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Autore: Persej Combe    22/12/2016    2 recensioni
Lo guardò, dapprima incerto, poi, nel momento in cui quella frase si fu sedimentata nella sua mente e ne ebbe compreso il senso funesto, disperatamente cercò i suoi occhi, lì scrutò, indagò in essi fin nel profondo, e li scoprì freddi e glaciali, seri come mai li aveva visti in tanti anni che erano stati assieme.
[Perfectworldshipping]
Genere: Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Elisio, Professor Platan
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Videogioco
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 L'abisso nella nebbia | Congedo



Nel locale vuoto risuonavano le loro voci, mentre nella notte ormai tarda si confortavano l’un l’altro della reciproca compagnia. Di tanto in tanto scoppiava una risata calda e bonaria, e qualche passante errabondo per strada si voltava a guardare la porta serrata laccata di rosso e le finestre da cui tuttavia non si riusciva a scorgere altro che il timido bagliore di una candela accesa su un tavolo giù in fondo, da qualche parte verso la parete opposta all’ingresso.
 
 Le luci erano spente, nella grande sala cremisi. L’ora di chiusura era passata ormai da molto e per non attirare eventuali clienti indiscreti che bussassero ancora alla porta a chiedere un goccio di vino o di liquore, si era infine deciso di operare in quel modo. Al Professore non pareva infastidire, tutt’altro: trovava l’atmosfera gradevolmente intima e racchiusa, si crogiolava in essa come un bambino al riparo fra le braccia amorevoli e salde dei genitori.
 
 E così si apriva, Platan, si spogliava d’ogni barriera e armatura, e parlava, e mentre parlava sorrideva. Le sue labbra si distendevano, formavano un arco luminoso tra i lineamenti magri e snelli del viso. Quando poi era stanco, la sua voce si affievoliva, si faceva più bassa e profonda, e lentamente andava a tacere. Allora rivolgeva intensamente il proprio sguardo, ed erano gli occhi a prendere parola. Nel momento in cui Elisio, in mezzo a un discorso, si arrestava e gli chiedeva: « M’intendi? », bastava che lo guardasse nelle iridi grigie per trovarne conferma e capire ch’erano d’accordo.
 
 « È sempre bello », disse a un tratto Platan quella sera, dopo un silenzio in cui aveva lasciato che Elisio gli esponesse qualche ragionamento filosofico in quella maniera concitata e ispirata che sempre gradiva ascoltare. « È sempre piacevole parlare con te così alla sera. Ti sono grato del tempo che trascorriamo insieme ».
 
 Elisio parve esitare a quelle parole. Distolse lo sguardo, immerso in qualche riflessione, e le sue sopracciglia andarono a tendersi severamente sopra le fessure sottili degli occhi.
 
 « Sì », disse, « Te ne sono grato anch’io ».
 
 Il Professore sorrise, ancora una volta, le rughe ai lati della sua bocca si accentuarono ed erano particolarmente belle, perché profondamente sincere e spontanee. Non nascevano dalla vecchiaia che avidamente divora la fresca giovinezza, ma dalla gioia scaturita dall’eternità della vita.
 
 Elisio le osservò qualche istante; lo osservò tutto, interamente e pienamente, qualche istante.
 
 « Ascoltami, Platan », la sua stessa anima vibrava in quelle parole, in quel tono di voce basso e gutturale « Te lo domando qui, ora che siamo soli. Senza alcun mezzo termine, nella maniera più schietta. Ti unirai al Team Flare? ».
 
 Il suo bel sorriso si fece tutt’a un tratto ironico di fronte alla testardaggine che per l’ennesima volta gli mostrava ponendogli ancora quel quesito: in un certo senso, pensò il Professore, lui e il suo Gyarados si assomigliavano più di quanto non sembrasse.
 
 « Amico mio... ».
 
 « È l’ultima volta che te lo chiedo ».
 
 Platan si bloccò. Lo guardò, dapprima incerto, poi, nel momento in cui quella frase si fu sedimentata nella sua mente e ne ebbe compreso il senso funesto, disperatamente cercò i suoi occhi, lì scrutò, indagò in essi fin nel profondo, e li scoprì freddi e glaciali, seri come mai li aveva visti in tanti anni che erano stati assieme.
 
Elisio stava in silenzio, impassibile, in attesa della sua risposta. Fissava intensamente ogni suo gesto, ogni tintinnio nervoso delle palpebre, il fremito delle dita, il suo petto quasi immobile per il respiro che era venuto a mancare così all’improvviso, le ciglia scure e lunghe sospese a metà dell’occhio a celare il grigio argenteo e triste delle sue iridi.
 
 « Che cosa vuoi che ti risponda, Elisio? Il tuo gesto è folle e inconcepibile. Non mi schiererò mai a favore di esso. Non verrò con te e coi tuoi. La mia risposta è questa ».
 
