Fanfic su artisti musicali > Tokio Hotel
Segui la storia  |       
Autore: LeAmantiDiBillKaulitz    16/12/2016    0 recensioni
Prendete Chelsea e Alexandria, due migliori amiche particolarmente male assortite: una, rumorosa, casinista, molto oca e morbosamente ossessionata dal cinema, l'altra acida, nervosa, arrabbiata e decisamente pronta a picchiare tutti. Poi aggiungete Bill, antipatico, isterico, viziato ma terribilmente sexy. Mescolate con un'intervista ai Tokio Hotel per il giornalino universitario, con un Tom molto scemo, un Georg molto martire e un Gustav molto affamato. Il piatto è pronto: tra gaffes, incomprensioni, tacchi alti, litigi e romanticismo-fai-da-te, riusciranno le due ragazze a conquistare l'algido cuore del cantante?
Genere: Comico, Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, FemSlash | Personaggi: Bill Kaulitz, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Threesome, Triangolo
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Seduti attorno a questo tavolo circolare, nel bel mezzo della sala schifosamente lucida e brillante di questo odioso ristorante; sembriamo i cavalieri della Tavola Rotonda. Con la differenza che metà di noi sono scappati (probabilmente terrorizzati da Morticia Addams, che si è giusto piazzato davanti a me, all’altro capo del tavolo. Ha tutta l’aria di voler sostenere una gara di occhiatacce, e personalmente sono felice di partecipare), oppure si sono consegnati al nemico pur di scampare alla pesantissima atmosfera fatta di imbarazzo, tensione, diffidenza e odio puro fusi insieme alla luce dorata di questo schifoso lampadario di diamantini che ci penzola sopra; stagnante nella circonferenza di questo tavolo come la crema di formaggio sulla base di biscotti di un cheesecake.
Chess e il vichingo stanno cicalando qualcosa a proposito di un western che c’entra con le clementine diretto da un certo John qualcosa; Georg se ne sta impalato sulla sua sedia, dritto come un fuso manco gli avessero impiantato un manico di scopa in quel posto; mentre Garolf si sta odiosamente sgranocchiando tutti i grissini, incurante degli sguardi assassini che gli sto lanciando per intimargli di smetterla. Non solo perché fa il rumore più odioso del mondo, ma anche perché preferirei che me ne lasciasse qualcuno, prima che qualcuno di questi lumaconi imbalsamati e imbrillantinati che dovrebbero essere i camerieri, ben ingessati nei loro frac senza un granello di polvere si decida ad avvicinarsi al nostro tavolo bollente.
A proposito di camerieri. Si vede chiaramente che nessuno ha voglia di passare dalle nostre parti, ma vedo quello che probabilmente dovrebbe essere il caposala confabulare (anzi, più che altro minacciare, viste le espressioni di supplica e puro terrore che si dipingono sul viso dell’altro) con un giovinetto paonazzo e nervoso.
Spero che non si accorga che li sto fissando, altrimenti svenirà sui piedi del suo capo. Poverino, mi fa quasi pena.
 
No, un attimo.
Pena?
Un fottuto cameriere imbrillantinato che mi fa pena?
Io che non ho mai provato pena nemmeno per i gatti spalmati sulla strada, per i bambini che piangevano appesi alla gonna della mamma al parco, per Chess che mi si appendeva addosso piangendo quando qualcuno dei suoi attori o registi finiva all’altro mondo e che mi implorava di guardare tutti i film del suddetto malcapitato assieme a lei sul divano mangiando marshmallows  al gusto di kiwi e cedrata (frignando per tutta la durata della pellicola come un coccodrillo dopo una delusione d’amore, e usando le mie splendide magliette con i personaggi di Death Note come fazzoletti), sto provando pena per un fottuto cameriere.
