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Autore: lohan    12/12/2016    0 recensioni
Dicono che ci sono poche più frustranti al mondo del non poter baciare la persona di cui si è innamorati. Quando si è innamorati, si sa, la curva del sorriso dell’amato parla la lingua dei cieli, e le sue labbra sono le porte del paradiso.
O, comunque, qualcosa del genere.
Henry Cheng non era mai stato bravo con le parole, e il riuscire a descrivere il marasma di sensazioni che Richard Gansey III gli provocava nel petto sarebbe stata opera ardua anche per un poeta, qualcuno abitato a domare le parole ed i loro significati – qualcuno l’opposto di lui, insomma, che sapeva di non riuscir mai ad esprimersi in maniera adeguata. Che fosse in coreano, cinese o inglese faceva poca differenza.
Il punto di tutto il discorso era comunque che, in quel momento, Henry Cheng era davvero davvero frustato.
Genere: Fluff, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo
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Sono mesi che questa storiella vegeta nel mio pc, è ora di farle prendere un po' d'aria.
Fatemi sapere che ne pensate? Un'opinione sarebbe gradita perché, sapete, #ansia.
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Dicono che ci sono poche più frustranti al mondo del non poter baciare la persona di cui si è innamorati. Quando si è innamorati, si sa, la curva del sorriso dell’amato parla la lingua dei cieli, e le sue labbra sono le porte del paradiso.
O, comunque, qualcosa del genere.
Henry Cheng non era mai stato bravo con le parole, e il riuscire a descrivere il marasma di sensazioni che Richard Gansey III gli provocava nel petto sarebbe stata opera ardua anche per un poeta, qualcuno abitato a domare le parole ed i loro significati – qualcuno l’opposto di lui, insomma, che sapeva di non riuscir mai ad esprimersi in maniera adeguata. Che fosse in coreano, cinese o inglese faceva poca differenza.

Il punto di tutto il discorso era comunque che, in quel momento, Henry Cheng era davvero davvero frustato.

Aveva tentato di baciare Gansey già varie, nelle scorse settimane, e tutte le volte aveva fallito. E non perché Gansey lo rifiutasse – un rifiuto, anzi, sarebbe quasi il benvenuto, perché almeno sarebbe stato un punto fermo in quella loro strana relazione, un limite da non valicare. No, Gansey sembrava piuttosto entusiasta dell’idea. Era il destino stesso che sembrava intenzionato a mettergli i bastoni tra le ruote, interrompendo ogni occasione buona come se non avesse altro da fare che tener d'occhio e interferire nella loro vita romantica.
 

La prima volta, avvenuta ormai quasi un mese prima, era stato ad uno dei toga party organizzati dalla gruppo di Vancouver. Henry si era ormai diplomato, ma aveva ancora alcuni amici che frequentavano l’Accademia Anglionby, ed erano stati loro ad invitarlo.
Blue e Gansey, ovviamente, erano stati inclusi nel pacchetto senza nemmeno l’ombra di un dubbio. E, davvero, perché avrebbe dovuto essere altrimenti? I tre erano appena tornati dal loro primo viaggio on the road, ed erano inseparabili ora più che mai. Non avevano ancora dato un nome al legame che li univa ma tutti e tre sapevano che c’era, e sapevano che era qualcosa di speciale.
Lui e Blue avevano discusso a lungo di come affrontare il discorso, e insieme avevano convenuto che, dato che un gesto vale più di mille parole, Henry doveva baciare Gansey e chiarirgli finalmente i sentimenti che nutriva per lui. (E per Blue. Per loro.) Era probabile che Gansey li desse per scontati, a questo punto, in verità – ma parlando di Gansey non si poteva mai esserne davvero sicuri. Per quello che ne sapevano lui e Blue, Gansey poteva anche credere che lo sguardo innamorato con cui lo guardava fosse nient’altro che amichevole – Henry davvero non se ne sarebbe sorpreso, conoscendo quanto completamente slegato dalla realtà contingente l’altro potesse essere a volte.
Quella sera, comunque, sarebbe stata la sera: avrebbero riso, avrebbero scherzato, lui e Blue avrebbero cercato di dissuadere Gansey dal partire alla ricerca di quel Re precolombiano di cui avevano ascoltato la leggenda in Venezuela, e soprattutto si sarebbero baciati. E se fossero stati proprio fortunati, ad una certa ora della notte sarebbero tornati a casa, a Monmouth, tutti insieme.

