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Autore: ellephedre    19/12/2016    4 recensioni
Raccolta di one-shot post Verso l'alba, dedicata ad Ami e Alexander. Dopo le battaglie, cosa cambia per loro? Hanno dei progetti, da portare avanti insieme e separati. Hanno ancora da conoscersi. Hanno da evolversi.
«A volte, ti amo così tanto che ho solo voglia di... bearmi di te. Di averti con me, sentirti.»
Lei lo faceva sentire in una maniera indescrivibile.
Ami si ritrasse un poco. «Invece tu a volte mi ami così tanto che... non hai voglia di stare solamente abbracciati, no? Anche se te lo chiedo io.»
... c'era una risposta giusta a quella domanda? O era a trabocchetto?
«Era questo che intendevo dire» sorrise Ami. «Non devi pensare a come rispondere, basta che dici la verità.»
«Be', ma queste sono mie strategie. Hanno una loro utilità. Vedi? Ti divertono.»
Ridendo piano, lei lo abbracciò. «Ma questa notte possiamo restare così?»
«Sì.»
«... anche se non vuoi?»
«Mi fraintendi. Io lo voglio sempre. Solo a che a volte di mezzo mi va anche qualcos'altro.»
Genere: Commedia, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ami/Amy, Nuovo personaggio
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la fine
Capitoli:
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per istinto e pensiero

 

 

Per istinto e pensiero

di ellephedre

  

 

Novembre/dicembre 1997 - Lontani ma vicini

Per due settimane lei e Alexander non avevano mancato una sola volta di sentirsi alla stessa ora - di mattina presto per lei, la sera tardi per lui. In assenza di una chiamata, quel giorno Ami aveva fatto colazione in compagnia del telegiornale, vestendosi e preparandosi per le lezioni con mezz'ora di anticipo. Lo squillo del comunicatore arrivò dieci minuti prima che uscisse di casa.

«Scusa» esordì Alexander.

Lo schermo le permetteva di vedere l'espressione contrita di lui. «Ti sei distratto?»

«Sì. Stavo buttando giù degli appunti per una cosa. Sorry.»

«Non preoccuparti, ho ancora qualche minuto. Su cosa stai lavorando?»

Il viso di lui si illuminò. «È un'intuizione che ho avuto poco fa. La mia tesi sulla deformazione dello spazio, Ami. Ricordi che mancava il passaggio per replicare il teletrasporto?»

Lei annuì, curiosa.

«Il congegno a cui sto lavorando con McCormack e Hu mi ha fatto venire un'idea. È incredibile: non c'entra niente con questo progetto, ma è tutto collegato. Ho un nuovo approccio per arrivare all'equazione che descrive il tubo dimensionale.»

Oh! «Riesci a spiegarmela?»

«Sì. Però l'idea mi è appena venuta, ho riempito dieci pagine di formule. Possiamo sentirci dopo?»

Certo, capiva il suo entusiasmo. «A stasera.»

«Dovrai aiutarmi. Sento che mi sfuggirà qualcosa, ma ci sono così vicino...»

«Concentrati e non pensare a nient'altro.» Lo salutò con la mano. «Ciao!»

Interruppe la chiamata. Quanto era bello sentirsi nervosi ed eccitati davanti a una possibile nuova scoperta! Vivevano in un mondo da decifrare, tutto da scoprire.

Afferrò tra le mani i suoi libri di medicina. Anche lei doveva darsi da fare.

 

Mentre mangiava un pasticcino, Usagi adocchiava con sospetto il suo quaderno di appunti. «Ami... Qualche settimana fa non avevi detto di aver studiato abbastanza?»

Era stata preda di un delirio d'amore. «Mi è capitato tra le mani un articolo di genetica appassionante e ho dovuto approfondire la questione. Stavo pensando di abbozzare un'idea per la tesi.»

«Sei al primo anno!»

«Sì, ma conto di sostenere i primi esami del secondo anno nella prossima sessione. Mi hanno autorizzato.»

Erano sedute a uno dei tavolini della pasticceria di Makoto. Alle tre del pomeriggio c'era un momento di calma e Makoto poteva dedicare loro del tempo. Ami la vide avvicinarsi con un vassoio in mano.

«Usagi, prova questi biscotti.»

«Certo!» Usagi ne infilò due in bocca. «Mffako-chan...»

«Almeno finisci di mangiare! Come fai a gustarteli se mischi i sapori?»

Usagi deglutì in un batter d'occhio. «Perdonami, sono buonissimi. Ma non vedi che abbiamo un altro problema? Ami ci sta ricascando.»

«Come?» disse lei.

Usagi sospirò. «Alexander non sta facendo il suo dovere nel distrarti. Eri così serena e felice in questi giorni...»

«Sono ancora felice» puntualizzò Ami. Studiare e fare ricerche per lei equivaleva a rilassarsi.

Makoto si accomodò al tavolino, appoggiando i gomiti sul ripiano. «Anche Alex è occupato con l'università?»

Ovviamente. «È andato lì per imparare. Ha diversi progetti di gruppo in questi giorni.»

Usagi era delusa. «Scommetto che le vostre conversazioni sono di nuovo incentrate su formule, progressi scientifici, sviluppi teorici di fisica...»

Ami se la prese: raccontata in quel modo la loro relazione appariva noiosa. Le sue amiche non capivano, e lei non pretendeva che lo facessero, ma per lei e Alexander aprire insieme la mente era un momento di comunione assoluta.

Usagi batté le mani sul tavolo. «Mako-chan, devi passarle quel libro!»

«Quale?»

«Ah, sì!» comprese Makoto. «Ami, ricordi la storia che vi ho costretto a leggere in primavera? Il duca inglese che si innamora della ragazza senza soldi né prospettive matrimoniali.»

Ami riuscì a non roteare gli occhi al cielo.

«Non mentire, ti è piaciuto! È uscito il seguito, sul migliore amico del protagonista.»

«Lord Valentine?»

Makoto si esaltò. «Allora lo ricordi!»

Ami cercò di non arrossire. «Memorizzo i nomi. Con chi lo hanno fatto mettere?»

«Una governante, la giovane tutrice della sorellastra. Entrambe vanno a vivere a casa sua. È così romantico, Ami! Usagi lo ha già letto tutto! La protagonista è una povera ragazza senza famiglia, costretta a mantenersi da sola. Sai quanto era difficile a quel tempo! È dovuta scappare da una casa in cui il padrone ha cercato di molestarla. Ha cambiato città e nome perché teme che se lui la ritrova scoppierà uno scandalo!»

Le logiche della società inglese del diciottesimo secolo erano assurde e restrittive, ma si prestavano bene alla creazione di trame in cui la protagonista femminile era una novella Cenerentola che doveva combattere contro tutto e tutti, solo per venire poi salvata dal principe di turno - un nobile gentiluomo che si invaghiva di lei con ardore. Erano le storie preferite di Makoto, che la stava scrutando con attenzione.

«Voglio che la legga anche tu, Ami.»

Prima che Ami protestasse, Usagi si aggiunge al coro. «Niente 'ma'! Consideralo un compito che ti danno le tue maestre di vita, Usagi-chan e Mako-chan. Ricordiamo quanto ti abbia fatto bene il primo libro.»

Ami volle sprofondare sotto terra. Non avrebbe mai dovuto confessare nulla. «Era scritto in modo molto semplice.»

«Questo non ti ha impedito di trovare eccitanti le parti erotiche.»

Così sembrava che parlassero di qualcosa di sconcio! «Erano scene d'amore!»

«Con un sacco di sesso!» ridacchiò Usagi. «Ti farà benissimo una vera lettura di svago!»

«Alex questa volta non c'è.» Si rese conto del proprio errore quando notò le espressioni estatiche di Usagi e Makoto.

«Allora vorresti che fosse qui per poterti sfogare con lui!»

Si coprì la faccia con le mani.

«Guarda che col nuovo comunicatore potete vedervi. Non sai come io e Mamo-chan abbiamo sfruttato lo schermino più grande...»

Makoto era perplessa. «Voi vivete nella stessa casa.»

«Però lui va a lavorare. Quando ne ho l'occasione io mi metto qualcosa di carino e gli faccio vedere cosa lo aspetta al ritorno.»

Ami si sentì in una fornace: non voleva conoscere i dettagli della vita intima di Usagi e Mamoru!

Makoto era colpita. «Anche se non vuoi arrivare a tanto, Ami, do ragione a Usagi. Leggi quel libro. Scene d'amore a parte, ti farà sentire bene. È una storia con un lieto fine che riempie di pace.»

Ami sapeva che non aveva la possibilità di rifiutare. Inoltre era curiosa. «Prestamelo quando puoi.»

«Ce l'ho qui! Lo stavo rileggendo.»

Prima che potesse fermarla, Makoto era già scomparsa nel retro del locale.

Usagi sollevò le sopracciglia, allusiva. «Non hai scampo.»

«Ho un pudore diverso dal tuo.»

