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Autore: apollo41    18/12/2016    9 recensioni
Decklan è stato lasciato dalla fidanzata poche settimane prima del matrimonio, ma è deciso a lasciarsi la relazione alle spalle buttandosi in un’avventura. Più o meno deciso; per la verità pensa che non valga così la pena di fare un volo di quindici ore per passare qualche giorno nella terra dei canguri. Scoprirà, invece, che quelle lunghe ore costretto su uno scomodo sedile accanto a un affascinante sconosciuto dall’accento australiano sono tutto ciò di cui ha bisogno per dare una svolta alla sua vita.
Genere: Fluff, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Nota autrice
Questa storia partecipa alla sfida "A very happy ending for a happy Christmas" del gruppo facebook EFP famiglia: recensioni,consigli e discussioni. La consegna che mi è stata assegnata è la seguente: 20. Un Natale insolito: spiaggia, sole, acqua calda e onde da favola.
Spero vi piaccia questa robina scritta di getto e revisionata piuttosto di fretta tra un impegno e l’altro. È a tutti gli effetti l’originale più lunga che abbia scritto fin’ora (e in generale la cosa più lunga che scrivo in molti mesi), quindi abbiate pietà di me se non è perfetta.
Vi lascio alla lettura. Baci, Elisa.


 

AVVISO: Mai stata negli USA, mai stata in Australia e ho volato solo due volte (da Venezia a Berlino e ritorno, volo breve e senza scali quindi). Ho cercato voli che coincidessero con la mia idea e ho trovato più o meno un itinerario che rendesse tutto fattibile, ma gli orari non coincidevano con quelli che erano i miei piani (perché giustamente di solito voli del genere si fanno di notte) quindi ho fatto calcoli approssimativi che potrebbero essere leggermente fallati. Mi scuso per questo, ma spero non renda troppo irrealistico il tutto. Detto questo, vi lascio alla lettura sul serio.

 

Take a Chance

 

Decklan si lasciò andare di peso contro il sedile con un sospiro rumoroso. Aveva appena passato le ultime quattro ore all'aeroporto di Los Angeles, in attesa del volo per Sydney, e, non per la prima volta dalla sua partenza, si domandò perché si stesse sottoponendo a una tale tortura per passare un paio di settimane in Australia. Okay, stava realizzando un sogno che era rimasto in un cassetto sin dalla sua infanzia e non vedeva l'ora di vivere l'avventura su cui aveva sempre fantasticato, ma allo stesso tempo si chiedeva se davvero avesse bisogno di andare così lontano da casa per dimenticare ciò che gli era accaduto un paio di mesi prima. O se ci fosse ancora dentro di lui quel bambino di sette anni che aveva desiderato carezzare un canguro e avere un koala come animaletto domestico.

Era parsa una buona idea quando aveva acquistato il biglietto online e aveva continuato a sembrare entusiasmante mentre pianificava le attività per l’intera permanenza. Aveva iniziato a dubitare che fosse ancora ciò che desiderava quando quella mattina si era dovuto svegliare alle tre per prendere il primo volo della giornata, quello da Reno a Los Angeles; era sembrata ancora di più una pessima idea quando si era risvegliato con il collo rigido, dopo essersi addormentato su una sedia durante l'attesa della partenza del volo per Sydney, su cui si era finalmente appena imbarcato.

La sola idea di dover passare altre quindici ore su un maledetto aereo gli faceva quasi venir voglia di scendere e passare il Natale a Los Angeles. In fondo l'oceano c'era anche lì, non aveva davvero bisogno di andare fino in Australia per vedere delle onde. Certo, si sarebbe perso la visita alla riserva naturale che aveva prenotato o lo spettacolo all'Opera House o la degustazione di vini o l'escursione sulle Blue Mountains… Okay, forse avrebbe rinunciato a un sacco di attività per cui sua madre aveva sborsato una piccola fortuna ed era pur sempre quasi Natale, era pressoché sicuro non sarebbe riuscito a trovare una stanza libera in un hotel di Los Angeles neppure se lui stesso avesse pagato un’altra piccola fortuna... Eppure…

«Scusa?» una voce un po’ nasale e non troppo profonda lo risvegliò all’improvviso dalla sua riflessione. Aprì gli occhi, che non si era neppure accorto di aver chiuso, e si ritrovò di fronte un uomo forse sulla trentina, con gli occhi grigi, i capelli castano scuro e una mascella forte. «Credo tu sia seduto sul mio posto» continuò con un sorriso.

Decklan rimase impalato a boccheggiare per un istante, prima di fissare il biglietto che aveva ancora tra le mani e il sedile di fronte al suo, accorgendosi di essersi davvero seduto sul posto sbagliato. «Ehm, mi dispiace...» borbottò spostandosi sulla propria sinistra.

«Non preoccuparti,» aggiunse lo sconosciuto sorridendogli, prima di accomodarsi accanto a lui. «Sembravi così stanco che ero quasi tentato di non disturbarti. Insomma, per me un posto vale l'altro alla fine.»

Il tipo aveva un leggero accento, ma considerato il volo su cui erano appena saliti e il periodo dell’anno, era probabile che quello sconosciuto fosse un australiano che lavorava negli States e stava tornando dalla famiglia per le vacanze natalizie.

Decklan gli sorrise suo malgrado. Non era davvero in vena di chiacchierare, eppure quel tizio era talmente bello e sembrava così amichevole che gli parve davvero troppo maleducato comportarsi da stronzo solo perché si era svegliato troppo presto.

«Io farei volentieri a cambio con qualcuno in prima classe, in realtà. Magari da loro ci sono delle poltroncine più comode per dormire,» tentò di scherzare.

Lo sconosciuto scrollò le spalle. «Nah, dormire in volo è sempre tremendo. È una di quelle cose a cui non si fa mai l'abitudine.» Ci fu una pausa in cui il moro fissò davanti a sé, osservando gli altri passeggeri che salivano e sistemavano il bagaglio a mano prima di mettersi a sedere.

