Anime & Manga > Daiku Maryu Gaiking
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Autore: BrizMariluna    10/12/2016    8 recensioni
Il Gaiking, il Drago Spaziale e il loro equipaggio vagamente multietnico, erano i protagonisti di un anime degli anni settanta che guardavo da ragazzina. Ho leggermente (okay, molto più che leggermente...) adattato la trama alle mie esigenze, con momenti ispirati ad alcuni episodi e altri partoriti dai miei deliri. E' una storia d'amore con incursioni nell'avventura. Una ragazza italiana entra a far parte dell'equipaggio e darà filo da torcere allo scontroso capitano Richardson, pilota del Drago Spaziale. Prendetela com'è, con tutte le incongruenze e assurdità tipiche dei robottoni, e sappiate che io amo dialoghi, aforismi, schermaglie verbali e sono romantica da fare schifo. Tra dramma, azione e commedia, mi piace anche tirarla moooolto per le lunghe. Lettore avvisato...
Il rating arancione è per stare dal canto del sicuro per alcune tematiche trattate e perché la mia protagonista è un po' colorita nell'esprimersi, ed è assolutamente meno seria di come potrebbe apparire dal prologo.
Potete leggerla tranquillamente come una storia originale :)
Con FANART: mie e di Morghana
Nel 2022/23 la storia è stata revisionata e corretta, con aggiunta di nuove fanart; il capitolo 19 è stato spezzato in due capitoli che risultano così (secondo me) più arricchiti e chiari
Genere: Avventura, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Gaiking secondo me'
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~ PROLOGO ~

 Faro di Omaezaki
 Prefettura di Shizuoka 
Isola di Honshu - Giappone

 