«Lo so.» Usagi divenne seria. Quando aveva quell'espressione, stava per dire qualcosa di saggio e impossibile da confutare. «Ami... ora che sei lontana dal tuo ragazzo, non ti senti come se ci fosse qualcosa di intenso che non puoi esprimere? Gli parli, lo vedi, ma non è come averlo accanto. Se quel libro ti farà sentire in un certo modo... trova la maniera di liberare quello che senti. Sarà un'esperienza nuova.»

Ami non fu certa di aver compreso.

Usagi annuì con un piccolo sorriso serafico. «Alexander ne sarà molto felice. Pensa a questo quando senti che il pudore ha la meglio.»

Ami si imbarazzò. «Sono già più aperta con lui.»

«Perfetto. Continua su questa strada.»

Makoto tornò indietro col libro ed Ami lo ricevette tra le mani. 

«Allora lo leggerai?»

«Sì» promise.

Usagi e Makoto si scambiarono un'occhiata di intesa.

  

Nonostante le sue intenzioni, Ami si dimenticò del volume per l'intera giornata. La sera Alexander la ricontattò e insieme trascorsero due ore a esaminare l'idea che lui aveva sviluppato. Era geniale, un concetto innovativo. 

«In questi momenti mi pento di non aver studiato Fisica» gli confessò lei. «Ti sarei di maggiore aiuto.»

Lui non era d'accordo. «Esporti i concetti mi aiuta a riordinaree le idee. Inoltre il fatto che tu non abbia studiato la materia rende il tuo approccio più fresco. Non sai che una cosa non si può fare, perciò non ti poni limiti.»

Lo scopo di lui era rendere possibile ciò che per l'umanità era ancora inimmaginabile - non per lei, come Sailor Mercury, ma se Alexander fosse riuscito a replicare il teletrasporto in assenza di potere... Spiegare il potere, esporlo in formule, equivaleva a trasformare la magia in scienza. Forse non ci sarebbero riusciti a breve, o nei prossimi decenni, ma le grandi scoperte iniziavano in quel modo - da un'idea originale e dall'entusiasmo nel perseguirla. Era orgogliosa di lui, anche solo per il tentativo.

Tra teorie e formule tirarono avanti fino alle una del mattino, poi Alexander scoprì di dover correre a lezione.

Dopo averlo salutato, Ami rimase sola nella propria stanza, con la testa piena di calcoli e possibilità.

   

Il giorno successivo scoprì di avere tempo. Alexander doveva partecipare a un incontro col gruppo costituito da McCormack e Hu e avrebbe terminato tardi. Lui era in dubbio su quanto condividere con loro riguardo alla sua intuizione: non era strettamente inerente al progetto che dovevano presentare, anche se avrebbe dato al loro lavoro una marcia in più.

Con poco da fare, distratta, Ami decise di iniziare a sfogliare il libro di Makoto. Il titolo era esemplificativo del contenuto.

'Amore all'improvviso'

Aveva avuto moltissimi pregiudizi sul primo volume della saga. Li aveva visti confermati durante la lettura, ma aveva anche scoperto che quel tipo di libro si soffermava su sentimenti che venivano tralasciati nella narrativa generale a cui era affezionata. I grandi autori erano capaci di dipingere l'amore con maestria e profondità, ma in libri come quelli di Makoto accadeva qualcosa di particolare: la semplicità delle situazioni e dei dialoghi risvegliavano in Ami sensazioni inesplorate.

Quando leggeva di una ragazza in grande difficoltà, con uno smodato bisogno di aiuto, le risultava facile percepire la disperazione della sua situazione. Si immedesimava e tifava per la protagonista. Il libro - l'autice - creava nel lettore una connessione empatica immediata calcando la mano sulle difficoltà da affrontare e sull'isolamento della ragazza. Il topos era abusato ma efficace e nemmeno Ami ne era immune. Nella storia veniva data moltissima attenzione ai sentimenti romantici: pagine intere venivano spese per descrivere in crescendo le sensazioni che l'eroe maschile suscitava di volta in volta nella protagonista.

Ami si ritrovò suo malgrado ad andare avanti nei capitoli, solo per sapere se Lord Valentine avrebbe iniziato a prestare attenzione a Catherine. Il fatto che la ragazza fosse riluttante, nonostante l'interesse che provava, era un punto che le accomunava come persone. Catherine le piaceva più della protagonista del precedente libro: era meno damigella in pericolo e più donna concreta, determinata a riuscire senza il supporto di nessuno. La pietà la infastidiva, così come le offerte di aiuto. Vi vedeva sempre la possibilità di un secondo fine e per istinto non si fidava.

«Forse voglio solo darvi una mano» disse a un certo punto Lord Valentine a Catherine. Furono parole che diedero da pensare ad Ami.

Lei non aveva mai opposto la resistenza della protagonista, ma aveva ritenuto di dare fastidio quando costringeva altre persone ad occuparsi di lei. In verità - e trovava lei stessa illogica la differenza - aveva ritenuto di infastidire Alexander più delle sue amiche nelle stesse circostanze. Non perché volesse di più da lui, ma perché lui era... un ragazzo. Gli uomini per natura erano più restii a essere generosi.

Rifletté sul concetto. Nel libro Valentine era ansioso di essere di aiuto - non solo perché si stava già innamorando, ma soprattutto perché riteneva che una persona che lavorava tanto come Catherine meritasse di non reggere tanto peso da sola sulle spalle. 

A parte Mamoru, l'unico altro uomo che Ami conosceva bene era Alexander - e la generosità di lui era immensa. Perciò, perché era convinta che gli uomini provassero meno piacere nel far felice il prossimo? Aveva letto un mucchio di libri e visto tanti film in cui si dimostrava che non c'era nessuna differenza di genere su quel punto. Nonostante ciò, trovava ancora più commovente l'idea di un uomo - un fidanzato, un fratello, un padre, un amico - che si spendeva per un'altra persona.

Si era lasciata condizionare dai luoghi comuni?

Proseguì nella lettura e presto dimenticò di qualunque cosa a parte la trama. Invece di tenere Catherine e Lord Valentine nella stessa casa, l'autrice li separò, costringendo la protagonista a fuggire. Valentine la ritrovò presto, ma Catherine rifiutò di tornare indietro, avendo intuito che la dipendenza emotiva che avrebbe avuto da lui sarebbe stata eccessiva da sopportare. Ebbe inizio un lungo corteggiamento, serrato nelle intenzioni ma delicato nei tempi e nei modi. Ami assaporò ogni parola.

Lesse altri due capitoli, poi dieci. Infine smise di contarli, immergendosi nella parte finale del libro.

 

Alexander aveva mal di testa. Prima di chiamare Ami - solo per un saluto della buonanotte - decise di farsi una doccia.

Era contrario all'assunzione del Tylenol consigliato da McCormack: perché doveva ricorrere a un antidolorifico per un malessere che poteva risolvere con un massaggio e un quarto d'ora di relax? Doveva solo rilassare le meningi: erano al lavoro da quattordici ore consecutive.

Sbadigliando, con la nuca umida avvolta da un asciugamano, si sdraiò sul letto. Massaggiò le tempie mentre inoltrava la chiamata ad Ami.

Lei gli apparve sullo schermo, nuda sulle spalle. «Ciao.»

Lo invase un'ondata di piacere soffuso. Ami aveva usato un tono dolce, sorpreso. Ricambiando il saluto, lui scoprì che lei era immersa in una vasca d'acqua fumante.

Ami sobbalzò accorgendosi del proprio stato e lui si ritrovò a guardare le piastrelle azzurre del bagno di casa Mizuno.

«Pensavo non chiamassi stamattina.»

«Per questo mi merito di guardare la parete? Sono ferito.»

«No, ma...» La risatina lieve di lei gli rivelò che Ami si era accorta di essere assurda. «Un attimo.»

Alexander udì lo spruzzo di un qualche tipo di liquido denso e la sua mente formò da sola una serie di immagini: Ami che raccoglieva il sapone tra le mani, che se lo spalmava sul corpo... Se in Giappone era mattina, come mai lei si stava dedicando in pieno giorno a un bagno caldo? Era un'idea che suonava lussuriosa, non da Ami.

Vide un dito sullo schermo e si ritrovò di nuovo davanti la sua ragazza, con nuvole di schiuma bianca che le galleggiavano intorno. Lei aveva indossato una cuffietta rosa.

«Anche tu ti sei fatto un bagno. Stai per dormire?» 

Gli mancarono le parole. Perché non l'aveva mai vista immersa nella schiuma? Stavano insieme da due anni, era una cosa ingiusta.

«Alex?»

«Hm?»

«Cos'hai?»

«Guardarti mi distrae.»

Lei trattenne un sorriso, chiudendo gli occhi. Non arrossì tanto quanto lui si era aspettato. «Ti vedo stanco. Hai lavorato molto?»

«È stata una giornata pesante.»

«Allora non tenere il comunicatore tra le mani, usa il trucco dell'auto-equilibrio.»