Avevo capito che l’incontro con la signora Addams mi aveva ribaltato il cervello. Ma non avrei mai pensato di perdere completamente le staffe, di rovesciare sottosopra i miei principi di sergente senza cuore che miete vittime sotto i cingoli del proprio carro armato travestito da Converse alte e quadrettate. Una minuscola vocina nella mia testa mi urla di ribellarmi, di alzarmi seduta stante da questa sedia elegante ma dura come il marmo, di strapparmi di dosso questi odiosi e pruriginosi guanti di pizzo e scappare verso il bar sudicio e semibuio più vicino, e di ordinare ringhiando al barista la bottiglia di Jack Daniel’s più vecchia che ha, perché così ho sempre fatto e così sempre continuerò a fare, fatine mortuarie o meno.
Seh, ti piacerebbe, Alexandria.
E invece no, perché la padronanza che quelle due spirali scure che sento incollate a me in questo preciso momento è ferrea e stretta e non mi permette di muovere un dito, ancorata a questa maledetta sedia che diventerà la mia prigione e poi la mia tomba se qualcuno non interviene a spezzare questo silenzio.
-S-scusate … posso esservi u-utile?
Tutti ci giriamo di scatto verso la vocina flebile che ci ha rivolto la domanda. Mi sorprendo ad essere sollevata dal fatto che non sia il giovinetto nervoso che ho visto prima, ma una ragazzina che avrà la nostra età,  che però sembra ancora più piccola in quella divisa da domestica in una casa borghese, il blocchetto rifinito di cuoio nella piccola mano tremante.
-SI’- se ne esce Winnie The Pooh, alzandosi di scatto dalla sua postazione, ribaltando tutti i grissini.
-Vorremmo vedere il menù- interviene gentilmente Tom.
-Oh! … uh, sì, cioè, subito.
La cameriera tira fuori sei libretti rilegati in pelle con i bordini dorati e un’etichetta argentata recante il nome del ristorante, in una bella grafia svolazzante, e li distribuisce fra di noi, sempre mantenendo il suo tremore da foglia autunnale.
-Torno fra qualche minuto, così … così potete sce-scegliere.
Bill fa un cenno con la testa, mentre sfoglia le pagine del menù con le sue dita lunghe e inanellate.
Gustav non si preoccupa nemmeno di aprire alla prima pagina, anzi continua a sgranocchiare grissini. Chess confabula con Tom se sia il caso di prendere le lasagne di cervo adulto aromatizzate al gelsomino o l’agnello alla brace con salsa di prezzemolo e malva. Georg ha l’espressione di uno che non capisce un corno di quello che c’è scritto e vorrebbe solo una pasta al ragù. Io, personalmente, sto girando le pagine a caso, mentre fisso Morticia di sottecchi, aspettando non so nemmeno cosa da quel visino pallido come la Morte e bello come la speranza di un Paradiso dopo di essa.
Oddio, sto proprio dando i numeri.
Dopo pochi minuti, sempre puntuale e sempre tremante, torna la cameriera.
-A-allora ... avete deciso?- chiede spaurita, tirandosi su gli occhialetti rotondi sul naso a punta.
-Cos’è il caviale?- viene fuori Chelsea, con la sua migliore espressione da topo dubbioso.
-Cosa significa ‘marinato al limone e spezie indiane’?- la segue a ruota Tom.
-Ehm … li fate gli spaghetti?-interviene timido Georg.
-Io prendo tutto, grazie- ordina Garolf, sorridendo placido.
Nel frattempo la poveretta si affanna a rispondere a tutte le domande e annotare le ordinazioni.
Io e Bill siamo gli unici che non hanno ancora aperto bocca. Lui sta ancora sfogliando il menù. Io sto ancora fissando i suoi occhi nascosti sotto le palpebre incatramate.
-I signori hanno deciso?
Entrambi ci voltiamo verso la cameriera.
-Ti sembro un “signore”?- gracchia Bill, per poi sospirare spazientito. –Prendo i ravioli integrali in salsa di barbabietole australiane. Li voglio senza burro, senza scaglie di formaggio, aromatizzati al tarassaco e soprattutto che non siano più di tre! Se trovo qualche difetto sarai tu a pagarne le conseguenze, mozzarellina. Capito?!
Io e Chess ci guardiamo allarmate. I nostri occhi dicono solo una cosa:
“Che grande stronzo!”
-E … lei?
