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Autore: _Corin    23/12/2016    1 recensioni
Era un equilibrio delicato e instabile, che sarebbe crollato al primo commento sprezzante che certamente uno dei due, un giorno, avrebbe espresso sulle origini dell’altro e che palesemente avrebbe attirato a sé le antipatie di Weasley e Malfoy, oltre che le congetture di tutti gli altri.
Non avrebbe mai potuto funzionare. Non avrebbe mai dovuto funzionare. Eppure, in un qualche strano modo, contro ogni previsione… funzionava.

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Essere un Potter atipico non è facile, ma, con le persone giuste, potrebbe essere un'esperienza davvero indimenticabile.
Genere: Commedia, Fantasy, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Albus Severus Potter, James Sirius Potter, Lily Luna Potter, Rose Weasley, Scorpius Malfoy | Coppie: Draco/Hermione, Rose/Scorpius
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace, Nuova generazione
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Primo Anno

La partenza

 

 

 

Secondo le migliori tradizioni, da che mondo e mondo, le amicizie di una vita un mago se le fa sull’espresso per Hogwarts, scambiandosi chiacchiere e Cioccorane. Albus aveva sempre saputo che a lui non sarebbe andata così: era allergico alle Cioccorane, e per di più non sapeva spiccicare neanche mezza parola con gli sconosciuti.

Quando le sue previsioni pessimistiche si rivelarono vere e lui passò il viaggio con sua cugina, poi, considerò del tutto assodato che fosse proprio così: non c’era neanche mezza anima, in tutta Hogwarts, che volesse fare amicizia con lui. Non avrebbe certo considerato i fugaci saluti di Victoire, Dominique, o – Per carità! – James degni di considerazione.

Rosie l’aveva guardato, aveva inarcato un sopracciglio aranciato e l’aveva capito, anche se non aveva detto una sillaba, razionale e irritante come al solito.

«Non preoccuparti», gli aveva detto. «È semplice logica. Ci sono state molte perdite per colpa della guerra, e i figli di coloro che sono implicati di sicuro preferiscono Durmstrang. Ci sono parecchi scompartimenti mezzi vuoti, come avrai sicuramente notato».

Rose aveva quel modo di parlare che faceva sembrare ad Albus che tutte le sue paturnie fossero tutto sommato inutili. Peccato che non durasse mai troppo a lungo.

«Tutti lontani da Hogwarts tranne i Malfoy, certo» continuò la cugina, scoccando un’occhiataccia al ragazzino che era passato vicino al loro scompartimento proprio in quel momento. Il giovane Malfoy sobbalzò sotto il suo sguardo e si dileguò. Fino a qualche istante prima dondolava sui talloni, guardando la maniglia come se stesse considerando l’idea di entrare.

Forse, pensò Albus con l’espressione sconsolata che gli scavava un solco in mezzo alle sopracciglia, un tipo come Malfoy sarebbe davvero stato l’unico che avrebbe voluto rivolgergli la parola.

 

Cadde un paio di volte, nel tentativo di scendere dall’espresso, prima che Victoire giungesse ad aiutarlo con i - troppi – bagagli che si era portato appresso. «Dove dobbiamo andare?», le chiese. Victoire gli piaceva. Era sua cugina, certo, ed era troppo grande perché potesse essere anche sua amica, ma aveva un’aria impacciata che Albus trovava carina, come se non fosse stato l’unico a sentirsi fuori posto nella propria pelle.

E poi, non poteva certo dimenticare che da piccoli avevano condiviso la vasca da bagno.

Victoire si ritirò intorno alla sua spilla da Caposcuola, come a cercare di farla brillare di meno. «Non con me. Seguite i prefetti, ragazzi, vi porteranno da Hagrid» ed era fuggita.

Ultimamente ad Albus sembrava che le persone scappassero anche solo dopo avergli rivolto un’occhiata.

Si strinse nelle spalle, trascinandosi dietro i bauli con uno sbuffo di fatica.

«Io non lo trovo giusto» bofonchiò Rose accanto a lui con una quantità di borse perfino maggiore della sua . «I nostri genitori si sono potuti godere la sorpresa, mentre noi sappiamo già tutto quello che accadrà. Oh, una macchia! Sull’uniforme nuova!».

