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Autore: _Frame_    11/12/2016    5 recensioni
1 settembre 1939 – 2 settembre 1945
Tutta la Seconda Guerra Mondiale dal punto di vista di Hetalia.
Niente dittatori, capi di governo o ideologie politiche. I protagonisti sono le nazioni.
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[On going: dicembre 1941]
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[AVVISO all'interno!]
Genere: Drammatico, Guerra, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Miele&Bicchiere'
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106. Rimpianti e Nostalgia

 

 

Bulgaria trattenne il fiato per lo stupore, il cuore palpitò un battito caldo e profondo che gli trasmise un’ondata di calore attraverso tutto il petto, fino alla pancia. Un sibilo nel silenzio. “Mo...” Spalancò gli occhi che luccicavano di sorpresa, le guance si tinsero di rosso, le labbra socchiuse rimasero paralizzate, sussurrarono il suo nome. “Moldavia?”

La sua voce incredula attraversò il corridoio, giunse in un soffio fino a Moldavia che era ancora immobile, il visetto alto, gli occhietti sgranati, d’ambra come quelli di Romania, e la bocca aperta per lo stupore. Anche il suo cuoricino prese a battere più forte.

Il piccolo chiuse i pugnetti sotto le maniche troppo larghe, si stropicciò un’altra volta le palpebre, sbatacchiò le ciglia e gli occhi brillarono di meraviglia sotto la luce cristallina della neve che entrava dalla finestra. “Bulgaria?” Lo guardò con la stessa espressione incantata con cui guardava le stalattiti di ghiaccio che pendevano dai rami degli alberi.

Il viso di Bulgaria si illuminò, gli occhi si riempirono di una chiara e limpida luce commossa, il cuore accelerò i battiti infondendogli un calore intenso e vivo nel petto, le sue labbra si stesero nel primo vero sorriso di gioia dopo tanti mesi di buio.

“Moldavia!”

Gli corse incontro, i piedi volarono lungo il pavimento, le spalle già si chinarono e tesero le braccia, pronte a tuffarsi e ad acchiapparlo in un abbraccio.

Moldavia spalancò un sorriso aguzzo, il visetto brillò di felicità, le guance divennero rosse di emozione, e i codini guizzarono come le orecchie di un animaletto selvatico che scorrazza nel prato. Spalancò le piccole braccia, le maniche dondolarono nascondendogli anche le punte delle dita, e lanciò un gridolino di gioia. “Bu-Bul!” Gli andò incontro anche lui, le mani tese verso l’alto, pronte ad appendersi alle spalle di Bulgaria.

Bulgaria si lasciò cadere in ginocchio, la stoffa dei pantaloni diede una strisciata che lo fece scivolare di un centimetro più avanti, e gli porse le braccia, le spalancò verso il piccolino che gli stava sfrecciando incontro. Moldavia spiccò il volo, gettò le manine verso le spalle di Bulgaria e gli si appese al collo.

“Bu-Bul!”

Bulgaria lo strinse al petto, dondolò all’indietro per ammortizzare il colpo, e la risata allegra di Moldavia squillò accanto al suo orecchio. Le piccole mani si aggrapparono alla giacca, le gambe si allacciarono al suo busto, i piedini si intrecciarono dietro la schiena, incatenandolo in un abbraccio da orsacchiotto. Bulgaria lo avvolse, rise anche lui sentendo il cuore fare una capriola di gioia. La guancia vibrante contro la testolina di Moldavia, un braccio attorno al piccolo corpicino e una mano aperta fra i suoi capelli. Gli strofinò la nuca, rise ancora tenendo la fronte premuta sul suo capo.

“Oh, che bello rivederti, scricciolino.”

Moldavia sollevò il visetto dalla sua spalla e gli sorrise, i dentini aguzzi scintillarono come i suoi occhi. “Hai visto che salto, Bulgaria?” Slacciò le gambe dal suo busto, posò i piedini sulle cosce di Bulgaria e vi saltò sopra, talmente leggero da non fargli male. “Eh, eh, hai visto che salto che ho fatto?”

Bulgaria gli sorrise, sentiva il petto caldo e leggero come se Moldavia avesse soffiato via tutto il peso di rabbia e frustrazione che era gravato sul cuore dal momento in cui aveva messo piede al Palazzo d’Inverno. “Un salto grandissimo.” Gli fece un’altra carezza in mezzo ai codini. “Io non ci riuscirei mai.” Sfilò la mano dai capelli e gli diede un buffetto sulla guancia.

Moldavia ridacchiò come una bestiolina, abbassò il visetto diventato tutto rosso e dondolò sui piedini, tenendosi appeso al collo di Bulgaria.

Bulgaria gli sfilò il braccio da dietro la schiena, gli strinse delicatamente un braccio e glielo fece sollevare. “Ma guardati, fatti vedere un po’.” Lo fece camminare giù dalla sua coscia, saltare sul pavimento, e piroettare come una ballerina. Sospirò di meraviglia. “Non ci credo,” fece voce e occhi increduli, “sarai cresciuto di almeno un metro e mezzo.”

Moldavia sorrise inorgoglito, sollevò il mento e sporse il petto all’infuori. “Hai visto?” E spostò il peso da un piedino all’altro, tutto eccitato.

Bulgaria sfilò la mano dalla sua. “Vediamo anche i denti.”

Moldavia infilò i due indici agli angoli della bocca, stese le labbra e snudò i denti fino alla gengiva. Due scintille bianche luccicarono alla radice dei canini, discesero il profilo dei denti aguzzi e morirono in un abbaglio sulle punte che toccavano il labbro inferiore. Moldavia sfilò gli indici e strinse le manine dietro la schiena, ma mantenne il sorriso di fierezza che gli faceva cinguettare la voce.

“È perché la sorellona Ucraina mi fa bere sempre un sacco di latte,” dondolò avanti e indietro, tacco, punta, tacco, punta, “e poi mi prepara sempre i biscotti, quelli buoni con le mandorle, e poi le minestre speciali con le verdure nascoste che non si sentono, e... e poi la zuppa di pomodoro con la panna, e...”  Batté le manine. “E anche i piroshki! E mi dice che diventerò una nazione forte e grande, e sai che l’altro giorno sono riuscito a prendere un ghiacciolo dall’albero tutto da solo?”

Bulgaria sgranò gli occhi e si posò una mano sulla guancia. “Da solo?” Sospirò di meraviglia.

Moldavia fece un altro dondolio sui piedini, allargò di più le spalle e annuì due volte. “Da solo da solo!” Riaprì gli occhietti che scintillavano ancora di gioia, il suo sguardo sorvolò la spalla di Bulgaria, verso la fine del corridoio. Le palpebre sbatterono un paio di volte, e il sorriso scivolò piatto, lentamente. Moldavia tornò a portare i piedini sulle cosce di Bulgaria, si appese con le manine alle sue spalle, salì sulle punte, e guardò prima da sopra una spalla e poi dall’altra.

Bulgaria voltò lo sguardo d’istinto, strinse di nuovo il braccio attorno al torso di Moldavia, irrigidì, e squadrò l’ala del corridoio dalla quale lui era arrivato. La luce lattea galleggiava placida fra le pareti, bagnava il pavimento lucido, si specchiava sui muri e volteggiava contro i grani di polvere, simili a una sottilissima neve argentea.

Non c’era nessuno.

Bulgaria tornò a sguardo dritto. Nel movimento, strofinò la punta del naso fra la spalla e i capelli di Moldavia, e ne inspirò il profumo. Era più freddo, più speziato e quasi più acre rispetto a quello dolce che gli aveva sempre sentito addosso.

Sollevò un sopracciglio. Il suo profumo.

Strinse le spalle al piccolo, avvicinò il petto al suo facendogli fare un passetto sulle sue cosce, e posò le labbra sulla stoffa della maglia. Profumava di cuoio vecchio, di neve sciolta, di aghi di pino, di legna bruciata, di latte caldo, di spezie bollite in padelle di rame, e di quella punta aspra e pungente che aveva sentito poco prima davanti a Russia, quando lui si era chinato a guardare Bulgaria in viso, a spremergli le guance con la sua mano.

Una piega di tristezza attraversò il viso di Bulgaria, gli annebbiò gli occhi, raffreddò la vampata di gioia che lo aveva illuminato quando era corso ad abbracciare Moldavia, e creò una forte e dolorosa pressione sul cuore.

È diverso.

Bulgaria si strinse di più a Moldavia, tenne la fronte sulla sua spalla e si abbandonò in quella fredda e pungente ondata di nostalgia che gli inumidì gli occhi.

Moldavia scese dalle punte dei piedi, chinò la testolina, la fronte sfiorò la spalla di Bulgaria, ed emise un sospiro sconsolato e deluso. “Oh.” Anche i codini si ammosciarono, come un secondo paio di orecchie. Scese dalle cosce di Bulgaria, tornò a mettere i piedini a terra ma rimase con le dita aggrappate alla sua giacca. Sollevò il visetto, svelò uno sguardo triste e abbattuto, gli occhi avviliti e acquosi penetrarono in quelli di Bulgaria, gli fecero male al cuore. “Non è venuto anche il fratellone?”

Un sussulto attraversò il petto di Bulgaria, gli fece mordere un labbro e stringere i pugni al pavimento. Divenne rigido, il respiro trattenuto nei polmoni, la fronte aggrottata e lo sguardo basso, a nascondere l’espressione gonfia di rimorso.

