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Autore: Blablia87    15/12/2016    5 recensioni
Sherlock non sa pattinare.
John non sa, invece, che chiedere scusa non sempre è la scelta migliore.
Genere: Generale, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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A voi…
 
Una sola parola, logora, ma che brilla come una vecchia moneta: “Grazie!”
(Pablo Neruda)
 
 

 

Apologize 
 


 
«Ricordami ancora…» Sherlock - mani aggrappate al corrimano di metallo e volto arrossato – si girò in direzione di John, fulminandolo con lo sguardo. «Perché siamo venuti qui.»
 
«Per l’ultima volta… Perché la signora Hudson ha minacciato di buttarci fuori casa definitivamente, se non le avessimo permesso di sistemare il casino che hai combinato in cucina.» Rispose lui, alzando gli occhi al cielo.
 
«Ripete costantemente di non essere la nostra domestica…» Sbuffò il detective, il respiro mozzato dall’impatto dello sterno contro la sbarra. «E poi preferisce pulire da sola, invece di farlo fare a noi.» Tossì, rauco, cercando di riprendere l’uso delle gambe.
 
«Noi?» Ripeté John, trattenendo a stento una risata. «L’unica volta che hai provato a pulire da solo i pavimenti siamo riusciti ad avere una perfetta visuale dell’ingresso al piano di sotto!» Gli ricordò, dandosi un piccolo slancio per raggiungerlo.
 
«Se mi avessi lasciato il tempo di perfezionare la soluzione…» Protestò Sherlock, i capelli appiccicati alla fronte per lo sforzo e ogni muscolo in tensione, alzando su l’altro uno sguardo supplichevole.
 
«Una soluzione a base di acido muriatico, Sherlock, non si può “perfezionare”!» Il medico fece passare le braccia sotto quelle del detective, dandogli una leggera spinta verso l’alto.
 
Tremante - i bordi del cappotto ormai umidi ed il nodo della sciarpa quasi del tutto disfatto - Sherlock si sorprese di trovarsi nuovamente dritto sulle gambe.
 
«Non è molto difficile.» Gli sussurrò John contro la schiena, continuando a sorreggerlo. «Metti una mano sul bordo e cerca di trovare un equilibrio.»
 
«Vorrei sapere chi è stato il primo a immaginare che legarsi delle lastre di metallo sotto le suole delle scarpe potesse essere definito “sport”.» Si lamentò l’altro, stringendo nuovamente le dita attorno al bordo della pista. «E vorrei anche sapere come ho fatto a farmi convincere a farlo a mia volta!» Aggiunse mentre John allentava la pressione sul suo corpo, lasciandolo libero di accasciarsi nuovamente contro il ghiaccio nel giro di qualche secondo. «Non potevamo semplicemente camminare?»
 
«Lo abbiamo fatto…» Il medico lo aggirò, spostandosi in modo che riuscissero a guardarsi. «Ma poi hai dovuto per forza dire alla guardia giurata del centro commerciale che non era un vero poliziotto…» John abbassò gli occhi sulle nocche della propria mano sinistra, ancora arrossate. «Per inciso, è la prima e l’ultima volta che mi metto in mezzo tra te e un armadio a sei ante armato di manganello.»
 
«Nessuno te lo ha chiesto.» Sibilò l’altro, scontroso, portando le braccia oltre il corrimano ed assumendo postura e sguardo di un naufrago aggrappato a quanto rimane della propria nave in pezzi.
 
«Vero. Hai ragione.» Rispose John, improvvisamente serio. «Il grande Sherlock Holmes non ha mai bisogno di aiuto, vero?» Aggiunse, iniziando a darsi piccole spinte all’indietro, diretto al centro della pista.
 
«John…?» Lo chiamò il detective quando, pochi secondi dopo, il medico uscì del tutto dal suo campo visivo. «John?» Provò di nuovo, girando il più possibile la testa all’indietro.
 
«E va bene…»  Si diede un colpo di reni e fece perno sul braccio sinistro, riuscendo a girarsi – dopo qualche tentativo – verso l’interno della pista.
 