Albus si trovava d’accordo. Avrebbe voluto non sapere a cosa stava andando incontro, mentre i movimenti della zattera gli rivoltavano lo stomaco come un calzino. Le onde, certo, e il pensiero fisso dello smistamento. Anche i suoi compagni, un ragazzino con la faccia annoiata e una che sembrava essere troppo piccola per avere la loro età, sembravano essersi accorti della sua espressione e - sorpresa! - si erano allontanati un pochino da lui.

Rose rimase comunque a bocca aperta di fronte al soffitto della sala grande. I racconti dei suoi genitori non potevano competere, e nemmeno la macchia sulla divisa. Il meglio lo colse quando finalmente abbassò gli occhi e si lasciò sfuggire un urletto entusiasta alla vista di quello che aveva davanti. «Oh Zeus, Albus, per Merlino e Morgana, lo vedi? Dimmi che vedi anche tu quello che vedo io. Sto sognando, sto sognando...».

Albus non gli prestò poi molta attenzione, al soffitto, e, per quanto il pensiero fosse di certo inammissibile, per Rose, a lui non importava nemmeno delle gigantesche tavolate coperte da deliziosi manicaretti che gli studenti sgranocchiavano annoiati in attesa dello smistamento.

I suoi occhi erano incollati allo guardo divertito di suo fratello, sotto lo stendardo rosso-oro, e viaggiavano da una tavolata all’altra.

I Serpeverde erano pochi e spaventosamente silenziosi, molto più degli altri. Provò a immaginarsi lì e non riuscì a trattenere una smorfia.

Il suo sguardo vagò ancora, nervoso, fino a fermarsi sul cappello, vecchio e consunto. Le spiegazioni della McGrannitt non erano che un ronzio di sottofondo. Non importava, sapeva già tutto. Sapeva, in particolare, che il cappello avrebbe detto Serpeverde da quando era stato abbastanza grande da conoscere i nomi delle case, e poi da quando suo fratello aveva iniziato a prenderlo in giro e lo aveva, semplicemente, sempre saputo.

Ma non è lui, a decidere, cercò di ricordarsi. Io ho potere.

Non riuscì a convincersi.

«Serpeverde», come Malfoy, che si cacciava il cappellaccio dalla testa e si dirigeva al tavolo per cui era stato scelto. Albus si rese conto solo allora che si era perso una grande parte dello smistamento, immerso nei suoi pensieri.

Alcuni dei ragazzi che aveva visto alla stazione ora sorridevano imbarazzatissimi dai loro posti, circondati da ragazzi che erano più alti di loro per centimetri e schiena dritta dalla sicurezza. Fra i serpeverde, per il momento, si contavano due ragazzi sconosciuti e, un po’ distante, Malfoy. Nessuna sorpresa, ben chiaro, perché i Malfoy erano serpeverde da generazioni e nessuno si aspettava che quello in particolare fosse diverso, biondo, pallido e appuntito come da programma.

Albus si accorse del silenzio assordante che era seguito al nome del ragazzino con qualche secondo di ritardo, quando l’applauso scrosciante per l’assegnamento di un tale Morrison fra i tassorosso lo interruppe. Neanche i serpeverde più grandi (Norris, Lane. Grifondoro!) l’avevano accolto, si sicuro non l’avevano fatto le altre case (Picard, Odile. Corvonero!).

Non sentì esattamente la McGrannitt pronunciare il suo nome. Forse fu colpa della testa, che sembrava piena di gommapiuma, o del tremore che aveva iniziato a percorrerlo. Persino del suo cuore, che sembrava aver velocizzato i suoi battiti. I brusii che si arrestavano di colpo, però, come gli sguardi di tutti che si ritrovava incollato addosso, lì notò subito. Arrivò allo sgabello con un passo sorprendentemente regolare, mentre scrutava la folla di sottecchi. I professori si sforzavano almeno di cercare di non fissarlo, al contrario degli studenti. James gli fece segno, ma l’ampia e cadente falda del cappello gli coprì la vista prima che potesse capire cosa stesse cercando di dirgli.

Oh, bene, un altro Potter. Iniziò il copricapo. La sensazione di avere una voce nella propria testa gli dava i brividi. Forse era colpa dei molteplici ragguagli di sua madre (chissà dove un cappello poteva nascondere il suo cervello). Non ho molti dubbi, questa volta, e non credo che ne abbia anche tu. Sbaglio, forse?

