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Autore: Snow_Elk    20/12/2016    0 recensioni
Fuori pioveva, la finestra aperta lasciava entrare qualche goccia d’acqua che si infrangeva silenziosa sul pavimento. Fuori pioveva, sentiva la sinfonia della pioggia, ma lei non provava freddo, si sentiva bruciare dentro. Quando riaprì gli occhi trovò nello specchio dinanzi a lei il riflesso di due rubini che la fissavano nel buio della stanza, uno sguardo che non aveva bisogno di descrizioni, uno sguardo che pretendeva una risposta silenziosa e il suo fiato corto, i brividi che la facevano tremare gliel'avevano appena data. Non aveva scampo, era diventata schiava di una passione insana di cui aveva assaporato solo il principio.
“ Sei mia… piccola Alice” un solo, unico sussurro e poi solo il buio.
Genere: Erotico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yuri
Note: Lemon | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Sovrannaturale
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A Black Lotus as Night

2s1582s

Episodio XIII- Sussurri Passati

Note dell'autore: Ed eccomi qui, a riaggiornare questa vecchia conoscenza. Mi scuso se son sparito, ma per Black Lotus avevo subito un vero e proprio blocco, poiché questa storia è legata a troppe persone, molte delle quali non fanno più parte della mia vita. Eppure questa storia si merita di arrivare al finale e questo XIII episodio è un altro passo verso l'epilogo. Spero vi piaccia, Buona lettura!

Snow


Quando il mondo ti crolla addosso nessuno lo sente, solo tu, come qualcuno che urla dentro una campana di vetro, è una sofferenza silenziosa che attende di esplodere, devastando quello che resta delle tue certezze.
- Elza – Kikuri la fissava in silenzio, il nome di sua sorella, no, il suo nome, era stato un flebile sussurro presto dimenticato. Lei non sentiva nulla, le chiacchiere degli altri clienti, il crepitare del fuoco, le urla dell’oste che se la prendeva con i camerieri, nulla.
Le uniche cose che sentiva erano il calore delle lacrime, quelle stesse lacrime che le stavano rigando il viso come coltelli affilati.
-Elza, ascoltami...-
-No!- si volse verso di lei con gli occhi arrosati per il pianto.
- Ho ascoltato abbastanza, Kikuri, non trovi?-
- Voglio solo che tu capisca –
- Capire cosa? Che credevo di essere mia sorella e invece lei è morta? Che ho fatto questa scelta sperando di ottenere chissà cosa? Oppure che nessuno in questi anni mi ha detto la verità? – la frustrazione nelle sue parole era palpabile.
- Non hai voluto ascoltare nessuno, abbiamo provato a farti desistere ma non è servito a nulla – rispose la ballerina oscura.
- Io... lasciami da sola, Kikuri, ho bisogno di rimanere da sola –
Kikuri fece per ribattere ma non aprì bocca, si limitò a lanciarle uno sguardo carico di compassione, annuì e la abbandonò.
 
Rimase a fissare il vuoto per un lasso di tempo che le sembrò un’eternità,  lasciandosi cullare dal brusio della sala, per non pensare, perché pensare le faceva male in quel preciso istante, più di qualsiasi altra cosa.
Ogni tanto lanciava uno sguardo allo specchio appeso alla parete e continuava a vedere quegli occhi color rubino, lo sguardo malinconico, i capelli raccolti in due code laterali. Quella era lei? No, non era una domanda, doveva essere un’affermazione: quella era lei, era sempre stata lei, semplicemente ora l’illusione era sparita, non era più cieca e poteva vedere la realtà.
Le lacrime continuavano a scivolare copiose sulle sue guance, non riusciva a smettere di piangere per quanto cercasse di imporselo mentalmente.
Probabilmente quello ero uno sfogo trattenuto per quei due lunghi anni, tutto il dolore che si era portata dentro ora aveva trovato uno spiraglio, come una diga che cede sotto la furia dell’acqua.
- Alice... perché? Ci eravamo fatte una promessa – sapeva di parlare da sola, ma ormai che senso aveva? Cosa poteva importargliene?
Afferrò la bottiglia dell’animanera e riempì il bicchiere fino all’orlo, tirandolo giù senza alcun ritegno: questa volta l’alcol non avrebbe di certo fatto annegare tutti i suoi malesseri ma era comunque qualcosa, quel leggero tepore vicino al cuore, la nebbia nei pensieri.
Il suo cervello stava sbattendo da una parte all’altra  del cranio, come una pallina impazzita, passando da un’ipotesi all’altra, affondando in vecchi ricordi che diventavano sempre più nitidi, volando in mezzo a pensieri di ogni genere.
Male, non voleva pensare, non in quel momento, non era pronta per affrontare tutto quello schifo, per affrontare la realtà o qualsias altra cosa fosse, una piccola tregua tra l’essere Alice ed essere Elza.
- Ehi! – chiamò il cameriere più vicino e non appena il ragazzo sopraggiunse lo afferrò dal colletto della divisa. Il giovane sbiancò.
- Qual è il liquore più forte che avete? – non se ne era accorta ma stava stringendo con forza il colletto e il giovane aveva iniziato a sudare freddo.
- Il... il Respiro Cremisi... signorina –
- Bene, portamene una bottiglia o ti farò capire perché mi chiamano Il Loto... – si bloccò: lei non era il Loto Nero, Alice lo era, non ricordava il suo appellativo, ma qualunque fosse non era Loto Nero.
Lasciò la presa e il giovane annuendo nervosamente corse verso il bancone.
Ritornò pochi minuti dopo, posando la bottiglia e un bicchiere pulito sul tavolo.
- Ecco a lei, signorina, offre la casa – si affrettò a dire scomparando alla sua vista come un’ombra.
Il liquore aveva un nome azzeccato: il colorito che mostrava ricordava il cremisi, come le fiamme che circondava Alexia, la cacciatrice di demoni.
Non si perse in chiacchiere e iniziò a bere, un bicchiere dopo l’altro, sentendosi bruciare dentro come se l’inferno avesse trovato una nuova dimora nel suo cuore, e nel suo fegato.
Se per qualche minuto poteva distruggersi interiormente con le proprie mani lo avrebbe fatto con piacere, finché non avebbre visto quella dannata bottiglia vuota.
 
