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Autore: SherlokidAddicted    10/12/2016    1 recensioni
[ Wholock | Johnlock ]
[ Seguito di "The side of the Angels", per capire questa storia bisogna leggere la precedente ]
"I tuoi occhi.
Al solo pensiero che non potrò rivederli mai più sento come una stretta al petto che mi impedisce di respirare. Dopo mesi e mesi a darmi la colpa per tutto quello che è successo a Mary, dopo mesi sentendo che niente e nessuno avrebbe potuto sollevarmi il morale, ho trovato in te la felicità che avevo perduto. E adesso mi è scivolata dalle mani come sabbia.
Mi manchi.
E mi mancherai.
Mi sembra l’unica cosa che posso dire adesso."
Genere: Azione, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altro personaggio, John Watson, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The side of the Angels'
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You can sleep now



Il rumore delle lame è insopportabile ora che siamo proprio dove i Cyberman hanno sistemato le celle, vorrei poter non sentire più niente… ma devo aguzzare lo sguardo e l’udito se io e il Dottore dobbiamo salvare i due malcapitati.

Mi immagino queste due persone, entusiaste di poter girare un servizio sugli orsi polari, sui pinguini o… sulla neve del Polo Nord, vedendo magari per la prima volta questo posto, ma alla fine venire catturati da una flotta di robot estirpa-cervelli. Magari era il loro sogno più grande, magari no, ma immagino che adesso vogliano fuggire da questo luogo a gambe levate. Il servizio? Che resti soltanto un’idea.

Perché ti stai preoccupando per due persone che nemmeno conosci, Sherlock?

Sarà che stare col Dottore mi ha reso più umano. Buffo, un alieno che rende più umano un individuo del pianeta Terra!

Le celle sono tante, troppe… ma questo dispensa la grandezza esagerata della nave in cui siamo finiti. Tutte vuote, tutte silenziose, immerse nel buio più totale ed inquietante.

- Non hai la super vista, vero? – Sussurro ad un tratto, mentre continuiamo ad aggirarci nel posto come due talpe cieche.

- Quella speravo ce l’avessi tu, in allegato con il tuo super cervello. – Mi risponde mantenendo il suo tono serio e concentrato. Restiamo in silenzio per un tempo indefinito, camminando lentamente e senza fare rumore, così da poter sentire un qualunque scricchiolio causato, si spera, dai due giornalisti.

L’unica cosa che mi resta da fare è isolare il senso dell’udito, sentire solo quello, eliminare tutti gli altri sensi e concentrarmi. Mi fermo proprio nel bel mezzo del nulla, avvertendo il Dottore che cerca di capire le mie intenzioni e, dato il suo silenzio credo abbia capito cosa voglio fare e mi lascia continuare.

Chiudo gli occhi, apro bene le orecchie e resto immobile. Sento le lame taglienti, voci di Cyberman in lontananza che testano la macchina poi, del tutto all’improvviso, dei colpi leggeri e metallici, come se qualcuno stesse cercando disperatamente di aprire una cella e fuggire. Spalanco gli occhi soddisfatto e li punto sul Dottore. Nonostante il buio noto la sua sagoma scura.

- Hai sentito? –

- Non ho sentito niente. – Risponde tranquillamente, per poi iniziare a seguirmi non appena io mi dirigo spedito verso una precisa direzione. Nel mio palazzo mentale si è già creata la cartina di questo agglomerato di prigioni. Grazie all’udito e al modo in cui abbiamo girato in tondo per tutto questo tempo, credo di sapere già come sia fatto qui sotto e, seguendo la mia mappa mentale, finalmente sento proprio ciò che speravo.

- C’è qualcuno? –

- Sono loro! – Esclama il Dottore mentre velocizza il passo verso il suono di quella aggraziata e giovane voce femminile. Mi lascia una pacca sulla spalla, so che è soddisfatto ed orgoglioso del mio ottimo lavoro.

- Rispondete, non siete robot, vero? – Stavolta è un uomo a parlare, dalla voce grossa e rauca si capisce che è molto più grande della giovane ragazza che abbiamo udito solo poco prima. Le due sagome scure che scorgiamo man mano che ci avviciniamo si tengono per mano. Dalla postura si nota quanto siano spaventati, e la ragazza sembra cercare conforto tra le braccia dell’uomo perché non capisce se siamo dalla parte dei buoni o… se siamo degli estirpa-cervelli anche noi. Troppo contatto fisico per essere solo due amici giornalisti. Non sono amanti, padre e figlia, direi, anche perché il loro accento e il loro modo di parlare è simile. Forse il padre ha voluto portare la giovane con sé per questo servizio al Polo, lei ci teneva tanto se ha voluto sopportare queste bassissime temperature.