Giusto. Si girò su un fianco e appoggiò la base del comunicatore sul letto, disegnando sul retro, col dito, l'angolo a cui voleva che lo strumento stesse in piedi. Secondo il meccanismo magico di Artemis, il comunicatore rimase fisso a mezz'aria, senza supporto. Ancora più della sua capacità di trasmettere immagini da un capo all'altro del pianeta, la possibilità di stare in piedi in assenza di appoggi era la caratteristica di quell'oggetto che più lo affascinava. Il gatto Artemis aveva sconfitto la forza di gravità. «Un giorno scoprirò come ha fatto.»

Ami capì subito cosa intendeva. «Ho provato a chiederglielo. Mi ha scritto degli appunti, ma è sempre la solita storia: Artemis opera più con la magia che con la fisica.»

«Vorrei avere il tuo computer qui» disse lui. Fece un'aggiunta necessaria. «Vorrei avere te qui.»

Ami lo osservò con affetto. «Se ti fossi accanto, poserei un bacio sulle tue palpebre stanche.» Scivolò all'indietro, nell'acqua, e lui fu geloso della schiuma che le sfiorava il corpo.

«Ti vedo... accesa. Cos'hai fatto oggi?»

«Ho finito di leggere un libro.»

«Ah, sì? Racconta.» Erano settimane che non riusciva a godersi una buona storia.

«Non ti piacerebbe. Era un libro di Makoto.»

Lui faticò a ricordare cosa significasse.

«Una storia d'amore» chiarì Ami.

Alexander si ricordò di un aneddoto da riferirle. «Sai che anche Shun sta leggendo un libro romantico? Dice che l'ha preso dalla biblioteca di sua sorella.»

Ami rise. «Legge ancora di tutto, vero?»

Oh, sì, Shun lo definiva un esperimento personale. Non lo faceva per gradimento: leggeva ogni tipo di libro, a prescindere dal genere e dal pubblico a cui era destinato. Per lui era un modo di capire le persone.

«Ha cercato di ripetermi che sono testi utili per decifrare la testa delle donne.» Infatti non era la prima volta che il suo amico ne leggeva uno. «Secondo me non gli dispiacciono.»

«Perché?»

«L'ho costretto a raccontarmi la trama. Prendeva in giro un sacco di punti, ma non la relazione della coppia. Ha detto che tra loro non era solo una questione di sesso.» Per uno come Shun equivaleva a descrivere una profonda relazione sentimentale.

Ami era divertita. «Magari ha solo analizzato i personaggi. Yamato è affascinato anche dalla mente di un serial killer, no?»

«Sì, ma... era come quando guardava i drama con famiglie, da ragazzino. Erano i suoi preferiti e cercava di non farmelo capire. Ecco, quando parla di questi due che si amano sembra che rispetti quello che provano.»

Ami ripensò al passato. «Yamato osservava anche noi, sai? Faceva battute su battute, e sembrava confuso, ma non poteva fare a meno di studiarci quando ci vedeva insieme.»

Alexander le aveva già detto che Shun non aveva preso bene il loro lungo silenzio.

«Mi dispiace di averlo deluso» ricordò lei. «Quando sarò lì, spero di fargli capire che non ha nulla da temere per te.»

Anche Alexander sperava di convincerlo di nuovo, totalmente, che Ami non desiderava altro che farlo felice. «Allora... in quanto tempo hai finito il libro di Makoto?»

«Qualche ora.»

«Perciò era buono.»

«No, era... appassionante.»

«Eppure non mi piacerebbe?»

«No. È troppo un libro da ragazze.»

Non aveva mai sentito di Ami che divorava un testo che non avesse una certa qualità. «Di cosa parlava?» insistette.

«È molto sciocco. Immagina Jane Austen in versione semplificata e moderna.»

Okay, non era mai andato oltre mezzo libro di quell'autrice. Ne aveva provato solo uno, per sfida, ma non era riuscito a interessarsi alle vicende di una ragazza dell'Ottocento inglese in cerca di marito. Da quel che sapeva, Ami trovava quei testi gradevoli, ma non si era mai appassionata al genere. «Che cosa non mi stai dicendo?»

«Ecco... si parla tanto di sentimenti. Sono il motore di tutti gli sviluppi della trama. Per descrivere un bacio l'autrice impiega un'intera pagina.»

Hm. «E si ferma a quelli?»

Smettendo di guardarlo, Ami dondolò nell'acqua, leccandosi inconsciamente le labbra. «No.»

Quel discorso era appena diventato molto interessante. «Potresti leggermene qualche riga.»

Ami schizzò di gocce lo schermo, sprofondando nella schiuma. «Smettila!»

«Sei tu quella che ha letto quel libro da cima a fondo.»

Lei era diventata porpora sulle guance. «La prosa era terribile. Così descrittiva e infiocchettata...»

«Per esempio?»

«Si parlava di... muscoli sodi, carni morbide. Lingue guizzanti.»

Ma dài.

«Pelle liscia come pesca che profumava di miele e sapeva di cannella...»

Gli si seccò la gola. Chissà che odore aveva il bagnoschiuma che Ami stava usando.

Lei teneva gli occhi fissi sulle nuvole vaporose da cui era circondata. «Apprezzo l'utilizzo di sinonimi e perifrasi per evitare la volgarità, ma alcuni paragrafi erano un tripudio di 'boccioli di rosa che si indurivano come sassolini', o 'luoghi segreti che si schiudevano come petali'.»

Gli uscì un ansito strozzato. «Ami...» 

«Capisci? Mi vergognavo a leggere.»

Alexander però non aveva alcuna remora a immaginarla mentre rifletteva sul significato di quelle frasi. «Allora è stata una tortura?» Tipo quella che stava subendo lui ora, a sentirla parlare in quel modo.

«No, tenevo alla relazione tra i protagonisti. Quei due si amavano molto ed era naturale che si... desiderassero.»

Così lo faceva eccitare.

Rimanendo in silenzio, Ami guardò dappertutto nella stanza, tranne che verso di lui. «Mi manchi» mormorò infine. Esitò, assaggiando un pensiero. «Non solo per i baci.»

Gli cadde la mascella. La rigidità delle sue parti bassi divenne tale che, se Ami gli fosse stata accanto, sarebbe stato in grado di donarle immediatamente tutto quello di cui lei sentiva la mancanza.

La vide fare un lungo respiro. «... non dici niente?»

«Non riesco.»

«Ah.»

Idiota. «Love, basta una tua sillaba e io...»

«È chiaro che non possiamo farci nulla.» Ami tornò a regalargli uno sguardo intenso, onesto. «Volevo solo che lo sapessi.»

Lui non riuscì a racchiudere in parole l'immensità di quello che provava.

La sua incertezza rese Ami più sicura e felice. Lei non aveva bisogno di sentirlo parlare per sapere cosa pensava. Sorrise. «Buonanotte.»

«Aspetta.» La fermò con la mano a mezz'aria. «Manca anche a me la... morbidezza vellutata della tua pelle di seta.»

Si guadagnò una risatina. Nell'immediato era più facile esprimersi scherzando. «Mi mancano le tue orecchie, che nei lobi sanno di cioccolata.»

«Davvero?»

«Sì, al latte.»

Ami si crogiolò con gioia nell'imbarazzo, coprendosi gli occhi.

Se lui avesse usato le frasi che aveva davvero in mente...

Lei tornò a guardarlo. «Ricordo il sapore della tua bocca. Non vedo l'ora di risentirlo.»

Gli mancò il fiato.

«'Notte, my love.»

«... 'night» bofonchiò lui.

Ami chiuse la comunicazione.

Alexander rilasciò un lungo, interminabile soffio.

 

Come conseguenza della sua sfrontatezza e audacia, quella notte Ami sognò.

Nella vasca da bagno parlava con Alexander tramite il piccolo schermo che le impediva di toccarlo. Rabbrividiva per quello che gli stava dicendo - confessioni imbarazzanti, impossibili da tenersi dentro un minuto di più. Poi si consumava la magia: lui usciva dal comunicatore, materializzandosi di fronte a lei.

Come se fosse sempre stato lì, Ami premeva il corpo contro il suo in unico lungo bacio. La vasca cessava di avere una dimensione, si adattava ai loro movimenti. Galleggiavano, con lei che raccoglieva la schiuma per spalmargliela sulla pelle calda e solida. Cessava di sentire la sua mancanza solo perché Alex era lì, la stringeva, perdendosi nei suoi occhi. In quel momento strappato al tempo si incastravano in un abbraccio di corpi. Seduta sulle sue gambe, Ami ondeggiava sopra di lui e si abbandonava alle sensazioni. Tremava per le sue carezze sulla schiena, per le labbra bollenti sul collo. Spostava frenetica la bocca, cercando un altro bacio - uno ancora. Afferrava tra le mani i capelli fradici di lui.

Con tutto il proprio essere assorbiva piacere a ritmo, senza sosta - il loro amore perfezione in quell'atto fisico. Muoveva le labbra per chiedergli qualcosa all'orecchio, smaniosa. Non emetteva suono ma Alexander capiva e accelerava il dondolio dei loro fianchi uniti.