Decklan stava quasi per voltarsi a guardare fuori dal finestrino, convinto che quella sarebbe stata la fine della loro conversazione almeno per un paio di ore, quando il tipo si voltò di nuovo porgendogli una mano. «Sono Marshall.»

Per qualche istante rimase immobile, osservando quella mano dalle dita forti e un po' callose, ma poi la strinse con la sua sorridendogli. «Piacere di conoscerti, Marshall. Sono Decklan,» rispose con tono meno esasperato di quello che si sarebbe aspettato e guadagnandosi un sorriso radioso dall'australiano.

 

 

Qualche settimana prima della partenza

«Mamma, sei in casa?» urlò chiudendosi la porta d'entrata alle spalle e fissando il corridoio vuoto mentre lasciava la giacca sull’appendiabiti accanto alla soglia. L’istante successivo sua madre sbucò dalla porta della cucina, un canovaccio tra le mani e i capelli rossicci raccolti in una coda.

«Oh, tesoro...» mormorò lei, avvicinandosi a lui e stringendolo in uno dei suoi caldi abbracci. Decklan si era quasi illuso che sarebbe stato tutto semplice, prima che sua madre aggiungesse in tono preoccupato: «Tua sorella mi ha raccontato quello che è successo.»

Sbuffò, ma ricambiò comunque la stretta. Ne aveva davvero bisogno in quel momento, anche se sapeva che di lì a pochi istanti avrebbe dovuto staccarsi da lei e affrontare l’ennesima conversazione spiacevole. Sua madre, invece, lo stupì.

«Quella ragazza dovrebbe vergognarsi,» sibilò infatti carezzandogli la schiena e arruffandogli i capelli. Ridacchiò divertito, ringraziando che perlomeno lei non lo stesse trattando come un vaso pronto ad andare in frantumi. Odiava come pesassero tutti le loro parole e ripetessero di continuo quanto gli dispiacesse per la sua situazione quando gli si rivolgevano. Sapeva perfettamente che alle sue spalle sparlavano tutti di lui: era solo il pettegolezzo del momento, sarebbe passata...

«Kelly non è mai stata il tipo di persona da vergognarsi di cose simili, ma'. E voleva solo recuperare alcune cose dall'appartamento,» rispose. Si sorprese quando la voce gli uscì meno spezzata di quanto fosse successo negli ultimi giorni quando gli era capitato di menzionare la sua ex. Forse stava facendo progressi...

«Ho sempre pensato che tu fossi troppo dolce per stare con un'arpia come lei,» ribatté sua madre liberandolo dall'abbraccio e passandogli una mano sulla guancia. Fece una smorfia quando la pelle morbida delle sue mani venne punta dalla barba che aveva ricominciato a lasciar crescere negli ultimi due giorni. Gli era mancata la barba, ma Kelly aveva sempre pensato che gli desse un’aria troppo hippie. «Devi prenderti più cura di te.»

Decklan sospirò. «Volevo solo tornare al mio vecchio look,» tentò di spiegarle. La donna spostò una ciocca di capelli rossicci che le era finita davanti gli occhi; la sua espressione era un chiaro segnale che non approvava il ritorno della sua barba incolta. «Okay, ricevuto, la taglierò prima che papà e la nonna arrivino,» borbottò avviandosi verso le scale sulla destra dell’entrata.

Aveva già un piede sul primo scalino quando sua madre gli poggiò una mano sulla spalla. Appena si voltò, si rese subito conto della preoccupazione che le solcava il viso, di solito sempre aperto in un sorriso. Perlomeno non provava pietà per lui.

«Sto bene, davvero,» cercò di tranquillizzarla, passandosi una mano nei capelli ricci che avevano iniziato a essere forse un po' troppo lunghi. Okay, forse stava mentendo anche a se stesso e si stava davvero trascurando...

«Lo so, però le feste saranno dure dopo quello che è successo. Il ringraziamento è una cosa piuttosto intima per noi, ma già così dovrai affrontare la nonna. Non voglio neppure immaginare come sarà a Natale, quando verranno a cena anche i tuoi zii,» borbottò lei fissando con sguardo torvo il pavimento, prima di riportarlo su di lui. Avrebbe quasi voluto sentirsi in colpa per averla preoccupata in quel modo, ma davvero, quel che era successo era colpa al 90% di Kelly, quindi...

«Andrà tutto bene, ma'. È solo una cena.» In realtà Decklan si sentiva a disagio al solo pensiero dell'interrogatorio che avrebbe subito da zia Dolores; lo aveva chiamato perlomeno una dozzina di volte solo nella prima settimana dopo la rottura del fidanzamento.

«Vedi? Quell'espressione mi conferma che non andrà tutto bene, tesoro. È passato meno di un mese e avresti dovuto sposarti la settimana prima di Natale. Sarà tremendo. Nessuno dovrebbe passare delle festività del genere,» ribadì lei stringendogli una mano, prima di recuperare qualcosa dalla tasca del grembiule.

Decklan lo accettò e lo fissò a bocca aperta: era un buono per viaggio del valore di diecimila dollari. La sua famiglia non era mai stata povera, casa loro lo dimostrava, ma tutti quei soldi per un regalo di Natale erano troppi perfino per i suoi genitori. Diamine, con quei soldi avrebbero potuto comprare un’auto nuova! Perché spenderli in quel modo?

«Volevamo regalarti un viaggio di nozze speciale, ricordi?» disse sua madre sorridendo soddisfatta e risvegliandolo dallo stato di choc.

«Non posso accettarlo, mamma! Sono troppi soldi!» tentò di rifiutare il regalo, ma la donna si mise le mani sui fianchi e gli rivolse uno dei suoi famosi sguardi di sfida. Non invidiava per nulla gli studenti di sua madre che ancora dovevano affrontare quell’espressione tutti i giorni...

