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Autore: Love_My_Spotless_Mind    23/12/2016    1 recensioni
Avvolta dalle tenebre della sua vecchiaia segregata, Rebecca non ha mai smesso di riflettere sulle misteriose circostanze che hanno portato alla morte dell'unico uomo abbia mai amato nella vita. Più che alla morte, però, il suo ricordo è sempre stato ostinatamente orientato alla vita.
(Cent'anni di solitudine)
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Rebecca

Rebecca aveva varcato la soglia di casa Buendia con il sacchetto di ossa tintinnanti dei suoi genitori tra le mani, la solitudine nell’anima e una famelica voglia d’amore. Gliene avevano dimostrato in maniera bizzarra nella nuova famiglia, dove si era insinuata come un’intrusa inaspettata, inizialmente silenziosa e schiva, poi divenendo parte di quella realtà.Immagine di hand, door, and vintage
Nei primi giorni di quella nuova sistemazione soffocava lo smarrimento divorando terra e calcinacci a manciate avare. Ricercava una consolazione al dolore inspiegabile di aver dimenticato da dove venisse fissando l’orologio a pendolo con quella musica che si diffondeva per tutto il villaggio allo scoccare di ogni ora.
Nei suoi ricordi era venuta al mondo da ragazzina, con i fantasmi dei genitori che inizialmente vagavano per la casa ed Ursula che la rimproverava per i suoi silenzi. Erano vivide le notti insonni a rimuginare su se stessa, sul luogo da cui era venuta di cui non le sovveniva nemmeno un frammento. Era svanito ogni particolare del suo passato remoto durante il viaggio per raggiungere Macondo, il paese isolato dal resto del mondo. Non sapeva più nemmeno lei come aveva fatto ad arrivare fin lì ma non doveva essere stata impresa semplice. Ne era uscita minata nello spirito e nel fisico, aveva perso il rapporto con la realtà e persino l’uso della parola.
Lentamene, con gran fatica aveva recuperato queste facoltà e persino un po’ di fiducia in se stessa. Quando aveva imparato a stare seduta assieme agli altri, a sostenere una conversazione, a sorridere e partecipare a tutti i piccoli pensieri quotidiani aveva finalmente capito di avere dei fratelli. Con Aureliano aveva sempre parlato poco, era un ragazzo taciturno, sempre rinchiuso nel laboratorio, tutto intento nel creare pesciolini d’oro. Poi c’era Amaranta, così riservata, sempre intenta in qualcosa, indaffarata per imparare ad essere la migliore donna di casa. Lei in tutto questo era la meno concentrata, viveva nei suoi pensieri, muovendosi cautamente nelle vite altrui. Anni dopo nei racconti degli altri abitanti della casa sempre più affollata aveva imparato a conoscere José Arcadio, il figlio allontanatosi tanti anni prima con gli zingari, finito chissà dove. Spesso era rimasta a camminare attorno alla casa quando scendeva la sera, osservando quella terra che un tempo aveva divorato per allietare i suoi dolori, immaginando i luoghi visitati da José Arcadio, circondato da zingari inventori e stregoni dai poteri misteriosi.
Poi un mattino si era svegliata, scoprendo di essere diventata grande assieme ad Aureliano e Amaranta. Ursula se n’era meravigliata, vedendo le ragazze allevate con tanti sforzi già con i seni prosperosi e la grazia delle donne. In quanto ad Aureliano, era solitario e taciturno come sempre, timoroso nei confronti della vita come lo era da bambino, su di lui il tempo sembrava appena più cauto.
Era giunto il momento di trovare marito. Ora che Rebecca era sulla soglia della morte sentiva ancor più vivida di un tempo sulla pelle la reminiscenza della propria giovinezza, gli abiti dalle gonne ampie, il suono della pianola di Petro Crespi. Aveva sperato, con ingenua positività, di poter vedere finalmente placate le ansie della pubertà e di poter compensare tanto dolore con un avvenire da sogno. Così, appena quell’uomo era giunto nella loro casa si era prefigurata con ardore le sue dita sfiorarle il volto, insinuarsi nei meandri sconosciuti del suo corpo in fiore. Voleva improvvisamente una famiglia numerosa, essere una moglie fedele ed operosa, sempre attenta ai desideri del suo amato. Una donna forte piena di risoluta tranquillità, esattamente come lo era Ursula per quella famiglia.  
