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Autore: Sailor Mercury    07/04/2005    3 recensioni
Derisa, incompresa, disprezzata, schernita... "Vedrai che un giorno farai vedere a tutti di che pasta sei fatta, mia piccola Amy". Una lotta tra bene e male per difendere la persona che si ama. Se ci aggiungiamo molta azione e tanta magia, DING, la storia è pronta.
Genere: Azione, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Buooooooooongiorno a tuttiiiii

Goodmorning to everybody! Questa opera l’ho scritta a tempo di record in un paio di giorni, perché mi sentivo molto ispirata. Speriamo che vi piaccia! Un attimo che faccio un rito wudù (gkjikaxkkwkxksk ù-ù—ù) Ecco fatto, adesso vi piacerà di sicuro! Ahahahah. Dai, scherzo, però se vi piace ditemelo mi raccomando! Grazie un bacioneeeeeeeeeeeeeeee!!!! ^______^

 

 

 

 

Parte Prima

 

“Catch me as I fall

Say you’re here and it’s all over now

Speaking to the atmosphere

No one’s here and I fall into my  self

(Evanescense – Whisper)

 

 

Buooooooooongiorno a tuttiiiii!!! Oggi è una stupenda giornata di sole! La temperatura è di circa 22 gradi e come tutte le mattina sarete in compagnia del vostro dj Toooooonyyyyy fino alle ore…” Clic.

Una mano sbucò dalle coperte e, spenta la radio-sveglia, tornò nuovamente sotto il caldo piumino. Qualcuno entrò nella stanza, aprì le persiane e tirò via, con poca delicatezza, le coperte dal letto, scoprendo un corpicino raggomitolato.

“Andiamo Amy, sono già le 7:30! Se continui di questo passo perderai anche l’autobus delle 8:00”. Detto questo uscì, chiudendo la porta dietro di .

Amy aprì gli occhi e, ancora mezza assonnata, si sedette cercando di focalizzare l’ambiente che la circondava. Dopo essersi stropicciata gli occhi ed essersi seduta sul bordo del letto, cercò con lo sguardo le pantofole, le calzò e si diresse verso il grande armadio a muro situato sulla destra. Camminava strusciando le pantofole, essendo troppo debole per scandire bene un passo e quando percorse faticosamente i sei necessari per raggiungere il mobile, lo aprì, facendo cigolare le antiche ante di legno. Cosa avrebbe indossato quel giorno era ancora un mistero e quindi cercò ispirazione dal clima. Aprì la finestra e mise una mano nell’aria: non era fredda anzi si prospettava una giornata alquanto calda per un giorno di novembre. Chiuse la finestra e accostò le tendine rosa a pois gialli. Si diresse nuovamente verso l’armadio e optò per una T-shirt bianca e una salopette di jeans. Uscì dalla stanza e, percorso il corridoio, entrò in bagno: in casa c’era un dolce profumo di frittelle e il tintinnio di stoviglie provenienti dalla cucina erano la prova che la mamma le stesse cucinando un’invitante colazione. Arrivò al bagno e iniziò a lavarsi. Una volta finito si diresse nuovamente verso la sua camera per vestirsi, ma si bloccò prima di riuscire ad aprire la porta. Il grande specchio vicino alla vasca rifletteva la sua immagine, un’immagine che avrebbe preferito non vedere appena alzata, anzi, che avrebbe preferito non guardare mai. Lei era una ragazza decisamente fuori dal comune, era “strana” come dicevano tutti. E la cosa peggiore non era che non piaceva agli altri, ma che non piaceva a se stessa. Ogni cosa in lei era sbagliato, ogni cosa, a partire dai capelli e arrivando fino alla schiena. Aveva i capelli nerissimi e lunghissimi che le ricoprivano la maggior parte del volto, ad eccezione dell’occhio destro che somigliava ad una pallina da tennis. Non poteva neanche farci niente perché le sue “vertigini” non glielo permettevano e, appena tagliava i capelli, nel giro di due giorni ricrescevano esattamente come prima: persino il parrucchiere aveva rinunciato a causa di un esaurimento nervoso. Ma la cosa più strana di tutte, la più insolita e anche la più brutta, erano due orrendi bernoccoli che le uscivano dalla schiena all’altezza delle scapole.

