Primo
Anno
La
partenza
Secondo
le migliori tradizioni, da che mondo e
mondo, le amicizie di una vita un mago se le fa sull’espresso
per Hogwarts,
scambiandosi chiacchiere e Cioccorane. Albus aveva sempre saputo che a
lui non
sarebbe andata così: era allergico alle Cioccorane, e per di
più non sapeva
spiccicare neanche mezza parola con gli sconosciuti.
Quando
le sue previsioni pessimistiche si
rivelarono vere e lui passò il viaggio con sua cugina, poi,
considerò del tutto
assodato che fosse proprio così: non c’era neanche
mezza anima, in tutta
Hogwarts, che volesse fare amicizia con lui. Non avrebbe certo
considerato i
fugaci saluti di Victoire, Dominique, o – Per
carità! – James
degni di considerazione.
Rosie
l’aveva guardato, aveva inarcato un
sopracciglio aranciato e l’aveva capito, anche se non aveva
detto una sillaba, razionale
e irritante come al solito.
«Non
preoccuparti», gli aveva detto. «È
semplice
logica. Ci sono state molte perdite per colpa della guerra, e i figli
di coloro
che sono implicati di sicuro preferiscono Durmstrang. Ci sono parecchi
scompartimenti mezzi vuoti, come avrai sicuramente notato».
Rose
aveva quel modo di parlare che faceva
sembrare ad Albus che tutte le sue paturnie fossero tutto sommato
inutili.
Peccato che non durasse mai troppo a lungo.
«Tutti
lontani da Hogwarts tranne i Malfoy, certo»
continuò la cugina, scoccando un’occhiataccia al
ragazzino che era passato
vicino al loro scompartimento proprio in quel momento. Il giovane
Malfoy
sobbalzò sotto il suo sguardo e si dileguò. Fino
a qualche istante prima
dondolava sui talloni, guardando la maniglia come se stesse
considerando l’idea
di entrare.
Forse,
pensò Albus con l’espressione sconsolata
che gli scavava un solco in mezzo alle sopracciglia, un tipo come
Malfoy
sarebbe davvero stato l’unico che avrebbe voluto rivolgergli
la parola.
Cadde
un paio di volte, nel tentativo di scendere
dall’espresso, prima che Victoire giungesse ad aiutarlo con i
- troppi – bagagli
che si era portato appresso. «Dove dobbiamo
andare?», le chiese. Victoire gli
piaceva. Era sua cugina, certo, ed era troppo grande perché
potesse essere
anche sua amica, ma aveva un’aria impacciata che Albus
trovava carina, come se
non fosse stato l’unico a sentirsi fuori posto nella propria
pelle.
E
poi, non poteva certo dimenticare che da piccoli
avevano condiviso la vasca da bagno.
Victoire
si ritirò intorno alla sua spilla da
Caposcuola, come a cercare di farla brillare di meno. «Non
con me. Seguite i
prefetti, ragazzi, vi porteranno da Hagrid» ed era fuggita.
Ultimamente
ad Albus sembrava che le persone
scappassero anche solo dopo avergli rivolto un’occhiata.
Si
strinse nelle spalle, trascinandosi dietro i
bauli con uno sbuffo di fatica.
«Io
non lo trovo giusto» bofonchiò Rose accanto a
lui con una quantità di borse perfino maggiore della sua .
«I nostri genitori
si sono potuti godere la sorpresa, mentre noi sappiamo già
tutto quello che
accadrà. Oh, una macchia! Sull’uniforme
nuova!».
Albus
si trovava d’accordo. Avrebbe voluto non
sapere a cosa stava andando incontro, mentre i movimenti della zattera
gli
rivoltavano lo stomaco come un calzino. Le onde, certo, e il pensiero
fisso
dello smistamento. Anche i suoi compagni, un ragazzino con la faccia
annoiata e
una che sembrava essere troppo piccola per avere la loro
età, sembravano
essersi accorti della sua espressione e - sorpresa! - si erano
allontanati un
pochino da lui.