«Beh, è troppo tardi! Li abbiamo già spesi, quindi ora andrai di sopra, ti farai la barba e deciderai in cosa li spenderai. Non voglio vederne tornare indietro neppure un centesimo!» esclamò solo prima di voltargli le spalle e tornare in cucina.

Decklan fissò il buono e sospirò. Forse era arrivato il momento di ritirare fuori dal cassetto quel sogno di un viaggio in Australia...

 

 

Ora

«Quindi sei partito per un'avventura. Tua madre ha ragione: non c'è nulla di meglio di un viaggio per riprendersi da una rottura. Posti nuovi, nuovi ricordi. Ti farà bene!» esclamò con entusiasmo Marshall. «E l'Australia è davvero stupenda. Così tante cose da fare e posti da vedere… Beh, magari io sono un po' di parte,» aggiunse passandosi una mano nei capelli e rendendoli ancora più disordinati.

Decklan ridacchiò, fissando l’espressione rilassata del moro. Aveva davvero un bel viso e la leggera ricrescita della barba scura lo rendeva ancora più attraente. «Sì, lo avevo intuito.»

«Per l'accento, vero?» chiese lui sorridendogli e accentuando l’accento di proposito.

Si morse il labbro inferiore per trattenere una risata. «Anche il volo su cui siamo è un buon indizio.» ribatté e Marshall sbuffò sogghignando. «Come mai eri negli Stati Uniti?» gli chiese dopo qualche istante, sorprendendosi di quanto fosse facile chiacchierare con quel semi-sconosciuto. Forse era proprio perché si trattava di qualcuno che non lo conosceva che era stato così facile confessargli la verità su Kelly e sul perché del viaggio.

«Principalmente per lavoro, dovevo fare delle foto per un articolo. Ma ne ho approfittato per fare un po' di surf con un amico.» spiegò recuperando il cellulare dalla tasca dei jeans, prima di mostrargli una serie di foto di un ragazzo di colore che cavalcava delle onde gigantesche. Un paio di scatti nel mezzo ritraevano Marshall stesso alle prese con una tavola da surf e, diamine, la felpa larga che indossava al momento nascondeva un corpo davvero niente male...

Decklan fissò stupito prima lo schermo e poi lui, cercando di forzarsi a non fissargli troppo il petto. Il moro rise della sua espressione stupita e lui si sentì un po' accaldato; si schiarì la voce. «Quindi, sei un fotografo a cui piace surfare. Devi fare una vita molto eccitante.»

«Lo è quando sto cavalcando un'onda o mentre sono appostato nel mezzo della savana, aspettando per lo scatto perfetto di un pride di leoni. Un po' meno quando devo passare quindici ore su un aereo,» ammise alzando un sopracciglio e osservandosi attorno. Decklan seguì il suo esempio: la cabina passeggeri era piena e c'era un leggero brusio, qualche volta interrotto da un pianto di bambino o da un colpo di tosse. «Perlomeno questa volta ripensare alle onde di casa mi aiuta a rimanere di buon umore,» aggiunse Marshall con una scrollata di spalle, riponendo il cellulare al suo posto.

«Farebbe comodo aver qualcosa a cui pensare per ricordarsi che vale la pena di soffrire questa tortura, in effetti,» borbottò il rosso passandosi nervosamente le mani sulle cosce coperte dai jeans. Non aveva paura degli aerei, né degli spazzi ristretti o delle folle, ma non era comunque piacevole dover sopportare la strana sensazione di oppressione alle orecchie che lo tormentava sin dal volo da Reno a Los Angeles.

Marshall mugugnò pensieroso. «Che ne dici se ti offrissi una cena quando saremo a Sydney? Mi fermo lì solo per uno scalo, quindi dovrò aspettare fino a domattina presto per il mio prossimo volo,» propose con un sorriso smagliante. «È abbastanza come incentivo?»

Decklan rimase stupito dalla proposta, ma questa volta si sentì anche lusingato. Gli fu impossibile impedirsi di sorridere. Non aiutava di certo che per un istante si fosse convinto che quegli occhi grigi avessero luccicato in un invito ben più intimo di una semplice cena tra conoscenti.

«Mi sembra...» si schiarì la voce, che per le prime sillabe gli era uscita un po' più roca di quanto avrebbe voluto. Si diede mentalmente dell’idiota; era ovvio che Marshall non stesse flirtando con lui. Era solo una sua pia illusione. «Certo, mi sembra un buon incentivo.» Aspetta, che? Perché avrebbe dovuto voler uscire con quel semi-sconosciuto? Okay, era attraente, ma...

Marshall gli regalò un altro sorriso smagliante. «Ottimo! Conosco un posto vicino all'aeroporto...» continuò. Decklan comunque smise di prestare attenzione a quello che stava dicendo, troppo occupato a fissare il suo viso scolpito mentre continuava a tormentarsi. Per la verità, non aveva neppure idea del perché si sentisse felice all’idea che si trattasse di un vero appuntamento, mentre lo metteva estremamente a disagio la parte del suo cervello che cercava di convincerlo che non lo fosse affatto.

 

 

Cinque giorni prima della partenza

«Decklan!» esclamò sua sorella agitandogli una mano di fronte alla faccia. Erano seduti a un tavolo nel loro pub preferito, quello che avevano smesso di frequentare quasi due anni prima per colpa di Kelly. Era un’altra delle cose che gli erano mancate, anche se c’era sempre puzza di sigaretta, i bagni erano sempre inagibili e c’era sempre qualche ubriaco pronto a fare a botte per motivi idioti. Ma era anche il posto in cui si erano entrambi ubriacati per le prime volte da giovani, quindi ci erano affezionati.

«Scusa Rose, stavi dicendo?» si scusò prendendo un sorso dalla birra che aveva di fronte, prima di riempirsi la bocca con una manciata di patatine. Perlomeno il cibo era sempre stato buono, merito di Ida, quella santa donna che stava tutto il tempo in cucina e teneva a galla quel vecchio pub tradizionale irlandese.