«Sì, sì, sbagli. Sbagli. Non Serpeverde, non Serpeverde».

Albus era sicuro che il cappello avesse sbuffato (chissà dove nascondeva i polmoni, o le corde vocali. Decise che l’avrebbe scoperto, e poi pensò che una simile intenzione era da vero Corvonero… il cappello si sbagliava).

È una cosa di famiglia, quindi? Non saper apprezzare i consigli, né la bellezza della gloria, le vette che si possono raggiungere con la giusta dose di ambizione e furbizia? Albus trattenne il pensiero successivo (io sì, voglio la gloria, non voglio essere mio padre, non voglio essere un’ombra, è questa la mia più grande ambizione, non voglio…).

Nel pronunciare il pensiero seguente, il cappello aveva un tono vagamente penoso. Non puoi trattenere i pensieri, Albus. Non puoi fingere di essere chi non sei.

Albus serrò forte gli occhi, con disperazione. Ma io posso decidere. Ebbe l’impressione che, se avesse potuto, il cappello avrebbe levato gli occhi al cielo.

Non farmi penare, Albus, assegnarti ad una casa a cui non appartieni sarebbe un grande sbaglio.

Fu come un pugno nello stomaco. Una casa a cui non appartieni.

«Io posso decidere» nella sua testa, l’aveva urlato. Probabilmente era solo un sussurro.

Certo, puoi. Ed è tuo compito scegliere la casa migliore per te.

Dall’altra parte della sala, dalle tavolate, gli studenti lo guardavano increduli. Stava forse litigando con il cappello…? Il vecchio pezzo di stoffa sbuffava nuvole di polvere e imprecava. Quella stessa sera, James avrebbe giurato di averlo sentito dire per le mutande di Merlino!, o qualcosa del genere.

Ci fu qualche altro secondo di attesa, infine Albus abbassò lo sguardo.

«Serpeverde», disse.

Dopo meno di un secondo, il cappello urlò: «Serpeverde!».

Un applauso stentato provenne dal tavolo a cui Albus si diresse. Rivolse solo un breve sguardo a Rose, fra quelli che ancora non erano stati smistati. Non abbastanza per decifrare la sua espressione.

Si sedette accanto a un ragazzino smilzo che non lo degnò di un’occhiata. A pochi posti da lui sedeva Malfoy.

Mentre gli altri ragazzi venivano smistati («Grifondoro!» per Rose Weasey, testurbante, e Albus ci aveva quasi sperato, che lo raggiungesse), nessuno rivolse la parola ad Albus. E così fu per tutta la serata, fino a quando i prefetti non illustrarono la disposizione delle stanze. A quel punto, Albus iniziava già a pentirsi delle sue scelte.

Non riuscì a dormire, con le parole del cappello che gli trapanavano il cervello.

Puoi fare le stesse scelte di tuo padre, Albus. Oppure scegliere Serpeverde.

Se Albus aveva preso una decisione, ora non sapeva come continuare.

 

Il giorno successivo iniziò come tutti i pessimi giorni. Albus, che si era rigirato fra le coperte per ore, si addormentò poco prima di quando avrebbe dovuto svegliarsi. Arrivò in ritardo a colazione, dove non trovò niente di commestibile sfuggito alla famelicità dei suoi compagni. A migliorare ulteriormente la situazione, le Gazzette del Profeta lasciate sul tavolo mostravano in prima pagina una sua foto, scattata chissà come alla stazione, e la notizia del suo smistamento (si rifiutò persino di guardare le teorie sul suo essere un malvagio mago assassino ipotizzate da un giornale scandalistico). Per di più, alla prima ora aveva la McGrannitt, che gli tolse i primi cinque punti della sua carriera scolastica. Se i suoi compagni non l’avessero già odiato, ora avrebbero iniziato.

I giorni successivi non furono certo migliori del primo.