Il piano funzionò fino al ‘tu resta da solo con Gansey, io distraggo gli altri’.
Poi Cheng Due sfondò la porta dello studiolo in cui Henry era riuscito a portare Gansey, ridendo per tutto il tempo come un matto e pretendendo anche lui un bacio il momento stesso in cui si accorse cosa stava per accadere nella stanza.
Henry dovette staccarselo di dosso con la forza e quando l’eco della sua risata ubriaca si spense nella stanza, Gansey indossava la sua espressione da affascinante-rampollo-di-buona-famiglia-con-un-brillante-futuro-già-scritto-in-politica.
E come rovina l’atmosfera quell’espressione, niente.
 

La seconda volta fu qualche giorno dopo il famigerato party. Erano in macchina, diretti verso le Stalle.
Gansey guidava, Henry lo osservava di sottecchi, Blue dormicchiava nel sedile posteriore.
Il silenzio era rotto solo dal rumore del motore della Camaro e dal leggero canticchiare di Gansey che, sovrappensiero, nemmeno si rendeva conto di ciò che stava facendo.
Squash one, squash two, formavano le sue labbra, e la mente di Henry ritornò in automatico a due sere prima, a quando era stato a tanto così dal baciare finalmente l’amico e chiarire la sua posizione in quella curiosa relazione a tre che si era formata tra di loro.
Sapeva che Gansey lo voleva quanto lui – o perlomeno lo sperava vivamente- quindi davvero non riusciva a spiegarsi quell’improvvisa ritrosia, il momento in cui era riuscito a liberarsi di Cheng Due.
Era convinto di poter ricominciare da dove erano stati interrotti – e invece l’altro Gansey l’aveva accolto, quello pubblico e…vacuo, e Henry aveva avuto l’impressione di ricevere una doccia gelida sulle spalle.
Non erano più rimasto da soli, quella notte, e ad Henry la cosa quasi non era dispiaciuta.

Perso nei suoi pensieri, non si era accorto di aver ormai raggiunto la loro destinazione.
Al parcheggiare Blue si svegliò, e fu lei a consigliare ad entrambi di rimanere in macchina e parlare della cosa ‘perché, seriamente ragazzi, non so cosa sia successo l’altra sera ma non possiamo continuare così’. E non lo diceva con astio, o stizza, no; Blue era davvero preoccupata per loro: per il suo ragazzo ufficiale e quello non-ufficiale-ma-quasi, che lei amava nello stesso identico modo e che voleva nella sua vita nello stesso identico modo, senza dover scegliere. Li aveva osservati a lungo dallo specchietto retrovisore, Blue, con quei suoi occhioni scuri, prima di uscire dalla macchina e precederli da Ronan e Adam.

Henry e Gansey parlarono, dunque. Henry gli confessò i suoi sentimenti, e Gansey gli rivelò di esserne già a conoscenza. Così come era a conoscenza dei suoi sentimenti per Blue, e dei sentimenti che Blue nutriva per lui. E conosceva con un certo grado di accuratezza anche i sentimenti che lui stesso nutriva per Henry quindi, davvero, l’unico problema che riusciva ad identificare come causa della sua ritrosia era la paura di iniziare qualcosa di troppo grande, qualcosa di troppo… importante.
E se rovino tutto?, aveva chiesto, pensieroso, passandosi il pollice di una mano sul labbro inferiore, nel gesto che Henry aveva imparato significava preoccupazione.

