“I was looking for
some action
But all I found was
cigarettes and alcohol”
Oasis
Novembre 1998
Il
bicchiere era di nuovo vuoto.
Con un automatismo, George mosse la bacchetta per sollevare la
bottiglia di
Whiskey Incendiario e riempirlo nuovamente, ma si accorse che anche
quella era
vuota. Contemplò l’ipotesi di andare a letto, ma
allontanò in fretta il
pensiero. Non aveva ancora bevuto abbastanza. Se si fosse infilato
sotto le
coperte in quel momento, i suoi demoni l’avrebbero
perseguitato per tutta la notte.
Si accese una sigaretta con un colpo di bacchetta, e aspirò
avidamente. L’odore
ormai familiare del fumo gli provocava una piacevole sensazione, ma non
gli
consentiva di fuggire dalla realtà come l’alcol.
Il Whiskey Incendiario era
l’unica cosa che gli permetteva di addormentarsi tutte le
notti, e poco
importava se al mattino aveva sempre mal di testa.
Si
guardò intorno, in cerca di
qualcosa che potesse sostituirsi al Whiskey. L’occhio gli
cadde sul disordine
che regnava nel suo appartamento. Il divano era coperto da pile di
vestiti
sporchi, mentre sul pavimento c’erano molti scatoloni pieni
di oggetti gettati
alla rinfusa. Per terra c’era anche qualche vetro rotto,
ricordo del giorno in
cui aveva scagliato con violenza alcune cornici negli scatoloni. Il
tavolo era
apparecchiato da mesi, ormai. Lui si limitava semplicemente a spostare
i piatti
sporchi, e talvolta faceva sparire le briciole. Su alcuni scaffali
erano
appoggiate le sue scorte di cibo, soprattutto biscotti e cibi pronti.
Non si
poteva permettere molto altro, dal momento che si manteneva con quello
che
rimaneva dei guadagni del negozio Tiri Vispi Weasley, che adesso era
stato
chiuso. Non c’erano più alcolici sullo scaffale
sopra ai fornelli, e il
sacchetto della spazzatura era pieno di bottiglie vuote che aveva
dimenticato
di far Evanescere. C’erano alcuni dolcetti che aveva comprato
da Florian
Fortebraccio qualche giorno prima, ma non gli andava di mangiare
perché sapeva
che lo avrebbe aiutato a smaltire la sbornia. Doveva procurarsi
dell’altro
alcol, o quella notte il suo fantasma personale, la consapevolezza,
sarebbe
tornato a visitarlo.
Appellò
a sé il cappotto, lo
indossò e uscì nella fredda Diagon Alley
novembrina. Il gelo lo colpì in viso,
ma nulla poteva farlo desistere dal suo intento e rientrare in casa. Il
Paiolo
Magico non era troppo distante, lì avrebbe trovato
ciò che cercava.
Quando
arrivò, il locale era
quasi deserto. Tom, il proprietario, lo riconobbe con
facilità. Negli ultimi
mesi, pensò ironicamente George, il barista era stato
l’unica persona con cui avesse
intrattenuto un rapporto che potesse dirsi umano. Un Weasley che rimane
solo,
quasi un paradosso. Chissà come era stato per Percy, qualche
anno prima. Lui,
sicuramente, aveva trovato un modo composto e ordinato per gestire la
solitudine. Faceva parte della natura di suo fratello, la tendenza ad
affrontare i problemi con pragmatismo e organizzazione. Non della sua.
Lui
aveva sempre avuto uno ed un solo modo per affrontare le
difficoltà della vita.
Dopo
aver ordinato un bicchiere
di Firewhiskey, George si appoggiò al bancone e
cominciò a guardarsi intorno.
Non c’era molta gente al Paiolo Magico, quella sera. Solo una
coppietta in un
angolo del bar, e un paio di avventori solitari come lui. Tom gli
riempì il
bicchiere, e lui cominciò a sorseggiare la bevanda,
godendosi il sapore forte dell’alcol
e la piacevole sensazione che gli dava. Avrebbe avuto bisogno di un
altro paio
di bicchieri, poi si sarebbe Smaterializzato a casa, e anche quella
notte
sarebbe piombato in un sonno profondo, l’unico modo che
avesse trovato per
abbandonarsi all’oblio e sfuggire alla realtà.
Mentre
beveva, riprese a
guardarsi intorno. Da alcuni mesi, aveva preso l’abitudine di
osservare gli
sconosciuti, scrutando con attenzione la realtà che lo
circondava. Era come se
non ne facesse parte, come se il suo fosse un punto di vista esterno.
