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Autore: Alyss Liebert    18/12/2016    10 recensioni
Il suo cuore non si spezza per un sentimento non ricambiato, bensì per il contrario.
Le sue labbra sono secche e rigide, plasmate per proferire la perfezione e non per baciare.
Per lui l’amore è quasi impossibile da provare, una menzogna.
Lui non vuole essere messo a nudo di fronte ai miei occhi per permettermi di lambire il volto che si nasconde dietro quella maschera, scoprire le sue ferite più profonde e guarirle carezzandogli l’anima.
Io non sono fatto per una relazione “aromantica” e superficiale: vorrei di più, ma non mi è concesso.
Ritengo di non essere corrisposto, ma continuo a stare al gioco.
Ritengo di essere felice quando parlo con lui, ma sono solo un povero autolesionista innamorato.
Innamorato di un ideale, di “ciò che non potrà mai essere”.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altri, Kurapika, Leorio
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Disclaimer
I personaggi e le ambientazioni non mi appartengono, ma sono proprietà di Yoshihiro Togashi; al contrario, il racconto che state per leggere è una mia creazione. Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.


 
~*~


Leorio (28 Marzo 2014, 21:13)
Ti ringrazio tantissimo per avermi scritto. Sono contento che tu sia tornata! Sai, molte volte pensavo: “Chissà se lei sta bene…”
Kurapika (28 Marzo 2014, 21:28)
Prometto che farò del mio meglio per non sparire di nuovo. Comunque, nel caso non te ne fossi accorto… sono un ragazzo.

 
Dopo il suo messaggio di quella sera, le mie giornate sono drasticamente cambiate.
Quella dichiarazione, quella persona… sono diventati i miei chiodi fissi, capaci di soffocare ogni altro mio pensiero e tentativo di concentrarmi su un argomento ad essi estraneo, rimpiazzandolo con un ammasso di dubbi e nuove consapevolezze.
 
 
 
Addicted to you



 
 
“There's something about you
I wanna rescue,
I don't even know you
so what does that mean?…”
“… Maybe I'm cynical,
I'm painfully logical;
you're tragic and beautiful
and that's good enough for me…”
 
 
Sono passate settimane, quasi un mese, ma la mia mente continua a rifiutarsi di fare progressi, paralizzata da una sensazione che non saprei ben definire, ed incaponitasi a rievocare una serie di domande alle quali tuttora non riesce a dare risposta.
È cambiato qualcosa oppure no? E in che senso? Se il mio approccio alla situazione è diverso, è perché il mio entusiasmo si è affievolito… o, al contrario, è stato alimentato? Oppure si tratta solo di una confusione momentanea?
Torno alla realtà, ricordandomi che mi trovo nell’Aula Magna della mia facoltà, che il mio docente di biochimica sta spiegando una cosa importante e che, in teoria, sarebbe opportuno seguirlo per evitare di essere strigliato all’esame orale.
“Smettila di distrarti e prendi appunti!”, mi ordina una parte di me.
“Non sei abbastanza lucido per prestare attenzione alla lezione. Ti conviene andartene”, mi suggerisce l’altra.
Vince la seconda.
Prendo la mia cartella, mi alzo dalla scomodissima sedia e, cercando di evitare il contatto visivo con l’insegnante, mi incammino a passo lesto verso l’uscita dell’aula.
 
 
«Leorio!», mi chiama Pietro, un mio caro amico d’infanzia e collega – che frequenta la mia stessa facoltà, ma ha scelto psicologia –, venendomi incontro appena esco dal bagno, «Credevo fossi già tornato a casa!»
«Ho preferito aspettare te e gli altri per salutarvi», chiarisco.
«… Quindi non sei dei nostri? Abbiamo pensato di pranzare tutti insieme in una panineria qui vicino».
«Vi ringrazio tantissimo, ma oggi mi va di mangiare qualcosa per conto mio», declino forzando un sorriso, «Sono rimasto un bel po’ in questo corridoio, e ora ho proprio voglia di rintanarmi in un posto più confortevole».
«Ti senti male?», mi domanda preoccupato, corrugando la fronte.
«Solo molto stanco…», preciso, «… e frastornato. Sono dovuto uscire dall’aula perché avevo mal di testa».
«Capisco… Allora riposati».
«Lo farò», asserisco riprendendo in mano la mia cartella, «Scusatemi se non vengo con voi».
«Tranquillo. Ci rifaremo un altro giorno».
 
 
Mentre percorro la strada di ritorno, assumo un’espressione particolare: emana contentezza e apprensione allo stesso tempo.
In realtà, non sono per niente dispiaciuto di aver abbandonato per un pomeriggio i miei amici; mi sono, al contrario, liberato dal fardello di trovare una scusa plausibile che camuffasse le mie vere intenzioni.
Quest’attesa, questa curiosità mi sta distruggendo. Devo assolutamente tornare a casa e accendere il PC, perché lui, ieri sera sul tardi, ha visualizzato dopo una settimana il mio ultimo messaggio, e stamattina potrebbe avermi risposto.
In questo frangente di tempo, i miei soliti dilemmi interiori passano in secondo piano; ciò che mi circonda – il caos cittadino, il frastuono dei clacson delle automobili, le persone che mi passano vicino o contro cui vado, talvolta, a sbattere per l’eccessiva rapidità dei miei passi – perde gradualmente la sua nitidezza e rilevanza. Non sento neanche il bisogno di prendere coscienza della strada che sto percorrendo, avendo ormai memorizzato alla perfezione il tragitto; le mie gambe si muovono senza la mia volontà.
La mia priorità assoluta, in questo momento, è: voglio sentirlo e sapere come sta. Tutto qui.
 
 
 
•••
 
 
 
Kurapika
Ciao. Perdonami, avevo intenzione di scriverti prima, ma in questi giorni mi sono sentito male. Sono stato portato in ospedale perché il mio cuore e la mia respirazione mi stavano causando problemi. I medici hanno detto che fisicamente non ho nulla di grave, ma domani dovrò fare altri accertamenti. Mi sono state anche prescritte delle medicine che dovrebbero migliorare la mia condizione. Adesso mi sento un po’ meglio, ma sempre molto debole.

 
 
Rileggo il messaggio almeno dieci volte; non so se per carpirne bene il contenuto, assorbirne ogni informazione e cominciare ad immaginarmi le situazioni da lui brevemente narrate, o perché effettivamente mi mancasse ricevere un “saluto” da parte sua.
La mia consolazione, provata poco fa nell’aprire la chat di Facebook e scorrere con gli occhi quel breve testo scritto da lui in maniera – come al solito – impeccabile, lascia presto spazio ad un senso di amarezza, mischiata ad altre emozioni discrepanti.
Mille voci cominciano a farsi sentire nella mia testa, alcune delle quali più definite, risonanti.
“Non dev’essere stato facile per te vivere queste giornate… Mi dispiace tantissimo.”
“Porca miseria, perché devono capitare tutte a lui!?”
“Non chiedermi scusa ogni volta! Non è mica colpa tua!”
“Vorrei essere lì a sostenerti…”
“Diamine, sei bravo a farmi preoccupare! Perché vieni a raccontare i tuoi tormenti sempre a me!?”
“Forse… sono l’unico che ha voglia di ascoltarlo ed è capace di comprenderlo.”
“È logico che i medici non ti hanno trovato niente! Tutto risiede nella tua testa!”
“Quella dannata malattia è tornata a farti soffrire…”
Per ora non mi va di rispondergli. Penso di potermi permettere un leggero ritardo, dato che il signorino si prende spesso la briga di replicare dopo più di un mese.
Non sono dell’umore adatto per tentare di consolarlo in qualche modo. La mia vena egoistica mi spinge d’un tratto a pensare che, prima di tutto, avrei bisogno io di un conforto per alleviare le mie titubanze.
Promettendomi di scrivergli non appena mi sarei sentito consapevole di come mi conviene esprimermi, chiudo la finestra di Facebook e vado a coricarmi sul letto della mia camera, vinto da un’improvvisa fiacchezza.
Sono stanco, ma non assonnato. Chiudo gli occhi e sono subito investito da una raffica di ricordi, proiezioni mentali di momenti passati a parlare con quel ragazzo ed attimi in cui ammiravo le sue fotografie sul suo profilo, rapito da quegli occhi, da quello sguardo carico di determinazione e infelicità allo stesso tempo.
Quante ore passate davanti al PC a chiacchierare con lui, discutere, ridere, confortarlo…
Quante gioie, quanti rimpianti… Quante volte ho pensato “Sarebbe stato meglio non averlo conosciuto” e quante volte, invece, ho esclamato “Questa persona è la mia salvezza!”.
Quante pene sto tuttora continuando a provare per uno che in realtà non ho mai incontrato, di cui non ho mai sentito la voce.
Eppure… eppure… in questo momento è tutto quello che ho, che desidero. E diamine, detesto ammettere questa cosa.
Perché? Perché? Non smetterò mai di chiedermi perché un completo sconosciuto abbia fatto irruzione in modo così impetuoso nella mia vita, stravolgendola con dolceamara irruenza.
C’è qualcosa di lui che voglio salvare; non so ben renderlo concreto, dargli una definizione. Non lo conosco nemmeno, perciò mi chiedo cosa significhi questo mio folle atteggiamento morboso.
Forse mi piace essere cinico con me stesso, terribilmente ragionevole. Lui è così tragico, meraviglioso… e questo già basta a suscitare la mia profonda ammirazione.
 
 
 
•••
 
 
 
 
Kurapika (8 Settembre 2011, 23:03)
Ho notato che hai provato ad includermi in molti post, ma non ho potuto rispondere ad essi. Non voglio che pensi ti sia irriconoscente o sia snob, motivo per il quale ti sto scrivendo adesso. Apprezzo la tua gentilezza. Ricevo raramente questa affettuosità, quindi… grazie. Non preoccuparti di rispondere al messaggio, ma sarei felice se lo leggessi. Grazie ancora.
Leorio (9 Settembre 2011, 10:32)
Oddio, sono troppo contento di risentirti! Mi è mancata tantissimo la tua presenza, la tua… cortesia. Ecco perché ti ho taggato in tutti quei post! Non sei affatto snob; il tuo messaggio mi ha riempito di gioia. Grazie a te per avermi cercato!
Kurapika (9 Settembre 2011, 12:09)
Questo caldo benvenuto ha rafforzato la bella immagine che ho di te. È una delle ragioni per cui ti ho subito cercato dopo il mio ritorno e per cui non ho permesso al mio lato negligente di corrompere il mio desiderio di dare una spiegazione, per il bene di qualcuno che mi ha mostrato una grande cordialità. Credimi, mi sei mancato anche tu.
Leorio (9 Settembre 2011, 12:28)
Se tratti con questa gentilezza anche i tuoi amici, posso dire che sono veramente fortunati ad averti accanto! Non ho mai creduto che tu mi avessi abbandonato. Sì, su Facebook puoi conoscere un sacco di fantastiche persone!
Kurapika (9 Settembre 2011, 12:51)
Beh, sei uno dei pochi che hanno mostrato un certo entusiasmo per la mia “gentilezza”, giacché non ho tanti amici. Non ti ho abbandonato; ho avuto solo… un po’ di problemi da affrontare. Credo di stare bene adesso. Comunque, se fosse stato unicamente per me, non avrei fatto questa sparizione improvvisa.
 