Lasciò correre lo sguardo tra la folla, cercando di individuare la posizione di John attraverso l’improbabile maglione natalizio - a rombi bianchi e rossi – che aveva insistito per indossare quella mattina, incurante delle sue proteste e del buon gusto in generale.
 
Una manciata di secondi dopo lo individuò dall’altro lato del circuito - mani affondate nelle tasche dei pantaloni e sorriso allegro - intento a conversare con una ragazza che Sherlock valutò essere del tutto in tono con l’abbigliamento scelto dal medico: inadeguata.
 
La schiena premuta contro il metallo del parapetto, il detective si fermò ad analizzare ogni sfumatura della figura che, leggera e veloce, si muoveva con grazia fastidiosa di fianco a John.
 
Aiutandosi con mani, braccia e schiena – il viso paonazzo per lo sforzo ed il senso di fastidio che, inaspettatamente, aveva iniziato a sentire nel petto - raggiunse la posizione eretta, calcolando poi velocemente tempo e traiettoria per arrivare dall’altro quasi certamente (o quanto meno, quasi del tutto) integro.
 
Qualche attimo dopo - preso un respiro profondo - irrigidì le gambe e si diede una spinta con le braccia, pentendosene non appena la sicurezza del corrimano lasciò il posto al vuoto.
 
«John!» Urlò – in un automatismo che, si rese conto solo in quel momento, legava indissolubilmente la sua percezione del pericolo alla ricerca dell’altro - le braccia perpendicolari al corpo e la spiacevole sensazione di star per cadere all’indietro.
 
Il medico - sentendosi chiamare - aggrottò la fronte e guardò in direzione del muretto dove aveva lasciato Sherlock, senza riuscire a vederlo.
 
Solo dopo qualche secondo riuscì a metterlo a fuoco, un’ombra nera e tremante che, del tutto sbilanciata all’indietro, continuava ad avanzare con l’aiuto della forza d’inerzia.
 
«Sherlock, che diav—» Iniziò, dandosi un paio di forti spinte per avvicinarsi velocemente al detective.
 
«Avevi promesso… che… mi… avresti… insegnato!» Lo accusò Sherlock, allungando istintivamente una mano verso di lui con fare accusatorio e finendo con il perdere del tutto l’equilibrio.
 
Il detective si avvertì andare all’indietro e annaspò con le braccia in aria nel tentativo di evitare una caduta che – ne era sicuro – sarebbe stata decisamente dolorosa.
 
«Maledizione!» Sentì dire a John mentre, ormai rassegnato, chiudeva gli occhi attendendo l’impatto.
 
Per un attimo gli parve di essere sospeso nel vuoto.
 
Percependo le dita del medico stringersi con forza attorno al proprio polso il detective riaprì gli occhi, trovando John aggrappato a lui e, a sua volta, piegato all’indietro nel tentativo di fare da contrappeso alla sua caduta.
 
Una frazione di secondo – il tempo di guardarsi negli occhi – e il peso di Sherlock ebbe la meglio, trascinando entrambi a terra.
 
Il dolore al centro della testa dovuto all’impatto contro il suolo ghiacciato scomparve alla stessa velocità con la quale il cervello contenuto al suo internò registrò una pressione inaspettata all’altezza delle labbra.
 
Quando - un paio di respiri strozzati dopo - la sua mente riuscì a mettere a fuoco a cosa fosse dovuta quella sensazione, Sherlock ebbe la certezza che sarebbe morto da lì a poco, per la gioia di tutti i malviventi di Londra e fornendo a Mycroft una facile fonte di ironia per gli anni a venire.
 
Gli occhi ancora chiusi, John si puntellò con le mani sul ghiaccio attorno alla testa del detective e sollevò il petto da quello dell’altro. Poi – con una certa fatica – separò anche la bocca da quella di Sherlock, aprendo le palpebre con timore.
 
Rimasero immobili per un tempo indefinito, le gambe vicine e i respiri a mescolarsi, fissando spaesati i propri volti riflessi l’uno nelle iridi dell’altro.
 
«Credo…» Balbettò John quando, alla fine, le braccia iniziarono a tremare sotto il suo peso. «Credo che adesso dovremmo alzarci.» Propose, le orecchie paonazze.
 