-Uh? … ah. Ehmm … io … prendo … - sfoglio le pagine a caso, nella sezione dei primi. –La crema di patate dolci al rafano aromatizzata al tabasco- sparo a caso.
Tutta la tavolata mi fissa con gli occhi fuori dalle orbite, cameriera compresa; a parte Garolf che si limita ad allargare il sorriso compiaciuto.
-O…ok. Arrivano subito.
Ho come la sensazione che l’”arrivano subito” non fosse solo un convenevole, ma che quei piatti arriveranno sul serio “subito”. Pur di mandarci fuori di qui …
-Allora…- tenta di iniziare una conversazione il bassista. Georg.
-Allora cosa?- torna fuori Chess con la sua faccia da topo dubbioso.
-Beh, non saprei …
-Questo posto è … interessante- fa Winnie con il naso per aria a scrutare i lampadari penzolanti.
-Già … -mormora Tom fissando il davanzale ad una ragazza in abito rosso seduta su un tavolo di fronte al nostro.
-Vi garantisco che se non fosse per voi non sarei mai entrata in un posto del genere. Cioè, Alex vi assicurerà che è un po’ fuori dai nostri standard- ma la mia sottospecie di amica guardando entusiasta dalla mia parte.
Sto per chiederle se sta cercando di rendere ancora più palese la nostra inferiorità sociale, quando Morticia se ne esce con un urlo da diva nervosa:
-Possiamo intrattenere una conversazione seria?- inizialmente tutti lo fissiamo spaventati. -Capisco che con queste due … persone- non è stato bravo a mascherare l’orrore nel pronunciare la parola ‘persone’. Un punto in meno per te, tesoro. -che abbiamo invitato- calca sulle ultime due parole, volgendo uno sguardo di fuoco al fratello. –è piuttosto difficile, ma vi prego! Se dovete parlare per riempire l’aria fatene a meno. Non sopporto chi perde tempo. E chiacchiere. Evitate di sprecare il fiato- sillaba nervosamente.
Credo che questo sia il discorso più lungo che gli abbiamo sentito fare da quando l’abbiamo conosciuto.
-E sentiamo, cosa intenderebbe sua signoria per “discorso serio”?- eh, no, adesso parlo io.
-Sentite quella che non ha spiccicato parola per tutta la sera.
-Ci siamo appena seduti, e ti ricordo che mi hai dato del pappagallo incatramato solo pochi minuti fa!
-Ho solo fatto un’oggettiva descrizione del tuo aspetto.
-Ah, perché tu non sembri il cadavere di qualche antenata della famiglia Addams riportato in vita con un elettroshock troppo violento!...
Il cadavere scatta in piedi. –COME HAI DETTO, BRUTTA MEGERA PROVA A RIPETERLO SE NE HAI IL CORAGGIO!! … - strilla diventando color fragola matura.
-Ho detto che sembri un cadavere risvegliato con un brutto elettroshock, mi hai sentito- ribatto, alzandomi a mia volta.
-Ascoltami bene, brutta troia depressa e asociale che non sei altro; se sei venuta per provocarmi sappi che non esiterò a farti andare a casa con una grande voglia di buttarti giù dalla finestra del tuo sporco appartamento da allevatrice di ratti con la cresta verde, da quante te ne dirò stasera …
-No tesoro, credo che tu ti sia sbagliato, qui la puttana emo e asociale sei tu.
-Ragazzi, vi prego, siamo al centro dell’attenzione-  sussurra un terrorizzato Georg, avvicinandosi a noi, che senza accorgercene siamo praticamente saliti sul tavolo e ci stiamo soffiando come due gatte con il mestro a pochi centimetri di distanza.
-Alex, credo che tu abbia un urgente bisogno di metterti a posto il trucco … vero?- fa Chess, rivolgendomi un’occhiata da ‘vieni subito con me che dobbiamo parlare, questo non è per niente il modo di fare colpo su di lui’.
-Mhg. Seh- mugugno scendendo dal tavolo e seguendo la mia amica verso la toilette.