Rose
rimase comunque a bocca aperta di fronte al
soffitto della sala grande. I racconti dei suoi genitori non potevano
competere, e nemmeno la macchia sulla divisa. Il meglio lo colse quando
finalmente abbassò gli occhi e si lasciò sfuggire
un urletto entusiasta alla
vista di quello che aveva davanti. «Oh Zeus, Albus, per
Merlino e Morgana, lo
vedi? Dimmi che vedi anche tu quello che vedo io. Sto sognando, sto
sognando...».
Albus
non gli prestò poi molta attenzione, al
soffitto, e, per quanto il pensiero fosse di certo inammissibile, per
Rose, a
lui non importava nemmeno delle gigantesche tavolate coperte da
deliziosi
manicaretti che gli studenti sgranocchiavano annoiati in attesa dello
smistamento.
I
suoi occhi erano incollati allo guardo divertito
di suo fratello, sotto lo stendardo rosso-oro, e viaggiavano da una
tavolata
all’altra.
I
Serpeverde erano pochi e spaventosamente
silenziosi, molto più degli altri. Provò a
immaginarsi lì e non riuscì a
trattenere una smorfia.
Il
suo sguardo vagò ancora, nervoso, fino a
fermarsi sul cappello, vecchio e consunto. Le spiegazioni della
McGrannitt non
erano che un ronzio di sottofondo. Non importava, sapeva già
tutto. Sapeva, in
particolare, che il cappello avrebbe detto Serpeverde da quando era
stato
abbastanza grande da conoscere i nomi delle case, e poi da quando suo
fratello
aveva iniziato a prenderlo in giro e lo aveva, semplicemente, sempre
saputo.
Ma
non è
lui, a decidere,
cercò di ricordarsi. Io ho potere.
Non
riuscì a convincersi.
«Serpeverde»,
come Malfoy, che si cacciava il
cappellaccio dalla testa e si dirigeva al tavolo per cui era stato
scelto.
Albus si rese conto solo allora che si era perso una grande parte dello
smistamento, immerso nei suoi pensieri.
Alcuni
dei ragazzi che aveva visto alla stazione
ora sorridevano imbarazzatissimi dai loro posti, circondati da ragazzi
che
erano più alti di loro per centimetri e schiena dritta dalla
sicurezza. Fra i
serpeverde, per il momento, si contavano due ragazzi sconosciuti e, un
po’
distante, Malfoy. Nessuna sorpresa, ben chiaro, perché i
Malfoy erano
serpeverde da generazioni e nessuno si aspettava che quello in
particolare
fosse diverso, biondo, pallido e appuntito come da programma.
Albus
si accorse del silenzio assordante che era
seguito al nome del ragazzino con qualche secondo di ritardo, quando
l’applauso
scrosciante per l’assegnamento di un tale Morrison fra i
tassorosso lo
interruppe. Neanche i serpeverde più grandi (Norris,
Lane. Grifondoro!) l’avevano accolto, si sicuro
non l’avevano fatto le
altre case (Picard, Odile. Corvonero!).
Non
sentì esattamente la McGrannitt pronunciare il
suo nome. Forse fu colpa della testa, che sembrava piena di gommapiuma,
o del
tremore che aveva iniziato a percorrerlo. Persino del suo cuore, che
sembrava
aver velocizzato i suoi battiti. I brusii che si arrestavano di colpo,
però,
come gli sguardi di tutti che si ritrovava incollato addosso,
lì notò subito.
Arrivò allo sgabello con un passo sorprendentemente
regolare, mentre scrutava
la folla di sottecchi. I professori si sforzavano almeno di cercare di
non
fissarlo, al contrario degli studenti. James gli fece segno, ma
l’ampia e
cadente falda del cappello gli coprì la vista prima che
potesse capire cosa
stesse cercando di dirgli.
Oh,
bene,
un altro Potter. Iniziò
il copricapo. La sensazione di avere una
voce nella propria testa gli dava i brividi. Forse era colpa dei
molteplici
ragguagli di sua madre (chissà dove un cappello poteva
nascondere il suo
cervello). Non ho molti dubbi, questa
volta, e non credo che ne abbia anche tu. Sbaglio, forse?