Quando iniziò a vedere che la sala iniziava a tremare come se colpita da un terremoto capì che era arrivata al limite della sua sopportazione, i suoni ovattati e quel leggero ronzio che sentiva in testa non erano altro che conferme, ma restava ancora un’ultimo bicchiere.
- Andrò in fondo a questa storia – lo tirò giù, sentendo le fiamme lacerargli l’anima stessa, dopodiché si alzò barcollando e aprì il portale oscuro, facendo scoppaire il panico tra i presenti: lo osservò per un secondo e vi si lanciò dentro, abbracciandone l’oscurità perenne.
Pochi secondi dopo spuntò nel cimitero dove quello stesso giorno aveva seppellito Lico. Era di nuovo in quella foresta di marmo silenziosa, ma per un altro motivo.
Iniziò a camminare, cercando di ignorare gli effetti debilitanti della sbronza che si era auto inflitta, barcollando tra una tomba e l’altra, usando la falce come un bastone da passeggio, tanto per non perdere l’equilibrio.
Stava facendo buio ormai, non c’era traccia di altre anime oltre a lei e le luci delle lampade ad energia puntellavano qua e là l’oscurità della notte incombente.
Nonostante le sue pessime condizioni e la semi oscurità riuscì ugualmente a trovarla, spinta dal suo sesto senso o più probabilmente da una sensazione familiare, perché era già stata lì, due anni fa in un giorno di pioggia.
Una tomba in marmo bianco, sormontata da un piccolo angelo in preghiera e circondata da mazzi di fiorie e altri piccoli oggetti lasciati lì in ricordo.
Un tomba bianca in memoria del comandante dei Loto Nero, della Dea Falce: Alice di Bariura.
Si accasciò accanto ad essa, lasciando cadere la falce a peso morto, poggiando una mano sul marmo freddo, sentendo che le lacrime tornavano a rigarle le guance nel silenzio di quel luogo.
- Avevo promesso di proteggerti, di regalarti una vita lontana dalla guerra, dalla morte... invece è stata proprio lei ad abbracciarti per ultima – stava sussurando quelle parole a testa bassa, proprio come se avesse avuto accanto la sorella.

Iniziò a piovere, una pioggia leggera e quasi impercettibile, proprio come quel giorno, quando con Mifune era rimasta davanti a quell’epitaffio a versare tutte le lacrime che aveva in corpo.
No, doveva smetterla, ora che i ricordi iniziavano a farsi più nitidi, ora che lo specchio della sua memoria stava tornando integro, sentiva di aver pianto abbastanza.
- Non hai idea di ciò che mi è successo nell’ultimo periodo, probabilmente mi rideresti in faccia per settimane – parlarle come se niente fosse la faceva sentire meglio, era una sorta di magra consolazione.
Rimase in silenzio, poggiata al marmo bianco,ignorando la pioggia, il silenzio opprimente, tutto. Rimase lì in silenzio, accanto alla persona che aveva amato di più in vita sua.
- Ho cercato di ridarti la vita nel mondo sbagliato, sorellina,farò sì che tutto ciò non accada più – un’ultima carezza, un mezzo sorriso, e il portale oscuro la avvolse nuovamente.
 