Lei lo fissò storto con quegli occhi verdi che lui stesso aveva ereditato da loro padre, ma l’espressione di rimprovero tipica di loro madre. «Credevo avessi detto che non saresti più uscito con una donna per il resto della tua vita,» aggiunse cogliendolo di sorpresa. Non aveva la minima idea di cosa stesse parlando e doveva trasparire dalla sua espressione, perché lei sbuffò e gli indicò una ragazza seduta al bancone. «Hai fissato per quasi tre minuti quella tipa bionda laggiù e dubito che abbia il tipo di attrezzatura a cui sei interessato ora.»

Decklan quasi si strozzò col sorso di birra che aveva appena bevuto. «Stavo fissando il vuoto, a dire il vero. Ero sovrappensiero, ma non stavo pensando al sesso,» ammise quando riuscì a riprendere fiato, rendendosi conto troppo tardi di aver detto la cosa sbagliata.

Sua sorella infatti continuò a fissarlo con quell’espressione contrariata; per qualche ragione ebbe la sensazione che Rose non l’avrebbe voluta rivolgere nei suoi confronti. «Quindi stavi di nuovo pensando a Kelly,» borbottò difatti, prima di prendere un morso dal panino che le stava di fronte.

Portò gli occhi al soffitto e sospirò esasperato. «Non lo faccio di proposito.» E se doveva dirla tutta, era anche la verità. Non era così masochista da pensare a lei di proposito; stava solo pensando ai regali di Natale che gli erano rimasti da fare e Kelly si era infilata nei suoi pensieri.

«DUH, ovvio. Sono stata scaricata anche io qualche volta in passato, lo so come ci si sente.» Decklan abbassò il viso solo per lanciarle un'occhiataccia. «Okay, non è la stessa cosa perché voi stavate insieme da una vita, ma non era così imprevedibile, Dek! Insomma, cosa avevate in comune tu e quell'arpia?»

Lui sbuffò, ma non rispose. In effetti era qualcosa su cui si era fermato a riflettere negli ultimi giorni. Era sempre stata lei a mandare davvero avanti il loro rapporto. Non che non l'avesse amata profondamente, ma si era sentito per tutto il tempo come se lei fosse riuscita a manipolare qualsiasi cosa all'interno della loro relazione. Era piuttosto sicuro che Kelly gli avesse in qualche modo indicato perfino con quale anello avrebbe dovuto chiederle di sposarlo. La loro relazione era stata così sin dall'inizio, quando si erano conosciuti al primo anno di college, ma Decklan non ci aveva mai badato molto; non aveva abbastanza tempo in una giornata per tentare di indovinare cosa passasse per la testa al proprio partner e la sua relazione con Kelly era funzionata proprio per quel motivo. Se voleva qualcosa, lei semplicemente lo chiedeva in modo esplicito. Okay, il novanta percento delle volte non voleva sentirsi dire di no in risposta, ma non gli aveva mai chiesto di gettarsi in nulla di particolarmente folle o costoso, tanto meno di rinunciare a cose che avrebbe voluto fare. Quindi si era sempre convinto che il loro fosse un rapporto sano, seppure fuori dall'ordinario.

«Decklan!» lo richiamò ancora la sorella, stavolta davvero scocciata con lui. «Lo stavi facendo di nuovo.» sibilò quando riportò l'attenzione su di lei. Il rosso sbuffò, incassando la testa tra le spalle e disegnando figure astratte nella ciotola della salsa tartara con una patatina.

«È solo che mi sono accorto che non è stata solo colpa sua. Sono stato un pessimo fidanzato anch’io negli ultimi tempi: ho dato per scontato la nostra relazione, non ci ho mai investito me stesso per davvero, questo genere di cose,» ammise per la prima volta ad alta voce, sentendosi all'istante più leggero. Non si era neppure accorto di quanto gli fosse pesato che tutti avessero deciso di incolpare Kelly del fallimento della loro storia. Forse dopotutto era ancora una persona decente, ora che aveva avuto il tempo di metabolizzare quel rifiuto...

«Magari è perché lei non ti interessava davvero. Ti eri solo abituato all'idea di avere qualcuno sempre accanto a te,» disse con tono più gentile lei, giocherellando con il bicchiere quasi vuoto, facendo scontrare i cubetti di ghiaccio che si stavano sciogliendo in quel che restava della sua bibita.

«Forse...» concesse con un'alzata di spalle, masticando un'altra manciata di patatine. Si era dimenticato quanto gli piacessero senza sale e con una spruzzata di aceto, come le condiva sempre Ida seconda la tradizione irlandese. Si chiese di preciso quando fosse stata l’ultima volta che le aveva mangiate e non riuscì a tornargli alla mente.

«Dovresti comunque uscire con qualcuno,» esclamò Rose dopo qualche istante e Decklan riportò gli occhi su di lei, un broncio che gli aggrottava all’istante la fronte.

«Non penso sia una buona idea.» ribatté lanciandole una patatina, che lei afferrò al volo e gli rilanciò contro, centrando in pieno il collo della felpa che indossava. Avrebbe puzzato di fritto e aceto per il resto della serata, ma in fondo non faceva molta differenza visto che sarebbero rimasti al pub. E non aveva assolutamente intenzione di provarci con nessuno, al contrario di quanto suggerito da Rose.

«Invece lo è, soprattutto quando c'è un tipo che non fa che fissarti da quindici minuti!» borbottò lei indicando con un leggero cenno un tipo con i capelli raccolti in un codino seduto a un tavolo vicino al bar, che stava, in effetti, sbirciando palesemente nella loro direzione mentre sorseggiava una birra scura.

Decklan riportò l'attenzione sulla sorella, per nulla impressionato dallo sconosciuto. «Non è il mio tipo.» disse con tono impassibile, quasi freddo, ma trattenendo appena un sorriso complice.