Epoca attuale

 5 aprile

 
Dall'autobus pieno di turisti scese una ragazza alta e bruna che, grazie allo zaino che portava sulle spalle, si mescolava alla perfezione tra loro.
Purtroppo per lei, era tutt’altro che in vacanza. Il faro di Omaezaki, in Giappone, era stato la sua casa in quell’ultimo anno, e lei vi era appena tornata, dopo aver passato circa un mese in Italia, il suo paese natale. Quel paese in cui era nata, cresciuta e dove era convinta sarebbe anche morta: la fattoria tra le colline, in un paesino sul confine tra Toscana e Romagna, era stato il centro di tutta la sua vita e del suo mondo.
Ma erano passati già due anni da quando il destino, che già fino ad allora non era stato clemente, ci aveva di nuovo messo un carico che stavolta aveva rischiato di schiantarla.
La sua esistenza era stata letteralmente stravolta e ribaltata, e ora non aveva più una famiglia, non aveva più una casa propria; le sue stesse radici erano state strappate via.
A testa bassa, col passo un po' strascicato, la ragazza si diresse verso la spiaggia e si sedette sulla sabbia, ad osservare le onde che si infrangevano incessanti sulla riva, ripensando agli eventi degli ultimi anni che l'avevano portata a quel momento.
Da almeno cinque anni, gli scienziati terrestri più quotati lavoravano per preparare una controffensiva a una minaccia, che solo loro avevano subodorato e che avevano cercato il più possibile di nascondere al mondo per non scatenare il panico.
Strani fenomeni avevano cominciato a verificarsi nei posti più sperduti e misteriosi della Terra, e i ricercatori spaziali, affiancati da storici e archeologi, avevano scoperto che il nostro pianeta era, ormai da secoli, l'obiettivo di un'invasione aliena da parte di Black Darius, malvagio imperatore che governava il pianeta Zela.
In svariati paesi si lavorava così, in gran segreto, per progettare e costruire mezzi da difesa e da battaglia.
Suo padre Andrea era stato uno di questi scienziati. Affiancato da validi collaboratori e dall'altro figlio, suo fratello Alessandro, si era prodigato per portare avanti il progetto e la realizzazione di un mastodontico mezzo da guerra: il leone robot Balthazar.
Ma le spie di Darius, poco meno di due anni prima, avevano scoperto questo progetto. E le vite di suo padre e di suo fratello erano rimaste sotto le rovine della loro casa, colpita da quello che, agli occhi dell'opinione pubblica, fu fatto passare per un meteorite. Ma la verità, lei e pochi altri lo sapevano, era ben altra.
Dopo quella tragedia, non sapendo cosa fare, la ragazza si era rivolta all'amico e collega di suo padre, il dottor Yozo Daimonji, lo scienziato giapponese che aveva studiato e costruito il Drago Spaziale, uno dei progetti più ambiziosi tra quelli realizzati per proteggere la Terra.
Lei gli aveva affidato Balthazar perché potesse sfruttarlo nella guerra contro gli alieni. Ma Daimonji le aveva rivelato che, a causa del suo complesso e particolare sistema di pilotaggio – e sicuramente per un perverso scherzo del destino – lei sarebbe stata l'unica persona al mondo in grado di utilizzarlo per combattere.
La sua risposta era stato un perentorio no. Era solo una studentessa, mica un guerriero! Cosa diavolo si aspettavano da lei? Non era sufficiente aver perso tutto? Adesso doveva anche mettere a repentaglio l'unica cosa che le fosse rimasta? La propria vita?
Se ne era rimasta in Italia, a vivere con i suoi vicini, Filippo e Anita Del Rio e la loro figlia Jessica, che erano la cosa più vicina a una famiglia che le fosse rimasta. Aveva tentato di ricostruirsi una vita con una parvenza di normalità, frequentando l'Università a Bologna e un bravo psicologo.
C'era riuscita per meno di un anno, con la sua coscienza che faceva ogni giorno a pugni con l’istinto di autoconservazione, con l’egoismo e con la convinzione di non avere le potenzialità per affrontare una cosa di quelle proporzioni.
Finché, un giorno, il senso di responsabilità era riuscito a prevalere, spingendola a prendere la tormentata decisione: Balthazar rappresentava il lavoro di suo padre, il contributo che lui e suo fratello avrebbero voluto dare per la difesa della Terra. Era il loro lascito, la sua eredità: non aveva il diritto di lasciarlo a marcire in un sotterraneo. Se solo lei poteva guidarlo, allora non poteva tirarsi indietro.
Così aveva mollato tutto: università, amici, la famiglia Del Rio.
Era andata a vivere in Giappone, con il dottor Daimonji e i primi componenti dell'equipaggio del Drago Spaziale: Sakon, Jamilah e Midori.
Il dottor Daimonji era ormai diventato quasi un padre, e Midori, la sua figlioccia, era praticamente una sorella. Sakon Gen, il giovane ingegnere aerospaziale e astrofisico, era senza dubbio il suo più caro amico. E poi c'era Jamilah, l'assistente di Sakon: la migliore amica numero tre.
Con il loro aiuto e la loro supervisione, aveva cominciato il durissimo addestramento per imparare a utilizzare il potente leone robot. Poi, poco più di un mese prima, dopo circa un anno che studiava e si addestrava, Daimonji aveva convocato gli altri giovani, che lui stesso aveva reclutato, per pilotare i mezzi da battaglia e da esplorazione che il Drago ospitava al suo interno: il gigantesco robot antropomorfo Gaiking – la loro punta di diamante – e poi il Bazzora, il Nessak e lo Skylar.
