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Autore: AstreaA    19/12/2016    4 recensioni
Mini-long suddivisa in quattro capitoli.
Si può davvero vivere di solo rancore? Un avvenimento inaspettato cambierà irrimediabilmente la vita di Ran. Saprà perdonare? Che ruolo avrà Shinichi in tutto questo?
« Ti dirò una cosa Ran, una cosa importante: è meglio perdonare che vivere di rancore e rabbia come fai tu! L’odio è la cosa peggiore che possa infettare un essere umano. Lo uccide lentamente, è il peggior veleno che esista. Nessuno ne è immune, ma il perdono a volte può essere l’antidoto »
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ai Haibara/Shiho Miyano, Kogoro Mori, Ran Mori, Shinichi Kudo/Conan Edogawa, Un po' tutti | Coppie: Ran Mori/Shinichi Kudo
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Nevicava da tre giorni; malgrado fosse metà marzo, la primavera sembrava ancora troppo lontana. Il respiro si condensava nell’aria quasi artica della città.
Osservai dalla finestra il cielo spento di quella notte. Non una stella intaccava la coltre. Ero seduta alla scrivania e da ore, ero assorta su un capitolo particolarmente interessante di economia. Mi concessi di chiudere gli occhi per qualche istante, prima di ritornare a rileggere un paragrafo del libro.
In quegli intensi mesi di studio, non trovavo a volte neanche il tempo per mangiare. Sottolineavo nervosamente le parole, prendevo appunto di continuo su un piccolo quaderno dalla copertina floreale. Spiai la sveglia accanto a me. Le ventitré in punto. Controllai con un sospiro il cellulare: quattro chiamate perse, una di Sonoko e tre di Koji.
Mi stropicciai gli occhi con stanchezza. Ero troppo presa dallo studio per concedermi di intraprendere una relazione amorosa mi dicevo, per giustificare la mia continua titubanza nei suoi confronti. Non potevo né volevo permettermi distrazioni, ne andava della mia carriera che faticosamente cercavo di tracciare dinanzi a me. Impegnarmi assiduamente nello studio, ottenendo volti alti, mi aiutò molto, non solo per assicurarmi un solido futuro lavorativo. Studiare con cura quasi maniacale, concentrarmi su qualcosa di diverso dal dolore che da anni mi viveva in corpo, mi impedì di indugiare troppo sul passato.
Non avevo più tempo per ripensare a quello che un tempo ero stata; un’ingenua, sciocca sognatrice, una banale ragazzina innamorata. Il tempo e le delusioni avevano mutato progressivamente i miei sentimenti per Shinichi.
Cosa provavo per lui?
Non lo sapevo e né vi avrei più indugiato.
Avevo provato risentimento e dolore nei suoi confronti, per quello che aveva fatto a me e a mio padre, per le verità taciute, per la mancanza di fiducia, per la sua maniera di cacciarsi in guai più grandi di lui, ma poi tutto era svanito, crollato o forse dissolto nel tempo. Eppure a volte, continuavo a provare una profonda nostalgia per Conan, il mio piccolo e adorato fratellino, anche se lui e Shinichi erano la stessa persona e ne ero ormai ben consapevole. Non potevo davvero odiarlo  mi lo dicevo, malgrado la sofferenza che mi aveva procurato, ma nemmeno più amarlo.
Riposi la matita sul libro e portai una mano alla fronte. Un rumore al piano di sotto mi scosse bruscamente. Scesi avvolta da una vestaglia carminio. Mio padre entrò barcollante e alticcio come al solito, canticchiando con un patetico sorriso una canzone di Yoko, da tempo ritirata a vita privata.
Scossi il capo contrariata.
«Papà pensavo fossi a letto! Ti sembra questa l’ora di tornare?!» lo rimproverai aspramente.
Mormorando imprecazioni, lo accompagnai nel tepore della sua camera. «Ora capisco perché la mamma ti ha lasciato!» ringhiai esasperata, mentre lui ridacchiava come divertito. In realtà non pensavo affatto quelle parole. Era solo la rabbia, la frustrazione e lo stress accumulato nel tempo a muovere i fili rabbiosi dei miei pensieri. Lo aiutai a cambiarsi e mi chinai per rimboccargli le coperte.
«A quanto pare quel detective da strapazzo... sì, quel tuo amico, ha rimesso piede in Giappone da qualche mese… sto parlando di Co-» si interruppe cercando malgrado la poca lucidità, i miei occhi. «…di Shinichi Kudo, l’ho letto sul giornale!»
A quelle parole mi fermai di colpo, bruscamente.