James lo prese in giro (ma non c’era alcuna novità in quello, l’avrebbe fatto in ogni caso) e lo ringraziò per aver portato i Grifondoro in testa già al primo giorno. Su suo fratello poteva sempre contare. Rose ci tenne a fargli sapere che per lei ogni casa era uguale, e lui sarebbe rimasto suo cugino qualsiasi decisione avesse preso (anche quella di scegliere Divinazione o sposare un Elfo Domestico, disse straparlando, ma Albus non era sicuro che fosse proprio così. Almeno non per la Divinazione). Per il resto, Dominique gli sorrise, Victoire lo reindirizzò all’aula giusta con un buffetto affettuoso e nessuno degli altri fece caso a lui abbastanza da rivolgergli la parola. In compenso, Albus era certo che il suo smistamento fosse un argomento di conversazione molto gettonato. Solo, non con lui.

I suoi compagni di dormitorio erano Nott (simpatico, più o meno, ma lo sapeva solo perché lo aveva sentito chiacchierare con una compagna, non certo per esperienza personale), Collins (che era silenzioso da far para, e non solo con Albus) e Malfoy (malissimo).

In realtà, Malfoy non era irritante come si era aspettato. Certo non rivolgeva la parola a nessuno, compreso lui (non che si lamentasse), ma era praticamente invisibile. Non come Collins, che sedeva sul suo letto e giocava a scacchi magici continuamente in solitudine. Semplicemente, lui non c’era. Albus non ricordava una sola volta in cui si fosse svegliato e l’avesse trovato in bagno o fra le coperte, né che la sera ci fosse un qualsiasi movimento oltre le corti richiuse del suo baldacchino.

In realtà, le cose iniziavano a farsi sospette. C’era chi diceva che Malfoy stesse architettando un qualche piano malvagio, continuando la lunga lista che era evidentemente di famiglia. Albus non credeva che fosse così, ma certo non aveva voglia di difendere il figlio di un mangiamorte.

Non era sua intenzione parlargli. Non avrebbe mai pensato che avrebbe voluto aiutarlo (lui, che di aiuto avrebbe avuto bisogno davvero in gran quantità). Di certo, non aveva mai neppure immaginato lontanamente di poter diventare suo amico.

 

Accadde un giorno di ottobre. Le lezioni erano iniziate da abbastanza tempo perché i professori potessero considerare finito il periodo di misericordia che avevano concesso loro in quanto nuovi studenti e avevano iniziato a caricarli di compiti in quantità esagerata. Era così che Rose spendeva gran parte delle sue giornate, e Albus non la vedeva da un po’. Certo, anche lui passava molto tempo a fare ricerche su ricerche, ma mai con la perizia che ci metteva sua cugina. Dopo quasi due mesi di solitudine, Albus credeva di poter impazzire.

D’altra parte c’era Malfoy. Albus non faceva attenzione a quello che faceva il ragazzo intenzionalmente, davvero, ma essere compagni di stanza portava a questo. Sapeva molte cose di persone con cui non aveva mai parlato. Collins, ad esempio, faceva schifo in pozioni e adorava gli scacchi (preferiva quelli babbani, ma non aveva mai trovato un compagno alla sua altezza e doveva accontentarsi). Nott era un asso nei quidditch e tifava le Arpies, che in quel periodo andavano davvero forte. Di Malfoy non sapeva quasi nulla, se non che passava nella stanza appena il tempo necessario a dormire, non era un gran chiacchierone e non aveva fatto più progressi di lui, nella socializzazione.

Scoprì dove passava le sue giornate dalle chiacchiere con sua cugina, in quei pochi minuti che passavano insieme prima di colazione, prima di doverla salutare per andare al suo tavolo (che con il tempo si era fatto un po’ più sciolto e meno silenzioso, sebbene non animato come quello di grifondoro, ma il cambiamento non aveva riguardato Albus).

«Non lo sai? Passa praticamente tutto il tempo in biblioteca. Credo a studiare. Certo, dovrebbe proprio, dato che in pozioni va peggio di quello strambo serpeverde… il tuo compagno di stanza, forse, sì».

Rose aveva sbuffato con una certa supponenza (lei in pozioni andava benissimo, dopotutto).

Albus si era trattenuto dal dirle che solo lei poteva passare abbastanza tempo in biblioteca da accorgersi della polverosa presenza di Malfoy in mezzo alla polvere degli scaffali e, salutata, l’informazione fu dimenticata.

Se ne ricordò qualche settimana dopo.