Cavoli. Tenne il labbro stretto fra gli incisivi, il cuore divenne di piombo, appesantito da quel visetto triste e da quegli occhi addolorati. Forse non è stata una grande idea quella di farmi vedere da lui. Ora gli salirà la nostalgia.

“V-voleva,” disse Bulgaria. Strinse le manine a Moldavia da sotto le maniche della giacca che gli stavano larghe, e lo fece venire più vicino a sé, a colmare quel buco di malinconia che anche lui sentiva pulsare nel petto e nella pancia. “Sarebbe tanto voluto venire, ma aveva del lavoro urgente da sbrigare e...” Si strinse nelle spalle. Non riuscì a guardarlo negli occhi mentre ripensava a Romania che camminava in mezzo alla neve e al fumo degli autocarri, affianco all’ufficiale tedesco, con gli occhi che brillavano di disprezzo e ostilità. Bulgaria tornò a rosicchiarsi il labbro, strinse di più le manine a Moldavia, le fece oscillare. “E sai, è davvero impegnatissimo di questi giorni.”

Moldavia sollevò il visetto da terra, i codini ancora mogi come i suoi occhi. “Per la guerra?”

Bulgaria esitò. “Uh.” Soppresse il formicolio di disagio che gli era entrato nel sangue, percorrendogli il cuore come una piccola scossa elettrica. “S... sì.”

Per la guerra? Il senso di protezione gli fece stringere le mani e avvicinare Moldavia a sé. Tornò il sentimento di rabbia nei confronti di Russia che si inghiottì tutto lo spavento che si era preso prima davanti a lui. E loro accettano di farlo venire a conoscenza di situazioni simili? Si strinse di nuovo Moldavia al petto, gli fece una piccola carezza fra i capelli legati tenendogli avvolte le spalle. Nonostante il profumo diverso, ora più simile a quello di Russia, riuscì lo stesso a distinguere l’impronta lasciata da quello di Romania. Sentì di nuovo il cuore stringersi. O forse siamo io e Romania che lo trattiamo troppo come se fosse un bambino normale?

“Tu stai...” Bulgaria si separò da Moldavia ma gli tenne comunque stretta la manina. Gli carezzò una guancia paffuta. “Stai bene qui con Russia?” gli domandò. “Non ti fanno del male, vero?”

Moldavia sgranò gli occhi e scosse la testolina facendo dondolare i codini. “Oh, no.” Si tenne stretto anche lui alla mano di Bulgaria e fece su e giù sulle punte dei piedini. Riacquistò il sorriso aguzzo. “Russia è sempre così tanto tanto gentile con me, e anche la sorellona Ucraina, e Lettonia e gli altri. Dicono tutti che...” Sbatté le palpebre, e gli occhi cambiarono. Si riempirono di una luce diversa, fredda e livida come un cielo invernale in tempesta. Quella luce splendette sul visetto diventato scuro, nel quale brillavano solo le punte dei dentini sbucati dal largo sorriso ipnotico. “Che siamo una famiglia grande grande e che io sono importante.” Un’ombra nera riempì il corridoio, si raccolse attorno a Moldavia ondeggiando attorno al suo corpicino. Moldavia avvicinò il sorriso a Bulgaria. Un sorriso innocente che riuscì a trasmettergli una sensazione gelida e pungente, come una corona di spine di ghiaccio affondate nella carne. “Il fratellone Russia vuole solo che noi tutti stiamo bene assieme.”

Bulgaria tornò rigido come un blocco di marmo. “I...” Forzò un sorriso di circostanza, le labbra tremolarono, gli occhi incollati a quelli di Moldavia furono attraversati da una scossetta intimorita. “Immagino.” La presa fra le sue piccole dita si fece più insicura, gli trasmise la voglia di sciogliere l’intreccio. Di nuovo una sensazione familiare che non riuscì a scollarsi di dosso. La sensazione di essere di nuovo fra le mani avide di Russia.

Moldavia abbassò le palpebre e mostrò un sorriso più dolce, chiaro, e nuovamente illuminato dai raggi di sole bianco che entrava dalle finestre. L’ombra calata di colpo si sciolse dal suo visetto come se avessero strappato un panno da davanti il sole. Rivelò le guanciotte rosse di emozione.

Bulgaria trasse un flebile respiro di sollievo, il gelo al petto si sciolse e lui carezzò la testolina di Moldavia in mezzo ai codini, contento di essere di nuovo davanti al bimbo allegro che si faceva prendere in braccio, caricare sulle spalle per tendere le braccia verso il cielo e raggiungere i rami degli alberi dove coglieva le mele mature. Il bambino che quando giocava nei campi raccoglieva tutto il profumo delle erbe e dei fiori selvatici, della terra ribaltata dalle mani. Il bambino che si addormentava di colpo fra le braccia di Romania, che poggiava la testolina sulla sua spalla, le braccia attorno al collo, e che riposava in silenzio mentre tornavano a piedi verso casa. Solo loro tre, e la strada sterrata illuminata dal tramonto, scricchiolante sotto i loro piedi.

Quell’immagine stampata nella mente di Bulgaria, con il suo profumo di aria tiepida e di campi, con il sapore di mele fresche e croccanti appena morse, con il dolce e cristallino suono della risata di Moldavia, di quella di Romania, e del calore che sentiva nell’essere affianco a loro, ingrumò un’altra fitta che gli stritolò il cuore in un laccio d’acciaio.

L’espressione di Bulgaria riflesse il dolore che si era addensato nel cuore, divenne buia e avvilita. Moldavia non pensa nemmeno al fatto che un giorno potrebbe ritrovarsi a combattere contro Romania. Gli cinse delicatamente il busto con le braccia, lo attirò a sé, stringendolo al petto, e gli passò altre carezze fra i capelli che ora avevano il profumo della Siberia. In fondo, è davvero un bambino. Però...

“Moldavia, e se...” Slacciò l’abbraccio, gli tenne le mani posate sulle spalle e lo guardò in viso. Lo sguardo morbido ma serio, che non riuscì più a sorridergli. Bulgaria dovette prendere un respiro di incoraggiamento. “E se un giorno dovesse succedere, ecco...” Strinse le mani. Moldavia sbatacchiò gli occhietti, confuso, e flesse il capo di lato. Bulgaria arricciò la bocca, non sapendo come unire le parole sulla lingua, storse le sopracciglia in un’espressione afflitta, e tamburellò le dita sulle spalle del piccolo. “Se dovesse succedere che Russia decidesse di combattere contro Germania e,” e che stermini tutti i suoi alleati, compreso Romania, e che faccia combattere anche te contro tuo fratello, “e contro Romania,” disse con voce più asciutta e strozzata. Dovette deglutire. “Tu cosa...”

“Moldavia?”

Una voce squillò dall’ala del corridoio da dove era arrivato Moldavia, rimbalzò fra le pareti e scivolò fino alle loro orecchie.

Bulgaria impennò lo sguardo, Moldavia si girò restando con le spalle strette fra le mani dall’altro, e videro entrambi una piccola ombra avvicinarsi e ingrandirsi, accompagnata dal suono schioccante di passi affrettati sul marmo.

Finlandia sbucò dall’angolo del corridoio, continuò a trotterellare dritto, senza girarsi verso di loro, e portò le mani attorno alla bocca per farsi sentire più forte. “Moldavia.” Lo sguardo lo cercò a destra e a sinistra. “Moldavia, torna qui, fai il bravo.”

D’istinto, senza pensarci, Bulgaria strinse più forte il corpicino di Moldavia e lo tenne avvolto in quell’abbraccio protettivo, mentre una spina di gelosia si infilava nel cuore.

I codini di Moldavia guizzarono verso l’alto. Il piccolo spalancò gli occhietti verso Finlandia e allargò il sorriso, sospirò di sorpresa fra le braccia di Bulgaria e sventolò la manina. “Finlandia!” Lo chiamò con un cinguettio e agitò le maniche come fossero ali. “Sono qua, Finlandia!”

Finlandia frenò la mezza corsetta, tornò indietro di due passi gettando lo sguardo nell’ala del corridoio, e i suoi occhi si incrociarono con quelli di Moldavia. Sospirò sollevato, si posò una mano sul petto ancora leggermente annaspante di fatica, e il suo viso si rilassò. “Oh, eccoti.” Imbucò anche lui il corridoio laterale e tenne la mano sopra il cuore, il viso rosso per la corsa si distese come la sua voce, riacquistò un sorriso tenero. “Questa volta mi hai proprio battuto, lo...” Si fermò davanti a loro, attraversato da un raggio di luce proiettata da una delle finestre, e il suo sguardo volò da Moldavia a Bulgaria. Finlandia sbatté un paio di volte le palpebre e la sua voce squillò di stupore. “Oh, Bulgaria?” disse con un sobbalzo.

Bulgaria rilassò l’abbraccio attorno a Moldavia, la spina di ostilità sgusciò fuori dal suo petto, il cuore si intiepidì per l’irresistibile sorriso di Finlandia, ma lui non poté comunque fare a meno di allontanare lo sguardo. Lo salutò con uno sventolio di mano. “Ciao, Finlandia.” Abbozzò un sorriso di educazione.