Avere il sedere gelato per guardare degli orsi polari dal vivo? Piuttosto cerco delle foto su internet!

La gente è strana davvero.

- Siamo persone, state tranquilli! Adesso vi facciamo uscire. – Esclama il Dottore mentre si posiziona davanti alle due sagome di cui grazie alla vicinanza adesso è possibile scorgere qualche dettaglio.

Tratti somatici molto simili.

Padre e figlia, come pensavo.

- Sia lodato il cielo! – La giovane sembra non riuscire a trattenere le lacrime dal sollievo. Ma c’è ancora una questione da risolvere: il Dottore non ha con sé il cacciavite e non abbiamo idea di come queste porte si possano aprire.

- Siete stati portati qui da loro, eravate attenti? Vi ricordate cosa hanno usato per chiudere questa cella? – Dico io, aggrappandomi alle sbarre per fare in modo che la mia voce sussurrata arrivasse chiara e precisa alle orecchie di entrambi. Stanno in silenzio per un attimo e si guardano, come a cercare di ricordarsi la scena, poi il padre si rivolge a me:

- Non avevano una chiave. Hanno solo parlato. –

- Riconoscimento vocale. – Mormora il Dottore passandosi una mano fra i capelli, continuando così con lo scompigliarli sempre di più. La situazione sembra non essere facile per lui. Ovviamente nessuno avrebbe potuto imitare la voce dei Cyberman, nessuno avrebbe aperto facilmente la porta e sarebbe andato via, quindi che fare?

Oh… stupido, stupido Sherlock! Come hai potuto non pensarci prima? Stai perdendo colpi!

- Sta’ attento se arriva qualcuno. – Dico, indietreggiando di appena due passi. Lui mi guarda interdetto, senza capire.

- Sherlock, cosa…? –

Pensa e premi il pulsante. Il Tardis, devo andare sul Tardis.

- Non farlo, Sherlock! - Troppo tardi, dopo due secondi sono già nella cabina, proprio dove volevo essere. Ma perché il Dottore non voleva che usassi il teletrasportatore? Forse perché ero da poco riuscito a riprendermi dai conati quando sono atterrato sulla nave Cyberman e l’uso frequente poteva provocare altri sintomi abbastanza insopportabili? Credo proprio di sì, dato che adesso la testa mi gira come se fossi stato sbattuto dentro una centrifuga. I conati di vomito sono più accentuati, e la testa mi esplode… per non parlare della nausea.

- Per la miseria, Sherlock, mi è preso un colpo! – Dice Jack con tono preoccupato e arrabbiato allo stesso momento. Mi si avvicina velocemente e cerca di mettermi in piedi su due gambe. – Respira profondamente, succede se lo usi frequentemente. Ma che ci fai qui, dov’è il Dottore? – Mi reggo a lui per riuscire a non barcollare pericolosamente. Vedo ogni cosa che si muove incontrollata, se solo provo a tenere gli occhi aperti, devo lasciare che stiano chiusi e cercare di riprendermi a profondi respiri, proprio come mi ha suggerito lui.

- Dammi il cacciavite sonico. – Mormoro con un tono impossibile da percepire, tanto che il capitano è costretto a chiedermi di ripetere. Con fatica pronuncio nuovamente quella frase e Jack mi passa il cacciavite e, senza neanche dargli il tempo di controbattere (perché era quello che stava per fare quando mi ha visto con la mano a mezz’aria, pronto ad attivare nuovamente il teletrasportatore), mi ritrovo di nuovo sulla nave Cyberman, accanto al Dottore, nel buio inquietante delle celle.

Non ho la forza di dire nulla, né di muovermi dalla posizione raggomitolata in cui mi sono materializzato. L’unica cosa che faccio è quella di porgere il cacciavite all’uomo, cercando invano di concentrarmi per cacciare via il fastidiosissimo pulsare alle mie tempie, il conato di vomito sempre più forte che… purtroppo, mi costringe a girarmi dalla parte opposta e rimettere vergognosamente. Per fortuna l’oscurità del posto evita lo scenario ai presenti.