Afferrando le coperte, Ami strisciò con la mano sulle lenzuola. Prona sul letto, si svegliò. 

Il culmine era troppo vicino per permettere alla realtà di intromettersi. Serrando gli occhi tornò nel sogno, riprendendo a spingere il bacino contro il materasso. Per istinto strofinò le cosce tra loro. La frizione dei vestiti la stimolò nel punto giusto: spalancò le labbra in un grido muto, totalizzante.

Rimase a sentire il piacere degli spasmi tra le gambe, abbracciando il cuscino. Per la vergogna vi nascose contro la faccia.

Rifiutandosi di pensare, si voltò e riportò alla mente il viso di Alexander. Il buio e la spossatezza del piacere sedato la cullarono nel sonno.

  

«La signora Agatha ci cucinerà un tacchino.» Alexander le stava raccontando di come avrebbe trascorso il giorno del Ringraziamento americano. «Non ha nessun altro con cui festeggiare. Era una madre single e ha perso l'unico figlio in guerra.»

Che storia triste. «Allora rimarrà con voi e la bambina?»

«Sì. Se fossimo rimasti soli, io e Shun non avremmo fatto niente. È stata lei a trasmetterci lo spirito della festa.»

Ami valutò il suo umore. «È una giornata che senti di più rispetto a quando stavi qui con tua madre.»

«Già. Per lei era importante, ma per mio padre era un giorno qualunque e a me sembrava una ricorrenza senza senso. Ora che sono negli States ne parlano tutti. È diverso, è qualcosa di condiviso.»

Ami avrebbe voluto avere la possibilità di festeggiare quel giorno con lui. «Magari provo a fare un tacchino anche io, per entrare nello spirito.»

Alexander apprezzò l'idea. «Ma è un piatto difficile, love.»

«C'è una prima volta per tutto. Troverò una ricetta e seguirò le istruzioni. Oppure chiederò aiuto a Makoto. Potrei invitare a cena le ragazze.»

«A casa mia o a casa tua?»

«A casa... nostra, se vorrai.»

Lui si accese di felicità. «Invita chi vuoi.»

Era il 21 novembre. Per Ami la ricorrenza del Ringraziamento era un altro modo per scandire il tempo sul calendario. Mancava ancora un mese prima che potesse rivedere di persona Alexander. Con ogni giorno che passava, l'attesa sembrava allungarsi all'infinito.

«Arimi sta provando ad alzarsi in piedi» le stava raccontando lui al comunicatore.

«Che brava!» Si intenerì pensando alla piccola. «Ha solo undici mesi. È precoce.»

Alexander era uno zio fiero. «Cerca qualcosa a cui reggersi e fa questo faccino concentrato...»

«Riesci a farmela vedere un giorno? Quando Yamato non c'è.»

Lui si sorprese. «Certo, non ci avevo pensato. Il mio prossimo turno di babysitteraggio è domani.»

Ami si abbandonò sul letto con la schiena, sospirando. «Domani, dopodomani, tra una settimana... Il tempo passa, ma il 21 dicembre sembra sempre fermo lì, lontano.»

Alexander si perse nella sua contemplazione. «Sai, Ami... prima non mi parlavi così.»

Lei ne era cosciente.

«Sapevo quello che pensavi perché lo vedevo nei tuoi occhi, ma sentirlo a parole... Era una speranza che non mi permettevo di avere.»

«Perdonami.» 

«Non sento il bisogno di perdonarti, non lo ritenevo un gran problema. Ma ora che dici così liberamente quello che ti passa per la testa...Suppongo che continuerà a sembrarmi per metà un sogno, almeno fino a che non ti riavrò davanti.»

Lei si issò sui gomiti. «Non mi comporto così solo per la lontananza. Erano troppi i pensieri che mi tenevo dentro. Adesso, ogni volta che ti parlo vincendo l'istinto di trattenermi... mi sento meglio. Più libera.» Con ogni confessione che le usciva se ne andava una paura.

Alexander stava annuendo. «Era tutto quello che volevo.»

«La situazione non cambierà quando ci rivedremo. Tu ti sei sempre aperto completamente con me e io mi sento così bene a fare lo stesso con te ora.»

Lui era felice. «Allora dimmi qualcosa.»

«Hm?»

«Qualunque cosa.»

Lei non ebbe bisogno di riflettere molto. «Oggi ho visto un copripiumino a due piazze in un negozio. Ho avuto la tentazione di comprarlo per noi.»

Nessuno dei due parlò, perché non ce n'era bisogno. Non esistevano parole che potessero usare per comunicare meglio di quanto facessero con gli occhi.

Ami adagiò la testa sul cuscino, mettendosi più comoda. Aveva appoggiato il comunicatore sul comodino, ed era quasi come stare sdraiata accanto ad Alex. «Ho fatto un sogno ieri.»

Si imbarazzò. Perché lo stava raccontando?

Lui rimase in attesa, senza domandarle di proseguire.

«Era un sogno pieno di... sensazioni.» Forse la distanza era un incentivo a parlare, poiché teneva a bada le conseguenze. Non rimuginò troppo su quella conclusione. «Eri con me nella vasca in cui stavo facendo il bagno.»

Le pupille di lui si allargarono come pozzi. «Davvero?»

Ami annuì, la gola che tremava. «Eravamo... senza vestiti. Ci stringevamo e...» Si sentì come in una fornace. «Mi sono agitata nel sonno. Ho premuto il bacino contro il letto, senza pensarci, fino a che... ecco...»

Gli occhi di lui non si erano mossi. «Ti ha aiutato?»

Emettendo un ansito di vergogna, Ami annuì di nuovo.

«Dio, love. Quanto vorrei essere lì ad accarezzarti.»

La invase una vampata di calore. «Non so...»

Lui provò a dire qualcos'altro, ma si fermò.

Per non essere sola in quell'imbarazzo, Ami provò a fargli una domanda. «A te è capitato?»

Gli sfuggì una risata strozzata. Non la tradusse in parole, non subito, poi prese una decisione. «Non mi capita: lo faccio accadere.»

Cosa intendeva?

«Quando mi manchi, mi concentro e ti penso. Fisicamente.»

Ami si tirò su. Era impossibile rimanere sdraiata. «Oh.»

«Uso i ricordi.»

Lei aveva distolto lo sguardo e percepì un velato tono di sofferenza nelle parole di lui, per il fatto che gli stesse dando le spalle. Lo cercò di nuovo nello schermo del comunicatore, troppo piccolo per darle la vicinanza di cui aveva bisogno. Prese lo strumento tra le mani. «Va bene.»

Lui liberò una risata di sollievo. «Stai morendo di vergogna.»

«È che.... forse ci siamo spinti troppo in là.»

«Okay, torniamo indietro.»

Anche se fosse stato possibile... Bastava rallentare. «Dovremmo parlarne di persona.»

Lui era d'accordo. «Tutto sarà più bello quando potrò sfiorarti su quelle guance rosse.»

Lei si lasciò invadere dalla tenerezza. «I love you.»

«Me too. Dormi bene, love.»

«Sì.»

Nel sorriso di lui si accese una scintilla. «E mi raccomando, fa' sogni innocenti.» Le strizzò l'occhio e su quella nota chiuse la comunicazione.

 

«Sento troppa soddisfazione nell'aria di questa stanza.»

Alexander rise, piegandosi per prendere Arimi in braccio. «Ciao!» Ignorò Shun e schioccò un bacio sulla guancia della bambina. «Cosa faccio adesso? Lo sai cosa faccio?»

Arimi gli rispose con una risatina estatica. Lui tenne fede alla promessa, facendola volare per aria. «Hop!»

La riprese mentre cadeva, guadagnandosi un grido di approvazione. Al secondo salto, si ricordò del suo amico. «Cosa dicevi?»

«Per caso stai facendo sesso telefonico?»

Quasi mancò di riprendere Arimi. Accennando una risata, la strinse al petto.

A Shun era sfuggita una smorfia. «Dieu. Non dovevo chiedere.»

«Non stiamo facendo niente.»

«Allora cosa?»

Non sapeva come parlarne - non voleva - perciò si limitò al sorriso stupido che non riusciva a scacciare da un'intera giornata.

«TMI» comprese Shun, annuendo.

Sì, gli stava chiedendo informazioni troppo personali.

«Comunque ho un'idea per te.»

«Hm?»

Arimi stava protestando per i salti mancati, tirandogli la maglia.

«Quando arriverà Ami-san, prendi una stanza d'hotel all'aeroporto. Non posso ospitarvi in casa la prima notte, c'è una minore qui.»

Alexander scoppiò a ridere.

Ma Shun era sicuro. «Anche io vorrei evitare di comprare tappi per le orecchie.»

«Ho capito, hai ragione.» Era un'ottima idea, a ben pensarci. Avrebbe prenotato la stanza per un'intera settimana.

Shun si riprese Arimi. Era ora di cena e lei doveva mangiare.

Alexander notò che il suo amico era cupo. «Non ti ho chiesto come è andato il tuo appuntamento di ieri.»