“Finlandia, Finlandia, hai visto?” Moldavia saltò fuori dall’abbraccio di Bulgaria e zampettò incontro a Finlandia sventolando le maniche al cielo. “Bulgaria è venuto qui da noi per salutarmi.”

Finlandia gli sorrise e si chinò a stringergli le manine, si lasciò avvolgere un intero braccio. “È stato un pensiero gentilissimo,” disse, mentre Moldavia gli rimbalzava attorno dandogli piccoli strattoncini alla manica della giacca. “Lo hai ringraziato per bene?”

Moldavia fece un saltello più alto e i codini rimbalzarono assieme a lui. “Sì!” esclamò con voce accesa e vivace.

Di nuovo Bulgaria posò lo sguardo su di loro, e di nuovo sentì quel pizzico di gelosia sfrigolare attraverso la pelle. Allontanò gli occhi dalla stessa espressione di gioia che gli aveva scaldato il cuore tante volte in passato e che ora Moldavia rivolgeva a qualcun altro. Strinse i pugni sul pavimento freddo, premendoci le nocche sopra, chinò lo sguardo, e solo in quel momento si ricordò di essere ancora seduto per terra. Bulgaria si rimise in piedi, strofinò la giacca e batté le mani sulla stoffa dei pantaloni. Non cadde neanche un grano di polvere. Si rosicchiò il labbro e la carne rigonfia fremette leggermente fra i denti.

Finlandia tenne stretta la manina di Moldavia, gli posò il palmo libero sulla testolina, per tenerlo calmo come faceva con Hanatamago, e rivolse l’espressione mite e amichevole a Bulgaria. “Sei arrivato da molto?” Gli si avvicinò portandosi dietro i passi saltellanti di Moldavia, mano nella mano, e parlò a voce più bassa e cauta. “Avevi una riunione con Russia? Oh,” si posò le punte delle dita sulla bocca e lanciò lo sguardo fuori dalla finestra, “quindi è già tornato? Pensavo fosse ancora ai campi di Serpuchov assieme a Bielorussia e a Lituania.”

“E-ecco...”

L’ondata di gelo tornò a travolgerlo. Spire di ghiaccio gli corsero sotto i vestiti, entrarono nella carne e nelle ossa, gli fecero rizzare la pelle d’oca anche dietro la nuca. I brividi fiorirono come il ricordo del sorriso sottile e buio di Russia davanti al suo sguardo. L’impronta della mano che gli aveva timbrato sulla guancia pulsò come se Bulgaria avesse ancora avuto le sue dita inguantate premute sulla pelle e le sue labbra a bisbigliargli all’orecchio.

Bulgaria scrollò le spalle, cacciò via i brividi di dosso e si strofinò un braccio. Si voltò di profilo per nascondere l’ombra di disagio che era scesa sul volto. “È tornato qualche momento fa,” disse. “Avevo una riunione con lui, solo che...”

“Evita di sprecare fiato a parole, Bulgaria,” sibilò il ricordo di quella voce di ghiaccio. “Ti servirà tutta l’aria possibile per sopravvivere nel mare di questa guerra.”

Bulgaria inspirò e trattenne il fiato, proprio come se stesse seguendo quel suggerimento, e si strofinò la nuca, aggrottando la fronte in uno sguardo abbattuto. “Non è andata esattamente come speravo.”

Il sorriso di Moldavia si ammosciò, gli occhietti si fecero tristi e abbattuti come quelli di Bulgaria, riflessero il colore smorto e appannato della luce filtrata attraverso la neve. Sfilò la manina da quella di Finlandia e tornò da Bulgaria, avvolse un braccio attorno al suo ginocchio e tese l’altro verso l’alto, si appese alla sua manica.

Bulgaria sentì di nuovo quel piacevole calore infondersi attraverso il corpo e sciogliere i brividi di paura trasmessi dal gelido ricordo di Russia. Sorrise a Moldavia, gli porse la sua mano, strinse le piccole dita avvolgendole con il suo palmo. “Però sono contento di aver rivisto Moldavia.” Gli carezzò la testolina. Moldavia si avvicinò ancora, fasciò il braccio attorno al suo ginocchio e premette la guancia contro la sua gamba. Bulgaria fece roteare lo sguardo. “Compensa il fatto di essere venuto qui per niente.”

Finlandia sollevò un sopracciglio, guardò dietro di sé, salì sulle punte dei piedi e lanciò uno sguardo cauto e teso anche alle spalle di Bulgaria. Gli si avvicinò tenendo le mani giunte in grembo, gli parlò a bassa voce. “C’era qualcosa di cui volevi parlare con Russia?” Le sue parole non fecero nemmeno eco nel corridoio.

Bulgaria ricambiò lo sguardo cauto, aggrottò un sopracciglio, torto da una ruga di sospetto che gli rese il viso più buio, e portò la mano sulla testolina di Moldavia dietro le sue spalle, lo tenne di nuovo protetto. “E... ecco...” Si morse un labbro. Come dovrei comportarmi con lui?

Squadrò Finlandia dai piedi al viso, si soffermò sui suoi occhi pacifici, sullo sguardo mite e rassicurante, solo lievemente incrinato da quella punta di preoccupazione. Bulgaria irrigidì. È pur sempre un territorio conquistato, e io potrei fare la sua stessa fine da un giorno all’altro. Davvero cambierebbe qualcosa se avvertissi anche lui del pericolo? Diede un’altra morsicata al labbro, la pelle screpolata aveva lo stesso sapore della neve sciolta. Oppure dovrei tenere la bocca chiusa dato che c’è la possibilità che lui rimanga dalla parte sovietica e che diventi un mio nemico?

“Solo...” Bulgaria forzò un tremolante sorriso di rassicurazione, ma dovette guardare in basso, lontano dagli occhi di Finlandia. Liquidò tutto con: “Solo un affare riguardante uno spostamento di truppe attorno al mio territorio. Russia ha alcuni domini in Romania, e sai...” Si strofinò la nuca usando la mano che non stringeva quella di Moldavia. “Volevo solo,” si chiuse nelle spalle, “solo sapere se fosse,” sfilò le dita dai capelli e fece roteare la mano, “tutto a posto.”

Il viso di Finlandia si distese, le labbra disegnarono un sorriso più dolce e naturale che rilassò anche la luce tesa degli occhi. “Capisco.” Si strinse le spalle, stropicciò le dita raccolte in grembo e piegò un’espressione di scuse. “Mi dispiace che non sia andata come speravi.”

Bulgaria scosse il capo. “Non fa nulla.”

La neve che picchiettava sulle finestre produsse un suono morbido, come tanti polpastrelli che battono soffici colpi sui vetri. I cristalli di ghiaccio si scioglievano creando scie granulose che lacrimavano verso i cornicioni, si raccoglievano alla base della finestra congelata e creavano uno strato rugoso e trasparente di ghiaccio. Uno scricchiolio del vento ruppe il silenzio ovattato dalla nevicata, fischiò, e il suono attraversò anche il corridoio nel quale si sentivano solo i flebili respiri di Finlandia, Moldavia e Bulgaria.

Finlandia e Bulgaria rimasero a guardarsi per qualche secondo, immersi nel pesante e fitto silenzio riempito dalla luce pallida del sole bianco. Si udiva solo il suono della caduta della neve spinta dai fischi di aria contro le finestre.

Bulgaria storse una smorfia di imbarazzo, chinò lo sguardo e si strofinò di nuovo la nuca con un gesto nervoso. “Uhm, ora però...” Fece un passetto di lato, sfilò la mano da quella più piccola di Moldavia e indicò prima dietro di sé e poi fuori dalla finestra. “Però, ecco, dovrei andare.”

Moldavia tornò a trotterellargli vicino e si appese di nuovo al suo ginocchio. “No, no, non andare.” Salì sulle punte dei piedini, poggiò il mento sulla gamba di Bulgaria e lo guardò con occhi lucidi e imploranti. “Resta solo un po’.” Diede due piccoli strattoni ai suoi pantaloni e saltellò sulle punte dei piedi. Gli occhi sempre più tristi e la vocina quasi rotta dal pianto. “Solo un po’, per favore.”

Quello sguardo arrivò come una picconata sul cuore. Bulgaria tenne le labbra strette, buttò giù un ingollo di amarezza che gli torse lo stomaco, e l’ondata di nostalgia che lo aveva travolto quando si era gettato ad abbracciarlo riemerse come una marea. Scostò lo sguardo e incontrò gli occhi di Finlandia, tristi e impietositi come i suoi. Finlandia gli mostrò quell’espressione sconfortata, quasi si stesse scusando, e si chiuse nelle spalle, gli indicò Moldavia con un’alzata di mento. Il piccolo era ancora sulle punte dei piedi, appeso al ginocchio di Bulgaria e con la guancia spremuta sul polpaccio, gli occhietti stretti e stropicciati per tenere il pianto dentro le palpebre.

Bulgaria sospirò. Fece un passetto all’indietro ma le braccia di Moldavia gli rimasero attorno, chinò le spalle e gli tornò a posare una mano fra i codini. “Moldavia, vorrei restare,” gli strofinò i capelli e gli carezzò la schiena, “ma sai che non posso.”