- Era per questo motivo che non volevo che lo utilizzassi! Ora dovremmo tornare sul Tardis e ho la netta sensazione che non riuscirai a trattenere un capogiro! – Mi rimprovera mentre con il cacciavite riesce a liberare i due malcapitati, che non la smettono di ringraziarci con occhi lucidi e voce commossa. – Ce la fai ad alzarti? – Mi chiede, inginocchiandosi davanti a me e guardandomi preoccupato. Devo avere una faccia veramente pallida e sciupata a giudicare dal modo in cui mi studia… e non lo biasimo, perché da quando sono arrivato qui non sono ancora riuscito a spiccicare una sola parola.

Il Dottore non attende una mia risposta, sono troppo stordito per alzarmi, quindi si affretta a rimuovere il teletrasportatore dal mio braccio.

- Lo userò io questa volta. Questo non ti eviterà comunque altri sintomi, ma saranno minori rispetto a quelli che hai adesso, e sicuramente eviteremo il capogiro. – Lo sistema allacciandolo velocemente al suo braccio, poi si premura di aiutarmi a stare in piedi. – Ma nel caso in cui dovessi svenire ci sarò io a reggerti, d’accordo? – Provo a dire un sussurrato “sì” ma ancora non ci riesco del tutto e, visto che dalle mie labbra non esce un suono, annuisco velocemente per rispondere. – Bene, i vostri nomi? – Chiede, rivolgendosi ai due ormai ex prigionieri.

- Io sono Albert e questa è mia figlia Irina. –

- Perfetto, lui è Sherlock, io sono il Dottore. Adesso ciò che dovete fare è reggervi a me e saremo fuori in un batter d’occhio. – Dice mentre tiene un braccio attorno alle mie spalle per aiutarmi a restare fermo sui due piedi. In effetti credo di sentirmi un po’ meglio. Anche se la testa mi gira ancora e la nausea non vuole smettere di tormentarmi.

- Dottore chi? – Chiede la ragazza mentre afferra il lembo del cappotto del Signore del Tempo, ascoltando il suo consiglio e venendo imitata poco dopo dal padre.

- Dottore e basta. Quando atterreremo ci ritroveremo al freddo e sulla neve. Voi dovrete correre al vostro rifugio mentre noi ci occupiamo di far andare via i Cyberman, sono stato chiaro? – I due si guardano in faccia come a cercare una risposta negli occhi dell’altro, poi annuiscono e stringono più forte la stoffa del cappotto. – Sherlock, dimmi quando te la senti. – La sua mano è ferma sul pulsante e aspetta un mio permesso che non tarda ad arrivare.

- Dottore… - La voce è rauca ma per fortuna sono riuscito a dire qualcosa. – Ti prego… finiamo questa faccenda. – Mai avrei immaginato di fare una richiesta così disperata, ma non ne posso più di stare senza John, di non godermi la luce ed il calore del caminetto acceso mentre lui scrive sul suo blog ed io suono il violino, mi manca addirittura avere a che fare con gli infondati insulti della Donovan e con la stupidità degli agenti di Scotland Yard. Quando arriverò a casa… se ci arriverò, la prima cosa che farò sarà prendermi un’intera giornata tutta per me, così da riposarmi da tutto questo casino.

Lo sguardo del Dottore è comprensivo, ed accenna un sorriso triste mentre prende un respiro profondo. Tutti ci stringiamo maggiormente a lui e nel giro di pochi secondi ci ritroviamo sulla terra ferma, la neve bianca ci fa rabbrividire e il vento freddo ci costringe a stringerci nelle spalle. Io cado in ginocchio, completamente privo di forze, gli occhi ancora strizzati dal dolore alle tempie. Sento la testa girare vorticosamente, molto peggio di poco fa. Delle mani mi afferrano e mi trascinano con cautela. Il Dottore mi sta aiutando a raggiungere la cabina.

- Non preoccupatevi per il mal di testa e la nausea, è normale e passerà subito. Adesso correte nel vostro rifugio. – I due ci ringraziano a voce alta mentre si allontanano, ma per il resto tutto è confuso, sono troppo debole per capire cosa stia succedendo attorno a me, e l’unica cosa che riesco a sentire sono delle voci ovattate e la neve che scivola sotto le mie gambe mentre vengo trascinato. Sono troppo pesante per il Dottore.