Henry aveva risposto con un sorriso, facendogli notare che aveva appena terminato una ricerca che aveva occupato sette anni della sua vita e che l’aveva portato a viaggiare per il mondo, conoscere un bosco incantato e sconfiggere un demone. Come poteva avere paura di una relazione a tre? Va bene, concedeva che Blue poteva fare un po’ di paura, specialmente la mattina presto prima del caffè, ma insomma, non era mica colpa sua.

Gansey aveva riso, e con quella risata tutta la tensione contenuta nel ristretto spazio dell’abitacolo sembrò svanire. Henry, sicuro di aver finalmente il momento giusto a portata di mano, si sporse verso di lui – e Gansey fece lo stesso, l’ombra di quella risata che ancora incurvava le sue labbra. Arrivarono ad un soffio l’uno dall’altro, il cuore di Henry come un colibrì nell’anticipazione del bacio – poi Opal saltò sul cofano della Camaro, urlando un saluto in quella sua lingua dei sogni, e entrambi mancarono l’infarto per un soffio.


La terza volta fu al cinema. Erano passate tre settimane dal loro ultimo appuntamento e poco meno dalla visita alle Stalle, perché Henry aveva dovuto raggiungere sua madre in Canada per alcuni giorni – e il viaggio che avrebbe dovuto essere di nemmeno una settimana si era poi trasformato in un soggiorno di due settimane e mezzo. Erano restati in contatto tutti i giorni, ovviamente – ma sentirsi via skype, whattsapp e messaggi vocali non era la stessa cosa che vedersi di persona, e ad Henry i due erano mancati tantissimo.
Avevano deciso di festeggiare il suo ritorno con un appuntamento, il più classico degli appuntamenti a voler essere onesti: pizza e cinema.
La pizza era stata molto buona, il gelato che l’aveva seguita anche, e i tre erano arrivati al cinema con il morale alle stelle.
Henry poteva sentirsi nelle ossa che quella sera finalmente avrebbe baciato il suo ragazzo e francamente non stava nella pelle.
Si era distratto, nell’immaginare la scena: la sala buia, la luce dello schermo che li illuminava, là nelle ultime file… si era distratto, sì, proprio mentre Blue sceglieva il film della serata.
Mafia War III: May the Don never die.
Non esattamente un titolo romantico.
Eppure, nonostante tutti, erano riusciti ad avvicinarsi, lui e Gansey, dimentichi per un attimo della sala attorno a loro, della sparatoria in corso sullo schermo, di Blue che ingurgitava popcorn nel posto accanto a loro.
Poi un’autobomba era saltata per aria, aveva ammazzato il cane del protagonista, e la sala era esplosa in un’esplosione di rabbia e sgomento così intensa da far saltare entrambi sulle poltroncine.
E inutile dirlo, ma dopo la morte di un cane nessuno se la sente di baciare nessuno, e Henry aveva dovuto arrendersi all’idea di rimandare. Ancora.
 

La quarta volta fu a Monmouth, solo un paio di giorni prima. Henry aveva abbracciato Gansey, appoggiando la fronte su una spalla dell’altro e allacciando le braccia attorno ai suoi fianchi per riposare così qualche istante. Solo il silenzio dell’ ex-fabbrica li circondava, un silenzio così profondo che Henry avrebbe quasi avuto paura, se fosse stato lì da solo.
Era stanco, Henry, stanchissimo: avevano passato tutta la giornata a trasportare gli scatoloni di Ronan dalla sua camera al salotto, nell’attesa degli uomini del servizio trasloco. Uomini che, tra parentesi, ancora non si erano fatti vedere. Avevano un ritardo di ore.
Quando, nel rialzare il viso, si trovò le labbra chiare di Gansey ad un soffio dalle sue fu solo istintivo chiudere la distanza con un bacio.
Ovviamente, la ditta di traslochi scelse proprio quel momento per suonare al campanello.


La quinta è la volta buona, si disse Henry, osservando il profilo elegante dell’altro ragazzo e sperando che qualsiasi demone ce l’avesse con lui e la sua vita romantica si fosse arreso due giorni prima.