«Giusto.» Convenne Sherlock, rotolando su un fianco per togliersi da sotto l’ombra del medico.
 
«Vieni, ti aiuto.» Propose lui, di nuovo in piedi, allungando una mano verso il detective.
 
«N-no, grazie. Faccio da solo.» Sherlock si mise in ginocchio sulla pista, i palmi al suolo, e tentò di darsi una spinta. «Maledizione…» Imprecò a mezza voce mentre, con un tonfo sordo, ricadeva a terra.
 
«Avanti.» Si impose il medico dopo un altro paio di tentativi andati a vuoto, prendendolo di peso sotto le braccia e aiutandolo a tornare in posizione eretta.
 
«Spostati. Non mi toccare!» Gli intimò il detective, il viso in fiamme ed il fiato corto.
 
«Ti accompagno solo all’uscita della pista, promesso.» Lo rassicurò John, la voce a spegnersi sulla lana del cappotto dell’altro.
 
Con il cuore sul punto di scoppiare nel petto il detective sospirò, lasciandosi andare contro il corpo del medico e permettendo che lo guidasse verso la porticina.
 
Quando furono arrivati, si divincolò dalla presa e attraversò l’apertura senza guardarsi indietro, sparendo con passo impacciato oltre le gradinate.
 

 
  
 


«Per quanto hai intenzione di non rivolgermi parola…?» John lasciò cadere la giacca sul divano con un sospiro. «Ti ho chiesto scusa almeno cento volte!» 
 
Sherlock – il cappotto ancora addosso - si diresse in cucina, ignorandolo.
 
«Non è successo nulla di grave, in fondo.» Provò di nuovo il medico, sperando che ripeterlo ancora cambiasse l’esito che aveva avuto farlo le ultime sessanta volte, nei vari tentativi compiuti senza soluzione di continuità dalla pista di pattinaggio fino a Baker Street (passando per una camminata di dieci minuti lungo il fiume ed una corsa in taxi di venti).
 
 «Per favore, almeno potresti guardarmi in faccia?» Aggiunse, seguendo l’altro in una cucina sorprendentemente lustra. La signora Hudson doveva avere un esercito segreto di addetti alle pulizie, si trovò a pensare.
 
«E tu potresti smettere di essere così ossessivo?» Ribatté il detective, asciutto, aprendo il frigo e osservando con disappunto il vuoto totale che ne abitava i ripiani.
 
«Questa settimana toccava a te fare la spesa… Forse è rimasta un po’ di marmellata nell’ultimo ripiano della credenza.» Cercò di stemperare la tensione John, ottenendo solo che l’altro raggiungesse con un ringhio il corridoio e si dirigesse a passo veloce verso la propria camera.
 
«Ok, adesso basta.» Le mani serrate, il medico seguì Sherlock nella sua stanza, entrando appena un attimo prima che questi riuscisse a chiudere la porta. Con decisione lo afferrò per le braccia, costringendolo a voltarsi verso di lui.
 
Una chiara espressione di sufficienza stampata sul viso, il detective alzò il mento e puntò lo sguardo sopra la testa di John, fissando un punto imprecisato del corridoio senza aprire bocca.
 
«Divertente.» Sbuffò l’altro, dandogli uno strattone e obbligandolo a portare gli occhi al livello dei suoi. «Mi spieghi cosa ti prende? Ho già detto che mi dispiace, che non l’ho fatto apposta e che non mi sembra nulla di così grave.» Soffiò, a pochi centimetri dal viso di Sherlock.
 
«Sai qual è il problema? Che il sociopatico egocentrico sono io, ma quello che non si mette mai nei panni degli altri sei tu!» Sibilò in risposta il detective.
 
John allentò la presa, colto alla sprovvista.
 
«Per te non è successo niente di grave, per te è rincuorante che tu non l’abbia fatto apposta e sempre per te questa è una cosa disdicevole al punto tale da dover chiedere scusa!» Sputò fuori, le parole taglienti al punto da sentire dolore mentre uscivano dalle labbra.
 