Moldavia strinse il visetto torto dal dolore e dalla nostalgia, i dentini tremarono contro la carne del labbro, gli occhietti strizzati si bagnarono di perline trasparenti che rimasero incastrate fra le ciglia. Un primo, debole e piccolo singhiozzo gli scosse il cuoricino, le piccole dita si arpionarono ai pantaloni di Bulgaria come le zampe di un cucciolo al ventre della mamma, e le lacrime caddero in silenzio, rigarono le guanciotte rosse schiacciate sulla coscia.

Bulgaria si chinò a stringergli le spalle, gli carezzò una guancia facendo scorrere le dita in mezzo a un codino. “Me lo hai raccontato anche tu prima, ricordi?” Moldavia singhiozzò con la bocca chiusa, e Bulgaria gli raccolse una prima piccola lacrima che era scivolata lungo la guancia torna e rossa come la buccia di una mela matura. “Qui con Russia non devi sentirti solo.”

Moldavia singhiozzò due volte e il visetto fremette sotto quel tocco soffice. “Ma io...” Si strofinò un occhietto umido con la manica della maglia, nascose lo sguardo e si strinse nelle spalle. “Mi manca il fratellone,” tirò su col nasino, la voce si strozzò in un piccolo vagito, “e mi manchi tu e...” Sollevò anche l’altro pugnetto e lo rigirò sulla palpebra che aveva ripreso a lacrimare spesse perle di pianto.

Bulgaria sentì il cuore stringersi e formare un nodo in gola, pesante come se avesse ingoiato un pugno di ghiaia.

Finlandia si avvicinò a loro, si accovacciò anche lui accanto a Bulgaria e intrecciò le mani sopra le ginocchia. “È solo un po’ di nostalgia di casa,” mormorò.

Moldavia annuì. Tornò a tuffarsi fra le braccia di Bulgaria, circondandogli il collo, e premette la fronte sul suo petto.

Finlandia mostrò un sorriso intenerito ma triste, carezzò la schiena del piccolo. “Non ha mai pianto fino a ora,” continuò, “e forse si è tenuto tutto dentro.”

Bulgaria chinò la fronte, posò le labbra fra i capelli di Moldavia, tornando in cerca di quel profumo familiare che era stato sciacquato via e rimpiazzato da quello di Russia. “Già.” Strinse le braccia attorno al corpicino singhiozzante, sentendo il suo respiro rimbalzargli contro il petto, e gli carezzò anche lui la schiena. Sospirò. “Forse è colpa mia.”

Se non mi avesse visto, considerò a malincuore, ora non gli avrei ricordato casa, non gli avrei ricordato Romania.

Lo strinse più forte, intrecciando le braccia dietro la sua schiena e premendo il viso sulla sua spalla, vicino all’incavo del collo dove il profumo di spezie, di latte e di bosco innevato si intensificava. Anche Bulgaria contrasse il viso in una smorfia di dolore che tenne ingoiata in fondo alla gola, insieme al singhiozzo che si rifiutò di far uscire dai denti.

Non gli avrei fatto capire che anche lui manca a noi.

Gli fece un’altra carezza, inspirò forte, il cuore smise di fare male ma rimase lo stesso un forte preso a gravargli sul petto.

“Moldavia,” lo chiamò con voce dolce ma ferma. Bulgaria sciolse l’abbraccio tenendogli una mano sulla spalla e una posata sulla sua guancia umida e calda. Fece correre il tocco fino al suo mento e gli fece sollevare lo sguardo, guardò dentro quegli occhioni lacrimanti, lucidi e gonfi. Lo guardò come un adulto. “Non posso portarti via con me,” gli disse, “ma avevi promesso che saresti stato coraggioso, ricordi?” Gli passò la nocca dell’indice sul rigonfiamento di una guancia, raccolse una riga di lacrime. “E i soldatini coraggiosi non piangono.”

Moldavia trattenne un singhiozzo, inspirò forte e il labbro inferiore vacillò. “Ma io...” Gli occhi tremarono, si gonfiarono di nuovo e si sciolsero in due spessi fiotti di lacrime che si unirono sotto il mento. “A me viene da,” singhiozzo, “piangere e...” Sollevò i pugnetti contro le palpebre e si nascose il visetto dietro le maniche penzolanti. Torse la bocca in un lamento. “Perché hanno inventato di piangere se non posso farlo?” Pianse ancora. Tutto il corpo un fremito.

A Bulgaria scappò uno sghignazzo di tenerezza. Si coprì la bocca e riuscì a nascondere la smorfia che gli aveva stropicciato quel sorriso sbilenco. Lui e Finlandia si guardarono. Finlandia sollevò le sopracciglia, quel sorriso triste e malinconico sempre lì, e tutti e due sospirarono, l’espressione impotente.

Finlandia si avvicinò a Moldavia, gli posò una mano sulla spalla facendogli una piccola carezza. “Facciamo così.” Si rivolse a Bulgaria e ravvivò il sorriso. “Vi va di fare una passeggiata, così lasciamo che Moldavia si calmi e anche tu puoi riposarti prima di ripartire.”

Moldavia annuì prima di dare l’opportunità a Bulgaria di rispondere. Tornò stretto nel suo abbraccio. “Resta, resta.” Gli strofinò il visetto sul petto, singhiozzò e il pianto svanì, risucchiato da un sospiro.

Anche Bulgaria sospirò. Sentì di non avere scelta. “Va bene.”

 

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Bulgaria accoccolò il corpicino di Moldavia contro il suo petto, le braccia del piccolo scivolarono dietro le sue spalle, le manine si chiusero dietro il suo collo e la testolina andò ad appoggiarsi sulla spalla, le gambe rannicchiate negli incavi dei gomiti. Moldavia tirò su col naso, un po’ per l’aria fredda del giardino e un po’ per sopprimere l’ultimo singhiozzo di pianto, e chiuse gli occhietti facendo riposare il capo contro la guancia di Bulgaria. Bulgaria gli rimboccò il bavero della giacca dietro il collo, in modo da non lasciarlo scoperto, tornò ad avvolgerlo, gli diede una piccola spintarella per non farlo scivolare giù dal suo petto, e continuò a camminare affianco a Finlandia in mezzo al suolo innevato, seguendo la scia di piccole impronte lasciate da Hanatamago.

Nevicava ancora. I fiocchi danzavano lenti e silenziosi, soffiati dal vento, pizzicavano sul viso e contro le orecchie, maculavano i capelli e i cappotti, si depositavano sui rami degli alberi spogli che si ergevano come artigli contro il cielo grigio cenere.

Hanatamago saltò fuori da dietro un’aiuola imbiancata, rimbalzò sulla stradina di pietre facendo dondolare le orecchie, la punta della lingua al vento, e corse attorno alle gambe di Bulgaria e Finlandia. Camminò con loro e sfrecciò di nuovo attraverso la via che sfilava di fianco a una delle facciate del palazzo.

Finlandia si rimboccò la sciarpa fin sotto il mento, si strofinò la punta del naso rosso di freddo con il dorso della mano inguantata, e spolverò la stoffa della giacca sporca di neve. “Sai,” disse, “in realtà io capisco come possa sentirsi Moldavia.” Sollevò lo sguardo, volse gli occhi al cielo, e il colore grigio e sporco delle nubi gonfie di neve si riflesse nel lucido delle iridi. Raffreddò il suo sorriso. “Non riesco proprio a fargliene una colpa,” scosse il capo, “o a dirgli di cercare di non piangere, di essere più coraggioso. Io per primo so cosa significa vivere in una situazione come la sua.” Strinse le mani contro le spalle, sfregò sugli avambracci.

Hanatamago saltellò attorno alle caviglie di Finlandia, continuò a zampettare vicino a lui, rimbalzando da un’impronta di piede all’altra, e sollevò il musetto verso il viso del padrone. Finlandia non la notò.

Un’ondata di tristezza gli rabbuiò il viso rivolto a Moldavia che riposava avvolto nell’abbraccio di Bulgaria. Il vento ghiacciato soffiò in mezzo a loro, scosse i capelli e i lembi della sciarpa che Finlandia si era allacciato attorno alle guance. “Per di più, lui è così piccolo, ed è stato portato via dal fratello, in un posto che non conosce e che...” Quel groppo di dolore gli annodò la voce. Finlandia rimase a labbra socchiuse, congelate, gli occhi vitrei e grigi sfumarono come se la neve si fosse depositata fra le palpebre, le guance si infiammarono di rosso, lo sguardo lucido e spaesato.

Finlandia inspirò e si premette il braccio contro il viso. “Ah, scusami, dovrei...” Sforzò una risatina sdrammatizzante, si sfregò le palpebre con il guanto, e Bulgaria non poté fare a meno di lanciargli un’occhiata preoccupata. Finlandia ridacchiò di nuovo, si asciugò un occhio per non permettere a una lacrimuccia di bagnargli la guancia. “Io che sono adulto dovrei...” Scosse il capo, si lasciò toccare dai fiocchi di neve per raffreddare le guance, e alzò gli occhi tremanti al cielo, forzando le palpebre a rimanere larghe e ferme. “Dovrei cercare di contenermi o verrà da piangere anche a me.”

Hanatamago piegò la testolina di lato, ammosciò le orecchie, ed emise un guaito preoccupato.

Moldavia girò la guancia contro la spalla di Bulgaria, si tenne aggrappato con le dita alla sua giacca e rivolse lo sguardo ancora gonfio di pianto a Finlandia. “No, Finlandia,” storse il nasino in una piccola smorfia, “solo i bambini piangono.”