-Hai già capito, vero?- domanda ironica, una volta che siamo davanti allo specchio, allungandomi una matita nera dalla sua borsa di paillettes dorate.
-Seh, seh, ho capito. Non devo dare aria ai miei istinti misantropici quando sono al centro di una sala di un ristorante chic- recito come una filastrocca imparata alle elementari.
-No, non è quello il problema- mi interrompe Chess, facendomi mandare a puttane la splendida riga nera ce stavo stendendo sulla palpebra inferiore. –Il fatto è che non puoi sperare di farti voler bene se gli dici che sembra la reincarnazione di una defunta Addams.
-Non è questo che ho detto. Ho detto che sembra un cadavere risvegliato con l’elettroshock.
-Ok, ok- sbuffa lei. –Abbiamo capito cosa intendevi. Adesso però comportati bene, mi raccomando, perché non voglio che questa sia una serata infruttuosa. Capito?- dice, prendendomi per le spalle e guardandomi con la faccia da mamma premurosa che fa le raccomandazioni al suo bambino prima della partenza per il campeggio dei giovani lupetti scout.
-Capito- borbotto io, con la faccia del bambino che non vuole che la mamma gli dia fastidio quando è in mezzo ai suoi amici lupetti scout.
-Bene allora- trilla allegra, spalancando la porta del bagno. Il suo sorriso si spegne quando troviamo Morticia in piedi fuori dalla soglia, con una faccia da funerale.
-Sono venuto a chiedere Scusa- mormora annoiato, calcando la parola ‘scusa’. –Sono stato un po’ acido nei tuoi confronti … scusa, com’è che ti chiami?
-Alexandria. Mi chiamo Alexandria- mormoro io, lapidaria. –E accetto gentilmente le tue scuse- recito dal copione mentale che mi sta inviando Chess in questo momento. Dio, come siamo macabre, eh? … ma fra di noi funziona così. È un sistema di comunicazione oculare che non sappiamo nemmeno come abbiamo inventato, esiste semplicemente. Da quando ne abbiamo memoria.
-Bene, quindi basta rancori?- continua annoiato, porgendomi la manina bianca e ingioiellata. Ho come l’impressione che sia più per sbattermi in faccia la sua manicure perfetta che come segno di pace.
-Mh. Pace- faccio io, imitando il suo tono di voce e dando una stretta vigorosa alla mano scheletrica, accompagnata dal miglior sorriso da schiaffi che potrei esibire.
-Allora possiamo tornare tutti al tavolo- strilla Chess, mettendosi fra di noi e mettendoci le mani sulle spalle, scortandoci poi come due galeotti alla Tavola Rotonda. Anzi, più che come galeotti, come due puma con l’acidità di stomaco che hanno ingoiato due poli positivi di due calamite.
-Oh, giusto in tempo per mangiare- annuncia allegro Garolf, sfregandosi le mani di fronte al suo piatto di … tutto.
-Vi stavamo aspettando … sono stati veloci, eh?- dice timoroso Tom, spostando la sedia al fratello, per farlo accomodare.
-Già … pur di averci fuori di qui al più presto- sussurro con un sorriso melenso, mentre affondo il cucchiaio nella mia crema al rafano. Devo ringraziare gli anni passati nella cantina della zia Arhilde, a spellare le famose radici piccanti per farci tutte le sue creme e salse stranissime, se adesso non sto lacrimando come una fontana. O meglio, come sta facendo Georg che si è seduto sul posto vicino al mio.
-Mh … sono piuttosto amico dello chef- ribatte mieloso Bill portandosi un tortellino alla bocca.
-Dovremo aggiungere il prefisso scopa-, immagino- faccio io, assaggiando la sbobba senza staccargli gli occhi di dosso. Lui ricambia lo sguardo, perplesso e un po’ preoccupato. Non dice niente. Aspetta che vada avanti. –Era solo un’innocente supposizione- continuo civettuola, sbattendo le ciglia mentre mando giù un’abbondante cucchiaiata di zuppa sotto gli occhi increduli di Georg.
-Beh … diciamo che eravamo intimi- taglia corto Bill, con un’espressione un po’ meno mielosa di prima.