 
Leorio (28 Settembre 2011, 12:44)
Santo cielo, quante domande! Capisco il tuo interesse… ma perché non cerchi tutte le informazioni sul nuovo personaggio su Internet?
Kurapika (28 Settembre 2011, 15:04)
Non le cerco perché non mi interessano le risposte impersonali. Siccome sembravi abbastanza entusiasta di rispondere alle mie domande, ho pensato che leggere la tua opinione soggettiva sull’argomento potesse rivelarsi più intrigante. In sintesi, preferisco sentire quello che dici tu. Mi dispiace se ti sto assillando.
Leorio (28 Settembre 2011, 15:42)
… Wow, sono orgoglioso di me stesso! Sono contento che ti fidi delle mie informazioni! Beh, allora… parlando di Hazel (…)
 
 
Leorio (3 Ottobre 2011, 20:03)
Domani ricomincio ad andare all’università. Che palle…
Kurapika (3 Ottobre 2011, 20:14)
Purtroppo ogni periodo di vacanza deve giungere al termine, prima o poi. Ti consiglio di crearti un programma personale nel quale alterni le ore di studio, di riposo e di svago, e cerchi di rispettarle.
Leorio (3 Ottobre 2011, 20:20)
Sì, mi conviene… altrimenti non passerò un periodo sereno.
Kurapika (3 Ottobre 2011, 20:28)
E non oberarti di lavoro! Può avere impatti negativi sulla tua psiche e sul tuo rendimento.
Leorio (3 Ottobre 2011, 20:31)
Vedrò di organizzarmi in maniera decente.
 

 
 
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Il rumore del citofono echeggia per tutta la casa, giungendomi nitido alle orecchie, come se il suono provenisse dal mio comodino. Riapro a fatica gli occhi, sentendomi spaesato. Avvicino il braccio sinistro al viso: il mio orologio da polso segna le quattro e mezza. Realizzo di aver dormito per quasi tre ore – cadendo in un sonno profondo mentre ero impegnato a rievocare certe conversazioni –, strabuzzo gli occhi e me li strofino energicamente per acquistare lucidità.
Detesto quando questo capita. Avrei dovuto iniziare a studiare almeno un quarto d’ora fa… e non ho neanche pranzato.
Mi alzo dal letto in modo repentino per dirigermi in salotto; ciò mi provoca un forte capogiro e mi annebbia la vista, quindi sono costretto a fermarmi e appoggiarmi al termosifone. Intanto, il rompiscatole di turno suona ancora una volta.
«Arrivo, cazzo…», mormoro pur sapendo che non può sentirmi. Barcollo fino a raggiungere il citofono.
«Chi è?»
«Leorio, ti disturbo? Posso salire?», risponde una voce a me familiare.
«… Pietro?»
 