«Giusto, tu preferisci quelli che sembrano avere la puzza sotto il naso e passano troppo tempo dall'estetista,» sbuffò Rose prendendolo in giro. Lui le diede un leggero calcio da sotto il tavolo, cercando di mantenere un’espressione oltraggiata, fallendo miseramente. In momenti come quello era perfino facile dimenticare che a quell'ora di quel giorno, se Kelly non lo avesse lasciato, sarebbe già stato un uomo sposato.

 

 

Ora

«Quindi, non te l’ho neppure chiesto, ma cosa hai in programma per questi quindici giorni? Vuoi goderti la spiaggia, il sole e le onde da favola o hai intenzione di visitare la città?» gli chiese Marshall seduto accanto a lui mentre masticava.

Erano seduti su una panchina sul marciapiedi fuori da un piccolo bistrò italiano a dieci minuti dall'aeroporto di Sydney. Erano arrivati di fronte al locale alle dieci passate e lo avevano trovato chiuso; fortunatamente, l'amico di Marshall che lavorava come pizzaiolo, era ancora nel retro a pulire la cucina e preparare gli impasti per il giorno successivo, quindi aveva offerto loro un paio di fette di pizza che erano avanzate. Decisamente non era l'appuntamento che si era immaginato Decklan nei momenti in cui si era convinto che era ciò che sarebbe stato, ma in fondo ora aveva la quasi certezza di aver frainteso del tutto le intenzioni del moro sin dall'inizio. Era un po' deluso, per quanto non riuscisse a capire il perché, tuttavia sapere che aveva davvero preso un granchio lo aveva reso più tranquillo e rilassato. Non era sicuro di essere pronto per iniziare a uscire di nuovo con qualcuno. Kelly lo aveva lasciato solo un mese e mezzo prima dopo una relazione durata anni… Era sicuro che ci fosse una qualche regola del bon-ton al riguardo.

«Un po' entrambe le cose,» ammise prendendo un sorso dalla lattina di soda che Marshall gli aveva offerto, cercando di scacciare quei pensieri. Voleva perlomeno godersi un’altra buona conversazione con una persona interessante. Soprattutto dopo essersi addormentato contro la sua spalla nel bel mezzo della terza ora di volo ed essersi svegliato solo quattro ore più tardi, quando le hostess erano passate per chiedere cosa avrebbero gradito per cena. Si era sentito a disagio per qualche istante, ma l’australiano gli aveva confessato di essersi addormentato a sua volta e l’imbarazzo era sparito.

«Se hai bisogno di un consiglio per un buon posto dove fare surf, non esitare a chiedere. O magari potrei farti da guida turistica se capiti dalle parti di Melbourne,» rispose lui con un occhiolino e un sorriso. Decklan ridacchiò passandosi una mano tra i capelli rossicci, le dita che quasi gli restarono incastrate nei ricci ingarbugliati dopo un'intera giornata in volo. Marshall trattenne una risata mordendosi il labbro inferiore e Decklan si sentì accaldato ancora una volta. Incolpò il clima australiano, ben consapevole che fosse una stronzata; non era neppure così caldo a quell’ora della sera.

«Sono troppo imbranato per fare surf,» si giustificò, liberando infine le proprie dita. Si chiese se ora avesse della farina o dell’olio della pizza nei capelli, ma si sforzò di non pensarci. E poi Marshall era una persona decente: glielo avrebbe detto se avesse avuto del sugo incastrato tra i riccioli. Sarebbe stato umiliante, certo, ma meglio di ritrovarlo ancora lì al suo arrivo nella stanza d’albergo.

«L'ho notato. Stavi quasi per ucciderti mentre recuperavi la valigia,» lo prese in giro lui dandogli una leggera gomitata contro il fianco, prima di prendere un altro morso come se nulla fosse, ancora un leggero sorriso stampato sul viso sereno.

Decklan si imbronciò. «Ho solo perso l'equilibrio per un istante! Non sono neppure caduto,» ribatté, sentendosi arrossire appena. Già, non che avere qualcosa nei capelli sarebbe stata la prima figuraccia che avrebbe fatto di fronte a lui, comunque. Sospirò, ripetendosi che non aveva in ogni caso mai avuto una vera possibilità con l’australiano, figuracce o meno. Probabilmente si comportava in quella maniera con chiunque. Immaginava che col tipo di lavoro che faceva fosse quasi scontato che Marshall fosse una persona solare e amichevole.

«Certo, certo...» borbottò continuando a sorridergli in modo gentile. Sembrava quasi trovare il suo essere un po’ imbranato adorabile. Kelly glielo aveva sempre rinfacciato come uno dei suoi più grandi difetti; pensava che Decklan qualche volta avesse la testa troppo tra le nuvole, perso in chissà quale sogno a occhi aperti.

Si mordicchiò il labbro, fissando il marciapiedi mentre finiva l'ultimo morso della fetta di pizza che stava ancora sul cartone poggiato accanto a lui. Marshall grugnì, abbandonandosi del tutto contro lo schienale della panchina e stiracchiandosi; la t-shirt in cui era rimasto dopo essere sceso dall’aereo si alzò appena, lasciando intravedere una piccola porzione del suo stomaco muscoloso. Da vicino era anche meglio che in foto, seppure Decklan avesse potuto dare solo una breve sbirciata.

«Dove passerai la notte?» chiese all'improvviso all’australiano, prima di rendersi conto di come potesse suonare quella domanda. «Insomma, non che siano affari miei, però...» balbettò conscio di aver fatto l’ennesima figuraccia.

Marshall scoppiò a ridere. «E io che per un attimo speravo quasi stessi davvero flirtando con me,» aggiunse continuando a sorridergli, forse anche deluso sul serio. Oddio, forse Decklan non aveva per nulla frainteso le sue intenzioni all’inizio. Era davvero possibile che Marshall gli avesse chiesto un vero appuntamento?