Bulgaria sobbalzò. “Moldavia.”

Finlandia ridacchiò e si coprì la bocca. “No, ha ragione lui.” Sfregò una nocca sotto la palpebra e intrecciò le mani dietro la schiena. Il viso era si ora era bagnato solo dai grani di neve soffiati dal vento, ed era rosso solo per il freddo del vento che graffiava sulla sua pelle.

Sfilarono entrambi in mezzo alle aiuole imbiancate e gonfie come tanti cuscini messi a giacere a terra, la stradina si restrinse, i rami degli alberi sopra le loro teste si infittirono, tapparono la caduta più rarefatta della neve e oscurarono la luce lattea del sole.

Bulgaria fece scendere il braccio dietro la schiena di Moldavia – il braccio che non gli teneva rannicchiate le gambe al ventre –, e chinò leggermente il capo di lato per sentire la sensazione della sua testolina contro la guancia. “Sai,” disse, rivolto a Finlandia, e una nube di condensa si sciolse fra lui e Moldavia, “so che sembra assurdo, ma...” Si chiuse nelle spalle e strinse anche Moldavia a sé. “Uhm, immagino dovrei ringraziarti per...” Lanciò a Finlandia uno sguardo sottecchi, senza incrociare il suo. “Per quello che fate per lui.”

Finlandia sollevò un sopracciglio, sbatté le palpebre in un’espressione stupita.

Bulgaria tornò con gli occhi a terra, seguì la corsetta di Hanatamago in mezzo alla neve fresca dove lasciava le piccole impronte, e scosse le spalle. “Una nazione così piccola in un territorio nuovo, tutto da solo.” Ebbe l’istinto di chiudere l’abbraccio, di sentire più vicino il corpicino di Moldavia che respirava sulla sua spalla, di farsi cullare dal suono del cuoricino che batteva contro il suo petto. “Grazie per avere cura di lui. E per non approfittare della sua condizione.” Sfregò un passo più trascinato in mezzo alla neve e abbassò la voce, come per non farsi sentire da Moldavia. “Sono certo che anche Romania la pensi così.”

Finlandia sorrise. Annuì. “Prego.” Guardando Moldavia che riposava tranquillo, il visetto nascosto dalla spalla di Bulgaria, e il corpicino avvolto nella giacca troppo larga, sentì fiorire un sentimento di dolcezza nel suo cuore, come un bocciolo profumato appena schiuso. “Poi Moldavia è un bambino così dolce che si fa volere bene fin da subito.” Posò il fianco di una mano sulla guancia, coprendo il movimento delle labbra, e si avvicinò di un passetto a Bulgaria, mormorandogli accanto al viso. “Abbiamo tutti un occhio di riguardo per lui, quindi di’ pure a Romania di non preoccuparsi.” Tornò con le mani strette dietro la schiena, annuì. “Nostalgia a parte, abbiamo tutti il compito di non fargli accadere nulla.”

Hanatamago compì tre giri attorno ai piedi di Finlandia, sollevò una zampetta, gli grattò la stoffa dei pantaloni e abbaiò. “Bau!” La linguetta di fuori lasciava uscire nubi di fiato soffici e candide come il suo pelo.

Finlandia si chinò a sorriderle. “Che c’è? Vuoi venire in braccio anche tu?”

Hanatamago saltò sulle zampette posteriori, grattò quelle anteriori sotto il ginocchio di Finlandia. “Bau!”

Finlandia tese le braccia e la raccolse dalla neve, la cagnetta si accoccolò contro la sua spalla, scodinzolò contenta, e si lasciò coccolare come stava facendo Moldavia fra le braccia di Bulgaria. La carezzò facendo correre le dita fra i boccoli di pelo umidi di neve, le sfregò la testolina dietro le orecchie, e abbassò la fronte sfiorandole la punta del nasino con il suo. Piegò un sorriso avvilito, rassegnato. “Però è triste.”

Bulgaria gli scoccò un’occhiata dubbia, non capì subito quella frase.

Finlandia fece un’altra carezza ad Hanatamago, gli occhi tornarono a velarsi, tornarono opachi nonostante il sorriso. “Le famiglie non andrebbero mai divise. Nemmeno in guerra.”

Bulgaria capì. Gli parve quasi di veder scorrere i ricordi di Finlandia davanti ai suoi stessi occhi. Si sentì un po’ meno solo nel suo dolore, ma una vena di rassegnazione attraversò anche il suo sguardo. “Cosa possiamo farci?” sospirò. “È questo il destino che ci capita se siamo nel bel mezzo della guerra.” Rivolse gli occhi alla facciata del Palazzo d’Inverno alla sua sinistra. Si perdeva contro il cielo, le nuvole di nevischio ne toccavano la cima, la inghiottivano, e i rami neri degli alberi nascondevano i riflessi specchiati sulle finestre. Di nuovo un brivido di soggezione percorse il corpo di Bulgaria, la sua bocca fremette facendo uscire un soffice sbuffo di amarezza e ironia. “Gli squali mangiano i pesci piccoli, no?”

“Mhm.” Finlandia si posò la punta dell’indice sul labbro inferiore, ci pensò un attimo guardando il cielo, e poi tornò a sorridere. “Però sai,” diede una spintarella ad Hanatamago, per tenerla in equilibrio contro la spalla, “anche i pesci possono dimostrare la loro forza.” Sollevò l’indice al cielo e rivolse a Bulgaria un sorriso di incoraggiamento che gli gonfiò le guance già rosse di freddo. “Stando uniti, secondo me sarebbero in grado di affrontare persino uno squalo, proprio grazie all’unione che li lega.” Chiuse pollice e indice, facendo finta di reggere un piccolo oggetto invisibile fra le punte delle dita. “Anche solo un pesciolino può fare la differenza.”

Lo sconforto che spingeva sulle spalle di Bulgaria si fece ancora più pesante e opprimente. Lo fece sospirare. “Già.” Strinse Moldavia avvolgendogli anche la nuca e tenendogli il viso accostato alla sua spalla. “Magari è proprio per questo che ci separano fra noi.”

Nel silenzio, i loro passi scricchiolarono lenti e profondi sulla neve appena caduta. Il freddo stagnante riempiva il giardinetto di un’aria densa e pesante, il vento scuoteva leggermente i rami degli alberi neri e congelati, fischiava facendo gemere la corteccia, e sbatteva sulla facciata laterale del Palazzo d’Inverno.

Bulgaria accoccolò a sé il corpicino di Moldavia, un piccolo fagotto di calore che intiepidiva quell’atmosfera grigia e spenta gettata dal cielo annuvolato. Gli pettinò un codino, chinò il viso sfiorandogli la testolina con la fronte, gli tenne la mano dietro la nuca, la punta del naso a sfiorargli i capelli.

Moldavia ci è stato strappato via contro la nostra volontà, e anche contro la sua. Il dolore gli ingarbugliò lo stomaco. Bulgaria rivide gli occhi di Romania il giorno in cui l’aveva sbattuto al muro, quegli occhi che lo avevano lacerato da parte a parte, inferociti e terrorizzati di veder succedere di nuovo la stessa cosa su Bulgaria, di vedere strappata via un’altra parte di se stesso. E infatti ora soffriamo tutti e tre.

Girò lo sguardo. Anche Finlandia camminava a viso basso, le mani immerse nella pelliccia di Hanatamago e gli occhi infittiti dal dolore, opachi e grigi come il cielo sopra di loro.

Persino Finlandia, che ha lottato per salvare se stesso e la sua famiglia, sta soffrendo come noi. Sospirò, diede un piccolo calcetto a un sasso gelato, togliendolo dalla stradina che sfilava in mezzo alle aiuole innevate. Eppure non dovrebbe avere rimpianti, ha fatto tutto il possibile. Se un giorno anche io dovessi finire così, se venissi costretto con la forza a incatenarmi in una delle due parti, o se dovessi...

Ingollò saliva amara, il freddo sviscerò sotto i vestiti, gli diede di nuovo la sensazione di avere gli artigli di Russia agganciati alla sua pelle, come uncini, come ami da pesca che lo tiravano a sé. Il suo paese distrutto, il suo corpo schiacciato fra le macerie fumanti e carbonizzate, il fuoco a sciogliergli la pelle e a divorargli la carne, il suo sangue a tingere la terra.

Un violento brivido gli scosse le spalle. Bulgaria restrinse le sopracciglia. Se dovessi fare la fine di Polonia, davvero potrei essere in pace con me stesso come lascio credere? Dopotutto, io non sto lottando, mi sto... Fece roteare lo sguardo al cielo, in mezzo ai rami, ed emise uno sbuffo dalle narici che si gonfiò in una nuvoletta bianca. Mi sto lamentando e basta. Mentre Romania...

Romania lottava. Lottava con mani tremanti quando lo aveva agguantato per la giacca e lo aveva guardato con quegli occhi disperati, con quel grugno di rabbia in cui sporgevano i denti aguzzi. Lottava a spalle chine, piegato dalla frustrazione, quando doveva camminare nell’ombra di Germania, e lottava a mento alto quando Bulgaria lo aveva visto in mezzo alla neve, da solo, circondato dai tedeschi e dal fumo degli autocarri.