“E’ la crescita, signora,” – diceva il medico – “sua figlia sta crescendo. Faremo solo qualche esercizio, per evitare problemi alla colonna vertebrale” Ma dopo essersi reso conto che dopo 16 anni i bitorzoli erano ancora al loro posto, anche lui seguì l’esempio del parrucchiere. Ma il aspetto fisico non era l’unica cosa che non andava nella sua vita. Lei non si sentiva né sicura né inserita in quel mondo, in quella realtà. La sua esistenza era uggiosa e monotona. Lei la vita non la viveva, ma la sopportava. Tutto ciò che era reale era sbagliato e la sera prima di addormentarsi non le rimaneva altro addormentarsi e sognare l’esistenza di una nuova terra che la sta aspettando

Amy è tardi!!!” – l’urlo della madre dalla cucina la fece tornare in e, pronta per una nuova giornata, scese le scale di faggio. Entrando in cucina, venne investita in pieno dall’odore di frittelle preparate dalla madre. Si sedette a tavola e iniziò a mangiare con gusto la colazione che unse con il miele. Mentre questo scendeva nel suo piatto creando un filamento gelatinoso e viscido, osservava la madre che lavava i piatti. In fondo neanche lei la capiva. L’unico conforto che le dava era prepararle frittelle. Secondo lei, tutti i problemi della figlia erano risolti dalle frittelle. Quante volte aveva provato ad aprirle la sua anima e il suo cuore, a dirle quanto fosse infelice, quanto si sentisse a disagio, ma lei rispondeva sempre:

“So io cosa ti serve! Un bel piatto di frittelle!” – e correva via senza lasciarle il tempo di continuare il discorso. Ma ormai ci era abituata e per questo si teneva tutto dentro da tanto, forse troppo tempo. Terminata la colazione prese lo zaino, baciò la madre e uscì per la porta di servizio. Era fuori! La prima parte di sofferenza quotidiana era finita. Non le piaceva stare in quella casa da quando i suoi avevano divorziato. Ormai erano passati 4 anni, ma la ferita creata non si era ancora rimarginata e tutto sembrava essere successo solo una settimana prima. Mentre pensava, non si accorse che ormai era arrivata fuori scuola. Era situata in un  posto abbastanza isolato, immerso nel verde di un parco. Spostò lo sguardo dai suoi piedi all’alta torre dell’orologio che indicava le 8:25. Era ancora in tempo, anche se avrebbe preferito essere in ritardo, così l’avrebbero messa in punizione e non avrebbe dovuto stare per 5 ore con persone che fanno commenti su di lei. Si diresse verso l’ampia entrata e man mano che si avvicinava all’aula, i suoi passi si facevano sempre più pesanti. Avrebbe voluto scappare via, ma la mente comandava ai piedi di procedere. Era arrivata. Le bastava aprire la porta e sarebbe stata dentro, ma qualcosa le diceva di non farlo, le diceva che se ne sarebbe pentita, ma poi entrò.

“Buongiorno” – disse con un filo di voce. Tutti si voltarono verso di lei e la squadrarono da capo a piedi. Sentì 24 paia di occhi fissarla. Dapprima si bloccò, ma poi si diresse verso il proprio banco vicino alla finestra. Appena diede loro le spalle, 24 bocche iniziarono a parlare e a riderle addosso e nessuno si preoccupò neanche di abbassare la voce così alta da arrivare alla città vicina. Era così importante l’aspetto fisico per essere accettata dagli altri?

“Buongiorno, Amy!”. Amy alzò gli occhi, qualcuno l’aveva salutata…Era un ragazzo davvero carino con i capelli castani e gli occhi verdi e limpidi.

“Ciao Thomas” – rispose. Com’era stata stupida! Coma aveva fatto a dimenticarsi di Tom? Il suo compagno di banco nonché l’unico amico che avesse, l’unico in grado di capirla e che l’ascoltava. Come, come aveva fatto? Forse è vero che quando si vede sempre tutto nero, dopo un po’ non si riesce più a distinguere i colori.

Thomas si sedette accanto a lei e dopo aver fulminato con lo sguardo i suoi compagni le chiese dolcemente:

“E’ tutto a posto?”. Lei cercò di annuire, ma il dolore che aveva dentro era troppo e lui se ne accorse: l’abbracciò e la strinse a sé:

“Non dargli retta, ok? Sono stupidi! Un giorno farai vedere a tutti loro di che pasta sei fatta!”. Tom era sempre così gentile con lei, sempre allegro e pimpante, l’icona della felicità insomma. E quella felicità gliela sapeva trasmettere, era il solo in grado di farlo.  Lei ricambiò il suo abbraccio e lo ringraziò, dandogli un doppio bacio su ogni guancia: era quello il loro segnale per dire “ti voglio bene”. La lezione iniziò pochi minuti dopo e Amy si preparava ad un'altra fase della giornata: l’intervallo. Forse il momento peggiore di tutti. Arrivavano ragazzi da altre aule e con la guida di alcuni, Amy veniva analizzata come si analizza un verme o qualcosa di estremamente ripugnante. Ma per fortuna c’era Tom che la aiutava. Quando veniva maltrattata, il suo carattere dolce diventava protervo e borioso e attaccava tutti con un antologia di discorsi mordaci. Come gli voleva bene! Aveva scelto lei sacrificando la sua popolarità. Doveva fare qualcosa per ringraziarlo, ma cosa?

Il primo trimestre passò in fretta e Amy continuava a stare sotto l’ala protettrice di Tom. Ma un giorno tutto cambiò senza che lei se ne rendesse conto.

 

 

Com’è? Com’è? Com’è? Grazie per la vostra pazienza (con me ce ne vuole tanta!!) ^__^

  
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