Shun fece un suono con la bocca - l'equivalente di un due di picche.

Per forza non era di buon umore, e notava quanto lo fosse lui. «Cos'è successo?»

«Colpa mia. Lei ci stava, capisci? Stavamo uscendo dal locale e abbiamo incrociato una madre con un bambino stretto al petto, in una fascia. Connie ha detto, 'Ma cosa ci fa quella con un marmocchio in giro a quest'ora?' Io non sono più riuscito a levarmi dalla testa lei che usava quel tono di sprezzo. Non l'avrei mai fatta incontrare ad Arimi, ma immaginare che avrebbe chiamato così anche la mia bambina...» Si bloccò. «Intendo Mi-chan. Be', mi ha sgonfiato. L'ho salutata e me ne sono tornato a casa, scocciato.»

Alexander non poté lasciarsi sfuggire l'occasione. «Ragioni come un vero papà.»

Shun fu sul punto di lanciargli un'imprecazione colorita, poi incrociò lo sguardo di Arimi e la sua espressione si distese. Parlò a lei. «Hai fame, vero? Vuoi la pappa?»

Sua figlia comprese l'ultima parola e si sporse con tutto il corpo verso il tavolo, quasi sfuggendogli dalle braccia.

«Okay, okay!»

Alexander comprese che Shun non sarebbe tornato sull'argomento. Era ancora indeciso su come farsi chiamare da Arimi. Per alcuni mesi aveva usato la parola 'zio' con lei - Zio Shun - e solo in seguito aveva scoperto che la signora Agatha si riferiva a lui come 'papà' quando parlava alla bambina.

Alexander non sapeva se avessero discusso per questo, ma era una cosa che aveva fatto riflettere Shun. Il suo amico non era ancora arrivato a una conclusione. Ad Alexander pareva semplice, ma non voleva forzare la situazione offrendo il proprio punto di vista.

Arimi aveva appena undici mesi e non aveva bisogno di conoscere le circostanze della propria nascita. Sarebbero passati anni prima che potesse comprenderle. L'onestà era una buona politica, ma nella semplicità del suo mondo di bambina era più giusto che Arimi conoscesse come 'papà' il ragazzo che si prendeva cura di lei. Stava già sentendo quella parola all'asilo e nei cartoni animati che ogni tanto guardava. Imporle di usare qualunque altro appellativo era modo di invitare domande in futuro. Sarebbe stata Arimi a farle, ma le avrebbe anche ricevute: c'era tutto un mondo che la circondava e che avrebbe voluto sapere perché era uno zio a crescerla.

Alexander era certo che Shun fosse cosciente di tutti quei problemi. Forse si sentiva solo strano a definirsi genitore della bambina di sua sorella. Magari gli sembrava di usurparne il ruolo.

Shun stava tirando fuori dal frigo la zuppa frullata che aveva preparato Mrs Agatha.

«Quanta ne ha fatta?» commentò Alexander. Era un pentolino intero, troppa per Arimi.

«Ne mangerò un po' anche io.»

Alexander rise. «Con la pappetta per bambini hai completato la tua discesa nel mondo dei neonati.»

«Sì, sì, prendimi in giro. Ma adesso, appena è calda, la assaggi.»

«Perché dovrei?»

«È verdura mischiata a carne. Ho comprato del pane perché da sola non mi riempie, ma se potessi mangiare solo questo per il resto della mia vita, non mi lamenterei.»

Addirittura?

Shun glielo confermò con un cenno della testa, mentre Arimi si agitava per raggiungere la scodella che si stava scaldando sul fuoco. Shun aveva già dimenticato il malumore per la serata andata male con una ragazza. Appena prendeva in braccio Arimi era appagato.

Alexander allungò le braccia verso di loro. «Dalla a me.»

Shun gliela cedette senza protestare. Doveva approntare la tavola.

Alexander si diresse al frigo con lei. «Guarda cos'abbiamo qui, Mi-chan: cibo vero, per adulti. È pollo che ho preso al diner più buono di Boston. Vedremo se la tua minestra potrà competere con queste cosce croccanti.» Scoperchiò la scatola. Comprese il proprio errore quando Arimi vi affondò una mano dentro, tirando fuori il pezzo di pollo più grosso.

«Ehi, aspetta-»

Shun intervenne rapido, togliendo la coscia dalla mano di lei prima che potesse metterla in bocca. Sua figlia scoppiò a piangere. «Genio. Ora spiegale tu perché non può mangiarlo.»

«Magari un pochino... Così non è infelice.»

Shun scuoteva la testa. «I tuoi figli mangeranno solo schifezze quando rimarranno con te.»

Alexander non riuscì a ribattere: in segno di protesta, Arimi gli stava sporcando tutta la faccia di grasso.

  

Era diventata un'ossessione.

Ami non riusciva a smettere di pensare a quello che aveva detto ad Alexander, a come aveva risposto lui e al vaso di Pandora che avevano scoperchiato insieme.

Con coraggio e molto amore non si astenne dal chiamarlo il giorno successivo. Lui si comportò come se nulla fosse cambiato tra loro. Lei quasi gli credette.

Ma il suo cervello si rifiutava di spegnersi sull'argomento: come un treno ad alta velocità, rallentava a malincuore in corrispondenza delle fermate del suo pudore, scalpitando per tornare ad avanzare.

Aveva tutti quei pensieri carnali proprio perché cercava di rifiutarli. Lo aveva detto lei stessa: il sesso era un impulso naturale tra due persone che si amavano.

L'unico problema, nel caso suo e di Alexander, era che non avevano la possibilità di incontrarsi, quindi non potevano agire secondo le loro pulsioni. Questo le creava frustrazione e insoddisfazione.

Perché non mi bastano più i pensieri romantici? Per assurdo erano stati sufficienti per quasi due anni. Proprio ora che non poteva fare nulla, voleva di più.

Non si apprezza quello che si ha finché non se ne sente la mancanza.

Le uscì un sospiro sarcastico. Sdraiata nel letto dell'appartamento di Alexander, accese la tv.

Per qualche secondo seguì le vicende di un film drammatico. I dialoghi le suonarono banali e noiosi, perciò cambiò canale.

Si ritrovò a guardare un varietà, con concorrenti che dovevano superare un percorso a ostacoli. Non era in vena di ridere delle loro disgrazie e passò al canale successivo.

Sullo schermo apparvero i volti di due attori famosi, uomo e donna. Sembravano una coppia, stavano litigando. L'atmosfera era soffusa e carica. D'un tratto lui afferrò la compagna per le braccia e le piantò un bacio sulla bocca. Lei si agitò, ma ben presto si arrese. L'inquadratura sfumò su una camera da letto.

«Oh, no.»

Voleva spegnere ma non riusciva a farlo. I due attori avvinghiati si stavano spogliando, baciandosi e accarezzandosi. Si adagiarono sul materasso, in preda alla passione.

«Miao.»

Si voltò e abbracciò Ale-chan, che era salito sul letto. Contro le sue proteste lo avvolse al petto, per impedirsi di guardare lo schermo. «Sono una pervertita.»

Con sguardo impassibile, il suo gatto le diede ragione.

  

«Stai bene?» Alexander studiò Ami con molta attenzione: lei aveva gli occhi gonfi. «Hai dormito?»

«Sto avendo difficoltà a prendere sonno.»

«Sei preoccupata per qualcosa?»

Lo sguardo di lei vagò, poi Ami strinse le labbra. «Non proprio.»

In che senso?

«Alex...»

«Sì?»

«Mi sento strana a fare questo discorso al comunicatore.»

Lui valutò le sue parole, cercando di non trarre conclusioni. «Okay.»

Lei esitò. «Dall'altro giorno non ho smesso di pensarci.»

Alexander fu immediatamente certo di cosa stavano parlando. Non disse nulla, ma vedere Ami a disagio non gli piacque.

«Non sono sicura che...»

«Non volevo metterti in imbarazzo.»

«No! Mi imbarazza la necessità di... sentirmi e farti sentire come l'ultima volta.» La sua voce si fece piccola. «Intendo, quando ti ho raccontato di quello che ho sognato. Di quello che desidero.»

Lui seppe che era giunto un momento cruciale per loro. Parlò con grande attenzione. «Mi hai fatto sorridere per due giorni interi.»

«... davvero?»

Annuì. «Mi hai reso felice.»

Ami assorbì la rassicurazione. «E se mi spingessi più in là... non penseresti male di me?»

Lui volle avere una reazione scomposta, ma rimase calmo. «Certo che no.»

«Non so nemmeno cosa voglio. È solo che la mia testa si rifiuta di darmi tregua.»

«Love.» Gli toccava prendere in mano le redini della situazione. «Ti manca il contatto fisico?»

Il termine corretto, pragmatico, le diede stabilità. «Esatto.»

«Possiamo essere creativi.»

In fondo l'immaginazione di lei non era così pura: arrossì.

Alexander portò un dito alla bocca. Alzando le sopracciglia, le fece comprendere cosa voleva. Ami lo imitò, fidandosi.