Anche per
questo aveva interrotto i rapporti con tutti coloro che conosceva. Se
si fosse
relazionato con qualcuno, sarebbe stato costretto a far parte della
realtà. E lui
non voleva. Desiderava rimanere al di fuori.
Quello
era il motivo per cui fu
con un certo disappunto che notò che gli pareva di
riconoscere la coppietta
seduta in fondo al locale. Cercò di allontanarsi, e di non
guardare più in
quella direzione, temendo che incontrare qualcuno che aveva conosciuto
gli
sbattesse in faccia l’evidenza che lui con tanta costanza
stava annegando nel
bicchiere che teneva tra le mani.
Finito
che ebbe di bere, porse
il bicchiere a Tom perché glielo rabboccasse. Si accese
un'altra sigaretta, e
rimase per qualche minuto ad apprezzare il connubio tra il sapore del
Whiskey e
quello del tabacco.
Mentre
posava nuovamente il
bicchiere sul bancone, George udì una voce femminile,
sicuramente appartenente
alla ragazza della coppietta, affermare: “Non sono
d’accordo, Neville. Non vedo
come il Tranello del Diavolo potrebbe essere utilizzato in Medimagia
per la
cura dei morsi di Ashwinder.” Improvvisamente, tutto
ciò che aveva cercato di
evitare negli ultimi mesi lo aveva raggiunto come uno schiaffo in pieno
viso.
Era Neville Paciock. Un mago molto vicino alla sua famiglia. Una delle
ultime
persone che avrebbe voluto incontrare. Neville, l’imbranato,
che a quanto
pareva se ne andava in giro con una ragazza dai capelli rossi a
discutere di Erbologia.
Sentì un brivido, ma non avrebbe saputo dire se la causa ne
fosse il
Firewhiskey che stava bevendo o la consapevolezza di quella presenza a
lui così
sgradevole. C’erano poche cose che avrebbe potuto ritenere
peggiori di
quell’incontro, pensava George. Guardarsi allo specchio e
vedersi incompleto.
Leggere la Gazzetta del Profeta. Rivedere Harry, o qualcuno della
famiglia.
George trasalì. Non doveva permettere a quei pensieri di
raggiungerlo. Doveva
distrarsi.
Per
la prima volta da quando era
arrivato, George si soffermò sul viso di Neville. Il ragazzo
era cambiato
rispetto all’ultima volta che l’aveva visto, mesi
prima. Sembrava più adulto e
più sereno. Stringeva la mano delicata della ragazza con i
capelli rossi tra le
proprie, e le sorrideva. In lui non vi era più nulla del
ragazzino rotondo e
impacciato che aveva conosciuto a Hogwarts, e cominciava a non
assomigliare più
nemmeno al giovane ribelle e inquieto che aveva guidato
l’E.S. solo un anno
prima. Sembrava felice, ed era questo l’aspetto che turbava
di più George.
Si
rese conto che stava
stringendo il bicchiere con la mano con tutte le sue forze, al punto
tale che
c’era da stupirsi che non si fosse ancora rotto. Era
arrabbiato, furioso per la
felicità di Neville. Adirato, perché
c’era ancora gente che si permetteva di
essere felice, mentre lui sapeva di non poterlo essere mai
più, perché non
sarebbe mai più stato completo, e come avrebbe potuto essere
sereno, in quello
stato di incompiutezza?
Prima
che potesse riprendere il
controllo delle sue azioni, il suo consueto distacco dalla
realtà, si stava
avvicinando a Neville.
“Neville
Paciock.”
Neville
guardò nella sua
direzione, e lo riconobbe con stupore.
“George
Weasley! Sono secoli che
non…” la voce di Neville s’interruppe,
perché qualcosa nell’espressione di
George gli aveva fatto capire che quello non era un allegro ritrovo tra
due
vecchi amici.
“Secoli?
Non saprei dirlo con
precisione. Quando ogni giorno è dannatamente uguale agli
altri, si fa in
fretta a perdere la cognizione del tempo. A quanto pare tu, invece, ti
sei dato
da fare.” Dichiarò George, alludendo col mento
alla ragazza seduta accanto a
Neville, che lo scrutava spaventata. Neville fece finta di non sentire.
George
ebbe l’impressione che l’amico di suo fratello- il
pensiero di Ron lo fece
sussultare- comprendesse più di quello che lui voleva
lasciar trasparire, e ciò
non faceva che aumentare la sua furia.
“Sembra
che per alcuni sia
facile gettarsi tutto alle spalle.”
“Non
lo è, non può esserlo. –
ribatté Neville, serio come George non lo aveva mai visto.