-Questa roba fa schifo- interviene Chess, guardando male il suo piatto di spaghetti al caviale.
-E’ caviale, tesoro. Sono uova di storione. Sono molto pregiate e costose, e non è detto che tutti le apprezzino- spiega il cantante, rivolgendosi a lei. È chiaro che con ‘non è detto che tutti le apprezzino’ intende dire ‘non è roba per i vostri palati pagani abituati a cibo spazzatura colante d’olio scadente’.
-Oh- fa Chelsea, imperturbabile. –Beh, grazie della spiegazione.
Annuisce, poi rovescia tutto nel piatto di Tom, che sembra felice del regalo. Ho sentito un tonfo, credo che la cameriera che ci era stata affidata per stare attenta alle nostre esigenze –ovvero a stare impalata vicino al tavolo a controllare che ci comportassimo bene- sia svenuta.
Morticia sorride: assottiglia gli occhi e allarga la bocca facendo scintillare i denti freschi di sbiancatura sotto la luce di questo benedetto lampadario. Ci manca poco che Chess non caschi a faccia in giù nel piatto. Vuoto, tra l’altro.
-La signorina … desidera … che le porti qualcos’altro?- biascica la cameriera, dopo essersi ripresa dallo shock e avvicinata alla mia amica travestita da meretrice di basso livello.
-Uhm … direi … boh, non so. Quello che sta mangiando lui- indica il piatto di Georg, impegnato nella degustazione del suo piatto di spaghetti a qualche frutto di mare, che strabuzza gli occhi nel sentirsi nominare.
-Tranquillo Ge, puoi continuare a mangiare conchiglie- lo rassicura Tom.
-Non fono fonfiglie- protesta il bassista continuando a ingozzarsi. –E fomunfue io folefo folo una pafta al ragù.
-Allora la prossima volta porteremo un vasetto di ragù al cuoco e gli chiederemo di prepararla solo per te … Bill ci può fare da intermediario, giusto?- propone Chess guardando il cantante con gli occhi brillanti.
Lui fa un cenno d’assenso accompagnato da una risatina che non ha nulla di divertito, poi torna a sbocconcellare un tortellino borbottando frasi poco spiacevoli dirette a ‘qualche ragazza infiltratasi a cena’.
Nel frattempo la cameriera è già praticamente tornata (ora voglio sapere cosa hanno venduto al diavolo per far sì di essere così veloci a sfornare i piatti. Insomma, io ci metto il mio buon quarto d’ora a mettere in tavola una pasta fatta per bene, mentre questi in trenta secondi hanno già servito a Garolf il suo piatto di ‘Tutto’. Questo ristorante mi sta sempre di più sullo stomaco), e ha depositato gli spaghetti sotto il naso di Chess, che se ne torna allegramente a mangiare mentre confabula con Tom su una qualche probabile seconda produzione del western con le clementine di prima.
Le lancio qualche occhiata, circa una decina di sguardi prima che si accorga che la sto fissando.
“Ricorda per cosa siamo qui” le dico saettando con gli occhi da lei al cantante al chitarrista.
Lei spalanca gli occhi in un’espressione di assenso, e la vedo rimuginare su qualcosa di intelligente da dire.
-Scusa, Bill- salta su dopo un po’, con il solito tono di voce da far sobbalzare sulla sedia mezzo ristorante. Siete a un metro di distanza, tesoro, non servirebbe che urlassi.
-Sììì?- fa lui mieloso, alzando nervosamente gli occhi dai suoi splendidi tortellini.
-Ma chi ti aiuta a truccarti? Cioè … hai sempre un make-up così perfetto … scommetto che con le tue truccatrici ci lavori ore, prima di uscire! Insomma, io non sarei capace nemmeno di fare una riga giusta, senza sporcare tutta la stanza di matita- trilla allegra. Con la stessa allegria di una miccia che scintilla mentre la fiammella si avvicina alla bomba.
Tom e Georg si scambiano uno sguardo allarmato, mentre Morticia tenta di mantenere il suo sorriso entusiasta sotto gli evidenti strati di nervosismo che gli cadono addosso ogni secondo di più.