Lui le aveva insegnato il ballo, guidandola nei passi con la voce poiché non gli era stato permesso di danzare con le ragazze. Forse era stata proprio quella distanza imposta, l’occhio della padrona di casa intenta a sorvegliare i loro incontri, a farla sentire ancor più innamorata. Non era stato un sentimento bruciante, quanto l’intima consapevolezza di dover dare una svolta alla propria esistenza perché finalmente potesse assumere un significato. Era stanca di essere una sorta d’intrusa, di essere diversa per via di quelle ansie e quei timori. Aveva la percezione che tra le spalle ampie del giovane italiano avrebbe potuto trovare un sicuro conforto.
Quando Pietro Crespi lasciò la casa, dopo aver così cordialmente completato di assemblare la pianola, tornando nel suo continente terribilmente irraggiungibile, Rebecca aveva creduto di poter morire. Aveva divorato terra, l’aveva rimessa in preda agli spasmi, convinta di aver perduto nuovamente. Poi erano arrivate le lettere del giovane a prometterle amore  e finalmente era tornata la felicità.
Molti anni erano trascorsi da allora, adesso Rebecca era un’anziana con la pistola sempre di fianco a sé ed il cappellino di fiori finti calcato in testa. Dopo Pietro Crespi, la speranza di quel matrimonio mai arrivato, le gelosie di Amaranta, la sventurata perdita della moglie di Aureliano, un altro amore, ben più forte e decisivo era arrivato ad infiammarle l’animo, sconvolgendole l’esistenza. Non è raro credere che una volta raggiunta la senilità i pensieri di passione siano per sempre rimossi dal ricordo e che a restare sia solamente l’arrendevolezza verso il forte turbinio di giorni e di anni. In Rebecca, al contrario, i ricordi delle notti d’amore erano più che mai presenti, persino in quei giorni. Oramai era una donna rinchiusa nel proprio passato, tutta dedita a rimuginare sui ricordi nel tentativo di consumarli a furia di riviverli per non provare rimpianto quando sarebbe giunta l’ora di lasciarli sulla terra.
Era oramai una vedova nello spirito, già vecchia senza esserlo per davvero, quanto José Arcadio era ricomparso in casa Buendia. Alla porta si era presentato un uomo totalmente diverso dalle descrizioni di sua madre; il ragazzino temerario era stato tramutato in adulto. José Arcadio era un colosso, le braccia, il collo e tutto il resto erano interamente coperti di tatuaggi dalle forme ed  i significati indecifrabili, il volto era quello di chi ha vissuto qualunque esperienza senza tirarsi indietro.
 Il suo solo sguardo inizialmente era sufficiente ad intimorirla. Quando lei preparava la colazione lui osservava le sinuosità del suo corpo coperto a lutto con un’attrazione che Pietro Crespi non aveva mai dimostrato. Lei e l’italiano erano stati fidanzati per anni lunghissimi, tutti uguali. In quel periodo avevano potuto concedersi solamente lunghi discorsi, sere trascorse a guardarsi con malinconia, sperando in un futuro sempre più distante. Persino l’entusiasmo per  i sorprendenti regali di Pietro Crespi era con il tempo divenuto abitudine. Anzi, spesso nello sguardo di quei pagliacci, delle bambole di pezza o delle ballerine nei carillon, si era sentita giudicata, specialmente quando in cuor suo era certa di non poterne più e meditava una morte senza dolore.
 José Arcadio aveva avuto molte amanti, aveva visitato luoghi inimmaginabili e sembrava persino possedesse qualità fisiche narrate in tutta la regione. Rebecca non poteva restare in alcun modo indifferente di fronte a tali eventualità. Il modo in cui la guardava sapeva l’avrebbe presto tratta in tentazione. Mentre da ragazza non aveva avuto alcun interesse per le faccende riguardanti la prima notte di nozze, ora sudava nel sonno desiderando un contatto reale con la vita.