 
Il mio collega si è accomodato sul piccolo divano di fronte alla TV, a fianco alla sedia dove io sono seduto.
Alterniamo rapide occhiate ad attimi in cui evitiamo il contatto visivo. Non so se lui si comporti così perché voglia parlarmi di una cosa, ma non sa come iniziare; però, ho capito perfettamente che ha notato il mio strano atteggiamento di stamattina e si è preoccupato.
Tipico di lui. È impossibile nascondergli qualcosa: troppo perspicace, troppo protettivo nei miei confronti.
«Mi sembri un po’ assonnato», esordisce accennando un sorriso.
«Stavo dormendo…», gli faccio sapere, «… ma non ti preoccupare. Anzi, ti ringrazio per avermi svegliato».
Senza aspettare oltre, proseguo.
«Come mai questa visita?»
«… Beh, dovresti intuirlo», mi risponde, «È da parecchi giorni che ti vedo molto strano, svogliato, distratto».
Sospiro. Come immaginavo.
«Va tutto bene? Sai che puoi confidarti con me», mi comunica.
«Nominami una persona a cui vada sempre tutto bene», replico con tono seccato, «Non mi sento al 100%, ma è una sensazione perenne; semplicemente, oscilla tra il 40 e l’80%».
«… Ho capito», conclude, «Dato che non hai voglia di parlarmene, tolgo il disturbo».
Spinto da un improvviso ravvedimento, poso una mano sulla sua spalla per impedirgli di alzarsi dal divano.
«Scusami, non volevo risultare antipatico. Ti prego, resta», gli dico.
Subito dopo, rifletto sulla mia ultima frase e faccio di tutto per camuffare un’espressione perplessa.
Perché voglio che resti? È solo per fargli un piacere e non comportarmi in modo ancora più sgarbato… o per potermi “sfogare” con lui riguardo alla questione di quel ragazzo?
So perfettamente di aver bisogno di un appoggio, un consiglio… ma come faccio a parlargli di una cosa del genere senza essere preso per pazzo? Pietro mi capirebbe anche stavolta?
«Leorio?», mi riporta alla realtà, svegliandomi da un attimo di riflessione, «Puoi parlare, ti ascolto».
Distolgo lo sguardo e abbasso la testa, lasciandomi sfuggire uno sbuffo. Mi sistemo meglio sulla sedia, chinando la schiena in avanti e poggiando i gomiti sulle gambe. Comincio a giocherellare nervosamente con le mie mani, scervellandomi per iniziare la conversazione in maniera decente.
«Si tratta di una persona», rivelo dopo qualche secondo.
Lui annuisce.
«Una persona… alla quale non riesco a smettere di pensare», aggiungo.
Il volto del mio amico si illumina e dalle sue labbra traspare un sorriso sornione.
«È l’effetto che ti fanno le belle ragazze, no? Comunque, non ti credevo capace di sentirti così giù per questo motivo. Non mi dici sempre che è impossibile, per uno come te, provare interesse per una sola donna?»
Stringo i denti e gli faccio una smorfia. Non so se essere più infastidito perché tutto quello che mi ha ricordato è uscito veramente dalla mia stupida bocca, o perché stavolta non è una persona del sesso opposto a farmi perdere la testa.
«Sto parlando di un ragazzo», lo informo senza guardarlo in faccia, «Un ragazzo… che credevo fosse una ragazza».
Gli lancio una rapida occhiata. Il suo volto è dipinto di stupore.
Voglio sotterrarmi.
«… Che intendi dire?», mi domanda, «Come hai fatto a… confonderlo?»
“Faresti il mio stesso errore, se vedessi una sua foto”, è il mio immediato pensiero.
«Provo qualcosa per questo ragazzo, che prima credevo fosse una ragazza. Ti è chiaro il concetto?», arrivo al dunque.
Non replica, ma mi fissa ancora più sbigottito.
Ciò mi fa innervosire.
«Ecco, sapevo che mi avresti dato del folle!», sbotto alzandomi dalla sedia e dirigendomi senza un motivo verso la porta d’ingresso.
«Ma io non ho detto niente!», controbatte Pietro alquanto confuso.
«L’hai pensato!», insisto.
«No, l’hai ipotizzato! Ora non posso esibire un minimo di stupore? Non ti sto assolutamente giudicando! Sono solo molto curioso», si giustifica.
«… Ok, ok. Va bene, ok. Hai ragione, scusami», comincio a farfugliare, maledicendomi per non saper – come al solito – mantenere la calma.
Faccio un respiro profondo e mi siedo di nuovo.
«Puoi spiegarmi tutto in maniera più… ordinata?», mi domanda, «Chi è questo ragazzo? Lo conosco, per caso?»
«No, no… In teoria, io stesso non posso dire di conoscerlo», gli confido.
«Cioè?»
«È un… amico di penna».
«Davvero? Come l’hai conosciuto?»
«Sai che amo i videogiochi, no? “Tales of brave hearts” è il mio preferito. Ebbene, lui… un tempo interpretava Heléna, uno dei personaggi femminili più importanti», gli spiego.
«… Quindi faceva roleplaying?»
«Esatto. Si fingeva Heléna su Facebook».
«Fammi indovinare: hai cominciato a parlargli perché gli hai chiesto l’amicizia e ti sei divertito a dialogarci, facendo finta che fosse quel personaggio», suppone accennando un riso.
«Mi prendi per un otaku sprovveduto? Non l’avrei mai fatto utilizzando il mio vero profilo!».
«Ah, ne hai un altro?»
«Da tanti anni, ma non te l’ho mai detto. Io interpreto uno dei protagonisti, Jasper, che nel videogioco è innamorato di Heléna. Le nostre prime “conversazioni” sono avvenute all’interno di un GDR… perciò, era come se non stessimo dialogando».
«In pratica, non vi conoscevate ancora, pur avendo l’occasione di comunicare. Non sapevate nemmeno i vostri veri nomi!», considera.
«Già. Eppure, eravamo talmente presi da questa cosa – che agli occhi di un estraneo può sembrare una cazzata – da aver continuato ad immergerci in quell’atmosfera per un anno intero, esattamente nel 2010».
Il mio collega sbatte incredulo le palpebre.
«Stai parlando di quattro anni fa?», chiede conferma.
«Beh, siamo nel 2014, quindi mi sa proprio di sì», rispondo con una punta di ironia, «Come avrai notato, il periodo in cui ruolavamo si è concluso molto presto; la passione per quel videogioco ha abbandonato specialmente lui. Inoltre, aveva altri problemi di cui occuparsi, sia di famiglia e sia di salute. È un ragazzo abbastanza cagionevole. Pensa che, talvolta, non si faceva sentire per mesi. Anche in questo periodo ne sta passando tante… Ah, ovviamente mi aveva chiesto l’amicizia col suo vero account, però gli ho fatto sapere che anch’io ne avevo uno personale; così gli ho mandato di nuovo la richiesta col mio vero profilo. Quindi, da quel momento abbiamo iniziato a conoscerci meglio e…»
Mi rendo conto di starmi dilungando, esponendo un sacco di informazioni in una volta sola; così mi zittisco e osservo il mio amico, aspettando che parli.
«Leorio…», comincia infatti a dire, «… non mi è chiara una cosa. Come mai, se vi conoscete da tanto tempo, sei diventato “timoroso” sulla vostra amicizia solo adesso?»
«L’ho spiegato prima: perché lo credevo una ragazza fino a qualche settimana fa».
Non saprei descrivere con precisione la sua smorfia; posso, però, intuire che è più confuso di prima.
«Spiegati», mi ordina trattenendo una risata, «Come diavolo hai fatto?»
«Interpretava un personaggio femminile, no?», rispondo seccato, arrossendo lievemente.
«Sì, ma poi hai potuto scoprire il suo nome e il suo aspetto!»
«Non è servito a nulla!», contesto alzando il tono della voce e sollevando le mani.
«E come si chiama questa persona!?»
«… Kurapika», rivelo un po’ imbarazzato.
Udito ciò, Pietro inarca un sopracciglio e confessa: «Ok, è un nome ambiguo per un ragazzo. Non l’ho mai sentito».
«Lui è di Lukuso, un paesino che fa parte di un’isola confinante con la Federazione Ochima. Non è Itarigino come noi».
«E non te ne sei accorto dalle foto?», cambia argomento.
«Nemmeno. Sembra assurdo, ma è la verità!»
«… Fammene vedere una», mi intima scettico.
Mi rifiuto senza pensarci su; forse per un’illogica gelosia e timore che l’incredibile bellezza del suo viso possa suscitargli qualcosa, o forse per non avere la conferma di essere l’unico scemo ad aver visto una donna in quell’immagine.
«Ciò non ha importanza! Adesso stiamo parlando del mio sbaglio e dei miei sentimenti insensati!», ribadisco nervoso.
«Non l’avevi capito nemmeno dalle vostre conversazioni?», insiste, «Ti sarai rivolto a lui usando aggettivi al femminile, no?»
«Dimentichi che nella lingua degli Hunter non ci sono distinzioni di genere, purché non si usi un pronome», gli ricordo, «Lui non parla la mia lingua ed io non parlo la sua; perciò, utilizziamo l’alfabeto degli Hunter, che ormai è conosciuto da tutti».
«… È pazzesco!», giudica esterrefatto.
«Come quello che provo», aggiungo quasi mormorando. Non sentendolo replicare, prendo coraggio e continuo. «Non so perché… ma questa persona mi è interessata ancora prima di conoscere il suo aspetto fisico. Mi sono accorto da subito che aveva qualcosa di diverso rispetto a coloro con cui normalmente parlo o mi sento per messaggio. È… di un altro livello. La maniera in cui si esprime, con cui si approccia… la sua profondità e fragilità mentale… lo rendono quasi un essere trascendentale, non adatto a questo mondo».
Mi interrompo forzatamente per non far sembrare l’apprezzamento troppo ridicolo.
«Quindi…», comincia a supporre lui, «… ti ha colpito prima di tutto la sua personalità, la sua anima».
«Sì. Il sentimento che già provavo era spirituale, platonico… ma ovviamente mi piaceva anche immaginarmi come potesse essere fisicamente – prima di “vederlo” –, affibbiandogli le migliori qualità…»
«… femminili», si intromette sorridendomi in modo benevolo, «Insomma, l’hai idealizzato in quel modo».
Sospiro.
«Poi sono venuto a conoscenza del suo vero profilo e aspetto. Non era come me l’aspettavo: era piatta e non tettona, bionda e non mora, con la pelle pallida e non abbronzata, esile e non formosa, bassa di statura… e si vestiva sempre in modo strano. Tuttavia, il mio interesse per lei non era diminuito; anzi, la vedevo perfetta nelle sue imperfezioni, sia fisiche e sia caratteriali».
Faccio una breve pausa.
««È proprio qui, l’errore! Nonostante avessi visto questa persona, continuavo comunque a credere che fosse una ragazza!»
Osservo il mio collega e giungo le mani.
«Te lo giuro, Pietro: Kurapika non ha niente, niente di mascolino… o forse ben poco – a parte quello, che non posso vedere nelle foto –, come per esempio alcuni aspetti della sua costituzione. A prima vista, però, non ti verrebbe neanche da dubitare! È stato lui a dirmi di essere un maschio, per giunta solo poche settimane fa! Sono in stato di shock, ed è più che plausibile!»
Vedo che trattiene una risata.
«Ti senti turbato solo per aver fatto una figuraccia?», mi chiede.
«Certo! Ti sembra poco!?»
«Però ora vi siete chiariti, no?»
«… Sì»
«E continuate a sentirvi, giusto?»
«Sì»
In quel momento, appoggia un braccio sullo schienale del divano e mi domanda con aria perplessa: « E allora qual è il problema?»
Resto ammutolito diversi secondi, continuando a scrutarlo, aspettando – e pregando – di sentire che sia uno scherzo e ha afferrato ciò che sto tentando di spiegargli da mezz’ora.
Tutto quello che fa è accentuare la sua fastidiosa smorfia dubbiosa.
«Qual è il problema?», ripeto sconcertato, «Qual è il problema!?»
Sbatto con rabbia i palmi delle mani sulle mie cosce e mi alzo di nuovo dalla sedia.
«Ho fantasticato – persino sessualmente – per tutto questo tempo su una persona che si è rivelata del mio stesso sesso!», erompo agitando le braccia, «Capisci la gravità della situazione?»
«Ma non è colpa tua!», esclama, «Non ci avevi fatto caso! Adesso la questione è risolta, no? Hai capito che è un maschio e hai messo a tacere i tuoi ormoni».
«E invece no!», controbatto, «Credevo, speravo potesse cambiare qualcosa fra noi due, ma è rimasto tutto dannatamente uguale, persino i miei sentimenti. Chiaro, all’inizio ero scioccato e avevo tentato di assumere un atteggiamento distaccato… ma dopo neanche una settimana, la mia voglia di risentirlo e di portare avanti questa pseudo-relazione è diventata più forte di ogni mia forma di “prevenzione”. Continuo a desiderare la sua presenza nella mia vita, continuo a sognarlo e a fare pensieri indecenti su di lui, continuo ad immaginare me vivere assieme a lui una serie di momenti, anche erotici, che forse non accadranno mai! E, più di ogni altra cosa, mi scombussola che questo non mi faccia minimamente schifo! Per quanto, talvolta, finga di non provare niente o ripeta a me stesso che tutto ciò mi deve disgustare… in realtà non ci credo! Non so perché, non so per quale stregoneria di quel ragazzo… non posso negare di essere attratto da lui».
Aggrotto la fronte.
«Non importa che sia maschio o femmina: il mio legame rimane comunque saldo. Non faccio più finta che sia ciò che non è: lo trovo… affascinante semplicemente osservando le sue foto, spogliandolo con gli occhi, figurandomi il suo corpo maschile delicato e perfetto…»
«Ho capito tutto», mi interrompe lui, «Leorio, non credo non abbia già intuito quello che ti sta succedendo».
Punta un dito verso di me e incurva le labbra in un sorriso.
«Si tratta di nuove consapevolezze a cui non puoi sottrarti… e che possono subentrare in qualsiasi momento della tua vita», comincia a supporre con fare – a mio parere – un po’ saccente, «In altre parole, sto parlando del coming…»
«NO!», urlo senza lasciarlo concludere, fissandolo con occhio torvo, «No, no… e no».
Ripeto la parola altre dieci volte, non curandomi del mio collega che mi chiama, e tappandomi pure le orecchie.
«LEORIO, COSA C’È DI SBAGLIATO?», grida a sua volta per farsi sentire, «Ti turba tanto la possibilità che tu sia…?»
«Non dire–quella–parola», scandisco con aria minacciosa, «Non è possibile che, di punto in bianco, abbia “cambiato sponda” per colpa di un effeminato! Io adoro ancora le ragazze: mi fanno impazzire. Ho frequentato un sacco di belle donne nella mia vita, e non ho mai, mai provato, in tutti questi 20 anni, il minimo sentimento per un ragazzo. Anzi, appena ne vedo uno di bell’aspetto e popolare, mi ingelosisco e gli auguro le peggiori figure di merda!»
Devo riprendere fiato, perciò freno la mia lingua e faccio dei respiri profondi.
«A una persona possono piacere entrambi i sessi», ribatte Pietro.
«È un’assurdità!»
«Perché? Esiste e si chiama bisessualità».
«È sbagliato!», mi correggo, «È una cosa… troppo strana, che non mi può appartenere. Può darsi che sia solo una “cotta” passeggera, che sia infatuato solo perché inconsciamente ho viva la memoria di un Kurapika del sesso opposto, che sotto sotto speri mi abbia detto una bugia e, perciò, continuo a perseverare».
«Può darsi…», risponde, «… ma sta di fatto che ciò che provi per lui non è una cosa comune. È molto più di una semplice amicizia, anche se non sai definirla bene».
«Un’eccezione non fa la regola», ribadisco, «È solo una sbandata, un’illusione che mi sto facendo».
Il volto del mio amico si fa più annoiato.
«Se la presenza di Kurapika ti sta creando questi problemi, ti consiglio di allontanarlo», mi dice.
Ci rifletto un po’.
«Non posso, ci sono troppo affezionato… e lo ferirei», replico.
«Allora digli quello che provi».
Sollevo le sopracciglia e lo guardo sbigottito.
«Ma sei matto!?», sbotto.
«Hai intenzione di tenertelo dentro per sempre?»
«Ma perché dovrei dirglielo adesso!?»
«Ti conviene toglierti il dubbio sull’essere ricambiato oppure no».
«Come faccio a parlargliene se non sono neanche certo di quello che provo!? Inoltre, mi darebbe sicuramente un due di picche, si spaventerebbe e si allontanerebbe!»
«Non lo puoi mica sapere! E se reagisce così, non importa: significa che fra voi non può succedere niente e che lui, in un certo senso, non ti merita».
Scuoto la testa mentre emetto un brontolio.
«Credi sia facile fare così? In quel caso, ne soffrirei io! A questo punto, preferisco continuare ad illudermi!», stabilisco.
Dopo aver alzato gli occhi al cielo, visibilmente esasperato, Pietro abbandona il divano su cui l’ho fatto accomodare e si avvicina a me, poggiando una mano sulla tavola da pranzo a fianco a noi.
«La verità, caro mio, è che dai poca importanza ai tuoi bisogni perché dipendi da chi ti circonda», sentenzia.
«Cosa vuoi insinuare?»
«Due cose. Primo: sei troppo benevolo nei confronti di Kurapika, e sei addirittura disposto a soffocare i tuoi sentimenti per non confonderlo o per timore che non ti voglia più parlare. Secondo: fatichi ad accettare la tua condizione perché hai paura di un giudizio negativo degli altri».
«… Eh?»
«In altre parole, non vuoi rovinarti la reputazione».
«… Ma che stronzata! Io penso con la mia testa!», smentisco stizzito.
«Ha parlato quello che è famoso nella facoltà per dare voti alle ragazze e che scommette sulla loro verginità per guadagnarsi la simpatia degli studenti più ribelli e sciupafemmine. Ha parlato colui che si ostina a comprare roba di marca per fare bella figura, che concorda su certi argomenti sebbene, in realtà, abbia una visione ben diversa della questione…»
«Che c’entra con l’essere bisessuale!?», lo interrompo.
«Secondo te, cosa succederebbe se si scoprisse questo piccolo segreto?»
«… Verrei considerato in maniera diversa da prima, sicuramente peggiore; sparlerebbero di me dalla mattina alla sera e circolerebbero dicerie», replico.
««E questa possibilità ti spaventa, dico bene? È esattamente il motivo per cui ti ostini a non accettare il cambiamento e ritenere di non essere normale. Ciò che non è ordinario ti opprime!»
«Quanta filosofia…», mormoro infastidito, voltandogli le spalle e allontanandomi da lui, «Smettila di vaneggiare…»
So quanto lui ami discutere di cose che vertono sui comportamenti sociali e psicologici, ma adesso non mi interessa assecondarlo.
«Comunque, stai dando per scontata questa mia sessualità… cosa di cui non posso essere ancora certo. Se una persona fosse tale, si noterebbe! I suoi modi di fare non sarebbero consueti!», insisto, «Ti sembro, per caso, un ragazzo particolare e “sospettabile”?»
«Hai presente il nostro collega William, che gioca nella squadra di basket della nostra città, che è fidanzato con Arianna ed è, in generale, ben voluto e stimato?», comincia a chiedermi, «È bisessuale. Me l’ha confessato una settimana fa mentre stavamo chiacchierando».
Rimango alquanto scioccato dalla notizia.
«William? Davvero!?», prorompo aggrottando la fronte, «Non l’avrei mai detto!»
«Ti ricordi Serena, una nostra vecchia collega che ha deciso, poi, di intraprendere lo studio delle lingue?», prosegue, «L’ho sentita l’altro ieri e ho saputo che ha una relazione a distanza con una ragazza di York Shin. Contano di vedersi per la seconda volta quest’estate».
Non rispondo. Mi limito solo ad accentuare la mia espressione stupita.
«Entrambe queste persone sono in pace con se stesse e con gli altri, pur essendoci chi è a conoscenza della loro peculiarità. Il trucco è circondarti di veri amici che ti accettano per quello che sei e ti difendono, allontanarti da coloro che possono ledere la tua autostima e non curarti degli eventuali pettegolezzi», spiega, «Penso che ti blocchi soprattutto questo. Una volta risolto, potrai prenderti cura di Kurapika».
«Pietro…», mi viene da dire, ma non riesco a proferire altro.
Continuo a fissarlo con ammirazione. Non so se sentirmi incredulo, confuso, soddisfatto, incuriosito, basito… L’unica certezza è che sono pervaso da una sensazione più benefica della precedente; anche se attualmente mi rifiuto di confessarglielo, ammetto che le sue parole mi sono state di grande aiuto e che avevo bisogno di questa specie di seduta psicologica.
Mi viene da abbracciarlo, ma mi trattengo per una questione di stupido orgoglio.
«Ora è meglio che vada e ti lasci studiare», mi comunica intanto, osservando il suo orologio da polso.
«Mi hai fatto compagnia», sussurro mentre mi si avvicina.
In quell’istante, mi dà un’affettuosa pacca sulla spalla, dicendomi: «Per quanto mi riguarda, sappi che fra noi non cambierà niente. Sei e rimarrai uno dei miei amici più cari».
Chino la testa con lieve imbarazzo e, accennando un sorriso, gli rispondo con un quasi impercettibile «Grazie».
 