Una fitta di sensi di colpa gli diede di nuovo l’impressione di essere schiacciato a terra, ma fece più male del pensiero di avere un’altra volta la mano di Russia stretta attorno al cranio.   

Forse...

Spinse la guancia contro la testolina di Moldavia, fece un flebile sospiro di sconforto, e continuò a camminare per la stradina. Superarono la fontana congelata, e gli alberi si aprirono, rivelarono il primo scorcio di strada asfaltata che proseguiva in linea con il perimetro del giardino. Il silenzio della neve ovattava i pochi rombi delle auto che sfilavano sulla carreggiata.

Bulgaria guardò lontano, oltre i cavi di elettricità che sormontavano le strade e che tagliavano il cielo in frammenti netti.

Dovrei davvero stargli vicino, ora che ho la possibilità di farlo? rimuginò. Se Romania fosse davvero costretto da Germania a combattere contro Russia... Un altro sospiro, e tutta la voglia di rifilargli un pugno sul naso si sciolse come ghiaccio al sole. Potrei davvero essere così carogna da lasciarlo da solo?

“Tu cosa faresti?” domandò Bulgaria.

Finlandia si voltò e sollevò un sopracciglio, colto alla sprovvista. “Come?”

Bulgaria diede una spintarella a Moldavia, sentì le sue braccia stringere attorno al collo, le piccole dita appendersi alla giacca, e camminò guardando davanti a sé, in mezzo alla spolverata di neve. “Se tu un giorno dovessi scegliere fra il tuo paese e quelli che ami,” sbirciò Finlandia con la coda dell’occhio, “da che parte decideresti di stare?”

Il viso di Finlandia si distese, i suoi occhi si vestirono di ombra, capirono, e anche lui si tenne più stretto ad Hanatamago. Posò un soffice sorriso in mezzo alle sue orecchie bianche e folte. “Io,” la carezzò, “ho già compiuto una decisione del genere.” Annuì. “L’ho fatto lo scorso inverno.” Rivolse lo sguardo lontano, oltre le nuvole, oltre i rami degli alberi, oltre i cavi di elettricità che attraversavano la strada. Il vento gli carezzò i capelli, agitò le punte della frangia contro le palpebre socchiuse. I fiocchi di neve sembrarono sciogliersi nei suoi occhi e renderli lucidi come cristallo. “Avevo deciso che avrei combattuto per proteggere il mio paese e per proteggere anche loro. E alla fine mi hanno comunque portato via tutto.” Rivolse a Bulgaria un sorriso triste e rassicurante, si strinse nelle spalle tenendo Hanatamago contro di sé. “Quindi io sono l’ultimo che potrebbe dare consigli del genere.”

Bulgaria aggrottò leggermente la fronte. “E se dovessi tornare a scegliere?” domandò. “Se tornassi indietro,” inspirò a fondo, le braccia attorno a Moldavia irrigidirono, “rifaresti le stesse scelte?”

Finlandia schiuse le labbra, senza fare condensa, come stupito da quella domanda. Poi il viso tornò a rilassarsi, gli occhi di nuovo avviliti ma il sorriso disteso e pacifico. Annuì. “Sì.” Seguirono la piccola via che girava attorno alla fontana, avvicinandosi alla strada asfaltata dove si sentiva il rombare di qualche auto. “Solo che cercherei di essere più forte e coraggioso nel portarle a termine.”

Hanatamago sollevò il musetto e gli leccò la punta del naso, agitò la coda che sventolò fra i gomiti incrociati del padrone.  

Finlandia soppresse una risata e le tenne il muso lontano, si strofinò il naso umido. “Ma ormai è tardi per avere rimpianti, no? Dopotutto, io non posso più lottare.” Scosse le spalle. Tornò avvolto da quell’aura grigia e sconfortata. “E non c’è nulla che io possa fare per farci tornare tutti e cinque assieme.”

Una ruga di cruccio attraversò lo sguardo di Bulgaria. Lui abbassò il capo, sfilò un braccio dal corpicino di Moldavia e si strofinò la nuca, un sospiro pesante gli gettò di nuovo addosso quella secchiata di conflitto e indecisione che gli schiacciava le ossa.

Finlandia gli toccò la spalla, la mano lo avvolse, fu un gesto caldo. “Non fare il mio stesso errore,” gli disse a voce bassa.

Bulgaria si voltò e incontrò il suo sguardo sincero e apprensivo. Il braccio di Finlandia tremò leggermente, gli occhi tornarono tristi e vacui, lucidi e traballanti come i fiocchi di neve che si sbriciolavano dal cielo. “Non permettere che ti separino da Romania.” Strinse leggermente la presa e Bulgaria sentì una scossa di dolore entrargli nel corpo, trafiggergli il cuore e aprire un vuoto nella pancia. “Non farti portare via la tua voglia di combattere per qualcuno.”

Bulgaria non riuscì a rispondere.

Un rombo più vicino e basso sfilò attraverso la via principale che delineava il confine del giardinetto. Un’auto rallentò accostandosi al marciapiede, il sole si riflesse sui finestrini scuri, i tergicristalli spazzarono via uno strato sottile di neve dal parabrezza, e il motore si spense soffiando un getto di fumo nero dalla marmitta.

Hanatamago si sporse dalle braccia di Finlandia, tese il musetto verso la strada asfaltata, le orecchie guizzarono di gioia. La cagnetta prese a scodinzolare, e abbaiò “Bau!” facendo penzolare la lingua.

Sia Bulgaria che Finlandia si voltarono verso l’auto appena fermata, ancora avvolta dalla nebbiolina di gas di scarico e dalla foschia di neve. Lo sportello posteriore si aprì, ne uscì una figura che si erse fin sopra il tettuccio della berlina, abbottonò il cappotto tenendo basso il viso scuro e appannato dal velo di condensa, e richiuse l’anta.

Gli occhi di Finlandia si illuminarono come stelle. “Oh.” Saltellò in mezzo alla neve facendo schioccare i piedi sulla stradina di pietra, e tornò il caldo e luminoso sorriso a brillargli fra le guance rosse di emozione. “È tornato Sve.”

Hanatamago abbaiò di nuovo, “Bau, bau!”, agitò di più la coda, si sporse dalle braccia di Finlandia, e lui si chinò a posarla a terra. La cagnetta saltò dalle sue braccia e corse verso Svezia balzando da un grumo di neve all’altra.

Finlandia alzò un braccio sopra la testa e lo agitò, portò la mano libera attorno alla bocca per indirizzare la voce. “Sve, siamo qui!”

Svezia sollevò la fronte, sfilò le mani dal bavero della giacca appena abbottonato, e nei suoi freddi occhi azzurri si specchiò il riflesso cristallino della neve che soffiava attorno a lui. Il suo sguardo volò subito su Bulgaria, le punte delle sopracciglia si contrassero, aggrottarono una sottilissima piega di sospetto che gli annerì il viso.

Bulgaria strinse le braccia attorno a Moldavia, fermò il passo e si tenne sotto l’ombra degli alberi. Una zaffata di vento gli sbatté di profilo, agitò i vestiti e i capelli, la frangia sventolante oscurò la luce degli occhi. Di nuovo un brivido di paura gelata lo punse al collo, come una spina di ghiaccio, e la sensazione di allerta e pericolo gli formicolò nel sangue, facendogli salire la pelle d’oca.

Finlandia rimbalzò davanti a Svezia e anche Hanatamago gli corse attorno alle caviglie, tutta contenta.

“Bentornato,” esclamò Finlandia, sorridendogli. “Hai fatto buon viaggio? È andato tutto bene?”

Lo sguardo di Svezia incontrò il suo, gli occhi si ammorbidirono, come sciolti dal ghiaccio, e lui annuì con un piccolo gesto del capo.

Finlandia si spostò di profilo e indicò dietro di sé aprendo entrambi i palmi. “Guarda, Bulgaria è venuto a trovarci. Ha fatto un salto qui da noi per salutare Moldavia, non è stato un gesto carino?”

Bulgaria sobbalzò, sentendosi di nuovo risucchiato nella scia di quello sguardo di pietra, e gettò gli occhi a terra. Sfilò una mano dal corpicino di Moldavia e la sventolò piano davanti alla spalla, tenne un sopracciglio storto e un angolo della bocca lievemente contratto verso il basso. “Ciao, Svezia.”

Anche Moldavia sollevò la testolina dalla sua spalla, si strofinò una palpebra e usò la stessa manina per ondeggiare un fioco saluto verso Svezia. “Ciao, signor Svezia.” La voce ancora mogia e triste, gli occhi lucidi e le guance rosse.

Finlandia si mise affianco a Svezia, salì sulle punte dei piedi – Svezia dovette comunque chinare la spalla – e si coprì la bocca per sussurrargli all’orecchio. “Moldavia ha avuto un po’ di nostalgia di casa, così ho pensato che farlo stare un po’ assieme a Bulgaria lo avrebbe tirato su di morale.” Hanatamago si accucciò ai piedi di Svezia e stette buona contro una sua gamba, la lingua di fuori e la coda che spolverava la neve sulla stradina.

Svezia rivolse un’altra occhiata a Bulgaria, più intensa e profonda ma rigida ed enigmatica.