«Beh, magari lo stavo facendo,» ammise dopo qualche istante di incertezza, non senza arrossire appena quando le parole gli furono uscite di bocca. Si mordicchiò il labbro, passandosi di nuovo le dita nei capelli. Per fortuna questa volta non restarono neppure impigliati nei suoi riccioli. «Cioè, sei attraente, non ci sarebbe nulla di male se flirtassi un po’ con te. Non è come se fossi fidanzato o sposato,» aggiunse con una risata nervosa, cercando di ironizzare per rompere la tensione che gli sembrava si fosse creata tra loro.

«Oh. Quindi potrei aver flirtato anche io con te per la stessa ragione immagino,» ribatté l'australiano fissandolo con un sorrisetto malizioso, prima di portare lo sguardo sulle sue labbra. Quelle di Marshall erano ancora un po' lucide per colpa dell'olio sulla pizza che avevano appena mangiato. Non che Decklan le stesse fissando, comunque. «Hai intenzione di baciarmi?» gli chiese cogliendolo di sorpresa. O magari lo stava facendo, in fondo.

Deglutì, ma non distolse lo sguardo dal viso di Marshall, che continuava a sorridergli con le palpebre appena socchiuse. Non si era avvicinato, ma non si era neppure spostato. Se avesse dovuto fare una supposizione, avrebbe detto che il moro volesse che fosse lui a prendere l'iniziativa. La prima volta che lui e Kelly si erano baciati era stata lei a prendere l’iniziativa. Non che gli importasse di lei al momento… Sembrava così stupido pensare ancora a lei ora che Marshall gli aveva chiesto se volesse baciarlo nonostante fosse in uno stato pietoso dopo una giornata passata tra aerei e aeroporti.

«Ci stavo pensando,» si ritrovò ad ammettere quasi come se le parole gli fossero uscite di bocca di loro spontanea volontà. Tuttavia non si pentiva di averle dette. E gli riuscì perfino di non arrossire mentre le diceva.

«E cosa ti trattiene dal farlo?» chiese Marshall facendosi un po' più serio per un istante, come se avesse intuito che doveva esserci una ragione seria per cui non avessero già cominciato a pomiciare come adolescenti in preda agli ormoni.

Decklan gli si avvicinò appena. «Non lo so. È solo che...» tentennò, cercando di trovare una risposta a quella domanda che in fondo si stava ponendo lui stesso. Non aveva ragioni serie per cui non avrebbe dovuto baciarlo. Come aveva già detto, non era legato a nessuno al momento; era ancora triste che la storia con Kelly fosse finita, ma, se doveva essere sincero, si sentiva più ferito da come avesse tradito la sua fiducia che dalla fine del loro rapporto.

«Non mi stai per mettere un anello al dito e io non sto per correre a gambe levate per la strada,» aggiunse l'australiano con un sorriso rassicurante. Sembrava quasi che gli avesse letto nella mente, come se avesse compreso che in quel momento Decklan non si sentisse pronto a fidarsi a quel modo di un’altra persona. «Non c'è bisogno che le cose siano complicate. Puoi prendere ciò che vuoi, almeno per una volta. Pensa a questo momento come l'inizio della tua avventura in Australia, il primo ricordo felice di un Natale diverso dal solito. Ricordi? Spiaggia, sole...» iniziò prima di venir interrotto dalle labbra di Decklan che si poggiavano sulle sue.

Nonostante avesse appena mangiato della pizza al formaggio, Marshall aveva il sapore salato dell'oceano.

 

 

Due giorni prima della partenza

Decklan fissava desolato il proprio armadio e la proprio valigia, indeciso su cosa di preciso avrebbe dovuto portare con sé per il viaggio in Australia. Stava considerando l'utilità di uno smoking per la serata all’Opera, quando Rose si lanciò di peso sul suo letto, facendo volare a terra una pila di maglie che aveva appena piegato.

«Hai già preso la biancheria sexy, dolcezza?» gli chiese ammiccando, la testa appoggiata contro la mano destra e le gambe in quella che probabilmente avrebbe dovuto essere una posizione provocante. Il fratello le lanciò un paio di calzini che aveva a portata di mano. Lei, come al solito, li prese al volo e glieli rilanciò ridendo, colpendolo dritto sul naso.

«Potresti magari renderti utile per una volta?» domandò con tono quasi lagnoso, chinandosi a raccogliere le t-shirt che erano cadute, riconsiderandole ancora una volta, indeciso se avesse o meno scelto quelle che avrebbe davvero voluto portare nei giorni a venire.

«Non era quello che stavo facendo?» ribatté con fare innocente. Spostò con un piede e con espressione giusto un po’ schifata il sacchetto di plastica in cui aveva già riposto un paio di scarpe da trekking che aveva abbandonato accanto alla valigia ancora quasi vuota. All'occhiata storta del fratello comunque sbuffò e si mise a sedere con le gambe incrociate, raccogliendo i capelli castani in una coda approssimativa. «Okay, va bene, faccio la seria. Cosa hai già messo in valigia?» chiese sbirciando tra i costumi da bagno che aveva relegato nella tasca interna.

«Ero indeciso se portare il completo o meno. Ho prenotato un biglietto per l'Opera e...» stava spiegando prima che qualcosa lo colpisse in pieno viso. Lo afferrò prima che cadesse a terra: era uno dei suoi costumi. «Cosa?»

«Stavi facendo il saputello spocchioso con quella cosa del teatro, tanto per cominciare. E secondo, quel costume è orrendo, lo avrai da almeno dieci anni. Non andrai in Australia con quell'orrore uscito dall'anno 2000!» lo rimproverò lei con le mani sui fianchi. Lo sguardo severo che aveva ereditato da loro madre faceva meno effetto quando aveva i capelli raccolti e le sue adorabili orecchie un po’ sporgenti erano visibili. «AGH, e poi sei tu quello che fa parte della comunità LGBTQ+… Hai un disperato bisogno di fare shopping. E di una personal shopper.»

Decklan sbuffò irritato. Okay, magari non aveva un grosso senso della moda, ma non era un caso così disperato. «Perché? Non ho intenzione di fare conquiste, voglio solo andare a divertirmi un po', vivere un'avventura per una volta!»