 
 
•••
 
 
 
Leorio (27 Luglio 2013, 22:14)
A breve comincia la nuova sessione dell’esame Hunter, ma è troppo tardi per iscriversi… Se avessi più soldi e tempo libero, parteciperei sicuramente, magari per fare carriera come medico! E tu? Sosterresti l’esame con me?
Kurapika (27 Luglio 2013, 22:29)
Non so se lo farei. Certo, può suonare allettante alle orecchie di qualcuno che è facilmente suggestionabile a certi tipi di esperienze; però, una volta immerso in quell’atmosfera pericolosa, nella quale c’è la sua vita in gioco, finisce per ricredersi e rimanerne turbato. Inoltre, io non avrei motivi solidi per partecipare; è meglio che continui a badare alla mia famiglia.
Leorio (28 Luglio 2013, 8:40)
Mmh… sì, forse hai ragione. Bisogna ricordare che solo poche persone riescono a passare quel test. Non sono nemmeno certo che possa sopravvivere; anzi, direi che per uno come me è impossibile. Tu cosa ne pensi? Fallirei tutte le prove?
Kurapika (28 Luglio 2013, 10:35)
Psicologicamente parlando, ritengo tu sia capace di superarle. Sei sagace e determinato; tuttavia, sei anche cosciente che non tutte le battaglie possono essere vinte al primo tentativo, e quindi non ci pensi due volte a ritirarti per salvarti la vita e preservare la tua forza per un secondo round. In più, penso tu possieda un notevole carisma che attira a te le brave persone. Ti circonderesti di amici leali. Non so se sia fisicamente adatto a resistere a certe prove; questo devi saperlo tu. Io, invece?
Leorio (28 Luglio 2013, 14:10)
… Wow, haha! La mia autostima è alle stelle! Mi fa piacere che pensi questo di me! Anch’io sono convinto che non falliresti. Sei una persona intelligente e colta; possiedi uno spirito molto critico e rifletti prima di agire. Forse saresti anche abile ad ingannare qualcuno o persuaderlo! Non so se il tuo fisico reggerebbe certi tipi di sforzi…
Kurapika (28 Luglio 2013, 16:04)
Mi lusinghi! Forse non dovrei vantarmi di essere capace di “manipolare” qualcuno, ma penso tu abbia ragione a dire che potrei eccellere in quel campo. So recitare bene, se necessario, e la mia espressione impassibile è molto convincente. Comunque, ora come ora, non ho alcuna intenzione di approfittare degli altri. È vero che ho un fisico molto fragile, ma conservo anche una gran testardaggine; mi allenerei finché non mi rendo accettabile per gli standard dell’esame.
 
 
Leorio (15 Marzo 2012, 17:02)
(…) e quindi ho litigato di nuovo con lui. So che è per uno stupido motivo, ma il suo atteggiamento non è mai stato facile da sopportare! Sono esploso; che posso farci? Arrabbiarmi facilmente è una cosa propria del mio carattere, purtroppo…
Kurapika (15 Marzo 2012, 17:11)
Beh, essere irascibile può non rivelarsi un così grande difetto, se giustificato. Anch’io posso perdere il controllo per una sufficiente provocazione. In più, ti vedo come il tipo di persona che si arrabbia perché non smette mai di avere a cuore i suoi amici e di interessarsi a loro.
Leorio (15 Marzo 2012, 17:15)
… Hehe, ti ringrazio per il supporto! Forse, però, mi conviene imparare a controllare la mia “furia”, anche se – come giustamente hai detto – è solo un mio modo rozzo per spronare gli altri a ragionare.
Kurapika (15 Marzo 2012, 17:26)
Se permetti un’altra analisi… penso sia anche una persona a cui piace passare del tempo con i suoi amici ma che, allo stesso tempo, fatica ad aprirsi completamente a loro. Tutto si ricollega al discorso del tuo carattere: sei tanto timido quanto diffidente, tanto schietto quanto fragile. È una fortuna stare accanto a persone come te.
 
 
Kurapika (13 Ottobre 2013, 19:16)
Non mi sembri un tipo bugiardo, né saresti capace di rendere una menzogna credibile. Stimo tantissimo la tua franchezza. Non penso che i tuoi complimenti nei miei confronti siano falsi; mi provocano sempre piacevoli brividi. Le tue parole lusinghiere hanno grandi effetti curativi su di me. Ti prendi cura del mio lato emotivo così bene che sembri quasi “programmato” per essere istintivamente capace di dire le cose che riescono ad alleviare il mio dolore al momento giusto. È un potere formidabile!
 
 
Kurapika (28 Novembre 2013, 22:05)
Onestamente, non ho mai creduto che tu sia una persona di indole spensierata. Mantieni sempre i tuoi “demoni” al guinzaglio quando parli con me, cosa che mi porta inevitabilmente a tentare di ricambiare il più possibile. Non pensare per un singolo istante che mi senta a mio agio quando accenno ai miei problemi, perché non è mia intenzione farti preoccupare. “Vuotare il sacco” mi fa sentire ogni volta vulnerabile; perciò, continuo a reprimere la mia agitazione e camuffarla con una maschera di placidità.
 

 
Finisco di bere la mia quinta tazzina di caffè e mi strofino con una manica del pigiama gli occhi arrossati.
Sto bazzicando le nostre vecchie chat dalle nove di sera; ora è mezzanotte, e riconosco che mi converrebbe spegnere il PC e andare a letto, perché altrimenti perderei almeno altre due diottrie e domani verrei catalogato come “esemplare di ameba ambulante”.
Raccontare certe cose a Pietro mi ha fatto tornare la voglia di rileggere alcuni messaggi; perciò, dopo essermi fatto un’altra dormita – una volta andatosene – e aver studiacchiato qualcosa di psicologia generale, ho aperto la chat di Facebook e ho utilizzato dei filtri per risalire a queste conversazioni.
Mi sono ricordato di parole come “hunter” e “supporto” perché il mio attaccamento a ciò che mi aveva scritto quelle volte è enorme, ed è impossibile dimenticarsene.
A distanza di anni, ancora mi chiedo come abbia fatto questo ragazzo “semi-estraneo” ad aver capito delle cose così rilevanti su di me, che bado sempre di tenere ben occultate.
È come se Kurapika mi conoscesse da sempre e sapesse quello che voglio sentirmi dire. Nessuno, a parte mia madre, mi ha mai rivolto quegli incoraggiamenti. Tutti mi giudicano sempre con superficialità; lui ha visto dietro la mia maschera, pur non potendomi neanche toccare.
Questa è una delle mille ragioni per cui gli sono tanto legato.
C’è stato un periodo in cui ho maledetto il destino per non avermi fatto vivere a fianco a lui; non riuscivo ad accettarlo, quindi mi inventavo qualsiasi scusa pur di incontrarlo, persino quella dell’esame Hunter – di cui, in realtà, non mi importa un accidente. Anche in quel contesto, che lasciava trapelare un velo di utilitarismo, lui si era dilettato a scandagliarmi ed elogiare alcuni aspetti del mio carattere di cui non  vado molto fiero, facendomi sentire la persona più importante del mondo.
Quei piccoli insegnamenti di vita, impartiti da un ragazzo a cui servono in ugual modo – ma che dà l’idea di essere schifosamente privo di difetti –, mi hanno fatto capire quanto abbia bisogno di lui e quanto perfezioni il mio essere.
Tuttavia, come sospettavo, non sono l’unico ad avere un disperato bisogno di affetto e aiuto. Non molto tempo dopo, anche lui ha manifestato i suoi demoni.
Ora i miei occhi non vogliono collaborare; chiudo la chat e senza ricordarmi di spegnere la luce sul mio comodino, mi accascio sul letto, vinto dal sonno nonostante tutta la caffeina ingerita.
 
 
 
•••
 
 
 
Martedì: un giorno come tanti.
Solita sveglia che non suona; solite bestemmie; solita faccia da uomo di mezza età disoccupato appena mi guardo allo specchio; solito nervosismo a fior di pelle che mi causano i latrati dei cani del vicinato, il rumore di un trapano alle sette del mattino e l’ennesima dose massiccia di espresso che si mescola alle rimanenze della precedente.
Stesso tragitto; stesse strade trafficate; stessa odiosa facoltà; stesse facce di persone conosciute, sia cordiali e sia rotte in culo; stesse lezioni alle quali partecipo solo fisicamente; stessa voglia di tornare a casa e passare il tempo a farmi complessi mentali.
Stessa noia mortale.
Immagino di ritrovarmi un nuovo messaggio da parte di Kurapika, ma mi viene in mente che non gli ho ancora risposto e mi maledico. Se mi comporto come di solito fa lui – il quale mi dà l’impressione che voglia farsi desiderare –, passo per una persona immatura.
Riesco ad incrociare Pietro solo una volta, durante l’intervallo fra la penultima e l’ultima lezione, mentre sta consumando una barretta al cioccolato.
Ho voglia di ringraziarlo di nuovo per il discorso di ieri, ma si aggregano di punto in bianco alcuni nostri colleghi che cominciano a parlare dell’esame più vicino.
Per fortuna, il mio amico è perspicace. Dopo qualche minuto, infatti, mi domanda: «Devi dirmi qualcosa?»
«Oh no, niente… o almeno, niente di importante», farfuglio con un sorriso da ebete stampato in faccia.
Approfitto di un momento di intenso scambio di opinioni fra gli altri colleghi per confessargli: «È che… sono fortunato ad essere tuo amico».
Il suo volto si dipinge di meraviglia.
«Come mai queste parole dolci?», chiede tanto contento quanto confuso.
«Beh, riesci sempre a tirarmi su il morale quando sono giù di corda, com’è successo ieri».
«Mi sembrava doveroso tranquillizzarti! Ti vedevo strano e avevo compreso che non ti andava di pranzare con noi», replica.
La mia espressione diventa, d’un tratto, perplessa. Mi sembra logico che mi stia riferendo a ben altro, no? Cosa c’entra quella piccolezza?
«Torniamo in aula: sta per cominciare la prossima lezione», mi esorta.
 
 
Per tutto il resto del pomeriggio ho riflettuto sulla sua bizzarra risposta e la sua apparente dimenticanza su quanto è accaduto.
Non sembrava che volesse tentare di preservare quel segreto fra noi due, né che si vergognasse o facesse finta di non sapere nulla.
Era come se l’avesse completamente dimenticato… e non era possibile!
Mi ha assalito un dubbio atroce, che mi ha portato a pensare di star diventando davvero pazzo.
Possibile che sia stato tutto frutto della mia immaginazione, che fosse tutto solo un sogno? Possibile che la mia mente sia capace di rendere così veritiero e tangibile un desiderio?
Sì, possibile. Dopotutto, stavo dormendo e avevo un perenne senso di stanchezza durante la presunta conversazione.
È probabile che avessi creduto di essere stato svegliato dal citofono.
Questa eventuale consapevolezza non mi ha lasciato un attimo in tranquillità, poiché non sapevo più come comportarmi con Pietro: se chiedere, in qualche modo, conferma o fare finta che tutto quadrasse, almeno per oggi.
 
 
 
•••
 
 
 
“… You're looking for a hero, but it's just my old tattoo;
tonight I swear I'd sell my soul to be a hero for you…”
 
 
Una volta tornato a casa e lanciato la mia cartella sul letto ancora disfatto, mi viene automatico darmi un pizzicotto sull’avambraccio per avere la certezza di non aver sognato il bizzarro scambio di parole con Pietro, così come l’intera giornata.
Niente. Sono ancora in piedi. Forse questa è la realtà.
Senza perdere altro tempo, corro a rispondere al messaggio di Kurapika.
 
 
Leorio
Ehi! Oddio, mi dispiace! Pensavo fossi impegnato in qualcosa, ma non credevo stessi affrontando un simile problema! Spero davvero ti senta bene adesso. Mi importa tanto della tua salute. Anche se stai fisicamente meglio, fai tutti gli altri accertamenti. Riposati, rilassati e cerca di non pensare a certe cose. Trovati un passatempo tranquillo e mangia cibi salutari; bevi anche molte tisane. Promettimelo. Penso sia tutta una questione psicologica; perciò, se fai così, ti sentirai certamente meglio. Conviene tentare di ricorrere a metodi naturali e non imbottirti di farmaci, come fai di solito. Sono con te col pensiero.