Albus entrò nella biblioteca esitante, sotto lo sguardo pesante della bibliotecaria. Fino a quel giorno aveva potuto sbirciare dai libri e soprattutto dalla pergamena di Rose, ma lei si era detta impegnata, Albus, davvero impegnatissima, non posso proprio parlare ciao, quindi ora doveva destreggiarsi nella marea di volumi da solo, con una pergamena e mezza sul basilisco da scrivere per il giorno dopo. Per di più, non poteva proprio fare a meno di figurarsi lo sguardo deluso che avrebbe assunto il professore quando le sue aspettative su Albus sarebbero state disattese, la netta disapprovazione che avrebbe reso evidente che, oltre a essere un serpeverde asociale, il figlio di Harry Potter era anche una schiappa totale in Difesa contro le Arti Oscure.

Avanzò di qualche passo, incerto, senza la minima idea di dove sarebbe dovuto andare. Pensò che sicuramente i libri erano ordinati per argomento, materia o autore, ma uno sguardo veloce alle infinite pile di carta lo fecero propendere per una veloce sortita in mezzo agli scaffali, alla ricerca di qualcosa che sembrasse vagamente inerente al tema.

Al primo scaffale trovò “Le ricette di Nonna Ofelia” proprio accanto a “Malefici e sortilegi per dilettanti, volume terzo”, e le sue speranze si dissolsero. Dopo essere passato accanto a ogni singolo scaffale almeno quattro volte, quasi un’ora più tardi, Albus si gettò pesantemente su un divanetto, sconsolato. Teneva pieno di fiducia l’unico libro che sembrava poter essergli utile, sfogliando le prime pagine indeciso… e qualcosa lo punse. Non era solo una molla scoperta, si rese conto Albus alzando lo sguardo. Seppellito sotto una pila di libri più alta di lui c’era Scorpius Malfoy, immerso in un’ombra di cui sembrava essere parte, anche con i colori scintillanti da cui era caratterizzato. Incrociò per un breve attimo lo sguardo dorato del ragazzino, pungente come uno spillo, che subito rituffò il naso nel tomo polveroso con una foga che faceva sembrare quella lettura essenziale per la sua sopravvivenza.

Albus s’irrigidì. Chissà come non si era accorto di essersi seduto proprio di fronte a Malfoy, con solo un tavolo a dividerli. Poteva quasi sembrare che fosse stata un’azione ponderata e che quel posto l’avesse scelto. Non era così, ma certamente chi li avesse visti avrebbe pensato che fossero due maghi oscuri pronti a progettare il proprio sterminio di massa o chissà quale congettura. Certo, andarsene, a quel punto non sarebbe stato molto cortese. Anzi, non lo sarebbe stato per nulla. Non gli piaceva essere scortese, e Malfoy sembrava innocuo, dopotutto, se non si avesse provato a interrompere la sua lettura.

Albus si sforzò di sedersi meglio per cercare la concentrazione. Forse era colpa della molla che gli pungeva proprio il fondoschiena, o magari dello sguardo di Malfoy (che però era incollato alle pagine ogni volta che lo cercava), ma non ci riuscì.

Un cigolio interruppe i suoi pensieri. Il volume di Malfoy era ora posato a un angolo del tavolino, al centro Scorpius stava ordinando attentamente la pila precedentemente accatastata. Ne tolse uno e glielo porse, senza guardarlo infaccia, continuando a passare in rassegna i titoli. Albus non lo prse, finchè lo sguardo di Malfoy non si alzò a guardarlo interrogativo. Ci fu un breve sfioramento di pelle. Quella di Malfoy era calda, al contrario di quanto si fosse aspettato.

«Ci vuole un po’ di occhio, ma poi ci si abitua all’ordine della Signorina Lance. Ma quello che hai preso tu non c’entra proprio niente». Il suo tono era basso e calmo, misurato. Albus non disse una parola. Lo guardò alzarsi e girare fra i libri con una certa sicurezza che non aveva mai visto prima, in lui. «Ecco. Questi ti potranno aiutare, ma credo che dovresti comunque chiedere qualcosa a tuo padre sull’argomento».

Lo sguardo di Albus, che aveva seguito i suoi gesti dall’inizio, lo seguì finché non scomparve oltre la soglia della biblioteca. Sembrava perdere sicurezza a ogni passo, le spalle che si inarcavano, un rapido sguardo nervoso, le mani nascoste in tasca.

