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Autore: ScrumptiousChaosKing    23/12/2016    1 recensioni
"Posso offrirti da bere, Lauren?"
Sembra quasi speranzosa.
E' strano sentirmi fare questa domanda da una così. Sono abituata a tampinatori seriali con l'aria dell'uomo che non deve chiedere mai che ti si avvicinano di soppiatto e si aspettano di comprare i tuoi favori con un drink, invece lei... Lei sembra una fatina capitata per sbaglio nel regno dei troll. Un angelo inciampato all'inferno.
Per questo accetto.
La vita di Lauren non è nulla di più che un lento scivolare verso una meta inesistente. Ovviamente tutto questo cambierà quando Camila, non invitata ma immediatamente accolta, entrerà a fare parte della sua vita.
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Camila Cabello, Lauren Jauregui, Un po' tutti
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 1

A volte penso a tramonti osservati su mondi diversi da questo. Immagino come deve essere guardare il sole calare dall’orizzonte di Marte, su quella distesa di colline rosse e polvere, il silenzio infinito, la notte perfetta, senza artificiale a sfregiare la superficie, senza rumore a spezzare atmosfere da sogno.

Qui le auto passano indisturbate lungo la strada larga sotto il balcone. Io sono rannicchiata in un angolo, osservo ascoltando il mondo passarmi sotto come se nulla fosse. Potrei anche fingere di non esistere, solo una macchia indistinta nella giungla affamata qui attorno. Ovunque.
Non valgo niente. Affondo spesso nelle paludi dell’autocommiserazione, spegnendo nervosa sigarette sul davanzale ammuffito della finestra.
L’appartamento che abito non è né grande né piccolo, incastrato a metà di un palazzo qualsiasi a Miami. Il mio stipendio basta per permettermi di vivere con un tetto sopra alla testa.

Credo di soffrire di carenza di affetto, o qualche tipo di disturbo improbabile. Trascorro il mio tempo immaginando cose che non esistono, fingendomi diversa. Nuovo nome, nuova identità. Nuovi amici. Qualcuno che non pensi che io sia pazza, anche se forse lo sono davvero.
Chiamo mia mamma due volte alla settimana. Parliamo di tutto e di niente, so che le fa piacere. Anche a me, ma non lo ammetterò mai ad alta voce.
“Lauren, come va? Esci con qualcuno?” Me lo chiede sempre col tono speranzoso di chi già mi pensa, tra vent’anni, sola nella mia stanza buia ad accarezzare un gatto grasso e pigro dalla coda folta e il muso schiacciato.
Rispondo sempre e solo con un secco no. Non mi interessa fingere di essere diversa da come sono.

Non più, almeno.

Non vivo reclusa, non pensate sia davvero così. Esco. A volte. Con poco entusiasmo. Però lo faccio.

La mia amica Normani - forse l’unica che ancora non mi abbia sfanculata - suona alla mia porta ogni venerdì, cercando di convincermi a trascinare il mio culo svogliato fuori di casa, per andare a ballare, o a bere, o al cinema. Qualsiasi cosa pur di non lasciarmi a ristagnare nel vuoto deprimente di questo condominio.

E’ lei che bussa anche adesso, insistente, mentre io finisco la sigaretta e la spengo sul pavimento piastrellato del balcone, per poi lasciarla lì, senza preoccuparmi di cercare il posacenere. Mi alzo per andare ad aprirle la porta e sono ancora in tuta, col trucco sfatto e i capelli legati in una coda che deve essere inguardabile, dalla faccia che fa lei appena mi vede.

“Lauren.”

Dice solo quello, e non ha bisogno di aggiungere altro.

La sua disapprovazione diverte quel lato di me che gode segretamente della mia sciattezza. Non so se sono depressa o solamente disperata, ma non penso abbia molta importanza.

Sono in attesa di un miracolo che risvegli il mio cuore atrofizzato dal suo letargo. Non so se mai accadrà.

Ricordo Lucy e i suoi baci con rammarico, so che mi mancano. Ma non li voglio. Non voglio rincorrere memorie ormai perdute. Gli anni migliori della mia vita sono scivolati via, lasciandomi sola con un groviglio insulso di sensazioni consunte, che iniziano a andare a male nella cantina mentale in cui le ho confinate.

“Lauren, vestiti. Lo sai da una settimana che stasera ti porto in quel posto nuovo…!”