Rose lo fissò come se avesse due teste. «Non dire stronzate! Potresti incontrare un ragazzo incredibilmente attraente che vuole venire a letto con te! Ma certo non vorrà farlo se dopo averti tolto i pantaloni abbasserà lo sguardo per controllare la mercanzia e...» iniziò a dire aprendo il cassetto del comodino in cui Decklan teneva la biancheria ed estraendo con la punta di un dito un paio di vecchi boxer neri che avevano un piccolo buco vicino a una delle cuciture.

«ROSE!» urlò arrossendo e lanciandole di nuovo il costume che ancora stringeva in mano, prima di avvicinarsi al comodino e chiudere il cassetto di colpo.

«È una questione che devi affrontare! Non puoi diventarmi una monaca di clausura! Hai già escluso le ragazze, almeno con un maschione potresti provarci,» ribatté lei correndo dall’altro lato della stanza e iniziando a lanciare cose a caso dall’armadio direttamente nella valigia.

Decklan sbuffò e si abbandonò contro il letto di peso, conscio che non sarebbe riuscito comunque a combinare nulla finché Rose non si fosse stancata di prenderlo in giro. Non lo ammise ad alta voce, ma, mentre fissava desolato il soffitto, si prese comunque una nota mentale di fermarsi a comprare dell'intimo nuovo ai grandi magazzini la mattina successiva. Niente di sexy, aveva solo bisogno di boxer nuovi. E magari avrebbe comprato qualche costume appena arrivato a Sydney. Sarebbe stato il suo regalo di Natale a se stesso; era una vita che non si faceva un regalo da solo...

 

 

Ora

Decklan fissava le prime luci dell'alba seduto sul letto matrimoniale dell'hotel a quattro stelle in cui avrebbe alloggiato per i quindici giorni a venire. La stanza era piuttosto spoglia, arredata in stile moderno con colori pastello sui toni del beige e del grigio, restando comunque pur sempre calda e accogliente. L'hotel era a metà strada tra l'aeroporto e il centro della città, quindi fuori non c'era molta confusione. Era piacevole starsene lì in silenzio a osservare le fronde degli alberi dall’altro lato della strada muoversi al vento.

La sua riflessione venne interrotta da delle braccia che gli circondavano i fianchi e da un viso che si strofinava contro la sua schiena. I capelli spettinati di Marshall gli fecero il solletico e la leggera barba che gli era cresciuta nelle ultime quasi 24 ore gli punse appena la pelle; gli sfuggì una risatina divertita, mentre portava le mani a intrecciarsi con le sue sul proprio grembo ancora coperto dalle lenzuola.

«Dovresti vestirti. Non hai un volo questa mattina presto?» Gli chiese senza neppure voltarsi. Non sapeva perché, ma preferiva affrontare la risposta a quella domanda senza vederlo in viso. Forse Decklan voleva solo avere come ultimo ricordo di Marshall quell’espressione rilassata che aveva intravisto appena si era svegliato. Avrebbe solo dovuto alzarsi e rifugiarsi in bagno mentre lui si vestiva e se ne andava...

Il moro dietro di lui mugugnò, gli stampò un bacio nel mezzo della schiena e poi si mise a sedere, abbracciandolo meglio e poggiando la testa sulla sua spalla, il tutto senza mai lasciargli le mani. «Non ho fretta di partire. Di voli per Melbourne ce ne sono tanti e di onde a Bells Beach ce ne saranno sempre. Tu invece? No, tu sei qui disponibile solo ora,» rispose dandogli un bacio sulla guancia. «Preferisco godermi questo momento. Nuovi ricordi, giusto?»

Decklan gli strinse ancora di più le mani che lo avvolgevano; rimasero per qualche istante in silenzio a fissare il sole sorgere. «Non doveva essere una cosa semplice tra di noi?» chiese in un sussurro, quasi temendo che Marshall la prendesse nel modo sbagliato. Non che ci fosse un modo sbagliato di prenderla: era ovvio che tra loro due fosse scattata una scintilla. Lo confermava la passione con cui avevano fatto sesso la notte precedente. Due volte...

L’australiano mugugnò e con la coda dell'occhio a Decklan parve di vederlo farsi più serio, prima di aprirsi in un sorriso. «Cosa c'è di complicato?»

Decklan ci rifletté per un istante ancora. C'erano un milione di cose che avrebbe voluto dire, ma gli sembravano tutte così infantili… E se si fossero innamorati? E se avessero iniziato una relazione vera? E se Marshall non avesse ricambiato? E se non fossero stati in grado di gestire una relazione a distanza? «Tutto?» rispose quindi, sentendosi comunque stupido.

L’amante sospirò. «La vita è sempre complicata, Decklan,» rispose alla fine con un’alzata di spalle.

«Adesso sembri mia madre…» borbottò sbuffando e portando gli occhi al soffitto. In realtà sperava solo di aver messo fine a quel momento di tensione. Voleva godersi davvero ancora qualche istante di semplicità con lui. Pensava che gli sarebbe riuscito di fingere che fosse tutto facile ancora per qualche ora.

«HEY!» esclamò l'altro dandogli un pizzicotto sul fianco. Decklan si lasciò andare contro Marshall, che si spostò e lo lasciò cadere di schiena contro il materasso; l’australiano si sporse sopra di lui e lo fissò negli occhi con un sorriso sincero. «Continua a non essere complicato. Vivi il momento, non pensare a cosa accadrà domani. Goditi questa pausa dalle responsabilità del mondo reale, cavalca l'onda,» ammiccò.

Decklan sbuffò una risata arrossendo appena al doppiosenso, ma tornò serio quasi all’istante. «Ci sto provando. È solo che...» Spostò una ciocca di capelli che era caduta sulla fronte dell’amante e gli carezzò la mascella squadrata e oscurata appena dalla barba. Era così bello. «Non voglio che qualcuno tradisca la mia fiducia di nuovo,» ammise in un sussurro, anche se era piuttosto certo che Marshall lo avesse già intuito la sera precedente.