Ed effettivamente, nonostante tutti gli sforzi della coscienza la carne aveva ceduto. A nulla era valso il tentativo di non incontrarlo, di fingere che non fosse cambiato nulla dentro di lei, di essere ancora convinta a sposarsi perseguendo una vita dimessa. José Arcadio le aveva insegnato i piaceri corporei, l’aveva condotta in un universo spensierato dove potevano restare nel loro letto senza pensiero alcuno. Seguire gli impulsi del sentimento l’aveva per sempre esclusa dall’unica vita famigliare che avesse conosciuto. Coraggiosamente aveva tentato di convincersi che non le importasse. Assaporando il suo amato tentava di dimenticare il vuoto che le si era fatto attorno. Crogiolandosi nella semplicità della loro vita quotidiana, in quel loro ricercarsi continuo, aveva tentato di alleviare gli spettri che da sempre avevano saputo perseguitarla. Alle volte, mentre José Arcadio dormiva pesantemente, lei scendeva nel cortile, ritrovandosi a divorare terra nel tentativo di dimenticare il modo in cui Amaranta l’aveva odiata e la tacita indifferenza con cui Aureliano era andato in guerra. Appena José Arcadio era sveglio tutta l’inquietudine svaniva, persino quando Pietro Crespi morì suicida, Rebecca sentì di poter sopportare il dolore ed anche il senso di colpa.
Spesso, dopo essersi amati tutta la notte, al chiarore della luna con voce roca il compagno le chiedeva se un giorno non si sarebbe pentita di aver perduto tutti gli affetti per lui. Allora lei posava le labbra sul suo petto e si lasciava stringere. – Io ho te. L’unica famiglia che io abbia mai avuto. – sussurrava, finalmente assopendosi tranquilla. Non aveva più il desiderio d’un tempo di una famiglia numerosa piena di rumore, quell’intimità costante e instancabile era tutto ciò di cui avesse bisogno. Era il modo più vero in cui riuscissero a dimostrarsi quel che provavano, non c’era ragione perché seguissero le regole e l’andamento di tutte le altre coppie sposate del villaggio che mettevano al mondo figli sempre più dinamicamente. Anche quando quel loro rapporto era divenuto quotidianità lui continuava a lodare il suo bel corpo, gli occhi con cui lo scrutava, la maniera fine in cui sapeva ragionare. Non mancavano le occasioni in cui la sollevasse sulla propria spalla, ripetendo quanto l’amasse per poi esplodere in una risata che scuoteva le pareti.
Furono questi episodi a passarle per la mente quando si accorse di avere la pistola tra le mani, con una linea di fumo che fuoriusciva dalla canna, e l’imponente José Arcadio rovesciato a terra, morto. Non ricordava nulla di quanto avvenuto prima dello sparo, non accettava di poter essere stata lei l’artefice del termine della propria felicità. Si coprì il volto con le mani, tenendo la pistola ben stretta, senza lo sgomento che chiunque si sarebbe aspettato da lei. In fondo, da ragazza l’aveva compreso, di non essere destinata ad una vita serena. Le era stato chiaro fin dal momento in cui aveva varcato casa Buendia, quando aveva visto il suo padrone ormai pazzo legato ad un albero, quando aveva assistito a tutti i piccoli, grandi dolori di quelle persone da cui non era mai riuscita a farsi voler bene come avrebbe voluto. Fu così che Rebecca decise di invecchiare, restando rinchiusa nel mistero di quella mente mai interamente compresa, nemmeno dall’uomo che l’aveva amata tanto profondamente. La casa, avvolta dal buio spettrale, odorava di polvere da sparo in ogni suo angolo anche a distanza di decenni. Rebecca, seduta nel divano del salotto se ne stava ad osservare una finestra sbarrata, rinvenendo la prima volta in cui José Arcadio l’aveva spogliata, facendola sentire viva come mai era avvenuto.Immagine di gun, squad, and girl
La notte in cui Rebecca morì fu scostata dalla sua veglia dal fantasma di José Arcadio, ragazzino come non l’aveva mai visto, com’era d’aspetto prima di unirsi agli zingari, che la invitò a danzare nel modo in cui aveva imparato a fare da ragazza nel salotto di casa. Stringendogli la mano inesistente le parve di sentire il suo calore, dopo qualche giro di valzer Rebecca comprese di aver vissuto abbastanza nel ricordo, di non aver lasciato andare nel baratro della dimenticanza nemmeno uno dei loro preziosi istanti d’amore. Fu così che morì, il cappellino di fiori scivolò a terra raggiungendo il medesimo punto in cui era stato rivenuto il cadavere d
i José Arcadio.















 
  
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