Quel posto nuovo non è nuovo. Normani sa che le novità sono - insieme all’alcool e alle vertigini leggere che mi regala la nicotina - tra le poche cose che mi risvegliano, per circa due nanosecondi, dall’apatia che mi caratterizza, così finge che posti vecchi e stravecchi siano nuovi, e io fingo di crederle. Mi piace vedere i suoi occhi accendersi quando vede i miei rasserenarsi.

Non so cosa abbia fatto di buono nella vita per trovare lei, ma ne sono lieta.

“Mettiti qualcosa di decente per favore, sususu!” Mi incita, mentre scivolo nella mia stanza e quasi sparisco nell’armadio, cercando dei vestiti che non ho. Sia io sia lei sappiamo che alla fine indosserò sempre lo stesso abito nero con le stesse scarpe su cui mi è accaduto di vomitare una volta, una sera che ero particolarmente ubriaca.

Passa un’ora prima che io sia sufficientemente presentabile, abbastanza da convincere Normani a lasciarmi uscire di casa.

In strada l’aria è calda e l’atmosfera elettrica. Mi sembra quasi di sentire una scossa lungo le braccia.

La notte è tutta attorno a noi, le ore ci si snodano di fronte come un sentiero inesplorato, un bastimento carico carico di chissà cosa, chissà dove, con chissà chi. Mi sembra di giocare a Cluedo, solo che qui non si tratta di indagare sulla morte di qualcuno.

Chissà quali braccia mi stringeranno stanotte. Spero solo siano calde.

E’ questo che mi manca. Un abbraccio in grado di riavviare i miei battiti. Di accelerarli. Di solito tutto questo non dura oltre l’orgasmo.

Vorrei riscoprire la dolcezza di appartenere a qualcuno da amare sinceramente. Qualcuno che sia l’unico.

Arrivate dentro al locale, ore 00.24, la folla è già intenta in una danza erotica da delirio. Io e Normani ci facciamo strada nella calca e arriviamo al bancone. Prima di fare qualsiasi cosa ho bisogno di un cocktail. Tipo per forza. Devo sciogliere i miei nervi snob o sembrerò un tronco di legno circondato da un’orda di scoiattoli sotto acidi.

Le mie labbra si stringono attorno alla cannuccia del primo Long Island e faccio un sorso. Sento il sapore della vodka sopra tutti gli altri. Sorrido a me stessa come se questa fosse una cosa magnifica.

“Pronta a lanciarti in pista?”

“Non lo sono mai, lo sai benissimo”

Normani mi guarda con il solito sguardo di disapprovazione, appollaiata su uno sgabello. Io e lei stiamo aspettando la stessa cosa, cioè lo scioglimento dei ghiacci polari che albergano nella mia anima.

Facciamo conversazione distrattamente mentre i miei occhi saettano da una parte all’altra della discoteca. Non sono molto brava a fissare la gente mentre sto parlando, mi sento ridicola; oltretutto le luci stroboscopiche della disco mi confondono e il volto della mia amica ai miei occhi sembra scomporsi e deformarsi fino a sembrare una delle macchie di Rorschach. Forse questa cosa è patologica. Se facessi delle sedute con uno psicologo vorrei parlargliene.

Quando il peso si solleva un po’ dal mio petto, quel tanto che basta per distrarmi dalle riflessioni opprimenti del mio cervello in caduta libera, prendo per mano Normani e la trascino con me nella bolgia infernale. E’ arrivato il momento di lasciarsi andare, entrambe lo sappiamo. A metà serata ci perderemo di vista e domani mattina verificheremo di essere vive entrambe. La prima che si sveglia scrive all’altra, sperando di riuscire a svegliarla tramite qualche genere di contatto telepatico.

A Normani piace svegliarsi con la gente con cui va a letto. Ci fa addirittura colazione a volte, quando sono particolarmente gradevoli.

Io scappo appena ho la forza di farlo.

Se non mi gira troppo la testa.

Normani ha trovato il suo cavaliere per questa notte mentre la voce di Rihanna strillava “Baby this is what you came for”. Io sono scappata dalla massa di corpi in movimento per rifugiarmi al bancone e regalarmi istanti di pace con un secondo Long Island. Mi sarebbe piaciuto cambiare gusto, ma perché poi.

“Ehi, anche tu sola?”