«Pensi che io ne sarei in grado?» chiese con tono serio, un'espressione neutra ora stampata in viso. Decklan avrebbe voluto conoscerlo meglio, avrebbe voluto riuscire a leggere meglio cosa gli stesse passando per la testa. Purtroppo, tra loro due, quello che sembrava essere un libro aperto era lui.

«Non ti conosco abbastanza bene per saperlo,» confessò anche ad alta voce.

«Cosa ti dice l'istinto?» mormorò appena lui, fissandolo negli occhi con intensità.

«Che sei una brava persona. Che se succedesse, non sarebbe di certo perché lo hai fatto di proposito,» confessò carezzandogli il viso, mentre Marshall chiudeva gli occhi e gli baciava i polsi. «Ho come la sensazione che potrei innamorarmi di te molto facilmente.»

Il moro mugugnò e, dopo lunghi istanti in cui sembrò occupato a inspirare il suo profumo, aprì gli occhi, fissandolo di nuovo con così tanta intensità che si sentì come se la sua anima fosse stata messa a nudo. «Ho questo presentimento anch’io. E mi spaventa. Ma non mi impedirà di provare a vivere questo istante. Sei come un'onda: finché non ti sto cavalcando come faccio a sapere se mi ucciderai o se riuscirò a domarti?»

Decklan rimase immobile a fissarlo, il cuore che gli batteva all'impazzata e il respiro che sembrava volergli restare bloccato in gola. «Era una battuta sessuale? Stai di nuovo flirtando con me?» scherzò cercando di alleggerire l'atmosfera. Marshall gli sorrise e si abbassò per stampargli un bacio sulle labbra.

«Uhm, forse...»

 

 

Quindici minuti prima della partenza dall’aeroporto di Los Angeles

Decklan venne svegliato di scatto quando qualcuno si mise a sedere pesantemente alle sue spalle, borbottando in una lingua sconosciuta. Rimase per qualche istante a fissare il soffitto della stanza dell'aeroporto in cui stava aspettando che chiamassero il suo volo, prima di abbassarlo per controllare l'orario sul cellulare.

Imprecò quando si rese conto che il suo volo era probabilmente già stato chiamato per l'imbarco almeno una volta e afferrò il proprio bagaglio a mano prima di avviarsi a passo veloce. Si chiese, non per la prima volta, se il destino fosse o meno a suo favore quando si trattava di quel viaggio. Aveva come la sensazione che quella vacanza sarebbe stata o la migliore o la peggiore della sua vita. Sperava solo di avere perlomeno dei vicini di sedile non troppo irritanti.


 

Due anni dopo

Decklan era steso sotto il sole cocente e per un istante si chiese se la crema solare che aveva usato gli avrebbe impedito di scottarsi se fosse stato per più di un paio di ore sotto quei raggi bollenti. Dannata la pelle pallida che aveva ereditato dai suoi avi irlandesi... L'istante successivo un'ombra gli si parò davanti e quando alzò lo sguardo notò Marshall, ancora gocciolante e con accanto una tavola da surf già conficcata nella sabbia.

«Vieni, l'acqua è calda al punto giusto e ci sono delle onde da favola. Sono perfette per un principiante.» esclamò porgendogli una mano e chinandosi appena.

Si alzò sui gomiti e lo fissò per qualche istante con un’espressione a metà tra l’oltraggiato e il sorridente. «Oh avanti, sono imbranato, ma non puoi continuare a chiamarmi principiante!» rispose obbligandosi a fissarlo storto, in una pallida imitazione dello sguardo severo di sua madre. Non che Marshall fosse suscettibile a quell’espressione; era l’unica persona che avesse mai conosciuto immune a quell’occhiataccia, perfino nella sua versione originale.

«Dek, dolcezza, non ricominciare con questa storia. Sono il tuo maestro e ti chiamerò come voglio. Ti vendicherai chiamandomi dilettante quando faremo il barbecue di Natale con i tuoi domani sera. Avanti! Alzati ora, non costringermi a portare il mare da te,» ribatté mettendo la mano sul fianco e sorridendogli in modo spudorato mentre sporgeva maliziosamente in fuori le anche.

Decklan ridacchiò, alzandosi e abbandonando gli occhiali da sole sull'asciugamano su cui era stato steso fino a pochi istanti prima. Lo abbracciò dai fianchi, rabbrividendo quando le piccole gocce d'acqua sul corpo di Marshall lo bagnarono, e gli diede un bacio a stampo, fissando storto una ragazza che era passata loro accanto e che aveva fissato senza ritegno il sedere del proprio fidanzato.

«Sicuro che sono le onde che vuoi cavalcare? Non vuoi un regalo di Natale anticipato?» gli sussurrò in tono provocante nell’orecchio, la mano con l’anello di fidanzamento che si spostava sul suo sedere; sperava che alla tizia il messaggio fosse arrivato chiaro e tondo.

«Ugh, che fine ha fatto il ragazzino imbarazzato che aveva paura di baciarmi quel giorno sulla panchina?» scherzò spostandosi un po’ e sorridendogli, gli occhi grigi che si perdevano all’istante in quelli verdi di Decklan, ora troppo occupato a osservare il proprio uomo per badare a una che fissava qualcosa che era palese non avrebbe mai potuto avere.

«Credo quel ragazzino sia rimasto da qualche parte nelle Blue Mountains, quando mi hai proposto di tornare con te a Melbourne la prima volta,» scherzò passandogli una mano tra i capelli bagnati.

Marshall trattenne il fiato per un istante. «Oh mio Dio, dobbiamo mandare subito dei soccorsi a salvarlo, allora!» esclamò prima che Decklan gli desse un pizzicotto sul fianco, ridendo insieme a lui quando corsero verso l’oceano cristallino. Adorava che il Natale sulla spiaggia fosse diventata una nuova tradizione di famiglia.

 

 

   
 
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