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Autore: Kitsunelulu    18/12/2016    0 recensioni
Orlando ama l'arte, le piante, il sole, i dolci. Marco odia tutto, per primo se stesso.
C'è qualcosa nel loro passato, tuttavia, che li accomuna.
Storia di due rette parallele che si incontrano.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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La morte è una bestia che vive nella gabbia della mia testa. Si potrebbe dire che siamo in simbiosi, io e lei.
Anche se a volte decide di starsene tranquilla e mi permette di distrarmi, non mi abbandona mai ed è sempre pronta a tornare e farsi più grande, finché in alcuni momenti straborda e diventa così grande da scivolare fuori dalla gabbia, inondandomi. Sono i momenti in cui penso che riuscirò finalmente a farla finita e con una sorta di strana determinazione (che mi manca in qualsiasi altro ambito) mi appresto a cercare il modo più veloce per rimanerci secco. E’ successo tre volte in tre anni e tutte e tre le volte ho fallito il tentativo. Sarà che nel momento in cui sono più vicino a ottenere ciò che voglio la mia vigliaccheria mi tira indietro e ha la meglio, sarà che la bestialità del mio carattere mi tiene attaccato alla vita così egoisticamente da andare contro i miei stessi interessi, ma tutte e tre le volte, nel momento di "premere il grilletto", una sorta di paralisi mi ha bloccato e mi sono poi ritrovato a proseguire la giornata come se niente fosse. Nessuno al mondo sa che la mia tendenza suicida abbia sfiorato l’epilogo per ben tre volte.

Una volta appresa la sentenza definitiva di dover sopravvivere, è subentrato il desiderio di farlo nel modo più facile possibile. Mi sono imposto alcuni precetti volti a semplificare questo compito così ingrato: scegli sempre di tenerti alla larga dalle altre persone, fai ciò che devi fare velocemente liberandoti il prima possibile da ogni impiccio, tieni a bada la bestia che hai nel cervello. Ed è così che conduco la mia vita, se questo scempio che va avanti solo a causa della mia inettitudine si può definire tale. Fortunatamente sono riuscito a crearmi un modello che mi agevola nel seguire quei precetti: tre anni fa ho lasciato il mio paese natale per andare a studiare fuori sede. L’università è una grande seccatura, ma l’unico modo per scappare dalla morsa dei propri genitori a 20 anni è farsi spedire in chissà quale paese con la scusa dello studio. Vivo da solo e non devo lavorare, però in compenso devo sostenere degli esami e possibilmente conseguire buoni risultati. Ciò che mi causa più problemi però non sono gli esami (studio letteratura, per la cronaca) ma il dover frequentare le lezioni obbligatorie e cioè interagire con le altre persone. Scrivere mi piace abbastanza ed ogni tanto mi fa sentire soddisfatto, ma tutto ciò che butto giù tra le quattro mura del mio appartamento rimane lì ed anzi, la maggior parte delle volte, va a finire nella discarica delle idee scartate. Nei rari periodi in cui la bestia me lo concede, riesco a dedicarmi anche alla stesura di un libro. Un romanzo mediocre destinato a non vedere la luce, ma che porta via dalla mia testa qualche pensiero di cui voglio liberarmi convertendolo nella storia di qualche personaggio. E’ un modo per allontanare da me ciò che mi da fastidio, riversarlo sui miei personaggi, una sorta di sistema di autodifesa che il mio cervello attua da quando ero piccolo. Beh, in effetti non riesco a ricordare un momento della mia vita in cui non pensassi a dei personaggi. Nascono e vivono a volte poche ore e a volte mesi interi nella mia testa, agiscono influenzati da ciò che mi accade e sono una presenza costante. In realtà molte cose sono una presenza costante nella mia vita e ciò è determinato dal mio essere estremamente abitudinario. Se si potesse misurare l’età dell’anima sono certo che la mia sarebbe quella di un vecchio. Avere dei ritmi costanti mi permette di vivere secondo una scaletta autoimposta, senza la quale potrei ritrovarmi chissà in quale condizione fisica e mentale (prendermi cura di me stesso fa parte di quelle pene che sono costretto a scontare vivendo e perciò ho bisogno di metodo per riuscire a farlo al limite della decenza). La mia giornata tipo si compone così: sveglia alle 7, lezione, pranzo alle 13, ancora lezione, se necessario spesa, tornare a casa tra le 17 e le 18, scrivere o studiare, relax fino a mezzanotte, dormire; domenica niente sveglia, il che si conclude in 24 ore di letto. Ciò che mi muove ad agire è solo ed esclusivamente la necessità e perciò ogni azione è compiuta al minimo indispensabile. Potreste pensare che questa non sia vita, che lasciarsi scorrere il tempo addosso in questo modo a 23 anni sia un errore, ed avreste ragione. La mia vita è finita tre anni fa, da allora in avanti è stata solo sopravvivenza. Se mai riuscirò a spegnere anche il corpo capite bene che sarà inutile essere tristi, che invece sarà più adatto tirare un sospiro di sollievo. Ah come sarebbe triste mia madre, invece! Disperata, e conosco esattamente la sintomatologia della disperazione di mia madre in questi casi. Silenziosa, schiva, amareggiata, delusa dal dio in cui crede. Mio padre invece si occuperebbe della faccenda sociale del lutto, accogliendo parenti e amici e trattenendoli a sé, in una sorta di scudo protettivo nei confronti di mia madre. In effetti sono schifato dal modo in cui chi non è davvero toccato dalla perdita senta la necessità di ostentare la sua vicinanza al sofferente. Forse proprio pensare allo sguardo di mia madre in quei momenti mi ha paralizzato quelle tre volte e continuerebbe a paralizzarmi ad ogni tentativo.
Si, deve essere senz’altro quello.
   
 
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