-D … di solito m … mi arr… arrangio- balbetta, in preda alla rabbia interiore più distruttiva e incontenibile. Sono sicura che se non fossimo in un ristorante pieno di gente pronta a rovinare la sua splendida immagine sui media ci salterebbe addosso e ci strangolerebbe senza pietà, per poi usare i nostri resti esanimi come paralumi da appendere nella sua stanza degli incantesimi; e userebbe i nostri capelli per fare qualche pozione magica mortale. Immaginate, “una manciata di capelli di persona stupida, odiosa, irritante e soprattutto morta. Aggiungere poi una zampa di armadillo e due scaglie di drago cinese. Mescolare a lungo a fuoco basso”. Non suona molto stregonesco?
-S…sì, Bill fa tutto da solo- interviene Tom. –Dai vestiti, ai capelli, al trucco alla manicure. Non si fida di stilisti e truccatori, dice che non sanno interpretare al meglio la sua immagine.
-Ooh- fa Chess stupita, fissando Bill meravigliata; che a sua volta risponde, mantenendo il tono nervoso nascosto da strati di gentilezza:
-Eh, già … sai com’è, non mi piace che gli altri mi mettano le mani addosso- perché ho come l’impressione che alluda a quando la mia intelligentissima coinquilina gli è piovuta addosso come un sacco di patate a casa nostra? …
-Capiiiiisco. Quindi sei uno molto indipendente- cinguetta lei, e a questo punto non so più se stia facendo per finta o se sia veramente rincoglionita a tale livello. Spero nella prima, perché altrimenti la sbatto a dormire con il gatto.
-Hai capito tutto, cara- fa lusinghiero Bill. –Odio essere contrastato.
L’ultima frase suona molto come un avvertimento nei miei confronti. Beh, mi piace raccogliere le sfide.
-Quindi immagino che per quanto riguarda la zona ‘Tokio Hotel’, con i manager e tutto … insomma, comandi tu e non si discute- intervengo. Meglio iniziare coni complimenti.
Georg scuote la testa, la bocca piena di spaghetti. –Eh no, fon Bill non fi difcute. Fe lui defide che una cofa non fa bene, fi cambia cofione. Altrifemti rifchia di distruggere l’autoftima di David, a fuon di urli e infulti.
-Oh, non immaginavamo questo tuo lato … tirannico- dico io, ruotando lo sguardo sul diretto interessato, che sembra totalmente indifferente a tutte le brutte cose che sono state dette di lui. Boh, forse perché è pura verità e lui ne va fiero. Ci scommetterei la testa e la chitarra, su questo.
-Posso essere molte cose che tu non immagini- mormora enigmatico, talmente piano che glielo devo leggere dalle labbra, lanciandomi un’occhiata scura da sotto i ciuffi neri. Scura, per riassumere in un solo aggettivo l’insieme di meteore cadenti, fiamme ardenti, spirali concentriche color cioccolato fuse a nubi color verde foresta, coperte da un velo di polvere di stelle e lacrime di angeli, sprofondanti verso un unico centro nero e senza fondo e senza ritorno, che è la massima concentrazione di quei suoi occhi infiniti e magnetici … a dir poco, che ti riducono a precipitare in uno stato di adorazione comatosa pressoché perenne, fino a che sei sotto il suo giogo.