– ma ognuno deve
trovare un modo per ricominciare.” Concluse, lanciando
un’occhiata al bicchiere
vuoto tra le mani di George. Dallo sguardo di Neville si poteva
desumere che
non pensava che lui avesse trovato una buona soluzione al problema.
“Ognuno
deve trovare un modo, tu
dici. Pensi che il mio sistema di affrontare la situazione non sia
quello
giusto.” Disse George, con tono definitivo. La sua voce si
stava alzando, la
tensione era ormai palpabile. Il Neville che aveva conosciuto a
Hogwarts
avrebbe impiegato molto tempo ad accorgersi di quel cambiamento di
atmosfera,
inesperto com’era. L’uomo che stava di fronte a lui
quella sera si alzò in
piedi di scatto, la bacchetta pronta per difendersi, e si
parò davanti alla
ragazza dai capelli rossi.
“La
verità è che per me un modo
non c’è, Neville, non c’è
più!” Esclamò George, ormai furibondo,
prima di
scagliare con forza il bicchiere che aveva tra le mani sul volto di
Neville. Se
questo fosse stato pronto ad attaccare, probabilmente sarebbe riuscito
ad
evitare il colpo. Ma lui non lo avrebbe mai aggredito per primo, era
troppo
leale per farlo. Il bicchiere colpì Neville in pieno viso,
lasciandolo
sanguinante. La ragazza che era con lui cominciò a gridare,
spaventata. Neville,
invece, non emise alcun suono, ma rivolse a George uno sguardo che
questi non
avrebbe dimenticato facilmente.
Per
la prima volta dopo la morte
di Fred, George proruppe in pianto.
Nel
frattempo, gli altri
avventori del locale si erano dileguati, mentre Tom, il proprietario,
si era
avvicinato per prestare soccorso a Neville. Sconvolto, George si
lasciò cadere
su una sedia e perse i sensi.
Ω
Quando
riprese conoscenza,
realizzò di non trovarsi più al Paiolo Magico.
Questo fatto lo mise in allerta.
Dov’era? Chi lo aveva portato lì? Si rese conto di
trovarsi in un letto
morbido, dalle lenzuola profumate, che certamente non era il letto del
suo
appartamento di Diagon Alley. Si
guardò
intorno.
Era
in una stanza piccola, ma
pulita e ordinata. C’era una finestra, che dava su un prato
verde bagnato dalla
pioggia di novembre. C’era un bel tepore, grazie alla stufa a
legna che si
trovava nell’angolo opposto alla finestra. Alla sinistra del
letto c’erano una
libreria e un guardaroba, mentre sul lato destro c’era un
altro giaciglio
pressoché identico a quello in cui si trovava lui, che
però era vuoto.
La
consapevolezza di conoscere
il posto dove si trovava lo raggiunse all’improvviso, ma
stavolta non fu uno
schiaffo in faccia. Si rannicchiò sotto le coperte,
godendosi il tepore,
sentendosi quasi rasserenato. Aveva cercato di sfuggire,
l’aveva evitata in
tutti i modi, ma nel momento in cui ne aveva avuto più
bisogno si era ritrovato
lì, alla Tana.
La
porta della stanza si aprì all’improvviso. Sulla soglia stava una
donna piccola e
rotondetta, dal volto gentile e lo sguardo amorevole. Tra le mani
teneva un
vassoio su cui erano stati disposti un piatto di uova col bacon e una
teiera
fumante. Per George, in quel momento, quella era l’immagine
della pace
assoluta.
“Mamma.”
Molly
si avvicinò, sorridente, posò
il vassoio sul comodino, e si chinò su di lui, per
depositargli un bacio sulla
guancia.
“Mi
sei mancato, figlio mio.”
George avvertì un senso di interezza che gli era mancato
durante i mesi
precedenti. Aveva cercato di allontanarne perfino il ricordo, e non
aveva
saputo ammettere a sé stesso quanto grande fosse il suo
bisogno di essere
curato da sua madre.
Avrebbe
voluto lasciarsi
stringere da lei, ma sentiva che c’era qualcosa che glielo
impediva. C’era un
ostacolo che si frapponeva tra il figlio e sua madre. Il rimorso. Il
senso di
colpa per averla allontanata, per non essere stato figlio durante quei
mesi, e
per quello che aveva fatto a Neville. Doveva chiedere spiegare,
chiedere
perdono.
“Mamma,
io…” cominciò. Molly lo
interruppe.