Albus continuò a guardare i titoli (“Mitologia Classica”, “Come Combattere un Basilisco” e “Animali Fantastici dove Trovarli”), incerto. Solo una sbirciatina, si disse infine. Li sfogliò in fretta, come se qualcuno avesse potuto scoprirlo in un qualsiasi momento a fare qualcosa di proibito. Le pagine segnate erano proprio quelle fondamentali, gli appunti ai margini segnavano i paragrafi più importanti e le informazioni fondamentali. Scacciò il pensiero che Scorpius Malfoy aveva aiutato lui, Albus Potter, e che certo non poteva averlo fatto per puro altruismo (i Malfoy non conoscono l’altruismo, è risaputo), ma scrisse comunque un resoconto di tutte le informazioni più interessanti fino a riempire mezza pergamena in più di quella che gli era stata assegnata.

Quando si alzò, al coprifuoco, per rimettere al loro posto tutti i libri, si accorse che l’ultimo libro lasciato sul tavolo non era uno di quelli della biblioteca. Era una bella copia rivestita in pelle di “Storia di Hogwarts”, e in appendice aveva scritto “Se smarrito, da riportare a Scorpius Malfoy”. Per quanto il primario istinto di Albus gli dicesse di lasciarlo lì o, ancora meglio, seppellirlo nelle pile di libri della biblioteca perché non potesse essere mai più ritrovato, Malfoy l’aveva aiutato, con la ricerca per il giorno successivo. Non gli piaceva essere scortese. Prese il libro con sé, una voce sorprendentemente simile a quella di zio Ron che lo rimproverava mentalmente.

Arrivato in camera, però, non trovò Malfoy. Non si chiese cosa potesse fare fuori dal dormitorio dopo il coprifuoco: appena si appoggiò sul letto, tutta la stanchezza accumulata in quelle settimane si riversò in lui e si addormentò, finalmente, fino alla mattina successiva.

 

Aveva preso O.

Prendere O in Difesa, per Albus, era quasi un miracolo, considerando la sua riluttanza a leggere le avventure della sua famiglia e di come, sistematicamente, entrasse in coma non appena il professore si dedicava al suo argomento preferito: Harry Potter.

Era quasi arrivato alla mensa, però, che il senso di colpa aveva sostituito l’eccitazione e la sorpresa. Non aveva ancora restituito il libro a Malfoy. Non l’aveva fatto la sera stessa, certo, perché si era addormentato, ma nemmeno i giorni successivi. Aveva smesso di pensare a lui, che era più incorporeo di un fantasma, ed era stato peraltro molto semplice. Ma non gli aveva nemmeno detto grazie, per quella O che era interamente merito suo.

Fece dietrofront con molta più emozione di quanta se ne aspettassero le ragazze che camminavano dietro di lui, che gli andarono a sbattere contro. Tornò al tavolo qualche minuto dopo, individuando Malfoy distante di qualche posto dai suoi compagni, che mangiava in solitudine. Si diresse verso di lui con passo sicuro, prima che i pensieri di quello che avrebbero pensato le persone potessero tangerlo.

«Questo è tuo, Malfoy. L’hai dimenticato sul tavolo in biblioteca».

Malfoy alzò gli occhi dal suo arrosto con una certa sorpresa. «Oh. Alla fine me l’hai restituito, quindi. Grazie, ci tengo molto».

Albus strabuzzò un po’ gli occhi. Si tirò indietro i capelli in un gesto molto simile a quello che un tempo era stato il segno distintivo di suo nonno, ma che in lui era semplicemente nervosismo. «Non te l’avevo rubato».

«Sì, ci credo».

«Davvero».

«Lo so. È qui. Va bene».

Albus spostò il peso da un piede all’altro, un po’ nervoso. Tenne gli occhi bassi, per evitare di avere un’esatta concezione di quanti fossero quelli che li stavano fissando. Si sedette.

Lo sguardo che Malfoy gli rivolse era definibile solo come sbalordito.

«Non sei mai in stanza, non avrei potuto restituirtelo neanche volendo. Non che non volessi, cioè…».

Malfoy gli sorrise.

«Hai ragione. Grazie per avermelo riportato».