Non saprei descrivere cosa provai in quel momento. Forse, una fitta di dolore mi attraversò il petto e lo stomaco, ma la ignorai. In breve, ritornai nuovamente padrona di me stessa. Incurante delle sensazioni contrastanti, lasciai che tutto mi scivolasse addosso. Studiai ininterrottamente fino al sorgere del mattino. Mi addormentai scomodamente, sulla scrivania. La matita ancora stretta tra le mani.
Non sognai niente, almeno credo. Un tempo remoto, avrei forse, fantasticato pateticamente sul suo ritorno.
Era davvero tornato?
Lui, il mio migliore amico, il ragazzo di cui un tempo ero profondamente innamorata, il bambino che sotto falsa identità, avevo accolto in casa e amato con un fratello?
Quando scesi al piano di sotto, trovai mio padre in salotto. Sedeva sul divano, sorseggiando una birra e guardando un programma in televisione. I piedi sfacciatamente poggiati sul tavolino davanti a lui.
«Papà!» lo richiamai bruscamente. Le mani sui fianchi e il cipiglio severo.
Sussultò buffamente e come un bambino colto sul fatto, assunse una postura composta.
Andai in cucina sbuffando, aprii il frigo, prendendo una bottiglia d’acqua.
«E’ quasi l'una tesoro, non dirmi che hai studiato tutta la notte?» lo sentii dire con tono preoccupato, avvertendo il volume del televisore diminuire.
«Sì, e poi lo sai, mi piace studiare»  risposi piatta, versando l’acqua nel bicchiere. Avevo ancora il pigiama e i capelli scombinati dal sonno. Un vero spettacolo per gli occhi!
«Non ti sembra di esagerare?» continuò.
«No, affatto» replicai gelida. La solarità di una volta sembrava non appartenermi più. Il ghiaccio era inevitabilmente prevalso in me. Mio padre tacque per alcuni minuti, poi parlò nuovamente.
«A proposito, a quanto pare c’è qualcuno interessato ad affittare l’agenzia investigativa… mi ha chiamato questa mattina, verrà a vederla intorno alle diciannove, mi sembra» 
Il suo tono di voce mi stranì per un attimo. Un’inspiegabile nota di sarcasmo vibrò in quelle parole, come se fosse una cosa assurda, irreale. Tuttavia, non vi indugiai più del dovuto. Ero abitata alle stranezze di mio padre. Forse era nuovamente ubriaco per via delle quattro lattine di birra che già aveva bevuto.
«Sarò meglio dargli una risistemata o faremo una pessima impressione» dissi distrattamente, richiudendo il frigo.
«Ascolta Ran… » lo trovai alle mie spalle.
«Sono tanto fiero della donna che sei diventata. Vorrei solo vederti felice come un tempo…» mi guardò con un'infinita dolcezza che toccò un punto impreciso della mia anima. Qualcosa sembrò sciogliersi in me. Mi sforzai di sorridere. Sorridevo molto raramente in quel periodo.
Sorridevo davvero poco da quando…
«Io sono felice… » affermai con un filo di voce. Mi guardò scettico. Lo abbracciai di slancio.
Mi abbandonavo così poche volte alle emozioni. Le trattenevo in silenzio dentro il mio cuore, senza dar loro la giusta voce e libertà. Per un attimo, ripensai ai baci di Koji che non fui in grado di ricambiare. Lo scansai con irritazione, come se un semplice bacio fosse davvero qualcosa di sciocco o sbagliato. Non potevo amarlo mi dicevo, chiedendomi spesso per quale stupido motivo a parte la mia  carriera. Mio padre mi strinse forte contro di lui, accarezzandomi i capelli.
«Anche se a volte mi fai arrabbiare, sei il padre migliore che si possa desiderare!» gli sussurrai stringendolo a mia volta.
Era la verità. Anche se a volte mi mostravo scontrosa con lui e con il suo stile di vita, amavo e ammiravo profondamente mio padre. Avevo ammirato il suo modo di rialzarsi orgogliosamente in piedi dopo la brusca scoperta su Conan e l’inaspettata dignità che seppe mostrare nell’accettare quella bruciante sconfitta.
Non era stato nient'altro che un semplice burattino nelle mani di un piccolo grande burattinaio travestito da bambino.
Era stato manovrato, illuso e per questo molte volte in passato, lo avevo scorto abbattuto, disilluso, incapace di sfogarsi con qualcuno, eppure, in poco tempo era riuscito ad andare avanti, ad accendere la luce.   
Anch’io lo avevo fatto.
«Ricorda la gloria non è tutto nella vita. Esistono gioie ben più grandi e importanti che non hanno bisogno del sole per splendere»  
Mi separai da lui.
Lo guardai un poco perplessa da quelle parole. Lui mi sorrise e allegramente, si allontanò di nuovo in soggiorno.
«Una di queste sera dovremmo andare a cena con Eri… è da tanto che non parlo con quella strega di tua madre… » borbottò come se niente fosse.
«Papà!» esclamai indignata.
Ma in cuor mio sorrisi ancora una volta.
 