 
 
Invio il messaggio dopo averlo riletto e aver pregato di fare bella figura agli occhi di un ragazzo che, in quanto a padronanza del linguaggio, potrebbe scrivere un vocabolario.
Guardo il suo ultimo accesso: cinque ore fa.
Ottimo. Posso spulciare senza problemi altre nostre vecchie chat.
“Quando la finisci di sprecare tempo e ti metti a studiare?”, mi rimprovera una parte di me.
“Che ti importa? Tanto l’esame è ormai imminente e hai aperto a malapena quindici pagine di biochimica!”, mi istiga l’altra.
«… Fanculo», borbotto cominciando ad inserire una serie di filtri.
Mi viene voglia di rileggere una conversazione abbastanza vecchia, nella quale lui mi ha rivelato qualcosa sul luogo in cui vive e come vive lì.
Era da un po’ che volevo immergermi in quell’attimo pieno di scoperte e confessioni, sia perché rispolverare alcuni messaggi ieri sera me l’aveva fatto ricordare, sia perché ciò che ho da sempre intuito ha avuto un’ulteriore conferma nel suo ultimo recente messaggio.
Non so di preciso cosa provi nei miei confronti, ma so per certo che in me ha visto qualcuno a cui aggrapparsi – pur non rendendo forzata la presa –, qualcuno che lo può far evadere dalla monotonia quotidiana che egli stesso si è creato per impedirsi di sognare, qualcuno che in cuor suo ha sempre cercato.
Non sento che per lui io sia un vero e proprio amico, né tantomeno un amante; bensì un confidente, un “campione”, un ragazzo che ammira ma non imita.
L’ho capito esattamente quella volta.
 
 
Kurapika (27 Gennaio 2012, 11:45)
Lukuso era sicuramente un posto più… piacevole da visitare anni fa. Ora come ora, non ti consiglio di venire, perché sta crepitando di conflitti e avvenimenti violenti non controllati. Il nostro è un popolo molto piccolo, isolato in un villaggio circondato dalla campagna, ma – allo stesso tempo – troppo vicino alle grandi città; possiede le proprie usanze e professa la propria religione. Purtroppo, però, per via della nostra diversità e cosiddetto “sottosviluppo”, non siamo accettati dagli altri. Capitano spesso episodi di discriminazione, richieste di abbandono del nostro territorio e minacce di sterminio; in questo periodo più di prima.
Leorio (27 Gennaio 2012, 12:13)
… Ma è terribile! E quelli si credono più evoluti di voi!? Non sanno neanche cosa significhi il rispetto, la tolleranza e l’uguaglianza! Lukuso è un posto meraviglioso e pacifico, immerso nel verde e pregno di cultura. Ho visto alcune foto sul tuo profilo e ne sono rimasto stupefatto. Dev’essere un dolore per te, vivere la tua adolescenza in questo modo…
Kurapika (27 Gennaio 2012, 16:07)
Lukuso è il mio paese natale, e ho sviluppato un profondo attaccamento ad esso. È connesso a così tanti ricordi dolceamari che bramo il ritorno a quei tempi, a costo di rivivere tutto solo in un sogno. Comunque, credo nel mio popolo e riusciremo di sicuro a farci valere. Tu, invece? Che mi dici dell’Itaria?
Leorio (27 Gennaio 2012, 16:40)
Mah… anche qui non si sta al 100%, specialmente per quanto riguarda l’economia. Chiaro, abbiamo dei citrulli al governo… A parte questo, però, è una terra abbastanza sicura e visitabile.
Kurapika (27 Gennaio 2012, 18:01)
Sai, quando avevo 12 anni ho visitato l’Itaria con i miei genitori (mi pare in estate). Ci siamo divertiti un mondo ad esplorare i monumenti storici ed ammirare i fantastici paesaggi. Ho amato anche il cibo Itarigino, specialmente la pasta e la pizza.
Leorio (27 Gennaio 2012, 18:23)
Davvero!? Hahaha, mi fa piacere! Beh sì, almeno in questo siamo bravi; anzi, penso che nessuno possa batterci in quanto a cucina. Siamo orgogliosi anche dei nostri monumenti! Niente da invidiare ad altri Paesi!
Kurapika (27 Gennaio 2012, 18:33)
Però mi stai dicendo che la situazione economica non è delle migliori… Per favore, preservati da certe disgrazie. Nessuno dei due è esente da questi rischi, perciò tieni duro.
Leorio (27 Gennaio 2012, 19:00)
Starò attento, non preoccuparti. Non sono uno sprovveduto. Spero che le cose prendano una piega diversa anche da te, perché… mi importa di più della tua incolumità.
 
 
Leorio (4 Febbraio 2012, 17:21)
Beh, se tu fossi qui, non ti annoieresti. Ti farei dimenticare ogni cosa del tuo periodo difficile. Ti porterei al centro commerciale, al cinema… Potremmo provare a preparare una torta a casa mia (o altri dolci)! Potremmo mangiare in un ristorante Japponese! Non hai mai assaggiato il sushi, vero? Ti farei provare di nuovo la pizza e un bel piatto di spaghetti! Potremmo giocare ai videogiochi (e di nuovo a “Tales of brave hearts”)! Ti farei conoscere i miei amici… Farei qualsiasi cosa per renderti un tantino più felice.
Kurapika (4 Febbraio 2012, 19:02)
È il tipo di vita che desidero… e che non ho la possibilità di sperimentare. La mia vita è ben diversa dalla tua: la vivo praticamente in isolamento. Non ho amici con cui fare questi tipi di attività. Amo la mia famiglia e i miei compagni con tutto il cuore, ma loro non riescono a soddisfare la mia esigenza di uscire da questa gabbia di vetro ed esplorare il mondo esterno, magari con qualcuno che possa prendermi per mano e accompagnarmi passo dopo passo, che condivida le mie passioni… Stare nel villaggio mi soffoca. A volte vorrei impormi al volere di mio nonno o fuggire, ma comprendo anche che non posso abbandonare la mia gente in questa situazione.
Leorio (4 Febbraio 2012, 19:57)
… Quindi, mi stai dicendo che la tua famiglia non capisce i tuoi bisogni? O non se ne cura? Se non gliene hai mai parlato, dovresti farlo! Penso che non farebbero tante storie per il tuo viaggio; anzi, ti sottrarresti al pericolo.
Kurapika (4 Febbraio 2:12, 20:17)
È un atto ignobile, Leorio. Anche se mi dessero il permesso, sarebbe un disonore distaccarmi da loro per un semplice capriccio, quando devono rimboccarsi le maniche per difendere la nostra terra. Inoltre, anche nel mondo esterno i pericoli sono sempre in agguato. Voglio essere parte della battaglia del mio popolo, devo restare qui. Il punto è che non so per quanto tempo riuscirò a sopportare questo peso, questa responsabilità opprimente. Ho te che mi sostieni con i tuoi messaggi… ma nessuno è veramente al mio fianco.

 
 
Per quanto mi avesse fatto male quella dichiarazione, quasi totalmente priva di discrezione ma proferita in un momento di sconforto – di certo non per offendermi –, ero riuscito a focalizzarmi su un altro particolare che trapelava da ogni sua frase: la disperata ricerca di una persona che potesse smentire tutto ciò che diceva – al quale non credeva più di tanto neanche lui –, e che potesse abbattere la sua barriera di orgoglio e fargli avere una visione diversa del mondo; una persona da mettere alla prova per vedere se tollerasse il suo carattere poco gestibile.
Lui cercava un eroe. Lui ha trovato me.
Io ho sempre desiderato essere un eroe, essere importante per qualcuno, trovare un senso a ciò in cui mi sto impegnando e al mio martellante senso di giustizia.
E ho trovato lui.
 
 
 
•••
 
 
 
“… If somebody sent you
an angel to save you,
what would you tell him to turn him away?...”
“… That your heart don't break,
that your lips don't kiss,
that life is just a lie,
that heaven don't exist?...”
 
 
Mi capitava spesso di chiedermi una cosa: se Kurapika avesse realizzato e ammesso che io fossi l’“angelo custode” che ha sempre cercato, come avrebbe reagito? Mi avrebbe accolto, lasciando crollare le sue barriere, o avrebbe fatto di tutto per allontanarsi – pur non volendo –?
Ottenni quella risposta nell’estate del 2013, un periodo in cui – specialmente la sera, dopo cena – eravamo abbastanza liberi da impegni e ci piaceva fare lunghe, intense e filosofiche chiacchierate.
Quello che scoprii bastò ad immobilizzarmi, a creare una frattura abbastanza spessa fra me e lui; non era invalicabile, ma non avevo più il coraggio di fare quel salto e propormi come più di un amico di penna.
 
 
Kurapika (20 Agosto 2013, 18:40)
Quando amo qualcuno, quel sentimento è molto profondo. A differenza tua, comunque, è difficile che mi leghi in quel senso a una persona; inoltre, se mi capita, vivo l’esperienza in una maniera tutt’altro che serena. Non so controllare quelle emozioni, poiché sono per me prevalentemente estranee e inusuali. È necessario che le soffochi nell’apatia per evitare di annegarci.
Leorio (20 Agosto 2013, 18:48)
… Hai una concezione abbastanza drammatica dell’amore! C’è stato, per caso, qualcuno che ti ha portato a viverlo in questo modo?
Kurapika (20 Agosto 2013, 18:50)
Non lo so… non te lo so dire. Non so neanche se ho mai sperimentato un innamoramento.
Leorio (20 Agosto 2013, 18:53)
In pratica… non riesci a capire cosa provi in quelle situazioni?
Kurapika (20 Agosto 2013, 19:10)
Conoscendomi, se mi innamorassi, vivrei l’esperienza in modo più stravolgente… e capirei di cosa si tratta. Il mio mondo si capovolgerebbe, girerebbe in maniera vorticosa – come un tornado – e mi sballotterebbe in ogni direzione, come se facesse di tutto per sbarazzarsi di me e sfinirmi.
Leorio (20 Agosto 2013, 19:12)
Ti immagini un amore “devastante”…?
Kurapika (20 Agosto 2013, 19:19)
Esatto. Si insinuerebbe nei recessi della mia anima, costruendomi e demolendomi allo stesso tempo.
 
 
Kurapika (22 Agosto 2013, 17:24)
A dire la verità… non sembra, ma sono una persona eccessivamente sensibile e permalosa. Molto spesso mi ritrovo a sopportare un peso che non mi appartiene. Assorbo le emozioni degli altri come una spugna e le trasformo in sensazioni personali. La pressione che provocano al mio corpo e alla mia mente è massacrante. A volte, diventa una cosa così ingestibile da aver bisogno di chiudere i battenti col mondo per un po’.
Leorio (22 Agosto 2013, 17:40)
Mi stai dicendo che la tua imperturbabilità e pacatezza… sono solamente degli scudi, il più delle volte? Delle maschere? Non è quello che ostenti di solito, il tuo vero io?
Kurapika (22 Agosto 2013, 18:00)
Sto dicendo che entrambe le cose sono parte di me, ma che non mi piace mostrarne una. Nonostante la mia ipersensibilità, sono anche una persona razionale. Mantenere, però, l’equilibrio fra questi due lati contraddittori non è facile; sono più frequenti le volte in cui vince la mia freddezza, che mi impone di non provare quasi niente. Ho imparato ad apparire impassibile, pur avendo una tempesta dentro di me.
Leorio (22 Agosto 2013, 18:09)
… Credimi, mi riesce difficile immaginare una cosa così contrastante. Non fraintendere: non sto dicendo che non ti capisca. Sono solo… molto diverso da te e non reagirei allo stesso modo.
Kurapika (22 Agosto 2013, 18:12)
Ognuno è fatto a modo suo. Ti ringrazio, comunque, per tentare sempre di comprendermi.

