Richard Castel
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Quarta stagione
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Rick aveva detestato quel pomeriggio, aveva odiato Gina ed anche lo stupido grafico che doveva sottoporgli le bozze per le copertine. Non ce n’era una che gli piacesse. Erano tutte sbagliate, soprattutto nei colori. Frozen Heat, doveva essere blu, non accettava altre opzioni. E non gli importava che Gina gli dicesse che così non avrebbe colpito, che doveva essere più accattivante, più incisiva. Il grafico suggeriva un colore più caldo, era evidente che non sapeva di cosa stava parlando, probabilmente non aveva nemmeno letto le sue bozze ma solo seguito le indicazioni di Gina. Le sue copertine precedenti erano state tutte sulle gradazioni di rosso o giallo e per la sua editrice doveva continuare così.
Il grafico provò a venirgli incontro, proponendogli dei gialli più acidi, meno caldi ma lui non voleva sentire ragioni. Frozen Heat doveva essere blu, azzurro al massimo. Doveva essere freddo. Dare la sensazione di qualcosa di realmente gelido. Come si era sentito lui. Il freddo che aveva provato quando era entrato nella stanza di ospedale di Kate.
Alla fine la spuntò. Dopo aver fatto varie simulazioni e prove avevano trovato un punto d’incontro anche sulla sagoma di Nikki in copertina, meno visibile delle altre. A Kate non piaceva che fosse troppo “esposta” la sua alter ego nuda. Sperò che quell’accorgimento le facesse piacere.
Intanto però era passato tutto il pomeriggio e non sarebbe riuscito a passare da lei di nuovo.
Le aveva scritto ogni qual volta si prendevano una pausa o Gina riceveva una telefonata. Alla fine aveva anche declinato l’invito della sua ex moglie di cenare insieme: “solo una cena di lavoro”, ci tenne a precisare ma Rick non ne aveva voglia e si congedò lasciandola all’uscita della Black Pawn, mentre saliva su un taxi per tornare al loft. Il messaggio di Kate nel quale gli dava appuntamento al giorno successivo era stata la cosa più bella della serata.

La novità di quella mattina, per Kate, fu poter bere. Le sembrò un sollievo ed una tortura allo stesso tempo concedersi quei piccoli sorsi d’acqua. Gli antidolorifici erano sempre meno e sentiva chiaramente ogni punto dolente del suo corpo. Cominciava ad essere insofferente: del dolore, dell’ospedale, delle infermiere, delle medicazioni, del non potersi muovere, di tutto.
Il pensiero della conversazione del giorno precedente con Price non le migliorava l’umore, anzi. La sua mente aveva lavorato per tutto il tempo in cui non aveva dormito pensando e ripensando a quello che avrebbe potuto fare per arrivare a scoprire l’identità dei suoi aggressori.
Castle la trovò così, quando arrivò nella sua stanza: insofferente.
Sbuffò, quando lo vide e Rick ci rimase male.
Aveva sperato che fosse anche lei felice di vederlo, lui lo era e si sforzò di tenere il suo miglior sorriso, malgrado tutto.

- Ehi… - “Ciao Kate, mi sei mancata terribilmente questa notte, avrei voluto solo poter stare vicino a te.” Le avrebbe voluto dire - Come ti senti?

Fu molto più diplomatico dei suoi pensieri

- Indolenzita, annoiata, frustrata... Inutile.

Rick ne fu spiazzato, non si era mentalmente preparato a dover interagire con una Beckett così.

- Però parli molto meglio, cioè mi sembra così. - Con lei metteva sempre le mani avanti, anche quando provava a cercare il lato positivo delle cose.

- Sì. È vero… - Ammise con poca convinzione

- Bene. E’ positivo, no? Sì, insomma è un piccolo passo…

Lo guardò irritata ma incontrò i suoi occhi fin troppo comprensibili nei suoi confronti. Lui era venuto lì, era stato lì con lei in quei giorni sopportando i suoi silenzi senza fare nulla e lei ora stava gli stava riversando addosso la sua frustrazione.
Chiuse gli occhi e fece un respiro profondo. Non era questo che voleva, non era questo che aveva voluto per giorni, con lui. Non doveva fare lo stesso errore di sempre, darlo per scontato, usarlo solo per sfogare le sue negatività. Lo guardò di nuovo.

- Sono felice che sei qui - Gli disse cambiando completamente tono e sguardo. Rick fu preso in contropiede, non era capace di rapportarsi con quel lato di Kate.

- Sono felice che sei felice - sorrise lui genuinamente ed un po' imbarazzato - E sono felice di essere qui, con te. No, aspetta, non sono felice che tu sia qui, sono solo felice di poterti stare vicino anche se qui, non che tu sia in ospedale.