                                                       [...]
 
Due giorni dopo
 
Aveva trascorso gli ultimi due giorni chiusa nella biblioteca dell’Accademia alla ricerca di un rituale in particolare, qualcosa che veniva evitato perfino dai maghi oscuri di Bariura, qualcosa di cui anche il padre non voleva parlare.
E quando non si ritrovava a leggere tomi su tomi tornava a bere, per continuare ad affogare i pensieri e concetrarsi sull’unico chiodo fisso.
Aveva cercato di restare il più possibile nell’ombra, di non farsi vedere da nessuno: né dal suo battaglione, né da Kikuri o da Sefia.
Erano giorni che non vedeva Xem e doveva ammettere che sentiva un profondo vuoto dentro di sé ogni volta che ci pensava, un vuoto che poteva avere una sola risposta.
Anche di Zebra non vi era più traccia: dopo la morte di Lico si sarebbe aspettata il finimondo, che una parte della capitale venisse spazzata via dalla furia del Dio Folle, dalla sua rabbia incontrollata. Come avrebbe reagito nello scoprire che lei non era Alice, ma Elza?
Tutt’ora lei continuava a non capacitarsene, continuava a ragionarci giorno e notte, senza darsi tregua, perché era qualcosa di troppo grande da accettare, da metabolizzare, una ferita troppo profonda.
Finalmente trovò quello che stava cercando ed esultò sentendo l’eco delle sue urla perdersi tra gli scaffalli dell’immensa biblioteca. Poco male, in quel periodo c’erano solo lei e la polvere.
Strappò la pagina che le interessava, infischiandose per una volta delle buone maniere, e si incamminò velocemente verso casa sua: aveva abusato negli ultimi giorni del portale oscuro e ne stava pagando le conseguenze tra i mal di testa insistenti e lo stomaco sottosopra ed era meglio evitare di peggiore le cose utilizzando ancora.
Inoltre una passeggiata all’aria aperta le avrebbe fatto sicuramente bene.
 
Una volta raggiunta casa si fece una doccia, per lavarsi via i pensieri e lo schifo che si portava dentro, e si diede una sistemata per essere presentabile: indossava ancora gli abiti di sua sorella, ma poco gli importante, erano l’unica cosa che ancora la facevano sentire lì accanto a lei e di certo non li avrebbe buttati.
Si piazzò davanti allo specchio, quello che non aveva distrutto nella follia di qualche giorno prima, e fissò il proprio riflesso per qualche minuto, studiandolo: per quanto lei e Alice fossero molto simili, c’erano alcuni dettagli che la contraddistinguevano dalla Dea Falce, gli stessi che quel giorno aveva visto nello specchio infranto, gli stessi che ora vedeva completi davanti a sé.
Era come risvegliarsi da un lungo sogno, con la sola differenza che lo shock della scoperta tra sogno e realtà era come minimo centuplicata.
Inspirò con decisione, socchiudendo gli occhi: prima di mettere in atto il suo piano c’era ancora una cosa che doveva fare. Xem, l’uomo di cui si era innamorata, doveva conoscere la verità, la sua vera identità e tutto quello che era successo.
Glielo doveva, anche se si conoscevano poco aveva fatto tanto per lei, l’aveva salvata dall’oblio delle sue emozioni più di una volta.
L’aveva fatta sentire viva, apprezzata, ma ciò che la turbava era una singola domanda: lui si era innamorato di Alice o di lei? Probabilmente l’avrebbe scoperto molto presto.
Prese tutto ciò che le serviva e si lasciò alle spalle casa sua, puntando direttamente verso la dimora di Xem. Non sapeva se l’avrebbe trovato, ma non aveva voglia di aspettare, era dannatamente impaziente.
 
Quando si ritrovò davanti alla porta fu colta dall’incertezza, da un senso di paura e confusione senza volto né voce, con il pugno chiuso a pochi centimetri dal legno della porta. Forse sarebbe stato meglio non fare nulla, lasciare le cose così com’erano, dopotutto troppe persone erano state coinvolte in quella storia.
No, deglutì con forza e bussò un paio di volte. Pochi secondi dopo la porta si aprì e apparve Xem: aveva i capelli ancora umidi, probabilmente era uscito da poco dalla doccia, ma il suo sguardo era sempre deciso e il corpo avvolto da una strana quiete.
- Xem...-
- Ci conosciamo? –
- Sì, ci siamo conosciuti in una notte di pioggia, davanti al “Picchiere Nero” -  le tremò la voce nel rispondere a quella domanda. Lo sguardo di Xem si fece per un attimo perplesso poi sgranò completamente gli occhi.
- Alice? Ma... –
- Sì – annuì con gli occhi lucidi – ma questa sono la vera io, non Alice...Elza -
   
 
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