 
 
Questa sorta di blocco, provocato dalle sue parole, me lo trascino tuttora.
Ciò che mi ha portato a dire a Pietro – se gliel’ho detto veramente – che, se dicessi a Kurapika quello che provo, si allontanerebbe da me, è proprio la nostra “chiacchierata” dell’Agosto di un anno fa.
Lui non desiderava impegnarsi in una relazione, né tantomeno adesso che la sua salute psichica è peggiorata.
Lui non era innamorato di me; il suo interesse nei miei confronti era – ed è ancora adesso – di un altro tipo.
L’amore lo spaventa; Kurapika non fa che evitarlo. Non potrei mai approfittare della sua debolezza per propormi e scombussolarlo; sarei la causa di un altro suo trauma.
Devo fare finta che nulla di quello che dice mi addolori, perché lui afferra ogni mia stranezza comportamentale e si fa carico di metà del mio macigno.
Il suo cuore non si spezza per un sentimento non ricambiato, bensì per il contrario.
Le sue labbra sono secche e rigide, plasmate per proferire la perfezione e non per baciare.
Per lui l’amore è quasi impossibile da provare, una menzogna.
Lui non vuole essere messo a nudo di fronte ai miei occhi per permettermi di lambire il volto che si nasconde dietro quella maschera, scoprire le sue ferite più profonde e guarirle carezzandogli l’anima.
Io non sono fatto per una relazione “aromantica” e superficiale: vorrei di più, ma non mi è concesso.
Ritengo di non essere corrisposto, ma continuo a stare al gioco.
Ritengo di essere felice quando parlo con lui, ma sono solo un povero autolesionista innamorato.
Innamorato di un ideale, di “ciò che non potrà mai essere”.
 
 
 
•••
 
 
 
Spesso mi assale lo sconforto ripensando anche a quanto siamo stati educati diversamente. Proveniamo da due mondi opposti: lui dalla campagna, io dalla città; lui dalla tradizione, io dall’innovazione.
Pur avendo maturato durante la crescita uno spirito agnostico, provengo da una famiglia di religione cattolica. Ciò che professa il popolo di Kurapika non si avvicina minimamente a questa; se noi due vivessimo insieme, prima o poi sorgerebbero complicazioni.
C’è pure la questione culturale, sociale, e tutte quelle rigorose usanze che sono certo pretenderebbe di insegnarmi, col carattere inflessibile che si ritrova.
Siamo come il giorno e la notte, con problemi differenti e antitetici gradi di importanza che diamo alle cose.
Lui mette al primo posto l’orgoglio e il sacrificio per la sua gente, io la mia salvezza e una buona dose di codardia.
Se mia madre fosse accanto a me e sapesse di questa bizzarra persona, mi direbbe di allontanarmi e lasciar perdere ogni tentativo di approccio; non perché Kurapika abbia cattive intenzioni, ma per l’enorme divario che si creerebbe fra i nostri punti di vista.
Forse sono troppo pessimista; forse lui non è così fiscale come vuole apparire. Se ci fosse impegno da parte di entrambi, potremmo conciliare qualcosa.
Niente è impossibile, no?
 
 
Kurapika (13 Aprile 2012, 11:20)
Tremo al solo pensiero del terribile mostro che diventerei se certi bastardi del mondo esterno uccidessero la mia famiglia.
Leorio (13 Aprile 2012, 11:21)
Uccideresti a tua volta? Diventeresti come loro!
Kurapika (13 Aprile 2012, 11:23)
Se li lasciassi perdere, non potrei spegnere l’odio che divamperebbe in me. La vendetta è un’arma a doppio taglio, ma so che non riuscirei a sottrarmi ad essa.
Leorio (13 Aprile 2012, 11:25)
Ti macchieresti del loro stesso peccato, di ciò che condanneresti a quella gente!
Kurapika (13 Aprile 2012, 11:27)
Se non riservassi lo stesso trattamento a loro, quando avrebbero l’occasione di sperimentare il mio dolore ed essere puniti? Di certo non dopo la morte, avvenuta magari per cause naturali.
Leorio (13 Aprile 2012, 11:28)
Non che io sia credente… ma non sappiamo cosa succeda veramente dopo la morte. Una persona potrebbe pagare per tutto ciò che ha fatto in quel momento.
Kurapika (13 Aprile 2012, 11:35)
Questo lo dice la tua religione, per la quale si crede nell’esistenza dei cosiddetti “Paradiso” e “Inferno”. Il mio popolo ha una credenza ben diversa e panteistica. In breve, quando lo spirito di una persona morta è appagato, si ricongiunge a Dio, che sarebbe l’Universo e la Natura che ci circonda; quando serba sentimenti negativi che non ha potuto espiare, l’unione con la Natura non avviene completamente e l’anima continua a vagare, in cerca di vendetta o portando caos e distruzione. Se non attuassi la mia rivincita, morirei con lo spirito perennemente in tempesta; ecco perché lo riterrei necessario.
Leorio (13 Aprile 2012, 11:40)
E non pensi che probabilmente la tua anima non rimarrebbe appagata neanche dopo la vendetta, perché satura di tristezza, sensi di colpa e infelicità? Non pensi che ciò in cui voi credete potrebbe non accadere?
Kurapika (13 Aprile 2012, 11:43)
Potrei chiederti lo stesso a proposito della tua religione, Leorio.
Leorio (13 Aprile 2012, 11:45)
Infatti io dubito di ciò in cui mi è stato insegnato a credere! Dovresti farlo anche tu, dato che la tua convinzione ti spingerebbe a fare azioni pericolose. E sappi che quello che ho detto sull’aldilà non era finalizzato ad inculcarti questa cosa, ma a tentare di preservarti!
Kurapika (13 Aprile 2012, 11:46)
Non ho bisogno di protezione, né tantomeno di consigli da chi non è nella mia situazione.
Leorio (13 Aprile 2012, 11:46)
… Scusami tanto se mi preoccupo per te! Fai quello che ti pare, allora!
 
Kurapika (14 Aprile 2012, 8:37)
Vorrei tanto credere in un vero e proprio Paradiso, che non sia connesso a quest’Universo di peccatori. In ogni caso, spero qualcosa esista e che lì ci sia un posto anche per me.

 
 
Ricordare questa conversazione mi intristisce e mi riempie di speranza contemporaneamente. È vero che essa è una prova lampante della nostra visione opposta del mondo e dei modi diversi di pensare; è vero che la mentalità di Kurapika è alquanto bigotta. Tuttavia, nonostante la sua precedente strafottenza, è stato lui a placare la discussione e rabbonirsi.
Non ha ammesso che avevo ragione, e non ha nemmeno concordato con ciò che pensavo; comunque, ha trovato un punto di incontro per entrambi – o una maniera veloce per sviare l’argomento – che mi ha portato a pensare che, sotto sotto, non volesse fare lo scontroso con me e non gli andasse di terminare il nostro dialogo.
Ripeto: niente è impossibile, no?
 
 
 
•••


 
 
“… Who's gonna fix you
the next time you break down?...”
“… Stranded alone by the side of the road;
it's your baggage that's dragging you down…”
“… Don't look back,
let it go…”
 
 
È già venerdì: l’ultimo giorno di lezioni prima del tanto agognato weekend.
Ho deciso di animarmi un po’ dopo la riflessione di ieri, pranzando con Pietro e gli altri al ristorante Japponese – senza proferire parola sulla famosa visita del mio collega – e accettando di uscire insieme domani sera, anziché passare l’intero sabato a giocare ai videogiochi ed aspettare che Kurapika mi consideri.
Lui continua ad accedere a Facebook, ma non visualizza il mio messaggio.
Benissimo: avrà altro di meglio da fare. Anch’io, se è per questo. Mi auguro solo che stia bene.
Adesso sono le quattro del pomeriggio. Ho lasciato i miei amici per tornare a casa, ma non ho voglia di rinchiudermi in quel minuscolo spazio; così, cambio strada e mi dirigo in una piazzetta vicino a dove abito, che la notte si riempie di ragazzacci, ma a quest’ora è considerabile un posto tranquillo.
Arrivato lì, mi siedo su una delle panchine di legno, macchiata di graffiti. Inspiro tutta l’aria che i miei polmoni possono contenere, e la butto fuori con uno sbuffo sgraziato.
A chi voglio prendere in giro? È logico che la sua poca considerazione nei miei confronti mi irriti.
Mi irrita e mi allarma.
Ho il terribile sospetto che non si tratti di essere semplicemente impegnato in qualcosa di più “interessante”, poiché so benissimo quello che gli sta capitando in questo periodo.
Da una parte lo biasimo, perché sono stufo di vederlo così, incapace di reagire; dall’altra, comprendo che separarsi da una malattia del genere non è facile, che devo avere molta pazienza e non abbandonarlo.
Da poco meno di un anno a questa parte, l’accenno di depressione – che, in realtà, gli stava covando già da molto tempo – si è trasformata in una cosa ingestibile, mettendo radici nella sua psiche e cominciando a divorarlo lentamente. Me l’ha confessato lui stesso.
Questo ragazzo sta andando avanti a gocce orali e pastiglie per tentare di risollevarsi, ma non capisce che non basta affidarsi a quei farmaci e che dovrebbe reagire o consultare uno psicologo.
Come se non bastasse, la situazione del suo villaggio sta peggiorando. Ed io ho il coraggio di lamentarmi per il programma corposo di una materia, senza pensare a quanto sia fortunato ad avere certe cose.
 
 
Kurapika (16 Giugno 2013, 11:18)
Cerco sempre di godermi appieno il mio tempo libero, ma troppo “ozio” mi agita: smorza i miei sensi e crea un ambiente ideale per la mia depressione.
Leorio (16 Giugno 2013, 11:21)
… Prevedibile, perché in quella condizione permetti ai tuoi pensieri negativi di esplodere nella tua testa. Devi cercare di prevenirli, altrimenti ti consumeranno!
Kurapika (16 Giugno 2013, 11:27)
Non esplodono: si espandono in ogni fibra del mio essere e si ristagnano, trascinandomi in uno stato debilitante di intorpidimento. Comprendo ciò che porta a farlo accadere, ma è più facile dire di prevenirlo piuttosto che mettere il consiglio in pratica. Affrontare questo malessere è ormai un’abitudine, e non lascerò che mi porti a fare certe scelte.
Leorio (16 Giugno 2013, 11:32)
Tu non stai bene, Kurapika! Affatto! Non puoi cercare di reprimere la depressione senza l’aiuto di qualcuno! Rivolgiti a una persona che ti possa portare alla guarigione… oppure, se non puoi permettertelo e hai bisogno di sfogarti, parla con me! Cercami! Sai che non mi infastidisci mai. Perché, ogni volta che ti capita questo, ti chiudi in solitudine!?
Kurapika (16 Giugno 2013, 11:43)
Non posso controllare ogni mia azione quando mi sento così! È una mossa… istintiva! Ho bisogno di spazio, ma mi sento anche in un quasi totale abbandono. Non riesco a trovare le energie per comunicare con te, che sei un amico prezioso. Credimi, vorrei tanto contattarti in quelle occasioni, anche solo per spiegarti cosa mi succede. Ti chiedo scusa per tutte le volte che ti faccio stare in pensiero… e grazie per essere sempre disponibile e comprensivo.
Leorio (16 Giugno 2013, 11:46)
… Penso che, prima di tutto, ciò di cui avresti bisogno è un bell’abbraccio. Se avessi il conforto e il sostegno necessario da parte di qualcuno a fianco a te, credo riusciresti davvero a fare miracoli. Sei forte perché, quando accade, non permetti mai che ti inglobi completamente; se avessi una “spinta in più”, ce la faresti. Purtroppo sono lontano… e posso sostenerti solo in questo modo.
Kurapika (16 Giugno 2013, 11:51)
Spero di essere forte come credi… Il fatto che confidi così tanto nelle mie capacità mi infonde già una certa forza. Ogni cosa che dici non è mai sottovalutata; anzi, mi scalda il cuore.
Leorio (16 Giugno 2013, 11:53)
E tu lo scaldi a me quando mi dici queste cose, hehe… Ascolta, non hai qualche passatempo a cui dedicarti per distrarti?
Kurapika (16 Giugno 2013, 11:56)
Sì, certo! Mi piace ascoltare musica e, talvolta, canticchiare. Di solito lo faccio quando disegno o dipingo. Non amo realizzare volti, ma paesaggi surreali e rappresentazioni “astratte”. La musica mi persuade e lascio che guidi la mia mano mentre dipingo, vedendo poi cosa mi porta ad eseguire.
Leorio (16 Giugno 2013, 11:59)
Nooo, ti piace disegnare!? Anche a me, sai? Non mi considero un portento (la maggior parte delle volte, ossia quando mi annoio in facoltà o scaccio il tempo mentre aspetto qualcuno, realizzo scarabocchi), ma se non ho niente da fare e mi ci metto, riesco a terminare qualcosa di decente. Mi mostri, se ne hai voglia, alcuni dipinti?
Kurapika (16 Giugno 2013, 12:02)
Non sono un asso nemmeno io… ma se sei curioso, posso mandarti alcune foto. Dammi il tempo di scegliere quelli che, secondo me, sono usciti meglio.
 