“Lo
so. Manca da impazzire anche
a me. E anche io talvolta avrei voglia di picchiare
qualcuno.” Sussurrò lei
nell’orecchio di suo figlio, stringendolo a sé. Il
robusto ventenne ricambiò
l’abbraccio con l’urgenza di un bambino. I due
rimasero stretti l’uno all’altra
per alcuni minuti. Alla fine, Molly si allontanò e si
sedette sul letto a
fianco a lui. Gli depositò in grembo il vassoio con la
colazione e lo incitò:
“Mangia, Georgie, chissà quanto tempo è
che non consumi un pasto decente. Il
tuo pigiama ti stava così largo.”
Osservò, guardandolo preoccupata. Solo in
quel momento George si rese conto di quanta fame avesse, e
cominciò a riempirsi
avidamente la bocca di bacon. Terminato che ebbe di mangiare, Molly
fece
sparire il vassoio e lo guardò, lo sguardo serio ma colmo
d’amore. Dopo quei
mesi di lontananza, c’erano tante questioni da affrontare,
tante domande a cui
rispondere e risposte da ricevere. Non era necessario che George
spiegasse
tutto in quel momento, ma doveva cominciare ad aprirsi, ad affrontare
la realtà
come aveva fatto il resto del mondo magico. Molly cercava il modo
giusto per
iniziare quella conversazione, ma questa volta George la colse di
sorpresa.
“Perdonami,
mamma. Adesso so di
averti abbandonata nell’unico momento in cui eri tu ad avere
bisogno di me.”
Sussurrò il ragazzo, con voce addolorata. Aveva lo sguardo
triste di chi si è
sentito perso, senza più i suoi punti di riferimento.
Molly
non aveva mai visto
quell’espressione sul volto di suo figlio, e mai si sarebbe
aspettata di
udirgli pronunciare simili parole. Tuttavia, negli ultimi anni aveva
assistito
a molti eventi che aveva ritenuto impossibili, e stava cominciando a
farci
l’abitudine. George non sarebbe mai più stato
quello che era prima della
guerra. Nessuno di loro sarebbe più stato lo stesso, ma
adesso suo figlio era
lì, con lei, ed era l’unica cosa che importava
davvero.
“Accetto
le tue scuse, figlio
mio. È vero che tu ti sei allontanato in un momento in cui
avremmo avuto tutti
bisogno di essere uniti. Nessuno di noi, però, si sognerebbe
di fartene una
colpa. Vedere morire un figlio è un dolore inimmaginabile,
che ti auguro di non
vivere mai. Io e tuo padre ne siamo stati quasi annientati, ma anche
così, sei comunque
stato tu a subire la perdita più grave, quella notte. Hai
reagito in un modo
che ha provocato ancora più dolore, ma non potevi sapere che
sarebbe stato così,
e anche se tu avessi una colpa, credo che avresti espiato la tua pena,
negli
ultimi mesi.” Concluse Molly, accarezzando i capelli di
George. Questi non poté
fare a meno di notare che, sebbene lui non avesse mai fatto riferimento
a ciò
che aveva vissuto durante i mesi precedenti, sua madre aveva ugualmente
compreso quale inferno fosse stato.
“Credo
che dovrò parlare con
Neville.” Affermò George, con tono più
tranquillo.
“Lo
credo anche io, caro, verrà
il momento più adatto. Ora, però, lascia che ci
prendiamo cura di te.” Suggerì
Molly. George acconsentì.
C’era
un’ultima questione che
aveva bisogno di porre, prima di tornare a riposare.
“Come
avete fatto a trovarmi?”
N.d.A.
Salve a tutti!
Eccomi con un nuovo progetto, questa volta
riguardante gli anni
immediatamente successivi alla seconda guerra magica. Il protagonista
di questa
long sarà George Weasley, ma ritroverete molti dei
personaggi principali dei
libri. Il personaggio che avete trovato in questo capitolo è
sicuramente molto
diverso da quello che avete conosciuto nei libri. Il motivo
è chiaro: non
conoscevamo George senza Fred, e in questa nuova, solitaria, fase della
sua
vita emergono altri aspetti del suo carattere. Mentre tutti gli altri
hanno
cercato un modo per cominciare una nuova vita dopo la guerra, per
George questo
è stato impossibile. Ha quindi deciso di fuggire da tutto
ciò che è stata la
sua vita fino a quel momento, al punto da rifugiarsi, come il
più triste dei
Babbani, nell’alcool. Vorrei mettere in chiaro che quello che
vedete in questo
capitolo, soprattutto nella prima parte, non è
l’atteggiamento proprio di
George, quanto piuttosto una maschera che lui indossa per evitare di
essere sé
stesso. Nei prossimi capitoli, se avrete la bontà di seguire
questa fic,
scopriremo altri aspetti del suo vero carattere.
Se avete piacere di contattarmi, potete farlo anche
con FB, è
sufficiente cercare la mia pagina Lucia_canon
A presto!
Lucia