«Ma…» Balbettò il medico, liberandolo del tutto. «Ma io pensavo…»
 
«Cosa? Che un bacio accidentale mi avesse sconvolto? Checché ne dica Mycroft, il sesso e le sue appendici non mi sconvolgono a tal punto.» Sherlock si sfilò nervosamente il cappotto, lanciandolo sul letto. «Sai cosa mi da fastidio? Il fatto che tu abbia dato per scontato che ti dovessi scusare. Sei così terrorizzato dall’idea che qualcuno possa anche solo pensare che tu sia…» Iniziò, sentendosi sul punto di scoppiare.
 
«Io pensavo che tu avessi bisogno che mi scusassi, mister “i sentimenti sono inutili”!» Esplose invece John al posto suo, inaspettatamente, portando l’indice della mano destra contro il petto di Sherlock.
 
«Ho chiesto scusa perché tu non volevi neanche che ti aiutassi a rialzarti! E ho continuato a farlo perché sempre tu mi hai messo il muso come un ragazzino non appena ti ho raggiunto negli spogliatoi!» Urlò, sottolineando ogni accusa con una spinta al centro del petto dell’altro.
 
«Oh, certo!» Si trovò a ribattere il detective, allargando le braccia in un gesto teatrale. «Se non avessi temuto per la mia salute mentale sicuramente non ti saresti scusato! Anzi, tra poco arriveremo al punto che mi baceresti anche senz—»
 
L’impatto della schiena contro l’armadio gli spezzò le parole in gola. Incapace di respirare in modo adeguato, il detective riuscì solo ad emettere un breve verso strozzato che lasciò morire – una frazione di secondo dopo – sulla bocca di John, premuta con forza contro la sua.
 
Quando -  dopo più di un minuto - il medico si scostò da lui per permettergli di riprendere fiato, Sherlock lo guardò con occhi lucidi e viso congestionato.
 
«Non… è… divertente.» Riuscì a esalare, in debito di ossigeno.
 
«Sai cosa lo è?» Chiese John, le guance arrossate e le labbra gonfie. «Che il genio che risolve ogni crimine con l’osservazione, l’arguzia e le giuste domande non ha mai applicato la stessa logica dentro casa sua.» Disse, facendo il verso al tono usato poco prima dall’altro per accusarlo di poca empatia.
 
«Ora…» Riprese, mentre un sorriso incerto si faceva largo sul suo viso. «Devo chiedere scusa, per questo?» Domandò, nelle orecchie il rimbombo del proprio cuore.
 
«Dipende… Ti dispiace averlo fatto?» Sussurrò Sherlock, esitante.
 
«Neanche un po’.» Ribatté l’altro, veloce, la voce roca ma sicura. «E a te? Dispiace?»
 
 
 
«No. Mai.» Rispose semplicemente il detective, sillabandolo a fior di labbra sulla bocca di John.
 
 
 
 
 
 
Angolo dell’autrice:
 
Che questo non sia il mio genere (io, donna dell’angst sempre e comunque! XD) credo traspaia abbastanza chiaramente, vi chiedo scusa! XD
 
Diciamo che questa piccolissima cosa avrebbe l’ardire di voler essere (o meglio, di provare ad essere) la mia “storia di Natale”: volutamente priva di una collocazione temporale precisa e senza tutti quei problemi che, lo sappiamo, ci sommergeranno come un fiume in piena a partire dal primo gennaio. ^_^’’
 
Spero di non aver fatto un disastro completo. XD
 
 
 
La dedica iniziale invece, come avrete capito, è per voi.
 
Per chiunque abbia letto fin qui, per chi mi accompagna in ogni viaggio fin dall’inizio, per chi è stato, o è, solo di passaggio.
 
Per chi - con le sue parole e le sue attenzioni - ha trasformato, e continua a trasformare, la mia esperienza su questo sito in “qualcosa di più”.
 
Insomma, grazie di cuore per questo 2016 insieme.
 
 
 
A presto,
B.
 
 
 
 
 
 
P.S.: vi lascio con un’immagine della seconda “avventura sul ghiaccio” di John e Sherlock dopo quella descritta in questa storia! XD
 
 
 
   
 
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