 
Così irrecuperabile… ma così facile da far rifiorire.
Questo è il mio pensiero fisso mentre rileggo ciò dal cellulare.
Basta un niente per abbatterlo e un niente per distrarlo. Tipico di chi soffre di questa malattia.
Come faccio io, aspirante medico, ad abbandonare una persona che, oltretutto, è ancora salvabile? Chi meglio di me saprebbe come approcciarsi a lui? Forse la sua famiglia, che pare non curarsi minimamente di questo ragazzo?
Kurapika… ti riprenderai anche stavolta, così come riuscirai a guarire da te stesso; perciò aspetto, con tutta calma, il momento in cui vorrai cercarmi di nuovo.
Sarà oggi, sarà domani, sarà fra un mese… Non importa.
Ti prego, non guardare al passato e non lasciarti andare.
 
 
 
•••
 
 
 
Anche questo sabato è passato, ed è stato uno dei più belli della mia vita.
È proprio vero che svagarsi con i propri amici più cari e mettere da parte sentimenti potenzialmente nocivi aiuta a riacquistare vitalità e non cadere preda della pigrizia.
Come d’accordo, io, Pietro e altri tre colleghi abbiamo passato una serata – definirei – genuina e infantile, all’insegna delle competizioni e del divertimento.
Da un pranzo al fast food a maratone esilaranti nella sala giochi del centro commerciale più vicino. Partite a biliardo, a bowling, a calcetto; slot machine, shooting games; pizza, bevande e un sacco di risate.
Era da un po’ che non mi divertivo così, e ne avevo bisogno.
Ho tenuto la connessione dati disattivata; non c’è stato un secondo in cui mi fossi isolato a guardare le notifiche, poiché ero troppo impegnato a divertirmi come un matto assieme a delle persone che hanno saputo tirare fuori il meglio di me.
Non ho parlato a nessuno di loro di Kurapika, né l’ho pensato più di tanto. Ho già ricevuto il conforto necessario e tutti i consigli possibili.
Ho dato la priorità a me stesso. Ho deciso di amarmi un po’ di più.
Sono le undici e mezza di sera. Metto piede in casa con un sorriso sereno che ravviva il mio volto.
Non mi sento per niente stanco; bensì, ripenso a tutte le nostre figuracce durante le partite e mi metto a sghignazzare.
Dopo essermi messo comodo, mi preparo una tisana digestiva e mi trasferisco in camera mentre la sorseggio.
Con mio grande stupore, vedo il mio PC acceso e in carica. Devo averlo lasciato così prima di uscire, anche se non ricordo di averlo effettivamente utilizzato.
Appena osservo il mio monitor, noto due cose: la finestra di Facebook aperta e un nuovo messaggio. Per un attimo sgrano gli occhi, smetto di respirare e controllo il mittente.
Kurapika. Finalmente.
Non posso – né voglio – andare a letto, perciò visualizzo l’intera conversazione senza indugi, scoprendo che me l’ha inviato un quarto d’ora fa e che è ancora online.
 
Kurapika
Sono terribile a mantenere i rapporti, vero?

 
È tutto quello che mi ha scritto – o meglio, domandato.
Sospiro e digito la risposta.
 
Leorio
Terribilissimo. Come stai?

 
Visualizza subito, ma aspetta quasi un minuto per scrivere la risposta.
 
Kurapika
Meglio.

 
Invia solo questo. Capisco che c’è qualcosa che non va – perché di solito i suoi messaggi sono prolissi –, però non gli chiedo niente: decide lui se vuole parlarmene oppure no.
 
Leorio
Hai fatto altri accertamenti? Hai messo in pratica quello che ti ho consigliato?
Kurapika
Non ho nulla di grave. Tutti i miei malesseri sono provocati dal mio stato mentale; potrebbero, comunque, trasformarsi in cose peggiori… e quindi, in questi giorni mi sto informando su certi psicologi.

 
Curvo le labbra in un sorriso appena pronunciato.
 
Leorio
Bravo, è meglio così. Sono felice per te!

 
Non replica più. Strano.
Attendo un po’ di tempo, durante il quale vedo che si disconnette e torna online un certo numero di volte. In effetti, la mia ultima risposta non è adatta a proseguire la conversazione; pare quasi un congedo.
Tuttavia, rimango perplesso e indeciso se mandargli un semplice “ehi” o cambiare argomento.
Ad un certo punto, mi arriva la notifica.
 
Kurapika
Perché?

 
Il mio volto si contrae immediatamente in una smorfia di confusione.
 
Leorio
“Perché” cosa?
Kurapika
Perché non ti stufi di me? Non hai altro di meglio da fare, anziché starmi dietro? Come fai a sopportarmi?

 
Rimango basito e alquanto spiazzato nel leggere quelle improvvise domande cariche di angoscia e stizza.
 
Leorio
… Che ti prende!?

 
È l’unica cosa spontanea che mi viene in mente di scrivergli.
Lo vedo digitare, digitare, digitare…
 
Passa un quarto d’ora: ancora niente. È un’attesa davvero indisponente.
Cosa diavolo ha da dirmi? Mi sto preoccupando.
Comincio a mangiarmi le unghie e rosicchiarmi alcune pellicine mentre batto ripetutamente i piedi sul pavimento.
Appena finisco di strofinarmi gli occhi, mi si materializza la sua risposta. Perdo un battito, ma cerco di reprimere la mia crescente agitazione; quindi, faccio un bel respiro e leggo.
 
Kurapika
Me lo chiedo sempre, Leorio. Mi chiedo cos’abbia visto in me di così tanto speciale da decidere di restarmi accanto. Ci siamo conosciuti per una semplice passione che ci accomuna, niente di più; per giunta, in una piattaforma sociale e nemmeno dal vivo. Questa nostra specie di amicizia va avanti da quasi cinque anni, e nonostante ciò, non mi pare ci siano stati tutti questi “progressi” da parte di entrambi. Non ci siamo aperti del tutto, ma abbiamo solo confidato alcune cose; abbiamo mantenuto quel velo di mistero attorno a noi perché e proprio del nostro carattere. È un rapporto che oscilla costantemente fra il considerarsi amici o estranei. Tu non sai ancora niente di me: non conosci la mia famiglia, il mio passato, altri aspetti del mio carattere, neanche la mia voce. Ti basi su quel poco che sai, su ciò che mi va di scriverti e su qualche foto che vedi sul mio profilo.
Non ti sei mai posto il dubbio che, in realtà, ti voglia prendere in giro? Che non sia la persona che voglio farti credere di essere? Che abbia cattive intenzioni? Evidentemente no, perché hai continuato a prenderti cura di me come se fossi persino più importante di chi ti sta intorno.
Io non mi ero fidato al 100% di te, proprio perché il tuo eccessivo altruismo non mi convinceva; poi, col tempo, ho capito che sei veramente così… e talvolta ti detesto per questo.
Ho sempre tentato di allontanarmi da te, perché so di non meritare le tue attenzioni, perché so di essere un ragazzo molto più vile e complessato di quanto immagini. Mi assento spesso, mi rendo saccente e antipatico, ti racconto certe cose perché spero di spaventarti e farti prendere le distanze da me, deludo quasi tutte le tue aspettative e non mi curo volutamente di molti argomenti che ti interessano. E tu… tu, nonostante il mio comportamento intollerabile, continui a porgermi la tua mano, a mostrarmi la più profonda e sincera benevolenza, a brillare di luce propria di fronte a un bugiardo come me. Continui ad essere fiducioso e a lasciar scorrere ogni discussione meno garbata che inizio.
… Perché ti ostini ad aiutarmi? Cos’ho fatto per meritare il tuo bene? Chi sono io per te?
Rispondimi, Leorio.

 
Il mio volto rimane impassibile, mentre dentro di me si abbatte una tempesta di emozioni che non saprei classificare.
Vampate di calore pervadono il mio corpo, e il sangue mi va alla testa, dandomi una perenne sensazione di mancamento.
Ho i battiti accelerati e il collo sudato.
Leggere quel messaggio mi ha causato una violenta reazione, ma devo calmarmi e tornare in me, altrimenti la serenità che mi ha trasmesso la serata appena passata svanirebbe completamente.
Affondo il viso fra le mani, permettendo ai miei occhi spossati di vedere un’oscurità, un vuoto paragonabile a ciò che ora brulica nella mia mente.
Kurapika si è accorto di tutto… o meglio, di qualcosa che non va, che non quadra nel mio modo di approcciarmi a lui. Mi ha sempre considerato un tipo strano, quindi la mia copertura non ha funzionato.
Vuole spiegazioni, eppure… sento di non dover rendere conto a nessuno, né riesco a trovare le parole giuste per dirgli certe cose.
Comprendo che è giunta l’ora di confessare e smettere di nascondermi. La mia apprensione riguarda solamente come impostare il discorso.
Ad un tratto, sento una voce non definita proferire qualcosa nella mia testa. Mi concentro per renderla più nitida e ne riconosco la provenienza: Pietro.
Una serie di affermazioni, che mi aveva – forse – rivolto quel famoso pomeriggio, colmano quel buio come fasci di luce.
 
“Leorio, non credo non abbia già intuito quello che ti sta succedendo.”
“Ciò che provi per lui è molto più di una semplice amicizia.”
 
Le mie mani si muovono senza la mia volontà, sfiorando con i polpastrelli la superficie della tastiera, soggiogate dalla voce che riecheggia nella mia mente; lasciandosi guidare da quest’ultima, un po’ come succede a Kurapika quando è ispirato dalla musica a dipingere, cominciano a comporre la risposta.
 
“Digli quello che provi. Hai intenzione di tenertelo dentro per sempre?”
 
Riprendo poco a poco la mia lucidità, concentrandomi su quello che sto scrivendo e facendomi pervadere da un’inarrestabile sicurezza.
 
“Se reagisce male, non importa: significa che fra voi non può succedere niente e che lui, in un certo senso, non ti merita.”
 
Hai ragione, Pietro. Non posso continuare a fuggire la realtà; non devo esitare.
Ci starei male e ne soffrirebbe ulteriormente lui.
 
“La verità, caro mio, è che dai poca importanza ai tuoi bisogni perché dipendi da chi ti circonda.”
“Fatichi ad accettare la tua condizione perché hai paura di un giudizio negativo degli altri.”
 
Ero così; adesso lo dimostro.
 
“Una volta risolto il problema del tuo blocco, potrai prenderti cura di lui.”
 
 
~
 
 
“… Who's gonna save you
when the stars fall from your sky?…”
“… And who's gonna pull you in
when the tide gets too high?...”
  “… Who's gonna hold you
when you turn out the lights?...”
“… I won't lie I wish that I…”
 
“… could be your Superman tonight.”
 