- Castle, ho capito. - Gli bloccò il polso della mano che si agitava, ma non fu un gesto brusco, non ne sarebbe stata in grado, nè fisicamente nè emotivamente. Si stava imponendo di non fare nessun gesto che potesse ferirlo, non più. - Ti ricordavo più bravo con le parole…

Si sorrisero entrambi di nuovo, imbarazzati. Entrambi si sarebbero voluti dire di più, nessuno aveva il coraggio di farlo.

- Beckett…

- Castle…

Parlarono contemporaneamente con quella sincronia che gli veniva sempre naturale e il sorriso non sparì dai loro volti.
Fu Rick il più veloce a parlare dei due, facendo quella domanda che si portava dentro da giorni.

- Perché hai chiamato me? In quel momento, Kate, perché hai chiamato me, perché non il 911, il distretto, tuo padre…

Kate temeva quella domanda, sapeva che gliel’avrebbe fatta. Aveva provato a trovare una risposta ma non c’era nulla che potesse dire diverso dalla realtà.

- Perché pensavo a te… non potevo morire senza averti detto… che sei importante per me… avrei dovuto dirtelo nel mio appartamento… non… non lasciarti andare. - La sua voce si era andata ad abbassare man mano che parlava, sia per la difficoltà fisica che emotiva.

- Kate, cosa vuol dire questo per te? - Si era azzardato a chiamarla di nuovo per nome, le parole di Beckett lo avevano emozionato fino a fargli tremare la voce.

Rick non aveva mai avuto paura di amare. Si era sposato due volte, aveva avuto molte donne, aveva amato, pensava. Fisicamente di sicuro, molto. Si era divertito e non poteva negarlo.
Ora però aveva paura, tremendamente paura di amare, paura di amare e di essere amato. Aveva paura di quello che gli avrebbe potuto dire Kate.
Se non gli avesse detto nulla avrebbe avuto paura di averla persa, forse per sempre, non avrebbe sopportato di rimanere ancora lì in un angolo, ma se gli avesse confermato quanto scritto in quel messaggio avrebbe avuto ancora di più paura. Paura per lui, paura per lei, paura per loro. Loro. Poteva esistere un loro? Se ci pensava sentiva già battere il cuore fin fuori dalla cassa toracica. Si abbassò a vedere se si notava.
Non aveva ancora quell’amore ed aveva già paura di perderlo. Si chiese se allora avesse mai amato in vita sua, gli sembrava impossibile in quel momento amare senza aver paura. Aveva paura di tutto in quel momento. Anche di se stesso e delle sue reazioni, delle mani che sudavano, della gola secca e del battito accelerato.

- Che mi dispiace Castle. Mi dispiace tanto, per tutto. Per tutto quello che ti ho detto e per tutto quello che non ti ho detto… Castle… Rick… io credo di averti scritto un messaggio prima di… di perdere conoscenza… - Kate abbassò lo sguardo. Castle guardò dritto davanti a se, il muro bianco.

- No, Kate… non ho mai ricevuto nulla. - Non riuscì a dirle che aveva lui il suo telefono, che aveva letto, che sapeva. Si chiese perché lo stesse facendo, perché mentirle?

Ripicca per fare come aveva fatto lei un anno prima? Si morse la guancia mentre lei alzava lo sguardo a cercare il suo.
Provò ad alzarsi, tirandosi un po' su da quella posizione che la costringeva sdraiata. Non ce la fece ma sentì due mani andarle incontro e sostenerla con forza e delicatezza. Erano le sue mani. Perché lui era questo, quello che la sosteneva, la tirava su. Fisicamente e non solo.

- Era importante? - Quello sì a Castle importava. Voleva sapere che valore dava a quelle parole.

- È qualcosa che mi spaventa… Io… ti amo… Ti amo, Rick. Ed ho paura. - Le lacrime solcavano il viso di Kate, vinta dalle emozioni contrastanti.

- Anche io, Kate.

- Sì, tu me lo hai già detto Rick…

- No Kate, anche io ho paura…

Castle le asciugò le lacrime e lei bloccò la sua mano sul volto lasciando che quel contatto si prolungasse.

- Sai, avevo immaginato che adesso ti avrei baciata… Ma immagino che non si possa…

- No… Ma avrebbe dovuto essere così…

- Già… - Rick le prese la mano e cominciò ad accarezzarla. - Fai conto che questa stretta di mano siano le mie labbra sulle tue e che ti stringo a me e che ti sto baciando, dolcemente…

Kate ascoltò le sue parole mordendosi il labbro con gli occhi chiusi lasciando che la sua voce, bassa e profonda, la rapisse. Anche lei accarezzava la sua mano, come se stesse effettivamente rispondendo al suo bacio e Rick sorrise a sentire il suo tocco.