Lui spostò il dito sul proprio labbro inferiore. Ami seguì il movimento, ripetendolo senza spostare gli occhi dalla sua mano. Acquisì sicurezza. «Tira indietro i capelli» gli disse.

Lui obbedì.

«Mi piaci con la fronte libera. Sembri più... innocente.»

«Vuoi che lo sia?»

«No, è solo che... è come se fossi io a toccarti, giusto?»

Proprio così. «Bacia il tuo dito, piano.»

Ami chiuse gli occhi. Appoggiò le labbra sul polpastrello in un bacio delicato. Alexander si godette ogni istante. Lei si allontanò, poi non resistette e premette un secondo bacio, più intenso, su tutte le dita.

Lui seppe che stava immaginando di baciarlo. «Se fossi lì, farei scendere la mia mano lungo il tuo collo.»

Nel vederla dare vita al movimento, qualcosa in lui si accese a tal punto da fargli temere di non potersi controllare.

«Ieri notte ho fatto una cosa» sussurrò Ami.

Ansimando in silenzio, lui attese.

«Ho sognato di nuovo, ma questa volta mi sono svegliata prima. Non potevo più fingere di non sapere cosa stavo facendo, eppure... non ho resistito: ho spostato il cuscino tra le gambe e mi ci sono spinta contro.» Ami arrossiva in continuazione, da quando la conosceva, ma in quel momento sembrava affebbrata. Gemette. «Non mi bastava. Così ho immaginato che tu avessi... che mi facessi... poi sono di nuovo...» Lei esalò, cercando aria. «Tante parole e mi vergogno a usarle.»

Lui aveva capito ugualmente ed era diventato duro come la roccia. «Ami.»

Lei rabbrividì. «Sì?»

«Che cosa ti stavo facendo?»

Rigida, lei non sfuggì al suo sguardo. Trovò il coraggio di parlare proprio osservandolo negli occhi. «Mi stavi baciando, a bocca aperta, tra... Strofinavi la lingua in mezzo alle mie... Su...»

Lui perse la connessione tra bocca e cervello. «Sul tuo fiore?»

Ami nascose la faccia tra le mani, facendo su e giù con la testa. Singhiozzò.

«God, non piangere.»

«No!» Lei riemerse dal proprio nascondiglio. Era mortificata, ma rideva. «Fiore

Sentendosi eccitato e ridicolo, lui liberò una risata stentata. «Scusa. Non sapevo come altro chiamarlo.»

«Per forza. Non c'è una parola buona per... Oh mio Dio!» Tornò a coprirsi gli occhi.

A lui faceva piacere averla resa religiosa. «Non vergognarti. Cercherò un termine migliore.»

«Tu- io... L'ho detto davvero?»

«Te l'ho chiesto.»

Ami allontanò la mano dal viso, ma tenne chiuse le palpebre. «Mi sento di nuovo come ieri notte.»

In tutta quella storia c'era un punto di massima sopportazione e lui lo aveva appena raggiunto. «Ami love.» Sapeva che lei non era pronta, perché glielo aveva appena dimostrato. «Ti devo salutare.»

«Cosa?»

La sua delusione gli fece quasi cambiare idea. «Hai bisogno di qualcosa, ma non vuoi che io ti guardi. Il mio bisogno in questo momento è più grande del tuo. Sto... esplodendo.»

Ad Ami cadde la mascella.

Lui strinse le coperte su cui era seduto. «Fai quello che senti, immagina che sia io a farlo. Su ogni più piccolo punto del tuo corpo.»

L'imbarazzo non la bloccava più dal guardarlo. Ami era eccitata quanto lui.

«Sfogati. Non sarai da sola.»

Lei sbatté gli occhi. «Ci sentiamo dopo?»

Per Alexander fu una sofferenza confermare. Chiuse la chiamata.

 

Incredula, col comunicatore ancora in mano, Ami si sdraiò sul letto e insinuò una mano tra due bottoni del pigiama. Non si stava toccando da sola, era Alexander che voleva farlo. Era lui che le prendeva il seno a coppa, stuzzicandone la punta. Roteò il proprio capezzolo tra le dita, rifiutandosi di pensare alle proprie azioni. Era bello, intimo - perché se il suo amore fosse stato con lei in quel momento sarebbe stato ancora più insistente e dolce...

Scese con le dita sullo stomaco. A migliaia di chilometri di distanza Alexander era sicuramente andato più sotto sul proprio corpo e con la testa gettata all'indietro sul cuscino ora stringeva i denti per il piacere. Lei intrufolò la mano nei pantaloni del pigiama, dentro gli slip, agitando le gambe.

Immagina che sia io a farlo.

Bastò quella consapevolezza a farle sollevare di scatto il bacino, per uno spasmo improvviso. Si tormentò col dito, stringendo disperatamente le cosce tra loro, cercando di non gridare.

Quando aprì gli occhi, ansimava, appagata.

Girò la testa per guardare l'ora.

Non poteva essere passato più di un minuto.

Si impose di aspettare prima di richiamare.

 

Passati dieci minuti, Alexander non sapeva se attendere oltre o rischiare. Avrebbe riavuto un'erezione completa, immediata, se avesse beccato Ami mentre lei non aveva ancora terminato.

Non sapendo se sperarlo o temerlo, si azzardò a chiamarla.

Lei rispose in un secondo netto. «Ciao.»

Era la stessa voce infatuata e sazia che lei usava quando riposavano insieme, dopo aver fatto l'amore.

Suo malgrado, Alexander si eccitò.

Ami aveva la mente sgombra. «Scusa.»

«Per cosa?»

«Per averti costretto a spegnere. È vero, non ce l'avrei fatta a guardare.»

Il suo pentimento gli generò solo tenerezza. «Non preoccuparti.»

Senza badare ai bottoni del pigiama aperti, lei si sdraiò su un fianco, serena. «La prossima volta farò uno sforzo.»

«Non deve essere uno sforzo»

«Giusto. Ce la farò e basta. Ti amo così tanto.»

Lui sentì il cuore che traboccava felicità. «Anche io. Qualunque cosa tu faccia.»

Ami si mangiò un sorriso, furbo sugli angoli. «Ti renderò fiero di me.» Gli lanciò un bacio. «A domani, passa una buona giornata.»

 

Nel fine settimana Ami riuscì a riunire le sue amiche per una cena, nell'appartamento di Alexander. 

Terminando di mangiare, Makoto la squadrò. «Hai finito quel libro, Ami? Voglio prestarlo a Rei.»

«Oh, sì. È di là.»

«Di che libro parlate?» indagò Rei.

Gli occhi di Usagi erano come raggi laser su Ami. «Ti è servito?»

Lei dibatté brevemente su come rispondere. «Sì.» Davanti ai gridolini delle sue amiche, scappò in cucina.

Il grido di Rei fu il più alto. «Perché non so mai niente?»

 

Fu a lei che Ami decise di rivolgersi un paio di giorni dopo. Usagi e Makoto erano ansiose di esserle d'aiuto, ma il modo in cui volevano condividere la sua esperienza la spingeva a zittirsi piuttosto che a parlare. Rei, pur essendo schietta, era capace di rispettare la sua privacy e di non farla sentire a disagio. Era la persona migliore a cui rivolgersi per un consiglio nel campo che le serviva.

Parlarono davanti a una tazza di tè.

«Vuoi sapere come creare un'atmosfera romantica?»

«Sì. Mi serve qualcosa che produca un effetto rilassante e... intimo.»

Rei sorrise. Non di lei, e neppure con lei - una sua grande qualità. Aveva compreso che cosa le stava chiedendo e non stava sottolineando quanto fosse anomalo il comportamento nel suo caso. A differenza di Usagi, Makoto e Minako, Rei non si sorprendeva di quella sua evoluzione, quasi come se avesse sempre saputo che anche lei, come chiunque altro, era capace di grande ardore.

«Dato che stiamo parlando di una comunicazione via schermo, ci vuole qualcosa di scenografico.»

Ne parlò con tanta naturalezza che Ami non ebbe modo di vergognarsi. Rei stava già riflettendo sul da farsi. «Candele» dichiarò.

«Profumate?»

«Sì. Gli odori influenzano l'umore e la luce soffusa crea un ambiente calmo, che placa l'animo e al contempo accende l'immaginazione. Sotto le lampade si lavora, si studia, si legge. Insomma, si fanno le cose di tutti i giorni. Una candela invece è speciale, unica.»

Erano parole che da sole incantavano. 

Rei era concentrata. «La vasca da bagno è uno scenario sensuale ma complicato da gestire e un po' troppo audace per te. Restiamo sul semplice: una stanza. Svuotala degli oggetti alle tue spalle. Distraggono, anche se ovviamente lui guarderà solo te. Ma facciamo le cose per bene.»

Ad Ami piaceva quel modo pratico di approcciarsi al progetto.

Rei incrociò i suoi occhi. «Non voglio imbarazzarti, ma dato che stiamo parlando di far sentire a tuo agio anche te... Compra della biancheria nuova.»

Ami arrossì per la prima volta.