Ma proprio alcuni giorni prima del loro arrivo, lei era dovuta tornare in Italia per risolvere e chiudere definitivamente alcuni affari di famiglia rimasti in sospeso. Daimonji le aveva concesso di farlo, poiché Balthazar era in un temporaneo momento di stasi, non ancora operativo al cento per cento in quanto necessitava di alcuni interventi che non richiedevano la sua presenza.
Era partita per l'Italia impaziente di rivedere la famiglia Del Rio, anche se gli affari di cui avrebbe dovuto occuparsi non la attraevano per nulla.
Aveva concluso con Filippo la vendita del terreno devastato dove un tempo sorgeva la sua fattoria, dato che egli era già proprietario delle terre confinanti. Filippo e sua moglie Anita erano amici della sua famiglia da sempre, avevano praticamente visto nascere lei e Alessandro, e la loro figlia Jessica era per lei come una sorella più piccola. Eppure... nel rivederli aveva avuto come il presentimento che lei, in Italia, non ci sarebbe più tornata. Non per viverci, per lo meno.
L'altra cosa che aveva dovuto fare, in quell'ultimo periodo trascorso nel suo paese, era stata chiudere le pratiche, aperte ormai da quasi due anni, per riscuotere i soldi delle assicurazioni sulle vite di suo padre e di suo fratello.
Lei non ne aveva mai saputo niente: suo padre aveva affidato i preziosi documenti a Filippo, che glieli aveva mostrati poco dopo la loro morte. All'inizio era stata lei a rimandare quell'ingrato impegno. E quando si era finalmente decisa, le cose erano andate a rilento: una lungaggine burocratica e odiosa ai limiti dell'osceno che ora, per venire definitivamente chiusa e archiviata, aveva richiesto la sua presenza di persona.
A lei continuava a sembrare un abominio: soldi in cambio delle vite del babbo e di Ale? Niente avrebbe mai potuto ripagarla di quella perdita.
Soldi... Ora ne aveva un mucchio, di maledetti soldi. Così tanti che a volte le veniva il dubbio su come si scrivesse correttamente quella cifra, che non aveva mai nemmeno lontanamente concepito di poter possedere. E non sapeva assolutamente che cosa farsene. Avrebbe ridato tutto, fino all'ultimo centesimo, pur di riavere la sua famiglia, la sua casa e il suo passato.
E invece si ritrovava a dover affrontare una guerra contro una forza aliena, l'Armata Zelana dell'Orrore Nero. Una guerra che era cominciata senza di lei.
La prima battaglia aveva avuto luogo poche settimane prima, ai primi di marzo, seguita da altre due. L'equipaggio arruolato da Doc Daimonji aveva avuto a malapena il tempo di prendere confidenza con i mezzi da guerra, ma era stato fantastico, da quello che aveva letto sui giornali e visto in televisione.
I giornalisti si erano scatenati, molti erano addirittura arrivati sui campi di battaglia con gli elicotteri, pur di assicurarsi gli scoop migliori, dimostrando sicuramente di avere più incoscienza che coraggio. Quanto ci sarebbe voluto, prima che i loro nomi e le loro facce diventassero, per tutti gli abitanti del pianeta, familiari quanto quelle dei vicini di casa? Ben poco, si disse la ragazza. La stampa e la televisione avevano mille risorse, e non era sicura che fosse un bene.
Midori, con la quale, in quel mese passato in Italia, si era sentita qualche volta per telefono, era entusiasta del loro equipaggio, soprattutto del pilota del Gaiking, che era stato l'ultimo ad essere reclutato. Dopo le prime difficoltà, era riuscito a sconfiggere i Mostri Neri che avevano attaccato prima Tokyo, poi Hong Kong, poi di nuovo il Giappone a Osaka. L'amica le aveva detto che si chiamava Sanshiro Tsuwabaki: era un ex giocatore di baseball che, a quanto pareva, possedeva una specie di superpotere che gli consentiva di utilizzare alcune armi del Gaiking in modo del tutto speciale. A dire il vero, Midori aveva parlato praticamente solo di lui. E anche di qualche attrito con il pilota del Drago, un giovane statunitense che si chiamava… boh, Richard qualchecosa… Non se lo ricordava proprio, in quel momento. Non ricordava nemmeno i nomi degli altri, a dire il vero, ma ora di sera li avrebbe conosciuti tutti.
Il tempo dei ricordi e dei rimpianti finiva lì.
"Devo affrontare una guerra... ma perché proprio io?" pensò rialzandosi in piedi, lasciandosi alle spalle i turisti vocianti e dirigendosi verso il Faro, alle cui spalle, seminascosta da una rigogliosa vegetazione, sorgeva la fortezza all'interno della quale erano situati i laboratori del Centro di Ricerche Spaziali guidato dal dottor Daimonji.
In un'ala a sud del corpo principale c'erano i tre piani con gli alloggi dell'equipaggio del Drago Spaziale. Al piano terra vivevano i tecnici e i collaboratori, al primo i componenti maschili dell'equipaggio vero e proprio; all' ultimo piano, quello meno esteso, subito sotto alla parte spiovente del tetto – ricoperto di grandi placche lucide per lo sfruttamento dell'energia solare – c'erano gli alloggi delle tre ragazze, che loro chiamavano scherzosamente La piccionaia.
Ma sotto alla fortezza, invisibile agli occhi della gente, nelle profondità del sottosuolo e ben al di sotto del livello dell'oceano, una immensa caverna subacquea custodiva il Drago Spaziale e i suoi segreti.
La ragazza bruna si guardò ancora un attimo alle spalle, come per lasciare definitivamente il passato dietro di sé.