- Sai Beckett, baci bene… - lei aprì gli occhi e gli sorrise tra le lacrime che ancora scendevano, guardando le loro mani accarezzarsi - … non adesso, parlavo dell’altra volta, quando ci siamo baciati veramente!

Rick rise nel vedere il suo imbarazzo. Si erano baciati più di un anno prima, un bacio vero, passionale, sottocopertura certo, ma un vero bacio anche se lei non lo avrebbe mai ammesso. Non ne avevano mai parlato ma lui quel bacio e quelle labbra non le avrebbe mai potete dimenticare ed adesso non vedeva l’ora si assaggiarle di nuovo. Fremeva come un bambino che aspetta la mezzanotte del giorno di Natale per scartare i regali e lei era il suo regalo più bello di sempre.

- Non era un vero bacio, Castle! - provò a rimproverarlo, ma non ci riuscì molto bene.

- Beh allora sono ancora più impaziente di provarne uno vero, detective, se quello non lo era!

Riuscì a farla imbarazzare ancora e si chiese dove fosse in quel momento la Beckett che lo stuzzicava e provocava con allusioni e frasi ambigue, ma gli bastò guardarla un po' più in profondità per capirlo. Non c’era. Ora davanti a lui c’era solo Kate e se possibile l’amava ancora di più. Le sorrise teneramente.
Gli sembrava tutto così irreale, assurdo, che non sapeva cosa fare. Nella sua natura l’avrebbe presa con foga ed abbracciata e baciata fino a consumarle le labbra ed invece doveva rimanere lì e soffocarsi e non sapendo cosa dirle, sembrava tutto scontato e banale.

- Sai, Kate, mi sembra di essere tornato tredicenne… - cominciò lui, molto più serio di quanto lei potesse capire.

- Rick, ho sempre pensato che tu avessi nove anni, se ne hai tredici sei cresciuto! - Lo prese in giro con così tanta dolcezza che non continuò il battibecco.

- Intendevo a quando avevo veramente tredici anni. C’era una ragazzina, bellissima, aveva gli occhi verdi ed i capelli castani…

- Casualmente, vero, Castle? - Lo interruppe ancora Beckett

- Li aveva così! Sul serio! Comunque mi piaceva molto ma io all’epoca non ero uno scrittore di successo irresistibile dal fascino rude a cui nessuna donna può dire di no.

- Nei tuoi sogni, Castle! - lo schernì ancora.

- No, anche nella mia realtà. Almeno quella che mi interessa. - le rispose languidamente avvicinando le loro mani alla bocca per baciarle il dorso, quel contatto almeno era concesso

- Mi fai finire il mio racconto? Dicevo… a lei piaceva leggere ed anche a me, diceva che ero l’unico che preferiva un libro al baseball e così passavamo molto tempo libero insieme. Un pomeriggio eravamo seduti su una panchina davanti a scuola, io aspettavo mia madre che mi venisse a prendere ma era in ritardo come al solito e lei, che abitava lì vicino, era rimasta a farmi compagnia. Le chiesi se voleva essere la mia ragazza e lei mi disse di sì. Le diedi un bacio sulla guancia poi ci tenemmo per mano senza dirci più niente fino a che non arrivò mia madre. Nessuno dei due sapeva cosa fare. Ecco, oggi dopo più di trent’anni mi sento come quel ragazzino alla sua prima cotta: tengo per mano una ragazza bellissima e non so cosa fare nè cosa dire…

- E lo scrittore dal fascino rude a cui nessuna può dire di no dove lo hai messo, Castle?

- Lo preferiresti?

- No, il ragazzino tredicenne mi va benissimo. - Kate glielo disse con una luce negli occhi ed un sorriso che lo fece sciogliere. Quello sguardo non si fermava sulla pelle, gli entrava dentro e lo rapiva e non riusciva a trattenere le emozioni che quella mattinata avevano preso una strada che non si sarebbe mai immaginato quando era entrato lì.

Era successo tutto rapidamente, in modo inusuale, e non aveva ancora nemmeno capito cosa fosse veramente successo. Aprì e chiuse la bocca un paio di volte come a voler parlare ma non emise suoni. Stava ancora razionalizzando la situazione.

- Ti amo Kate e non vedo l’ora di potertelo dimostrare come vorrei, come ho sempre voluto. - Sì chinò su di lei lasciandole un bacio sulla fronte, poggiando appena le labbra sulla sua pelle ancora segnata. Se avesse avuto tra le mani chi le aveva fatto questo, sarebbe stato capace di ucciderlo personalmente e senza rimpianti.

- Lo stai già facendo, Rick…

 
   
 
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