 
Non so quanti minuti sono passati; so solo che lui è ancora online, che ho scritto tanto e che non mi sento più le mani, poiché ho digitato ogni singola lettera in maniera frenetica e senza fare pause.
Non ho ancora finito, ma mi fermo un attimo a riprendere fiato e leggere il frutto del mio sfogo.
 
“Se cerchi una risposta esaustiva da parte mia, non l’avrai… perché nemmeno io so spiegarmi un simile attaccamento. Si dice che, quando non si può chiarire la ragione di certi comportamenti dettati da un sentimento, quest’ultimo sia autentico; perciò, spero ti accontenterai di quello che ho bisogno di dirti in questo momento.
Non credere, neanche per un attimo, che io mi sia fidato subito di te. Ti volevo già un gran bene, ma ricorda che essere gentili con gli altri non è sempre sinonimo di ingenuità. Anch’io avevo i miei dubbi, anch’io volevo studiarti.
Che ne sai di tutte le titubanze che – fino a poco tempo fa – consumavano i miei pensieri, e di tutti i tentativi che ho fatto per distaccarmi dalla tua influenza?
Tentativi vani, destinati al fallimento, perché nel mentre avevo capito quanto fossi importante per me, e avevo acquisito nuove consapevolezze.
Tu stesso hai adottato certi atteggiamenti più marcati, che miravano a farmi stufare di te e che poi hanno fallito. Avresti potuto non farti sentire più, togliermi dagli amici… invece sei ancora qui. Anche se le settimane, i mesi passano, prima o poi ritorni anche tu. E ti dirò di più: non ho mai dubitato del tuo abbandono, perché credo in te.
Perciò, non giudicarmi e non biasimarmi!
Sotto il tuo comportamento freddo e apparentemente insensibile ho visto molto di più, un intero universo di sfaccettature. Chiamami “invadente” o come ti pare, ma non l’ho fatto di proposito: l’ho percepito e basta. Dopotutto, un buon medico deve essere anche un buono psicologo, no?
Ho visto insicurezza nella tua confidenza, affetto e dedizione nel tuo disinteresse, fragilità nella tua durezza. Con la tua maschera camuffi un animo tanto mite quanto volubile, che ha bisogno di essere reindirizzato nella giusta direzione.
È stata questa tua introspezione, il tuo particolare modo di fare ad attirarmi. Non hai fatto niente per favorire ciò: hai continuato ad essere te stesso, con i tuoi pregi e difetti. Adoro ognuna di queste tue caratteristiche.
Ti desidero nella mia vita perché sei riuscito a capire in un baleno un sacco di cose che mi riguardano senza avermi neanche incontrato; ti desidero perché possiedi quel qualcosa in più rispetto a qualsiasi altro essere umano che mi fa letteralmente uscire di senno; ti desidero perché mi hai insegnato molte cose, e ne potrei apprendere sicuramente molte altre.
Ho visto nelle tue foto una bellezza contaminata da un dolore che nessuno mi pare riesca ad estirparti; ho avvertito la tua disperazione, solitudine, volontà di essere salvato.
In tutta la mia vita, ho passato anch’io dei brutti periodi; perciò, so cosa si prova e quanto si desideri l’appoggio di qualcuno. È, inoltre, uno dei motivi che mi hanno spinto a studiare medicina: io amo aiutare gli altri ed evitare di far passare loro ciò che ho passato io.
Ho tentato di instaurare un’empatia con te perché volevo rendermi utile e farti sentire meglio.
Stai certo che non mi pento di essermi fatto carico di questa responsabilità! Se tu preferisci troncare il nostro rapporto, specialmente dopo quello che sto per dirti, è un altro discorso; sei libero di voltare pagina, me ne farò una ragione… e non ti fermerò, perché – ovviamente – non sei di mia proprietà.
Ma devi, devi sapere quello che provo. È giusto così.”

 
La vista mi si annebbia. Non riesco a placare il mio respiro frenetico e il movimento convulso dei miei piedi che continuano a tamburellare il pavimento.
Non ho bisogno di poggiare un dito sul collo per percepire il battito impazzito del mio cuore, che rimbomba in modo molesto nelle mie orecchie e accresce la mia inquietudine.
Non posso tirarmi indietro. Non ora.
Non devo temere un rifiuto; non serve.
Non do il tempo alla mia mente di carpire tutte le cose pazzesche che ho appena scritto, e riprendo a digitare prima di pentirmene.
 
“Ho giurato di proteggerti, di stare accanto a te… perché, ora come ora, è la cosa che più mi distrugge e mi costruisce allo stesso tempo, come dicesti tu stesso anni fa; mi fa sentire vivo, completo.
L’ho giurato per dimostrarti che il mio affetto non è una bugia, che non basta provenire da culture diverse per separarci.”

 
Non so come mi sento; non lo so davvero più. Comprendo solo che non starò bene finché non avrò concluso.
 
“L’ho giurato perché voglio essere il tuo eroe.”
 
Le mie mani cominciano a tremare.
 
“L’ho giurato… perché mi sono innamorato di te.”
 
Lascio scorrere una lacrima lungo la guancia.
Deglutisco.
Invio.
 
 
 
~*~
 
 
 
Angolo dell’autrice
 
Sono riuscita a postare questa fanfiction prima del nuovo anno! *lancia i coriandoli* Ero convinta di non potercela fare.
Dunque… è una storia molto “particolare”, vero? Le conversazioni via Internet (che ho tentato di rappresentare con uno stile simile a quello della chat di Facebook) sono il fulcro, il vero motore della fanfiction. Infatti, ho bisogno di spendere alcune parole per spiegarvi delle cose. Mi scuso in anticipo per il poema.
Innanzitutto, “Addicted to you” è la famosa one-shot che volevo postare prima di “Recollections of a lifetime”, ma che ho avuto il tempo di scrivere solo in questo periodo.
Essa è tratta da una storia vera, da un’esperienza personale di cui non amo parlare; ciò, però, è necessario per la comprensione di molte cose del racconto che potrebbero sembrare assurde.
Anni fa, mi è capitata più o meno la stessa cosa che è successa a Leorio: nel mio caso, instaurare un rapporto di amicizia con un ragazzo che condivideva con me alcune passioni – per il quale, poi, mi ero resa conto di provare un sentimento più forte per gli stessi motivi di Leorio – e venire a sapere, parecchio tempo dopo, che in realtà lui era una ragazza (motivo del fraintendimento: non l’avevo mai visto in foto e mi ero autoconvinta che fosse tale perché interpretava, appunto, un personaggio maschile).
Leorio rappresenta me, e Kurapika quella ragazza. Ho adattato l’esperienza al loro contesto, alle loro personalità/possibili reazioni, modificando – ovviamente – molte cose. Per esempio, Leorio ha avuto un modo quasi totalmente diverso di approcciarsi al Kuruta e di affrontare la situazione; inoltre, la metà dei dialoghi fra lui e Kurapika sono frutto della mia fantasia.
Altro particolare: il finale non è lo stesso. Per quanto mi riguarda, alla fine avevo compreso che ciò che provavo per lei era – ed è tuttora, perché a volte ci sentiamo – solo un grande affetto; nel caso di Leorio, ha ammesso di amare il Kuruta, arrivando pure a confessarglielo. Tuttavia, ho voluto lasciarlo aperto (ossia, non si sa la reazione di Kurapika); mi direte voi quale risposta, secondo il vostro ragionamento, gli avrebbe probabilmente dato il Kuruta.
Insomma, questa “sbandata adolescenziale” mi è rimasta talmente impressa da arrivare, dopo anni, a volerci scrivere qualcosa.
“Addicted to you” non manca di significati simbolici, e può essere interpretata in molti modi; per esempio, non per forza il finale – in cui Leorio si dichiara – deve risultare soddisfacente/giusto/bello/necessario. Infatti, l’intera narrazione è caratterizzata da molti chiaroscuri, e non è detto che tutti gli aspetti della maturazione dei personaggi siano “buoni”. La stessa loro relazione a distanza è “folle”, da un certo punto di vista.
Non aggiungo altri esempi perché mi interessa leggere le vostre opinioni/osservazioni.
Passiamo agli elementi tecnici(?). Ho modificato molti aspetti dell’opera originale in relazione al contesto.
Pietro è ancora in vita ed è un collega di università di Leorio (patito di psicologia quanto me *ride*); quindi, il nostro medico non ha ancora subito il lutto dell’amico d’infanzia. Ho voluto rendere Pietro un personaggio ambiguo, una sorta di “deus ex machina” che però, alla fine, perde parzialmente la sua funzione; infatti, Leorio stesso comincia a credere di aver sognato quella conversazione così “agevole”.
Voi che ne pensate? È stato veramente frutto della sua immaginazione? Mistero voluto perché sono curiosa delle vostre risposte.
La storia è ambientata nel 2014, pur non coincidendo nel periodo in cui mi è capitato ciò.
Ho dovuto chiamare in un certo modo alcune nazionalità perché nell’universo di HxH la “geografia” non coincide del tutto. Un mio headcanon è che Leorio sia di origine italiana, ma l’Italia sarebbe pronunciata “Itaria” in HxH; siccome “itariano” mi suonava male e si parlerebbe di un Paese un po’ diverso dall’originale, ho usato “Itarigino” per indicare quella nazionalità (insieme a “Japponese”, visto che lo Stato viene chiamato “Jappon”).
Le regole della lingua degli Hunter sono adeguate a quelle della lingua inglese (nella quale non vi sono, in generale, distinzioni di genere, tranne quando si usano i pronomi), per due motivi: rendere verosimile il fraintendimento di Leorio e rimanere fedele alla mia esperienza (infatti, la ragazza non era italiana). Tuttavia, rendendo i dialoghi in italiano, ho dovuto utilizzare sostantivi/aggettivi neutri.
Siccome i due protagonisti non hanno ancora vissuto quei traumi, che nell’opera originale li hanno portati a diventare Hunter, in questa storia a loro non interessa tentare l’esame.
Ho “modernizzato” anche il luogo in cui vive Kurapika per ovvie esigenze di trama: è un villaggio più evoluto, in cui la tecnologia è parte della vita del popolo. Ritengo, inoltre, che la religione di Kurapika sia più o meno come quella panteistica. *ripensa alla sua famosa e meravigliosa preghiera*
Ultimo dettaglio: per chiamare “Tales of brave hearts” il videogioco che amano entrambi, mi sono ispirata a “Tales of Zestiria”, un bellissimo anime che sto seguendo in questo periodo, tratto – appunto – da un videogioco.
Voglio dedicare questa storia alla cara Black Sun, la quale mi è stata accanto in quel periodo e mi ha aiutato a superarlo (prendendo praticamente il posto di Pietro).
Grazie per esserci sempre, per riempire di colori le mie giornate e per sostenermi in ogni momento. Sei un’amica preziosa. ♥
Colgo l’occasione per ringraziare immensamente tutti coloro che mi seguono (che recensiscono o che inseriscono le mie storie fra le liste). Siete tutti fantastici, dal primo all’ultimo; vi adoro. Scrivo tutte queste storie con passione anche grazie a voi.
Questa è l’ultima fanfiction di quest’anno; quindi, ne approfitto per augurare al fandom e a tutti voi, che state leggendo, un buon Natale e un felice anno nuovo. ♥
Ho un sacco di progetti che non vedo l’ora di sviluppare, quindi tornerò molto presto (in primis con il secondo capitolo di “Recollections (…)”; non me ne sono dimenticata)! Intanto, non smetterò mai di leggere e recensire.
Canzone da cui ho preso ispirazione e da cui provengono le citazioni: Superman Tonight di Bon Jovi. Se volete ascoltarla, cliccate qui.
Autrice della prima fanart: link. Autrice della seconda: non ne ho idea. *ride* Ho preso l’immagine con quell’effetto da una playlist di questo sito -> link
 
 
Commentate, che mi fa sempre piacere parlare con voi!
Alla prossima,
Scarlet
  
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