 « Certo. Avrei dovuto aspettarmelo. Dopotutto, comprendo le tue ragioni. D’accordo, dunque ».
 
 Prese in mano il bicchiere dove stagnavano le poche gocce di vino avanzate. Erano le ultime che avrebbe bevuto in sua compagnia. Le sue labbra presero una piega amara mentre scorgeva nel liquido la propria immagine riflessa, imponente e al tempo stesso solitaria e misera.
 
 « Allora, il motivo per cui volevi vedermi, stasera, era per salutarmi », rifletté ad alta voce il moro, abbandonandosi a poco a poco lungo lo schienale della sedia. Si strinse nelle braccia, abbassando la testa, mentre l’altro continuava a tacere perso nei propri pensieri – e si rese conto che quello sguardo assorto e azzurro gli avrebbe certamente strappato via una parte di cuore.
 
 « Sì », disse, dopo qualche istante, « Nella speranza tuttavia che avrei potuto farlo ancora e ancora ».
 
 Portò alla bocca il bicchiere, fece scivolare le poche gocce rimaste sulla lingua e nella gola, che già iniziava a bruciare di dolore e rammarico. Si alzò, mise a posto la sedia. Platan lo osservò, incapace di trattenerlo. Nelle orecchie già echeggiavano grida e lamenti strazianti, che dilaniavano l’anima. Elisio stava per avviarsi, con la giacca pesante posata sul braccio.
 
 Ad un tratto, inaspettatamente s’arrestò. Platan si riscosse, le voci nella testa s’erano zittite di colpo, lasciando spazio al silenzio inquieto che gli occhi freddi del compagno emanavano, doloroso come scheggia penetrata nel cuore.
 
 Non una parola venne. Non una sillaba, non una lettera. Non un suono fu creato. Fermi nel vuoto della stanza e nel buio che presto avrebbe gettato la candela spenta, si studiarono, come se si fossero appena incontrati per la prima volta, vago spiraglio di avventure promesse, di emozioni future condivise.
 
 Elisio si mosse. Allungò la mano sul suo viso, accarezzandolo piano come un tesoro prezioso da pochi istanti riportato alla luce. Era la rugiada al mattino che si posa sulla corolla del fiore, la luce rosata dell’alba e del tramonto, la fresca brezza che spira dal mare. E le sue dita erano calde e amorevoli, dal tocco delicato, mentre solcavano la sabbia e si bagnavano nell’acqua. Platan le sentì sulla pelle, come il lieve fuoco del camino, come i raggi del sole nel tranquillo pomeriggio, e si lasciò vincere dalla lentezza con cui percorrevano la sua guancia, abbandonandosi ad esse con tutto il proprio peso.
 
 Ed ecco, come nel dormiveglia lo vide accostarsi ancora più vicino e chinarsi sul suo viso. Scrutò incerto il suo volto, mentre con spavento percepiva il suo respiro soffiare sulle gote e il cuore batteva forte, confuso e agitato, e la mente era vuota, annebbiata – erano lacrime quelle che aveva visto riversarsi dai suoi occhi?
 
 Un bacio giacque sulle sue labbra, casto e puro, senza alcun secondo fine. La bocca di Elisio premeva con leggerezza, e Platan la percepì, delicata, mentre annegava in un abisso senza fondo, annaspando fra la paura e lo sconcerto. Si aggrappò a lui con una mano, con la vaga presunzione di allontanarlo da sé, ma quando lo toccò lo sentì, e sentì anche se stesso, col cuore che scoppiava. Un brivido dolce gli accarezzò la schiena, e si concesse senza remora e timore mentre l’altro gli donava la parte più intima della propria anima, che Platan lentamente accolse.
 
 Quelle labbra che non lodavano che arte, filosofia e bellezza, s’erano abbassate per la prima volta a venerare e amare un essere che non era alto e ideale, ma reale e concreto, in confronto mediocre ed effimero. Ma era in lui che egli infine aveva deciso di riversarsi nel pieno dei sensi, in lui aveva voluto porre e custodire ogni brama e speranza che aveva avuto in vita, prima di abbandonare tutto. Desiderò che la fine giungesse in quel momento, che potesse morire contro la sua bocca e riposare su di essa in eterno.
 
 Restò, più di quanto avrebbe dovuto, più del poco tempo che la ragione aveva voluto imporgli, inutilmente. E fu felice, dannatamente felice – perché più tardi, quando vi avrebbe ripensato, sarebbe stata dannazione ed inferno. Fu costretto ad allontanarsi, tuttavia, ma lo fece temporeggiando, sentendo Platan anelarlo e cercarlo ancora ogni qualvolta scostava un poco le labbra, che doveva andarsene.
 
 Lo lasciò, infine, osservandolo mentre teneva ancora gli occhi chiusi e un’espressione soave era impressa sul suo viso. La guardò intensamente, per inciderla nella memoria prima di congedarsi per sempre, indugiando in particolar modo sulla bocca socchiusa, languida, dal morbido profilo.
 