Bulgaria allontanò lo sguardo dal suo, quegli occhi gelati e impenetrabili gli fecero sentire freddo, il cielo divenne più scuro e il fischio del vento ululò basso e cavernoso, cupo come il suo viso. Tossicchiò. “Uhm, ora...” Si strofinò la nuca reggendo Moldavia con un braccio sopra. “Ora dovrei proprio tornare a casa.”

I codini di Moldavia guizzarono di nuovo in allarme, gli occhietti tristi scintillarono di timore, le manine si aggrapparono alla giacca di Bulgaria, le piccole gambe si rannicchiarono di più contro il suo petto. Bulgaria lo posò a terra senza dargli tempo di protestare.

Lasciò perdere tutta l’aura buia che si era alzata attorno a lui, ignorò la presenza di Svezia e anche quella di Finlandia, non badò al freddo che era tornato ad attanagliarli la carne, e si inginocchiò davanti a Moldavia, gli posò le mani sulle spalle.

“Moldavia.” Chinò lo sguardo e gli cercò gli occhi, gli fece sollevare la punta del mento con un delicato gesto della mano. “Mi prometti che saprai essere forte e coraggioso come ti abbiamo insegnato?”

Moldavia si chiuse nelle spalle, ingarbugliò le dita sotto le maniche troppo larghe, stropicciò una smorfia di pianto, contenne un piccolo singhiozzo fra le labbra tremanti come gli occhi. “Ma io...” Singhiozzò. “Io non so se sono forte, e poi...” Si asciugò un occhio che aveva ricominciato a lacrimare, la vocina si strinse in un lamento ondeggiante. “Prima ti ho detto una bugia, non è vero che ho preso da solo il ghiacciolo, mi ha aiutato il signor Svezia. E poi mi è anche caduto perché pesava troppo.” Singhiozzò altre due volte. “Vedi? Non sono forte.” Scivolò di un passetto in avanti e si accoccolò contro Bulgaria, stringendogli il petto. “Sono piccolo.”

Bulgaria sospirò ma non cedette. Ingoiò una sorsata di forza che doveva bastare sia per lui che per Moldavia. “Moldavia, ascolta.” Tornò a stringergli le spalle, si mise con le ginocchia in mezzo alla neve per potergli stare più vicino, e portò il viso davanti al suo, gli mostrò un’espressione decisa. “Ricorda che tu potrai anche avere la forma di un bambino,” inspirò, le mani chiuse e calde, la voce profonda e spronante che arrivò direttamente al cuore di Moldavia, come una vibrazione, “ma sei una nazione.”

Anche Finlandia sbatté le palpebre, restò a bocca socchiusa, sguardo sorpreso e ammirato, come se quel calore fosse arrivato a intiepidire il petto anche a lui e a dargli una scossa di coraggio lungo la schiena.

Moldavia sollevò gli occhi che avevano smesso di gocciolare. Lo sguardo di Bulgaria si riflesse fra le sue palpebre, gli fece trattenere il respiro.

“Tu sei una nazione come me, come tuo fratello e come Russia,” gli disse Bulgaria. “Hai un popolo come noi, della gente che conta su di te e che sa che tu sarai sempre coraggioso da proteggerla.”

Moldavia fece un ultimo piccolo sbuffo con la punta del nasino, si strofinò la guancia e l’ultima lacrima piovve dall’altro lato del viso. Bulgaria gliel’asciugò.

“Mi prometti che saprai essere un bravo soldatino e che non piangerai più?”

Moldavia annuì guardando in basso. “Va bene.” Tenne le spalle più larghe, prese un profondo respiro che gli scese fino al pancino, calmandogli i singhiozzi e distendendo la voce. Guardò anche lui Bulgaria negli occhi, anche se i suoi tremolavano ancora, acquosi, e annuì. “Ci provo.” Strinse i pugnetti.

Bulgaria gli sorrise. “Bravo.” Lo abbracciò un’ultima volta, stiringendolo contro la sua spalla, e gli massaggiò la schiena. “Sii forte,” sussurrò, carezzandogli i capelli. “Ti prometto che un giorno torneremo a casa tutti assieme.” Glielo disse bisbigliando, quasi fosse stato un segreto fra di loro.

Moldavia annuì di nuovo contro la sua spalla, trattenne un sottile guaito e strinse il viso in un’espressione forte, da adulto.

Bulgaria sciolse l’abbraccio, si alzò da terra e rivolse quello stesso sguardo a Finlandia, rabbuiato dal velo di nuvole grigie che il vento aveva portato davanti al sole.

“Prendetevi cura di lui.”

Finlandia annuì. “Lo faremo.” Gli parlò con voce calda e sincera, occhi vivi e determinati che avevano perso tutta la patina di dolore che aveva mostrato prima. “Ti prometto che non gli accadrà niente.”

Bulgaria chinò la fronte, diede un’ultima carezza a Moldavia in mezzo ai codini. “Ciao, Moldavia.” Gli sfilò le dita dai capelli e fece un primo passo lontano.

Moldavia gli toccò il polso, le punte delle dita scivolarono sul dorso della mano, sulle nocche e sulle unghie. Lo toccò fino alla fine. “Ciao.” Sventolò il braccio sopra la testa. “Saluta tanto il fratellone e digli che gli voglio bene.”

Bulgaria si girò, sorrise e annuì. “Certo.” Proseguì lungo la stradina di pietra che portava ai gradini che discendevano il giardino e davano sulla strada, dove l’auto che aveva portato Svezia era ancora parcheggiata. Lui doveva tornare alla Piazza del Palazzo.

Finlandia saltellò di un passo davanti a Svezia e salutò anche lui Bulgaria con uno sventolio di mano. “Fai buon viaggio.”

Bulgaria annuì, sfilò di fianco a loro, davanti ai loro occhi, e lo sguardo di Svezia lo catturò come una calamita. Si guardarono attraverso il velo di condensa evaporato dal respiro di Bulgaria. Bulgaria non si fermò, camminò sorpassandoli, ma il suo sguardo rimase a fissare Svezia da sopra la spalla, i nervi tesi sotto la pelle e quel groviglio di ostilità a fargli gelare il sangue e a tenerlo con le orecchie dritte.

 

.

                                                    

“Non fare il mio stesso errore,” ripeté il ricordo della voce di Finlandia, sottile come un eco che ronzava nella sua testa. I suoi occhi tristi e spenti, colmi di un rimorso amaro, lo implorarono dal buio che era andato a crearsi attorno al suo volto afflitto e ancora ferito. “Non permettere che ti separino da Romania.”

Bulgaria spinse le spalle in avanti, poggiò i gomiti sulle ginocchia e affondò il volto fra i palmi aperti, tappandosi gli occhi e stringendo le punte delle dita fra i capelli. Inspirò a lungo l’aria all’interno dell’abitacolo dell’auto, pregna del profumo di pelle e di quello più pungente del carburante. Si ovattò la testa in cui continuavano a frullare le immagini e le parole di quel giorno, come un fitto sciame di insetti ronzanti che vorticava dentro il cranio.

Strinse i denti, fece scivolare il viso verso la piega dei gomiti. Il peso del rimorso era tornato a schiacciargli le spalle e a rendergli i muscoli molli.

È chiaro che anche Romania sta sragionando in tutta questa situazione.

Sollevò il viso dai palmi, chiuse le dita sotto il mento, rimanendo con i gomiti sulle ginocchia, e fissò il vuoto nella penombra dell’auto. Gli occhi spenti e grigi come quelli di Finlandia.

Ma a prescindere da quello che crede Russia...

Di nuovo i fascicoli che scorrevano fra le sue dita, sotto i suoi occhi, lo sguardo truce di Germania che gli aveva lanciato quelle occhiate di minaccia e ammonimento, le armate a confine, quel sottile cuscino di territori che divideva Russia dal resto d’Europa.

Io non riuscirò mai a togliermi dalla testa il fatto che Germania prima o poi lo attaccherà.

Tirò su le spalle, le poggiò al sedile, incrociò le braccia al petto e volse lo sguardo fuori dal finestrino. La neve cadeva in diagonale, macchiava la carrozzeria dell’auto, picchiettava contro il vetro e i grani di ghiaccio si scioglievano tracciando spesse scie trasparenti che traballavano sotto la spinta dell’aria. Le campagne russe si stendevano verso la linea d’orizzonte, campi bianchi e lisci come lenzuola appena stirate si gettavano contro il cielo grigio e brulicante di nuvole gonfie di neve che continuavano a spolverare fiocchi sul terreno. Erano già fuori Leningrado.

Bulgaria posò una mano sul vetro, una sottile corona di condensa bordò le dita, e prese un flebile sospiro che gli ammosciò le spalle contro lo schienale.

A quel punto, Romania si ritroverebbe a combattere contro Moldavia. Strinse leggermente le dita, le unghie stridettero. Se lo trovasse davanti a sé in battaglia, potrebbe addirittura provare a rapirlo, pur di non fargli del male.

Vide l’abbraccio disperato di Romania, in ginocchio in mezzo al campo di battaglia, che stringeva Moldavia contro il suo petto. Entrambi sporchi di terra, i capelli scompigliati, le esplosioni che facevano brillare il cielo dietro di loro e i fumi che salivano a fiotti dai crateri appena aperti al suolo. Romania che scappava, nascondeva il corpicino di Moldavia fra i due lembi della giacca aperta, che correva lontano dalle fucilate, lontano dalla guerra, e lontano da Russia.