«Già. E grazie a te per avermi aiutato con la ricerca».

Dirlo era più semplice di quanto Albus si fosse aspettato.

«Avresti dovuto scrivere a tuo padre».

Il sorriso nascente che Albus non si era accorto di portare si spense subito. «Perché?», sputò fra le labbra strette, limitando le accuse che fremevano per uscire.

«Tuo padre l’ha visto di persona, un basilisco, avrebbe potuto darti una descrizione più accurata di quella di qualsiasi libro. Avresti preso E di certo».

Detto così, Albus non poteva negare avesse senso. Era uno di quei discorsi da Corvonero che gli faceva sempre sua cugina, e trovare tante somiglianze fra una Weasley e un Malfoy lo spinse a sorridere per la prima volta da che era a Hogwarts.

«Non hai un buon rapporto con tuo padre?» continuò Scorpius curioso. Qualche secondo dopo averlo chiesto arrossì in un modo che poteva avere eguali solo fra i Weasley. «Scusa, era troppo personale, non avrei dovuto… dopotutto non mi conosci nemmeno».

«Non c’è problema, Scorpius. Sì, credo che il nostro rapporto vada bene». E per la prima volta ci credette davvero, anche se era finito a serpeverde.

 

Quello che venne dopo non fu una scelta, ma il naturale corso degli eventi.

Nessuno pensò che ci fosse bisogno di parlarne. Albus non si sedeva accanto a Malfoy, ma quello era il posto vuoto con visuale migliore, così poteva risparmiarsi il fastidio degli occhiali (e quello più consistente di sedere accanto a qualcuno che palesemente avrebbe voluto stargli lontano). Scorpius non chiedeva aiuto a nessuno, per pozioni, ma a farle insieme veniva tutto più naturale (soprattutto perché a lui venivano dati i compiti più innocui).

Era un equilibrio delicato e instabile, che sarebbe crollato al primo commento sprezzante che certamente uno dei due, un giorno, avrebbe espresso sulle origini dell’altro e che palesemente avrebbe attirato a sé le antipatie di Weasley e Malfoy, oltre che le congetture di tutti gli altri.

Non avrebbe mai potuto funzionare. Non avrebbe mai dovuto funzionare. Eppure, in un qualche strano modo, contro ogni previsione… funzionava.

 

 

 

NdA:

Bene, salve a tutti! Se siete arrivati fino a qui, beh, spero che continuerete a stare con me per ancora un bel po’, ma comunque grazie di cuore. Se volete saltare le prolisse e vagamente inutili note scritte qui in seguito sentitevi liberissimi di farlo, perché sono davvero prolisse e inutili.

Okay, allora. Se non avete ancora chiuso la pagina significa che siete un po’ masochisti (ma vi adoro comunque).

Parto dicendo: buon quasi-Natale! Perché, beh, questa storia è nel mio computer davvero da molto tempo, e se ho deciso di pubblicare il primo capitolo è solo per spirito Natalizio (e perché l’altra storia che invece volevo pubblicare per Natale non sono riuscita a buttarla giù, ma andiamo avanti).

Un paio di avvertimenti:

La storia affronterà gli anni di Hogwarts dei principali protagonisti, ognuno diviso in qualche capitolo, per un totale di una ventina.

Ci ho pensato prima che Cursed Child fosse anche solo annunciato, ci ho fantasticato quando era solo congetture, l’ho abbozzata prima che uscisse. Insomma, con The Cursed Child questa storia condivide solo il nome dei protagonisti e l’universo (anche perché io non l’ho ancora letto). Se state cercando una fanfiction su The Cursed Child, questa probabilmente non è la vostra storia.

Se quello che volete è la certezza di aggiornamenti veloci, mi dispiace: non succederà. La storia, per il momento, è composta da frammenti dei momenti più importanti e un filo di trama, ma deve ancora essere scritta.

Infine, probabilmente alle coppie segnalate se ne aggiungeranno altre (e se volete sapere quali dovete leggere, già, perché per il momento sono solo un’idea).

Oh Merlino, non so come qualcuno potrebbe leggere questo sproloquio per intero, mi dispiace se vi ho causato sonnolenza e/o coma. Credo che per quando avrete finito potrebbe essere già Natale, quindi… buon Natale, alla prossima!

   
 
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