 Lo accarezzò un’ultima volta con la mano, sistemandogli un ciuffo di capelli dietro un orecchio. Poi si alzò, avanzò di un passo oltre di lui, che non voleva più vederlo, mai più.
 
 « Addio ».
 
 Nell’udire la sua voce, Platan si ridestò, ancora provò le vertigini e la nausea, si tirò in piedi di scatto, irrequieto, perché un nuovo, indicibile sentimento l’aveva colto, che tanto a lungo aveva tenuto nascosto nel proprio animo, non avendo lui stesso avuto il coraggio d’accettarlo prima di quel momento.
 
 « Aspetta! », lo chiamò quasi gridando, voltandosi verso di lui.
 
 « L’unica cosa di cui mi rammarico » disse, continuando a camminare senza volgersi indietro « è dover annientare quelle meravigliose creature chiamate Pokémon che ti sono tanto care. Per il resto, non ho alcun rimpianto. ».
 
 Platan ebbe un tonfo al cuore. Guardò l’uomo con angoscia, mentre un passo dopo l’altro si allontanava sempre di più. Si accorse che la porta era ormai vicina e che presto sarebbe scomparso dietro di essa senza lasciare alcuna traccia. Nel buio fissò la sua schiena e le sue spalle, sentì un intensissimo nodo alla gola e il respiro gli mancò per qualche istante.
 
 Si mosse, disperato, lo raggiunse di corsa, e giunto dietro di lui allungò un braccio, con una mano tentò di stringere le sue dita, che tuttavia riuscì a malapena a sfiorare. Elisio ebbe un fremito, avrebbe voluto strattonarsi via da quella presa, ma le parole dell’altro lo bloccarono saldamente sul posto, lasciandolo sprofondare in una voragine di dolore e tormento.
 
 « Elisio, tu mi ami? Te ne prego, rispondi ».
 
 Platan lo vide esitare. Con fare stanco Elisio si strinse per un po’ nelle spalle, che ora inusualmente apparivano tanto fragili, abbassò la testa e si portò una mano al viso. Si udì un sospiro. L’altro provò a sporgersi, a cercare di scoprire l’espressione del suo volto, senza riuscirvi. Attese in silenzio, tenendo ferme le dita su quelle di lui.
 
 « La mia risposta t’indurrebbe forse a cambiare idea? », disse, finalmente, con voce bassa, un sussurro.
 
 Platan tentennò.
 
 « No... » e mentre lo diceva indietreggiò di un passo, lasciando la sua mano « No, per carità, certo che no! Mai e poi mai! Però... ».
 
 Un riso appena accennato, profondo e vibrante, risuonò di fronte a lui, ed Elisio con divertita amarezza disse: « Ecco, vedi? Non servirebbe a nulla, qualsiasi essa fosse... Lasciami andare, allora. Lasciami andare, Platan. È meglio così ».
 
 Non ebbe la forza di trattenerlo ancora. Col senso di colpa che gli corrodeva le viscere, il Professore si limitò a guardarlo, inerme e sconfitto, mentre prendeva congedo una volta per tutte.
 
 Elisio mise mano alla maniglia, aprì la porta.
 
 « Sarà il destino a decidere, qui, domani, le sorti del mondo. Se tuttavia esso sarà clemente, allora riconoscerò di aver sbagliato e tornerò da te a chiedere perdono. Se così fosse, dunque, questo sarebbe soltanto un arrivederci ».
 
 « Allora arrivederci, Elisio ».
 
 Per un attimo ebbe come il bisogno istintivo di voltarsi una volta, soltanto un’ultima volta, per poter quietare lo sguardo sugli occhi dell’altro, per crogiolarsi ancora qualche istante in quell’amichevole affetto che gli mostrava e rasserenarsi che ogni cosa sarebbe andata a buon fine. Strenuamente si trattenne, scosse la testa. Si sentiva tanto sciocco a lasciarsi contagiare da un simile sentimento che nonostante tutto sapeva non sarebbe mai stato ricambiato totalmente. Così, senza dir più nulla, se ne andò.



 
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Buongiorno a tutti!
Spero che la storia vi sia piaciuta, è nata quasi per sfogo un paio di mesi fa nel quaderno degli appunti durante qualche ora di buco all'Università. È difficile a volte rendersi conto che è necessario dover abbandonare le persone a cui si vuole bene, anche magari non in maniera definitiva, in un certo momento, perché sono state prese scelte diverse.
Lasciando da parte le chiacchiere, spero che abbiate cominciato le vacanze nel migliore dei modi, per chi però non fosse ancora in ferie: tenete duro che tra poco il riposo arriverà anche per voi!
Grazie per essere passati a dare un'occhiata! Nel caso in cui non riuscissi ad aggiornare con altre storie prima di Natale, auguro a tutti buone feste e che possiate trascorrerle in serenità con le persone a cui volete bene.
A presto,
Pers

 
  
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