Bulgaria spinse il gomito contro il finestrino, resse il capo aprendo la mano sulla guancia, e socchiuse le palpebre. Una scossa di terrore gli percorse la schiena, gli fece sentire l’odore del sangue che aveva tastato quando il viso di Russia aveva sfiorato il suo.

E a quel punto Russia lo ucciderebbe.

Lo stesso sangue che avrebbe visto gocciolare dal corpo inerte di Romania gettato a terra come un pupazzo rotto, schiacciato da quelle mani che avrebbero potuto triturare una roccia.

Bulgaria tornò a stringersi le tempie pulsanti, si massaggiò le palpebre.

Poi Moldavia...

Rivide anche il viso del piccolo bagnato di lacrime, gli occhi gonfi e rossi strofinati dai pugnetti coperti dalle maniche troppo larghe, e le manine aggrappate a lui che non volevano staccarsi, che volevano tornare a casa.

Lui cosa potrebbe mai fare?

Fece scivolare le mani dal viso e si guardò i palmi. I segni rossi a forma di mezzaluna lasciati dalle unghie maculavano la pelle diventata bianca per la tensione.

Dovrei essere io la parte razionale fra di loro? Dovrei essere io a impedire che si caccino entrambi in un mare di guai? Dovrei davvero...

“Hai ancora un paio di mesi per pensarci, Bulgaria,” fece eco la voce cavernosa di Germania, dal giorno della riunione. “Rifletti.”

Bulgaria tornò a prendersi le tempie, guardò in basso, in mezzo ai piedi, e il cuore batté di paura. Palpiti freddi e dolorosi, duri come sassate in mezzo alle costole.

Dovrei davvero entrare in guerra e sacrificare la mia nazione per loro due?

Scivolando sull’asfalto ghiacciato e scricchiolante, lasciandosi scorrere in mezzo alla bufera di neve, l’auto proseguì verso casa.

Quei pensieri continuarono a martellargli la testa per tutto il viaggio.

 

.

 

Moldavia seguì la camminata di Bulgaria fino a che non vide la sua sagoma voltata di schiena stringersi nel cappotto, avvolgersi le spalle strofinandosi i brividi di freddo via dagli avambracci, e attraversare la strada asfaltata per poi scomparire dentro la nevicata che si era infittita.

Saltò sulle punte dei piedini, fece un paio di passi in avanti, portò una manina davanti alla fronte, come una vedetta, e cercò ancora a sguardo assottigliato. Non lo trovò più. Bulgaria scomparve lasciandogli quel vuoto di nostalgia nel petto che pulsava di dolore assieme al suo cuoricino. Moldavia tornò a posare i talloni a terra, chinò la fronte facendo ammosciare i codini, e strinse le manine sulla giacca, come per strizzare il dolore. Stropicciò la stoffa fra le piccole dita, tirò su col nasino trattenendo un singhiozzo, e corse di nuovo verso una delle entrate del palazzo per riattraversare i corridoi e sbucare sullo scalone principale che dava sulla piazza. Voleva vederlo partire.

Quell’immagine si riflesse negli occhi di Finlandia, gli trafisse il cuore in una pugnalata di dolore. Il groppo di tristezza si incastrò nella gola, fiorì attraverso il viso in un’ondata bruciante che riempì le palpebre e pizzicò sulle guance rosse come stava facendo la nevicata.

Gli tremarono le labbra. “Povero piccolo.”

Sia Svezia che Hanatamago gli rivolsero due sguardi apprensivi. Svezia irrigidì il volto, Hanatamago piegò la testolina di lato ammosciando un’orecchia.

Finlandia si strinse nelle spalle, si lasciò cullare dal tocco della nevicata che era come un morbido e pungente abbraccio di gelo. “Noi che siamo adulti sappiamo affrontare situazioni del genere, ma lui...” Un fiocco di neve gli cadde nell’occhio, si sciolse assieme a una lacrima che rotolò rapida e silenziosa fino all’angolo della bocca. Finlandia sgranò le palpebre, pizzicato dal sapore salmastro sulle labbra, e si tappò di colpo gli occhi. Soffuse una risata di consolazione. “Ah, ecco che faccio il bambino anche io.” Grattò via il pianto, e la risatina gli lasciò sulle labbra un sorriso sbavato che vibrò agli angoli, cadde piatto, e provò a tornare su, infossandosi nelle guance rosse che Finlandia continuava a strofinare.

Il freddo e rigido sguardo di Svezia si incrinò in quella punta di dolore che si era spanta con il pianto di Finlandia. Svezia sollevò una mano, la rivolse verso la sua spalla, lo sfiorò.

“Sve.”

Ghiacciò il tocco, fermato dalla voce strozzata dalle lacrime che lo aveva chiamato.

Finlandia fece scivolare le mani dal viso, snudò gli occhi annacquati dal pianto che si sollevarono in cerca del viso di Svezia, e tese le braccia verso di lui. Soffocò il dolore gemendo con voce stridente.

“Posso avere un abbraccio anche io?”

Svezia sentì di nuovo la scossetta di dolore pizzicarlo nelle ossa. Tenne le labbra piatte, gli occhi socchiusi e freddi, ma il suo sguardo si sciolse in quella tristezza che lo aveva raggiunto fino al cuore. Annuì. “‘kay.”

Finlandia si gettò a farsi stringere prima che Svezia potesse anche solo aprire le braccia. Soppresse un respiro profondo singhiozzando contro il suo petto, le spalle tremarono a piccoli sobbalzi, e dagli occhi strizzati gocciolarono fiotti di un pianto bruciante e amaro che bagnò la giacca di Svezia ancora tiepida per la temperatura dell’auto.

Finlandia voltò la guancia umida, scoprì un occhio e le labbra vibranti, e singhiozzò ancora. “Scusami se sono così debole.” Strizzò le dita dietro alla sua schiena, si tenne aggrappato a lui, a quel senso di sicurezza e calore che trasmetteva il suo corpo. “Scusami se...” Singhiozzò ancora. Staccò una mano da Svezia e si asciugò gli occhi e le guance, gemette contro il guanto bagnato e riuscì a calmare la voce. Divenne un sussurro. “Se non sono riuscito a tenerci tutti uniti e se non sono riuscito a proteggervi.”

Svezia chinò lo sguardo, lo posò in mezzo alla neve che continuava a cadere attorno a loro, e strinse anche lui un braccio attorno a Finlandia. Gli avvolse le spalle che sobbalzavano ancora per i singhiozzi e gli carezzò la testa con gesti piccoli, rigidi, ma affettuosi.

Il respiro di Finlandia si calmò. Finlandia sollevò la fronte, un sospiro profondo e refrigerante lo aiutò a riguadagnare il sorriso. “Meno male che ci sei tu con me.” Fece scivolare la mano verso quella di Svezia e gliela strinse, si tenne appigliato a quell’ancora di calore.

Svezia trattenne il fiato, irrigidì di nuovo, rivolse lo sguardo a Finlandia e socchiuse le labbra, come se stesse per dire qualcosa. Gli occhi si contrassero, colmi di conflitto, e lui tornò a guardare a terra, stretto da un nodo di indecisione che si ingroppò nel petto, gli fece stringere di più la mano avvolta da quella di Finlandia.

Finlandia sbatté le palpebre. “Uh.” Flesse il capo e lo guardò con occhi preoccupati. “Tutto bene?”

Sul viso di Svezia calò un’ombra che gli nascose gli occhi, un respiro silenzioso gli scivolò fra le labbra, gli posò una sillaba sulla lingua. “Uhm...” Fu lui ad aggrapparsi alla mano di Finlandia, questa volta.

Finlandia sovrappose anche l’altra mano, tornò di un passetto in avanti, vicino come quando erano abbracciati, e sollevò di più lo sguardo, in cerca di quello di Svezia. “Dovevi dirmi qualcosa?” domandò con tono preoccupato.

Svezia chiuse un pugno sul fianco, contrasse la fronte in un’espressione di pietra, colpevole, che non riusciva a guardare Finlandia negli occhi. Scosse il capo. “N’nte.”

Il sorriso di Finlandia fu più flebile, meno convinto, ma ogni goccia di pianto e di dolore era strizzata via, gli aveva sciacquato gli occhi che erano tornati a luccicare come neve toccata dal sole.

“Vieni.” Richiamò il braccio di Svezia a sé, gli indicò l’entrata del palazzo con un gesto del capo. “Andiamo a riacchiappare Moldavia, così possiamo tornare ad aiutare gli altri con la cena.”

Hanatamago abbaiò rispondendo per prima, “Bau!”, e corse per il sentiero di pietra facendo strada.

Finlandia la seguì tenendo avvolta la mano di Svezia, e non riuscì a fare a meno di percepire quella scossetta di disagio e conflitto passare attraverso il suo tocco. Svezia si lasciò guidare, gettò lo sguardo in mezzo alla neve, celato dal suo fiato condensato, e lo seguì a passo pesante.

La busta gialla custodita nella tasca della giacca pulsava come un secondo cuore. Un coltello duro come un macigno che lo pugnalava in mezzo alle costole a ogni passo, a ogni sorriso fiducioso di Finlandia. Svezia si toccò il petto, sentì lo scricchiolio della carta, e cominciò a chiedersi per quanto tempo lo avrebbe ancora visto sorridere così. 

   
 
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