«No, ascoltami: non qualcosa di sexy, solo qualcosa che ti faccia sentire... desiderabile. Un nuovo capo di biancheria funzionerà meglio perché questa è una nuova esperienza per te, quindi... rendila nuova in tutti i sensi. A lui stai offrendo qualcosa di unico e vuoi che ti veda come non ti ha mai visto prima. Il capo di vestiario giusto è il fiocco che impacchetta un regalo speciale come questo. Quando sentirai che ti blocchi, o ti sembrerà di essere sgraziata, fuori luogo, persino ridicola... penserai a come ti rende bella ciò che indossi e ti sentirai meglio.»

Solo Rei era in grado di rendere naturale quel tipo di discorso. «Tu hai mai provato?» Ami si morse le labbra, vergognandosi della propria curiosità.

«No, ma al posto tuo lo farei.» Rei sospirò, guardando il cielo. «Al posto tuo lo avrei fatto sin dai primi giorni. Sapendo che dovevamo stare lontani per mesi, avrei avuto paura di non essere sempre nei suoi pensieri. Avrei voluto fargli sentire in tutti i modi possibili che aveva ancora bisogno di me, e io di lui.» Si mangiò un sorriso. «Per questo la tua relazione è ad uno stadio che invidio. Tu ti sei dimostrata più sicura di me.»

«Siamo solo diverse.»

Rei accettò la concessione. «In ogni caso ciò che vuoi fare è molto bello. Mentre vai a scegliere le candele e la biancheria immergiti in un sogno. Stai per dare a te stessa e a lui un ricordo unico.»

Ami si sentì pervasa da un puro spirito romantico. «Grazie.»

Rei sorseggiò il proprio tè. «Di nulla. Più ti senti innamorata, più sei disinibita. Questo aiuta in una conversazione telefonica spinta.»

Soffocando una risatina, Ami accettò quell'ultima perla di saggezza.

All'alba di dicembre, Alexander non si aspettava nulla più di quello che aveva.

Non aveva più rivissuto con Ami l'esperienza di qualche giorno prima, ma lei non l'aveva dimenticata. Quando lo salutava gli faceva percepire con sguardo intenso che lo avrebbe pensato, di notte.

Una volta lui aveva avuto il coraggio di chiederle, 'Mi hai più sognato?'.

Lei aveva risposto di sì, sciogliendosi in un sorriso. Aveva posato un bacio delicato sulle proprie dita e le aveva appoggiate sullo schermo, trasmettendogli il contatto a un oceano di distanza.

Sapere che lei, da sola, si dedicava a placare le sensazioni che era lui ad accenderle nel corpo era un pensiero che occupava la sua mente giorno e notte. Lo usava per soddisfarsi, non vedendo l'ora di poterlo fare con lei, dal vivo.

Quella sera, sentendo lo squillo del comunicatore, sbadigliò per la stanchezza. Era stata una giornata piena. Si infilò sotto le coperte, preparandosi ad addormentarsi dopo la buonanotte di Ami.

«Ciao» esordì.

«Ciao.»

Si stupì di non vedere nessuno nello schermo. Il comunicatore era puntato verso la sua stanza. Sul comodino dove di solito teneva la lampada c'erano tre fusti di candele alte, di colore rosa.

Nel suo campo visivo entrò una coda. Ami allungò le mani, spostando il gatto dalla scena.

Alexander si mise a sedere sul letto, divertito. «Cosa fai?» Era una sua impressione, o aveva visto su di lei le maniche di una vestaglia?

Udì una risatina leggera. «Ale-chan ci teneva a salutarti.» Ami entrò nell'inquadratura solo con la testa, di lato. «Ora ci sono anche io.»

Lei stava... giocando. «Perché ti stai nascondendo?»

Ami scosse il capo. «È solo una piccola entrata a effetto.»

Vedendola apparire per intero sul letto, seduta, Alexander notò la vestaglia color crema che indossava. Era opaca, di seta, e su di lei gli ricordava uno yukata estivo. Le lasciava scoperte le gambe.

«Sei stanco stasera?»

«No.» Non era nemmeno una bugia. Gli era già passata la stanchezza ammirandola in quei nuovi panni...

«Che cos'hai fatto oggi?»

L'umore di lei era diverso, particolare, ma per scoprire che cosa aveva lui preferì seguire la scia indicata, rispondendo alla domanda. Le fece un rapido resoconto della propria giornata. «E tu?» domandò infine.

Ami rivolse lo sguardo alla luce delle candele. «Ho fatto questo acquisto.»

«La vestaglia è nuova.»

Lei annuì. La fiamma delle candele si rifletteva nei suoi occhi. «È liscia e morbida. Mi piace sentirla sulla pelle.»

Rapito, Alexander si avvicinò allo schermo. Cercando con la mano dietro di sé, spense la luce sul soffitto.

Ami sorrise. «Così non ti vedo.»

A lui bastava vedere lei. «Un attimo.» Accese la lampada, regolandone la luminosità. «Ora va bene? Anche se non penso che il mio lato appaia altrettanto bene su video.»

Lei accolse il complimento. «Ti piace questa atmosfera?»

Gli piaceva vedere che allestire in quel modo la stanza aveva trasformato la dolcezza di lei in qualcosa di... sensuale.

Per non imbarazzarla, scherzò. «Mi fa sentire inadeguato. Al tuo confronto io indosso uno straccio.» Tirò la maglia del pigiama, squadrandola con finto disgusto.

Ami lo fissò per un lungo momento. «Perché non la togli?»

... la maglia?

«Stai meglio senza.»

Lui non avrebbe potuto essere più veloce a spogliarsi.

Quando terminò, vide che Ami si era alzata sulle ginocchia. «Dimmi se anche io sto meglio senza la vestaglia.» Lei sciolse il nodo sulla vita e, con lentezza, lasciò cadere il tessuto dalle spalle.

Indossava una sottoveste di colore chiaro, con spalline sottili, che arrivava a malapena alle gambe. Sotto i triangoli dei seni una decorazione in pizzo lasciava spazio a una fascia di tessuto in trasparenza che terminava prima dell'ombelico. Il resto dell'indumento era di seta - e sulla pelle di lei aveva una consistenza preziosa, lavica.

Alexander osservò, immobile.

Vedeva il petto di Ami che si sollevava a ritmo, con sempre più insistenza.

Articolò un suono. «Ah...»

Lei portò una mano sullo stomaco, raccogliendo lievemente il tessuto. A lui uscì un ansito.

Ami tornò a sedere e Alexander colse di sfuggita un sorriso candido. Sistemandosi meglio, lei si sdraiò sul letto, di lato, tutta la sua attenzione rivolta a lui. «Volevo che stasera fosse speciale.»

«Sei incantevole.» Ecco, riusciva ancora a parlare.

Ami giocò con l'orlo della veste. «Ho voluto scegliere qualcosa di... dolcemente eccitante.»

Parole che la descrivevano perfettamente.

Alexander appoggiò la bocca contro le nocche delle mani, provando a non respirare troppo forte. Le punte dei seni di Ami si erano fatte turgide. «La senti fredda? La veste?»

«No. Si è scaldata contro il mio corpo.»

Lui immaginò la sensazione e represse un mugolio. Giudicò saggio non aprire più bocca.

Ami non sentì il bisogno di colmare il silenzio. Alexander non la guardava in viso ma lei non fece nulla per attirare la sua attenzione verso gli occhi. Ad un certo punto si allungò, come per dargli una migliore visione di sé. Il tessuto della veste scivolò di lato sui fianchi, lasciandogli intravedere la linea degli slip.

Come sarebbero scivolati sulla carne morbida, umida?

Ami si issò su un gomito, attenta. «Alex... Stai perdendo sangue dal naso?»

Lui si schiaffò una mano sulla faccia, sentendo la scia bagnata. «No, sono...» Allontanando le dita dalla faccia vide del liquido rosso. Inorridendo, si allungò a prendere un fazzoletto.

Lei si era avvicinata allo schermo, preoccupata. «Premi forte sulle narici.»

«Sto bene» bofonchiò lui. Non riuscire a parlare bene lo fece sentire ridicolo. Si liberò del fazzoletto. «Oggi ero raffreddato, mi sono soffiato forte il naso. Avrò indebolito un capillare.»

Ami annuiva, cercando di rassicurarlo. A un certo punto si morse le labbra.

Non ridere, non ridere...

Lei soffocò la prima risatina.

Alexander gettò la testa all'indietro - più per la disperazione che per fermare l'emorragia. Quando fu certo che non avrebbe più espulso liquidi dall'orifizio sbagliato, tornò a guardare Ami - seminuda nella sua stupenda veste color crema, disponibile a ogni piacere carnale, ma lontana migliaia di chilometri da lui.

«Stai bene?» si sentì domandare.

«A posto.»

«Mi spiace di aver riso, ma... Ho voglia di darti un bacio sulla fronte.»

Lui ne voleva uno da tutt'altra parte. «Love...»

«È meglio che ti lasci riposare.»

No! «Non riuscirò a dormire in questo stato.»