Erano al numero 300 di Fox Way, in camera di Blue. Il materasso molle del letto si era affossato sotto il loro peso e attraverso le pareti fini si poteva sentire Orla impegnata in una seduta psichica qualche stanza più in là. La luce calda del pomeriggio filtrava intorno a loro tramite le persiane accostate, e Henry poteva osservare il pulviscolo nell’aria danzare e volteggiare leggero sopra di loro, cambiando improvvisamente direzione quando un refolo di vento passava attraverso la finestra socchiusa e faceva tintinnare l’acchiappasogni appeso vicino. Blue era uscita da pochi minuti, con la scusa di andare a prendere in cucina qualcosa da sgranocchiare, dopo aver lanciato ai due un’occhiata piena di significato.

Muovetevi, diceva quell’occhiata, che sto aspettando solo voi due per potervi presentare in casa ufficialmente. Henry sospettava che la notizia non avrebbe destato troppo scalpore in casa, ne’ che sarebbe giunta inaspettata, visto che tutte le abitanti si guadagnavano da vivere predicendo il futuro, ma tant’è – non sarebbe di certo stato lui a rovinare i piani a Blue.

Erano stesi entrambi sul letto, in una vicinanza resa confortevole dall’abitudine, e osservavano il soffitto e le pareti della camera riconoscendo in ogni ammennicolo appeso un pezzettino di quell’essere speciale ch’era Blue. Erano tutte e due così profondamente innamorati di quel metro e cinquanta di potenza, originalità e suscettibilità che la cosa era quasi ridicola, se solo Henry si fermava abbastanza per rifletterci sopra.
Nell’attesa che Blue tornasse, comunque, stavano anche parlando del loro futuro: l’estate era finita, un intero anno sabbatico si stendeva davanti a loro, pieno di possibilità… e insomma, qualcosa bisognava programmare, no?

«Io direi Venezuela, di nuovo. O Guatemala, la leggenda non è molto chiara, dice solo ‘la foresta più fitta’, ed io credo-» Era tutti il pomeriggio, ormai, che Gansey rifletteva sulla leggenda di quel Re precolombiano che avevano ascoltato in Venezuela. Ad ogni minuto che passava si scaldava un po’ di più, gli occhi nocciola che brillavano di piani, desideri, voglia di un’altra avventura.
Henry lo osservava, e non poteva credere a quanto bello fosse, e a quanto fortunato fosse lui.

«Dick,» lo interruppe, sottovoce, quando l’altro già stava proponendo l’elicottero di sua sorella come mezzo di trasporto attraverso il continente. Gansey smise di parlare, e lo guardò, tranquillo e curioso. E, dio, in quel momento Henry avrebbe dato via la sua Ape robot per avere pronta una frase ad effetto. Qualcosa di intelligente, e divertente, che non lo facesse sentire così inadatto come effettivamente si sentiva. Ma non era bravo, lui, con le parole: non lo era mai stato e mai lo sarebbe stato, perché come aveva provato a spiegare un volta la sua lingua madre era il pensiero, e il modo più veritiero che aveva per tradurre un pensiero era-

Lo baciò. Perché il modo più veritiero di tradurre un pensiero è il gesto corrispondente, e in quel momento al mondo non c’era nulla che lui volesse fare più che baciare Gansey.
Gansey fu preso per un attimo di sorpresa – poi lo baciò a sua volta. Le sue labbra erano davvero morbide come se le era immaginate, e sapevano di entusiasmo e menta.
Quando si separarono, gli occhi nocciola di Gansey si fissarono nei suoi, un sorriso sereno ed un po’ imbarazzato si disegnò sulle sue labbra, e Henry si scoprì pronto ad andare e tornare dal Venezuela a piedi, per quegli occhi e quel sorriso.

«Finalmente!» esclamò una voce conosciuta, ed entrambi trasecolarono, sorpresi. Blue, con tre vasetti di yogurt alla frutta in mano, li osservava dalla porta, sul viso un’espressione saputa e soddisfatta e incredibilmente felice. «Stavo iniziando a perderci le speranze, sapete?»

   
 
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