La voce di una ragazza sconosciuta a distrarmi dal mio tentativo di richiamare l’attenzione del barista a qualche metro di distanza da me, disturbato da un gruppo di ragazzi forse e dico forse minorenni a cui dovrebbe chiedere i documenti giusto per star tranquillo e mi giro con fare turbato, le sopracciglia aggrottate a sottolineare il mio disappunto.

“No, sono con una mia amica… Che al momento…” mi interrompo, cercando il viso di Normani tra la folla, ma ovviamente non riesco a scorgerla.

 “Beh, probabilmente al momento la sua faccia sta venendo risucchiata dal tizio conosciuto poco fa in camicia bianca e sorriso ammiccante.” le rispondo, sovrastando di poco il volume allucinante della musica.

La sconosciuta è di fianco a me e continua a sorridere come se stesse girando la pubblicità di un dentifricio. “Io sono Camila”

“E chissenefrega” vorrei risponderle. Ma stasera mi sento magnanima. E forse la ragazza è troppo carina per maltrattarla così, quindi opto per un pacato “Io sono Lauren”.

I miei occhi cercano nel volto di Camila indizi per quel modo di fare amichevole.

“Posso offrirti da bere, Lauren?”

Sembra quasi speranzosa.

E’ strano sentirmi fare questa domanda da una così. Sono abituata a tampinatori seriali con l’aria dell’uomo che non deve chiedere mai che ti si avvicinano di soppiatto e si aspettano di comprare i tuoi favori con un drink, invece lei… Lei sembra una fatina capitata per sbaglio nel regno dei troll. Un angelo inciampato all’inferno.

Per questo accetto.

Perché vuole bere con me. Cosa ci fa qui da sola. Comincio a lanciare domande a raffica mentre sorseggio il mio tanto agognato cocktail e la guardo con interesse. Lei scrolla le spalle e continua a sorridere.

Il suo shot di vodka è già finito, il bicchiere è appoggiato sul tavolo in attesa di essere portato via.

“Lei mie amiche stanno ballando, ma io non ho voglia” risponde con semplicità.

Vorrei sapere tutto di lei per qualche malsana ragione che non voglio indagare e penso che dovrei almeno portarmela a letto.

Forse è così gentile solo perché è in cerca di un’amica pigra che non abbia voglia di dimenarsi come un’ossessa in mezzo a una ressa di gente sudata. Forse ha deciso che è la sera giusta per provarci con una ragazza e il destino l’ha portata da quella giusta.

Quella che si alzerebbe da questa sedia scomoda e si farebbe portare a casa anche subito, nonostante il Long Island non sia ancora finito.

Camila indaga cercando di scoprire dettagli della mia vita che in ogni caso non le racconterò, per paura che mi venga a cercare. Mi sfiora una mano e il mio braccio si infiamma.

In questo locale fa caldo come se fossimo in mezzo al deserto sotto il sole cocente e la mano di questa ragazza è bollente e il suo sorriso è sexy. Lo capisco quando uno sguardo è un invito silenzioso e lei sta gridando con gli occhi che mi vuole tra le sue coperte.

Non so quando né come ma di lì a venti minuti la sto baciando sui sedili di un taxi e lei parla affannata e non capisco quello che dice tanto sono presa dalle sue labbra. Sono morbide come zucchero filato e sanno di alcool e qualcosa di indefinito, tipo lucidalabbra al qualcosachenoncapisco. Non sono brava a distinguere i gusti.

“Ti voglio” lo dico senza nemmeno accorgermene, lascio che esca dalla mia bocca in un sussurro strozzato. La sento sorridere e sento una sua mano percorrere la mia coscia, calda e rassicurante e eccitante allo stesso tempo.

Ride piano, dolcemente. “Con calma” mormora, così vicina al mio orecchio. Mi accarezza. Un brivido parte da lì e arriva alla base della mia schiena. Le sue labbra percorrono la mia pelle, umide e piacevoli e penso di stare sfiorando l’estasi anche solo così.

Non so quale famelico bisogno mi spinga, ma è disperato e incontrollabile, devo avere questa ragazza per questa notte. Sono mossa da una necessità impellente che mi spinge addosso a lei, dentro di lei, ovunque attorno a lei. Nemmeno guardo dove siamo quando entriamo in casa sua, camera sua potrebbe essere la stanza dei giochi o una camera delle torture, non mi importa, lascio che lei mi spinga sul letto e tengo gli occhi chiusi mentre mi spoglia.
   
 
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