Il passato... era decisamente poco, visto quanto era giovane. Aveva ventun anni, scarsi fra l'altro: al suo compleanno mancavano ancora quattro mesi. Eppure, gli ultimi sei non li avrebbe augurati a nessuno.
Le vicende drammatiche di cui era stata protagonista avevano sconvolto la sua vita e modificato la sua personalità, portando la sua autostima, in una scala da uno a dieci, a un livello prossimo al quattro.
Si era costruita una corazza fatta di risate, ironia e parolacce, vivendo spavalda in jeans, camicie sgargianti, stivali da cowboy o scarpe sportive, per mascherare la sua insicurezza, le sue paure e gli incubi che tormentavano le sue notti.
Si comportava da maschiaccio, per nascondere al mondo il desiderio di piacere agli altri, poiché lei continuava a vedersi come la spilungona bruttina e sgraziata che era stata fino a pochi anni prima, ignorata e a tratti bullizzata. Poco importava se non aveva più i capelli cortissimi dritti sulla testa, gli orribili occhiali troppo spessi e l'apparecchio per raddrizzare i denti.
Lei si sentiva ancora così: la persona più inadeguata dell'intero Sistema Solare, l'ultima a cui affidare una macchina da guerra come Balthazar. Alla faccia del coraggio che l'altisonante cognome che si portava addosso, avrebbe dovuto ispirare.
Un colpo di vento le asciugò dagli occhi verdi una traccia di lacrime che lei ricacciò rabbiosamente indietro, e le agitò i capelli di un intenso castano scuro: una delle poche cose femminili, insieme ai colori vivaci dei suoi vestiti, che la contraddistinguevano.
Indossava una camicetta color fucsia acceso, jeans scoloriti, e un paio di Nike bianche alte sulle caviglie, con i laccetti fluo dello stesso colore della camicia.
Ai lobi, fori a profusione: cinque in tutto, ad ospitare anellini e brillantini. All'orecchio sinistro, un intricato rametto d’argento ornato di brillantini si arrampicava fino alla sommità del padiglione.
Era alta; e odiava questa cosa. Come odiava la sua faccia da folletto, i capelli lunghissimi e disordinati, e la manciata di lentiggini sul naso.
Sapeva di risultare ancora più appariscente, con quell'abbigliamento, ma le andava bene così. Forse lo faceva proprio per quello: "Io non mi piaccio," sembrava urlare al mondo "ma sono così. Se non ti vado bene, voltati dall'altra parte!"
Raddrizzò le spalle, preparandosi a fronteggiare un futuro che sarebbe stato duro persino per un Cavaliere Jedi di Star Wars, figurarsi per lei!
Ora doveva affrontare questo mitico Sanshiro, che a Midori pareva piacere parecchio, e gli altri quattro: i piloti del Drago, di Bazzora, di Nessak e di Skylar. Cosa avrebbero pensato di lei? Avrebbe trovato degli amici o degli antagonisti? Da quel poco che aveva detto Midori, sembrava che ci fosse più di un galletto nel pollaio. A parte lei, Midori e Jamilah, quello era un mondo di maschi.
Ma Midori era addetta alle comunicazioni, e Jamilah era studentessa di ingegneria aerospaziale, oltre che l'assistente di Sakon: ruoli più che accettabili per due ragazze. Invece lei avrebbe fatto parte della squadra dei guerrieri.
Si era raccomandata, con Daimonji e con gli amici, di non dire nulla ai nuovi componenti dell'equipaggio, del fatto che fosse una ragazza. Temeva che, se lo avessero saputo prima, sarebbero sorti problemi e dissapori che sarebbero ricaduti sulle spalle di Daimonji. Preferiva affrontare la questione di persona, mettendo i nuovi arrivati di fronte al fatto compiuto.
E in quel momento realizzò che, paradossalmente, per questi ragazzi la nuova arrivata era lei, anche se in realtà viveva al Faro da molto più tempo di loro! I boys, come avrebbero preso il fatto di avere una compagna guerriero femmina?
La giovane donna rivolse il volto al cielo e scoppiò in una risata priva di allegria, in cui danzava una nota sarcastica. 
"Beh, dovranno accettarmi in un modo o nell'altro, i signori maschi! A costo di strafarmi di testosterone! Se questa guerra mi ucciderà, la morte mi troverà ai comandi di Balthazar, non certo rintanata in un buco, ad aspettarla tremebonda come un topo di fogna! La mia vecchia vita finisce qui. Reset. Si riparte da zero. E... Che la Forza sia con me".
Con quell'augurio spavaldo dedicato a sé stessa, Fabrizia Cuordileone raddrizzò le spalle; la sua espressione si fece determinata mentre, a lunghe falcate decise, si dirigeva verso il Faro.
 
> Continua…
 
 
 
 
 Nota dell'Autrice (suonata):
Questo è solo il prologo, siate buoni, vi prego. E grazie per essere arrivati fin qui. Meritereste un premio solo per questo.
Spero tra non molto di postare il primo capitolo.
(Non dipende solo da me, ma dal tempo e dalla voglia che ha mia figlia, una belvetta quindicenne, di aiutarmi. Ciò vi dà l'idea di come sto messa...)
Vi lascio un'immagine di come io vedo la ragazza dall'altisonante cognome. Ogni tanto mi parte la matita e mi escono anche di queste cose...
 

Ah, dimenticavo, importante:
Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro, ma per puro divertimento. Mio e, spero, anche di chi vorrà leggere!
I personaggi di Gaiking Robot Guerriero, (Daiku Maryu Gaiking, in originale) non mi appartengono (Seeeh... mi piacerebbe! Soprattutto alcuni di loro... :P)
Sono di proprietà della Toei Animation e di Kunio Nakagami, Akio Sugino e Dan Kobayashi. Da un'idea del mitico Go Nagai, papà anche di altri robottoni molto più famosi.


 
 Fabrizia-Cuordileone
  
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