«Non vuoi restare da solo?»

Sì, ma non perché si sentiva male. «Non andartene. Continua quello che stavi facendo.»

Negli occhi di lei entrò un pizzico di malizia. «Ero solo sdraiata.»

Era stato sufficiente per lui. «Torna nella posizione di prima.»

Arrendevole, Ami obbedì. Era ancora in apprensione. «Stai bene sul serio?»

«Certo.»

«Sicuro?»

Lei era molto dolce, ma fuori luogo senza saperlo. «Un calo di pressione non renderebbe possibile la congestione di sangue che ho a livello del bacino.»

Lei allargò gli occhi. Combattendo contro un sorriso, lo guardò intensamente. «Ti amo.»

«Non sai quanto io.»

«Non per- Perché sei tu, ovviamente, ma i termini medici che hai usato per descrivere il tuo problema... Mi conquistano quanto il tuo stato di congestione.»

Alexander rise.

Ami non era più in vena di scherzi. «Ti va di pensarci insieme?» Nel fare quella proposta il sangue le salì al viso ed Ami respirò a fondo. «Anche io non riuscirò a calmarmi fino a quando... Fino a che noi...»

Alexander notò che lei si stava rannicchiando e comprese la portata del suo bisogno. «Strofina le gambe tra loro.»

Glielo vide fare, sullo schermo. Durante il movimento Ami aveva stretto più forte le coperte.

Lui portò la mano alla congestione che svettava sul suo basso ventre. «Com'è stato?»

«Non abbastanza.»

«Prova ad abbassare le spalline.»

Qualcosa - curiosità, audacia - si accese negli occhi di lei. «Perché?»

«L'aria ti darà quella carezza che non posso darti io. E avrò qualcosa di meraviglioso da guardare.»

Invece di mettere in dubbio il complimento, o vergognarsi di essere al centro di tanta attenzione, Ami respirò a fondo e denudò una spalla. Si sdraiò sulla schiena, per tirare giù anche l'altra spallina. Infine tornò su un fianco, rivolgendosi a lui. Con deliberata lentezza, incastrò un dito nella scollatura della veste e tirò giù il tessuto, molto piano.

Lui stava per venire senza neppure stimolarsi.

Fotografò nella mente quell'attimo: non aveva mai visto niente di più erotico di Ami che gli rivelava i propri seni, cosciente di essere guardata, consapevole dell'effetto che gli faceva.

Guardò gli occhi di lei e vi lesse qualcosa che conosceva: una nota di incertezza, lievissima.

«You are breathtaking» le disse. Lei aveva bisogno di sentirlo parlare e l'inglese sembrava più soave e intimo alle loro orecchie. «I could die watching you.»

Come in agonia, Ami lasciò scivolare una mano tra le proprie gambe. Premette lievemente, agitando appena le dita, senza mai smettere di guardarlo. «L'ho fatto ieri» mormorò. Le si spezzò il respiro. «Non è stato più a causa di un sogno. Mi conoscevo attraverso te e non avevo mai... Volevo essere pronta per oggi.» Continuò a massaggiarsi, inarcando la schiena, chiudendo gli occhi. «Volevo che fosse solo per te, ma ad un certo punto... È così devastantemente piacevole che...»

Oh, God.

Alexander smise di respirare.

Lei muoveva un unico dito su di sé, stringendo i denti. «C'era solo questa sensazione così...» Agitando la testa, provò a resistere alla propria carezza, inutilmente. «Non esisteva nient'altro che...» Si irrigidì di colpo coi fianchi, donandosi ai tocchi incessanti della mano.

Lui schizzò di sperma le proprie dita, proibendosi di emettere suoni.

Ami incontrò i suoi occhi e gli chiese amore, conforto e perdono - tutto in una volta sola. Smise di muoversi, rannicchiando le ginocchia contro il ventre.

Lui calmò il respiro assieme a lei, senza fretta, mentre discretamente cercava un fazzoletto.

Se l'avesse avuta accanto, le avrebbe ravviato i capelli. «Come fai a sentirti in colpa?»

«È sempre stata una cosa che ho fatto solo con te...»

Come se lui potesse esserne geloso. «Sii edonista, love. Approvo in pieno.»

Lei nascose la faccia nelle coperte. «Veramente?»

«Diventa esperta. Poi mi insegnerai come darti più piacere.»

Ami si strofinò contro il materasso, abbracciandosi. «Non ce n'è bisogno. Voglio dire, quando noi due... è già tremendamente... Stupendamente...»

«Se continui, avrò voglia di ricominciare.»

Le suscitò un sorriso e seppe che lei era di nuovo a suo agio.

«Ti è piaciuto?»

Sorridere con lei, per lei, era la cosa più bella sua vita. «Tanto.»

Più calma, Ami scrutò i suoi occhi. «Scusa se trovo il coraggio di dire cose imbarazzanti solo in momenti strani.»

«Mi basta che tu le dica.» Allungò la mano e soffrì nello scoprire di non poterla toccare. 

Ami si sporse sul letto e prese il comunicatore, portandolo vicino a sé. Alexander fece lo stesso.

«Ti si stanno chiudendo gli occhi» la sentì mormorare.

«Non è vero.» Ma riconoscendolo, lui si liberò del fazzoletto sporco, gettandolo nel cestino.

Nel comunicatore Ami lo guardava come se lo avesse scoperto daccapo. «Un giorno dimostrerò l'esistenza del filo rosso del destino.»

Alexander aveva adagiato la testa sul cuscino. «Hm?»

«Non sarà difficile: ne ho uno avvolto attorno al dito, che mi lega a te. Non c'è distanza che tenga. Non lo spezza il mio imbarazzo, la mia insicurezza. Le mie decisioni più sciocche.» Le pupille di Ami vacillarono, umide. «Tu tieni saldo il filo.»

Alexander era assonnato, ma sentiva tutto. Capiva tutto. «Mi hai chiamato tu.» Chiuse gli occhi, certo che lei sentisse il suo abbraccio. «Ancora prima che ti conoscessi, già mi chiamavi.»

In Giappone Ami strinse il comunicatore al petto.

Era vero.

 


 

Tre settimane volarono. Le riempirono di discorsi, di racconti, di esperienze - il loro paradiso dei sensi, come aveva iniziato a chiamarlo.

Ami lesse ad Alexander le parti che aveva preferito del libro che aveva ricevuto da lui in regalo, per il suo compleanno.

Lui le fece conoscere Arimi. Vedere la bambina sorridente, che guardava con gli occhi sgranati lo schermo e poi rideva nell'abbraccio di lui, le riempì l'animo.

Aiutò Alexander nello sviluppo della sua idea sul teletrasporto. Non andarono molto lontano, poi lui chiese una mano a Shun, esponendogli il progetto come un concetto puramente teorico. Da lì avanzarono insieme verso un livello che le risultò incomprensibile, ma non poté che esserne felice.

Gli espose la sua idea per la tesi di laurea. Alexander tornò a rammaricarsi per il fatto che lei non avrebbe avuto tempo di laurearsi, ma per Ami non era un problema. Non aveva più alcun rimpianto.

 

«Ancora tre giorni.»

«Ancora tre giorni» ripeté lui. «Ho una sorpresa per te, Ami love. Hai già pronte le valigie?»

«Sì! Non vedo l'ora di arrivare. Ho comprato dei regali di Natale per tutti.»

«Io riporterò i miei indietro con te. Mi riferisco a quelli per Shoko-san e la sua famiglia. Poi ci sono le tue amiche, i ragazzi, i gatti. Ah, ho una cosa anche per tua madre. Ma dovrà aspettare gennaio.»

Quando avrebbero iniziato la loro vita insieme. «Quattordici giorni solo per noi» disse Ami, ebbra di speranza. Sapeva che sarebbero stati i giorni più belli, i più attesi.

Lui era impaziente quanto lei. «Vado, o non dormo più. Devo accumulare sonno, perché conto di non dormire quando ti rivedrò.»

Era una promesssa. «Almeno per ventiquattr'ore.»

La sua audacia non lo sorprese più. Era un premio guadagnato. «Poco ma sicuro. 'Notte, love.»

«Bye.»

Era una delle ultime volte che si salutavano al comunicatore, dopo quasi quattro mesi di separazione.

Ami abbracciò Ale-chan. «Non vedo l'ora di partire. Tornerò presto, vedrai. Tu starai con Luna, poi avrai un nuovo amico. Staremo nell'altra casa, tutti insieme. E finalmente saremo...»

Una famiglia.

Sospirò di gioia.

 

 

Novembre/dicembre 1997 - Lontani ma vicini - FINE

 


Note: Gente, questo è il penultimo capitolo di questa raccolta. La chiuderò col botto, raccontandovi di quando Ami e Alexander si ritrovano, in America.

Se vi è piaciuto ciò che avete letto (o magari no), lasciatemi una parola - come regalino di Natale, su :D

 

Elle

 

Gruppo Facebook dedicato alle mie storie, per spoiler e aggiornamenti: Sailor Moon, Verso l'alba e oltre...

   
 
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