Non so come dovrebbe suonarmi questa frase. Se intimidatoria, provocante o diffidente; ma la cosa sicura è che è comunque tremendamente affascinante. Ma non affascinante come una bella californiana bionda con il culo di silicone e le labbra rosa acceso; affascinante come un codice segreto che custodisce incantesimi che per nulla al mondo dovrebbero essere scoperti. Affascinante come i visi sfigurati dalle emozioni e allo stesso tempo immobili delle millenarie statue greche; come il sorriso indecifrabile della Gioconda; come le storie nere e fosche di omicidi irrisolti nell’Ottocento; come gli spuntoni anneriti dal sangue di una macchina per tortura medievale. Avvicinati, ti dicono gli spuntoni. Avvicinati e premi la mano su di noi, finché sanguina, finché non ci vedi trapassarti da una parte all’altra, finché non senti stringerti la morsa della morte e non puoi più scappare. Avvicinati, soldato, resta fermo a guardare il tuo compagno delirante a terra, straziato dai proiettili nemici; resta fermo con gli occhi sbarrati e la bocca aperta, con il fucile scarico che penzola da una spalla, e più nessuna facoltà mentale che non sia utile per continuare a guardare la morte che agisce lentamente su un povero corpo. Non reagire al pericolo. Non schivare la pallottola che fischia verso di te, anzi guardala avvicinarsi come in una slow-motion, e spreca il tuo ultimo attimo a cercare di comprendere il dolore del piccolo involucro di metallo che di colpisce e ti attraversa, trascinando con sé il tuo sangue e le tue speranze, la tua ragione e la tua vita perse in quell’ultimo minuto in cui hai ceduto alla tentazione e ti sei lasciato affascinare, contro la tua volontà.
Ma tu non sei un soldato giovane e stupido, Alexandria. Non appoggi la mano sugli spuntoni, per vedere quanto faceva male essere stretti nella loro morsa. Non rimani ore a fissare il viso della ninfa Dafne che grida mentre Apollo la cattura. Ma ti perdi negli occhi di una dea della non-ragione, dell’oblio e del caos scesa in Terra a catturare e fagocitare inutili e sporche anime come la tua, che si lasciano pescare nella finta speranza di una vita migliore che non ci sarà mai, se ti lasci prendere. Ma perché, allora?
-Alex … Alex, ci sei?
Sposto lo sguardo di scatto. C’è Chelsea vicino a me, che mi agita una mano di fronte alla faccia per vedere se sono ancora sulla terra.
-Che porca mucca vuoi?- ringhio, una volta scesa dalle nuvole.
-Noi abbiamo finito di mangiare. Fuori fanno i fuochi d’artificio, vieni a vedere?
-I … fuochi d’artificio? E perché, scusa?
-Boh, che ne so, ci sarà qualche santo particolare. Allora, vieni?- insiste, sorridendo.
Io giro lo sguardo verso Bill, che si sta stirando i leggins in pelle neri, di qualche misura in meno anche per le sue gambe lunghe e scheletriche. Però, bisogna dire che il confronto con il cadavere ci stava, penso mentre lo guardo rassettarsi i capelli di fronte ad uno specchietto d’argento. Un bellissimo, bianchissimo e androgino cadavere. Un corpo che un qualche diavolo sotto i nostri piedi ha voluto riportare alla vita dopo un’ingiusta e prematura morte, per ricorrere ai suoi loschi scopi; per abbindolare anime da portare nel suo regno, a soffrire in uno dei gironi dell’Inferno. D’altronde, chi non si lascerebbe trascinare anche attraverso gli Inferi, se solo a farlo fosse quella splendida, candida e leggiadra mano? Il tuo piano ha funzionato, Lucifero, hai scelto bene il tuo cadavere. Se è veramente questo lo scopo per cui questo giovane dal viso angelico è stato da te scelto e risvegliato, allora stai sicuro, parola di un’eterna dannata, che il tuo demone svolgerà bene il suo lavoro.
-Uhm … sì, arrivo- biascico pensierosa, distogliendo lo sguardo da Bill. Ci avrei giurato che in quel millisecondo in cui i miei occhi schizzavano via da lui, i suoi si voltavano lentamente verso di me.

Wei people. Qui è callingonsatellites! E dai, su, ditelo che questa storia vi piace. Eeeeh. Eeeeehhh, dai ditelo. ;)) ok, basta importunare le gentili lettrici e i gentili lettori. Lasciate qualche bella recensione! (o vi mando Bill inviperito a casa MUAHAHAHAA *questa minaccia non ha impaurito nessuno*)  Aiutereste due povere fan arrapate.
Baci gentaglia!        Le Due ^^
   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > Tokio Hotel / Vai alla pagina dell'autore: LeAmantiDiBillKaulitz