- Jack, Jack! Apri la porta! – Il cigolio di quest’ultimo risulta fastidioso alle mie orecchie e fin troppo alto, tanto che provoca una forte fitta alla mia testa e mi costringe ad una smorfia di dolore.

- Che è successo? –

- Uso frequente del teletrasportatore, aiutami a portarlo dentro! – Vengo sollevato da quattro braccia che mi adagiano delicatamente sulle sedute accanto alla console. – Hai potenziato il dispositivo? –

- Sì, è tutto pronto. – Quelle parole mi danno la forza di mantenere la lucidità. Voglio stare a sentire cosa succede, voglio sapere se tutto questo sforzo per risolvere il paradosso ha funzionato. Quindi, nonostante sento di stare per avere quel maledetto capogiro, faccio di tutto per restare sveglio e vigile.

Apri gli occhi, Sherlock. Apri gli occhi e stai attento.

La fessura da cui riesco a vedere immagini sfocate è abbastanza per capire cosa succede nel Tardis. Vedo una sagoma imponente afferrare quello che sembra essere il dispositivo sonico. È Jack, che si sta dirigendo all’esterno per puntare la nave dei Cyberman. Esso è collegato alla console, il capitano è riuscito a potenziare quel piccolo oggetto e renderlo adatto ad una nave grande come quella da cui siamo appena usciti.

A quanto pare però, puntare e sparare un raggio non basta. Il Dottore sta armeggiando tra i comandi, questo probabilmente lo potenzierà.

- Puoi agire… - Tira una leva e poi esulta dicendo: - Adesso, Jack! – E il capitano aziona ciò che ricondurrà i Cyberman al loro posto.

- La nave è sparita! – Esclama Jack mentre torna all’interno della cabina richiudendosi la porta alle spalle. – Cosa dovrebbe succedere adesso? –

- Se ha funzionato, torneremo intatti a due mesi fa, se non ha funzionato vuol dire che ci sono ancora creature del mondo parallelo in questa dimensione, e ci toccherà cacciare via anche loro. –

- E come facciamo a sapere se ha funzionato? –

- Aspettiamo! – Il Dottore decide di affiancarmi e in qualche modo di cercare di intrattenermi, per evitare che io perda i sensi e che invece resista. – Te l’ho giurato, Sherlock. – Mormora mentre io porto entrambe le mani a massaggiare debolmente le tempie. Si riferisce alla sua promessa di salvare John.

Non ho il tempo di rispondere che il Tardis si attiva da solo, le leve si spostano e la cabina parte con uno scossone. La cosa è talmente improvvisa che il Dottore lancia uno sguardo al capitano, il quale alza le mani in segno di innocenza.

- Non guardare me, non ho toccato niente! –

- Questo vuol dire… -

- La frattura si è chiusa. –

- Ce l’abbiamo fatta! – Il Dottore ride entusiasta mentre si regge alle sedute con entrambe le mani, per paura di poter cadere rovinosamente sul pavimento. Jack ci raggiunge barcollante e si premura di reggere anche me, dato che non ho le forze di reagire.

Non fatemi mai più viaggiare con un teletrasportatore.

Ve lo chiedo per favore.

Gli scossoni del Tardis non mi aiutano per niente. Ero già abbastanza stremato, ma sentire tutto questo trambusto sta peggiorando le mie condizioni, solo che… pensandoci bene, adesso so che tutto sta tornando come prima, almeno spero sia così, che tutto ciò che sta accadendo non è un sogno, uno scherzo della mia mente scaturito dal mio corpo allo stremo delle forze.

Forse posso permettermi di chiudere gli occhi e di lasciarmi andare.

Sì, posso, in fondo è tutto ok adesso, no?

Se mi sveglio John sarà con me, giusto?

Sì, Sherlock, andrà così.

Puoi chiudere gli occhi.

Puoi dormire adesso.



Note autrice:
Buonasera people! Sono tornata.
Siamo quasi alla fine, ma le sorprese non sono affatto finite. Le domande sono queste adesso: la frattura si è davvero chiusa? John tornerà? Il Tardis sta tornando indietro nel tempo o semplicemente qualcos'altro aspetta ai nostri amici?
Secondo voi cosa accadrà? Sono curiosa di sapere che vi aspettate dal prossimo capitolo, quindi scrivetemi come pensate continuerà. (Sappiate che io ho già finito questa storia, quindi probabilmente i capitoli successivi usciranno presto)
Bene, spero vi sia piaciuto.
Un bacio e alla prossima!
  
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