 
***



La notizia del mio rientro in Giappone, giunse rapidamente tra le vie di Tokyo.
Su di me, vennero scritti numerosi articoli giornalistici e fui invitato a rilasciare varie interviste. La mia testimonianza e collaborazione con le forze di polizia messe al corrente sull’Organizzazione, mi tennero assiduamente occupato per più di due mesi.
Certo, quello fu solo l’inizio.  Per un po’ di tempo tuttavia, potetti godere di un po’ di tranquillità.
Avevo avvertito molto la mancanza della mia città, così come quella del Dottor Agasa, di Heiji e dei giovani detective.
Quel mattino c’era il sole, non una nuvola attraversava il cielo terso. Camminavo senza una meta, vagamente annoiato e pensieroso quando mi trovai faccia a faccio con un uomo.
Usciva ridacchiando da un bar. Quasi ci scontrammo. Rimasi senza parola non appena riconobbi chi fosse.
«Conan… » si lasciò sfuggire sgranando gli occhi. «No! Shinichi Kudo!» si corresse con un cipiglio incupito.
Mi scoprii in imbarazzo, profondamente in imbarazzo. Mi aspettai un pugno da un momento all’altro.
«Ciao! Come va… Goro?» chiesi candidamente.  Il suo turbamento iniziale, tuttavia, scomparve.
«Ho ancora un sacco di ammiratrici che mi adorano!» ridacchiò superandomi di qualche passo, sfoggiando con un certo orgoglio il segno di un rossetto rosso sulla sua guancia destra.
«Mi offrono sempre da bere quando passo di qui! Tu piuttosto… » mi additò aggrottando le sopracciglia «Cosa ci fai qui moccioso?»
«Tokyo è la mia città…» risposi solo, affiancandolo.
«Immagino tu abbia risolto i tuoi problemi, sono riuscito ad estrapolare a Takagi qualche informazione»
«Sì…» dissi vago, guardando dinanzi a me.
Mi scoprii profondamente a disagio. La sua accoglienza amichevole quasi mi confuse. Camminammo insieme per un lungo tratto, in silenzio. Infine, trovai il coraggio di parlare.
«Come… ecco, come sta Ran? E’ da tanto che non la sento…» cercai ansiosamente il suo sguardo.
«E’ al settimo mese, presto nascerà una bambina…» disse con una certa naturalezza.
«COSA?!» Gridai preso alla sprovvista. Mi fermai senza fiato, stordito.
«Scherzo! E’ ancora presto per mettere su famiglia e io sono ancora troppo giovane e bello per diventare nonno!» Si fermò anche lui, guardandomi fisso negli occhi. Mi sentii sollevato. Per un attimo figurai il pensiero di Ran in dolce attesa, con affianco un ragazzo che non…
«Studia a tutte le ore del giorno…» stavolta la sua voce acquistò una nota seria, quasi preoccupata. « Sappi comunque che le hai spezzato il cuore» Mi guardò di sottecchi. Quelle parole furono peggio di un colpo di pistola.
Qualcosa punse e lacerò il mio stomaco.
Le avevo detto di dimenticarmi, che non sarei tornato, ed ero scomparso dalla sua vita.
Sarebbe mai riuscita a perdonarmi?
Meritavo davvero il suo perdono?
L’avrei compresa se non avesse più voluto vedermi, mi dicevo falsamente.
Ci trovammo davanti l’agenzia. Salutai Goro con un denso dolore al petto. Lo vidi sparire verso le scale. Feci per andarmene, quando alzando il capo, vidi un annuncio esposto contro i vetri del locale del primo piano, dove una volta, sorgeva l’agenzia investigativa Mori.
 

 
 
 
   
 
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