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Autore: Lily1013    20/05/2009    2 recensioni
Com'è difficile essere l'uomo di Dumbledore! Specialmente se si ha a che fare con caramelle avvelenate e la mente diabolica del vecchio golosone!
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Albus Silente, Harry Potter, Severus Piton
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
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Un suo gesto tipico, e solo poche persone avevano avuto l’ardire di farglielo notare, era la scrollata di spalle. Come un tic, come se avesse della polvere sul mantello e agitasse le spalle per scuoterla via. Raro che avvenisse di fronte a qualcuno. Anzi, qualcuno che non fosse Albus Dumbledore, perché era il solo modo con cui era capace di esprimere dissenso senza usare improperi poco rispettosi verso l’anziano Preside. L’astuto vecchietto, infatti, era forse l’unica persona sulla faccia dell’intero pianeta a riuscire a fargli fare cose che neanche sua madre avrebbe avuto il coraggio di chiedergli. Queste cose avevano un largo spettro d’azione, ed andavano da “non far spaventare troppo Longbottom” a “spia il Signore Oscuro per me”. Va bene, quest’ultima cosa praticamente aveva fatto in modo che gli venisse servita su un piatto d’argento, ma tant’era, comunque. Ultimamente, l’ultima sfida che il Preside aveva indetto contro di lui era riuscire a fargli fare vita sociale con i membri dell’Ordine, visto che lo costringeva, una sera sì e l’altra pure, ad andare ad ascoltare gli altri fare resoconti e rapporti di guerra, e questo perché lui, il Preside ovviamente, aveva troppo cose da fare chissà dove per il mondo. Aveva iniziato a sospettare che le sue fossero una specie di vacanza che spacciava per gravosissime ed importantissime missioni, ma questo, ovviamente, non l’avrebbe mai ammesso a voce alta di fronte ad alcuna anima, viva o morta che fosse. E lui, anima dannata, doveva andarci, perché aveva giurato, anni prima, che avrebbe fatto qualsiasi cosa. Un mulo sarebbe stato trattato con più rispetto, pensava spesso. Così scrollava le spalle, si infagottava nel suo solito mantello nero, e si faceva miglia e miglia per arrivare al centro di Londra nel cuore della notte.

Ma fin quando si fosse trattato solo di ragguagli e cronistorie, probabilmente non sarebbe stato nemmeno un compito così estenuante. Ascoltare, o fare finta di ascoltare, era una sua specialità, e nel frattempo pensare a tutt’altro, oppure non pensare a niente, che sicuramente era meglio che stare a sentire quegli svitati. Sì, per lui erano svitati: perché solo dei folli completi avrebbero dato retta a Dumbledore senza fare neanche una domanda sul perché e sul per come. Il suo era un caso a parte, ovviamente, perché lui aveva promesso. E non solo a Dumbledore. No, il dramma apicale veniva raggiunto quando, finite le chiacchiere e le proteste ed il solito cicaleccio da vecchie comari, arrivava lei, la rotonda e perennemente sorridente Molly Weasley, che, tutte le sacrosante volte, lo praticamente costringeva, con quei sorrisi minacciosi ed agghiaccianti, a restare per pranzo e/o cena e/o colazione. Non che cucinasse male, per carità, anche se lui preferiva sempre la cucina degli elfi domestici di Hogwarts, era il momento conversazione che lo metteva in crisi. Tutti che gli chiedevano pareri, cose personali, fatti del castello, addirittura pettegolezzi, come se lui prestasse orecchio alle voci, o leggesse La Gazzetta, o peggio, come se non lo conoscessero abbastanza superficialmente da riuscire a capire da soli che i pettegolezzi non erano proprio pane per lui. Scrollare le spalle mentre gli altri non guardavano era diventato l’atto più coinvolgente di tutta un’intera serata, per non dire nottata, in compagnia di questi poco più che schizofrenici sconosciuti.

“Severus, mi passeresti il pane, per favore?” Remus Lupin, l’uomo lupo, aveva maniere tanto affettate da far accapponare la pelle. Una notte al mese non ci avrebbe pensato due volte a farti diventare la sua cena, e gli altri ventinove giorni ti sorrideva, chiedeva scusa, per favore e diceva sempre grazie.

“Allora, professor Snape, come vanno i miei ragazzi a scuola, eh?”.

No, oh per santo merlino, no. Sperava non sarebbe mai successo, sperava che i suoi ruoli di insegnante, spia e membro dell’Ordine (“Non c’è due senza tre, Severus” aveva sorriso Dumbledore quando aveva fatto notare la caratteristica molteplicità dei suoi incarichi) fossero mantenuti separati. Tutta colpa di Lupin, lui quando insegnava spiattellava tutto. Cosa rispondere, comunque? Che il ragazzo non avrebbe capito mai niente della materia e che si salvava solo perché copiava i compiti dalla Granger, e che se la ragazzina l’avesse piantata di scuotere i capelli per attirare gli sguardi altrui, sarebbe stato tanto meglio per la sua e per l’altrui incolumità?

“Non penso sia professionale per me parlare in questa sede dei risultati che i miei studenti raggiungono” disse lentamente, in modo che tutte le cellule cerebrali di Arthur Weasley capissero cosa stesse dicendo. Weasley padre lo guardò per un secondo, mentre il sorrisetto di complicità che gli aveva generosamente regalato andava spegnendosi. Lupin al suo fianco tossicchiò nervosamente e lui si ritenne soddisfatto.

Stava per addentare l’ultimo boccone del suo stufato, quando la porta principale si aprì, e, tra una folata di vento e polvere, il Preside entrò nella sala da pranzo. E via, un fiume di persone, tutte quelle sedute a tavola, si alzarono per andare a dare i meritati rispetti al grande Dumbledore, più vecchio ogni giorno di più e, all’insaputa della stanza, più malato. Lui rimase dov’era, abituato alle entrate trionfali del Preside: l’aveva visto talmente tante volte, che ormai era come andare ad uno spettacolo di burattini dopo che si sono visti i fili. Almeno adesso me ne posso andare, sospirò mentalmente, pulendosi gli angoli della bocca con un tovagliolo. In sincronia con la presa di posizione del Preside al centro della stanza, pronto a tenere un’altra delle sue solite conferenze per quei pochi eletti, Severus Snape abbandonava le scene, sazio e irritato come al solito.

 

  
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