«Sì,
sì, sbagli. Sbagli. Non
Serpeverde, non Serpeverde».
Albus
era sicuro che il cappello avesse sbuffato
(chissà dove nascondeva i polmoni, o le corde vocali. Decise
che l’avrebbe
scoperto, e poi pensò che una simile intenzione era da vero
Corvonero… il
cappello si sbagliava).
È
una
cosa di famiglia, quindi? Non saper apprezzare i consigli,
né la bellezza della
gloria, le vette che si possono raggiungere con la giusta dose di
ambizione e
furbizia? Albus
trattenne il pensiero successivo (io
sì, voglio la gloria, non voglio essere mio padre, non
voglio essere
un’ombra, è questa la mia più grande
ambizione, non voglio…).
Nel
pronunciare il pensiero seguente, il cappello
aveva un tono vagamente penoso. Non puoi
trattenere i pensieri, Albus. Non puoi fingere di essere chi non sei.
Albus
serrò forte gli occhi, con disperazione.
Ma io posso decidere. Ebbe
l’impressione che, se avesse potuto, il cappello avrebbe
levato gli occhi al
cielo.
Non
farmi
penare, Albus, assegnarti ad una casa a cui non appartieni sarebbe un
grande
sbaglio.
Fu
come un pugno nello stomaco. Una casa a cui
non appartieni.
«Io
posso decidere» nella sua testa, l’aveva
urlato. Probabilmente era solo un sussurro.
Certo,
puoi. Ed è tuo compito scegliere la casa migliore per te.
Dall’altra
parte della sala, dalle tavolate, gli
studenti lo guardavano increduli. Stava
forse litigando con il cappello…? Il vecchio pezzo
di stoffa sbuffava
nuvole di polvere e imprecava. Quella stessa sera, James avrebbe
giurato di
averlo sentito dire per le mutande di
Merlino!, o qualcosa del genere.
Ci
fu qualche altro secondo di attesa, infine Albus
abbassò lo sguardo.
«Serpeverde»,
disse.
Dopo
meno di un secondo, il cappello urlò:
«Serpeverde!».
Un
applauso stentato provenne dal tavolo a cui
Albus si diresse. Rivolse solo un breve sguardo a Rose, fra quelli che
ancora
non erano stati smistati. Non abbastanza per decifrare la sua
espressione.
Si
sedette accanto a un ragazzino smilzo che non
lo degnò di un’occhiata. A pochi posti da lui
sedeva Malfoy.
Mentre
gli altri ragazzi venivano smistati
(«Grifondoro!» per Rose Weasey, testurbante, e
Albus ci aveva quasi sperato,
che lo raggiungesse), nessuno rivolse la parola ad Albus. E
così fu per tutta
la serata, fino a quando i prefetti non illustrarono la disposizione
delle
stanze. A quel punto, Albus iniziava già a pentirsi delle
sue scelte.
Non
riuscì a dormire, con le parole del cappello
che gli trapanavano il cervello.
Puoi
fare
le stesse scelte di tuo padre, Albus. Oppure scegliere Serpeverde.
Se
Albus aveva preso una decisione, ora non sapeva
come continuare.
Il
giorno successivo iniziò come tutti i pessimi
giorni. Albus, che si era rigirato fra le coperte per ore, si
addormentò poco
prima di quando avrebbe dovuto svegliarsi. Arrivò in ritardo
a colazione, dove
non trovò niente di commestibile sfuggito alla
famelicità dei suoi compagni. A
migliorare ulteriormente la situazione, le Gazzette del Profeta
lasciate sul
tavolo mostravano in prima pagina una sua foto, scattata
chissà come alla
stazione, e la notizia del suo smistamento (si rifiutò
persino di guardare le
teorie sul suo essere un malvagio mago assassino ipotizzate da un
giornale
scandalistico). Per di più, alla prima ora aveva la
McGrannitt, che gli tolse i
primi cinque punti della sua carriera scolastica. Se i suoi compagni
non
l’avessero già odiato, ora avrebbero iniziato.
I
giorni successivi non furono certo migliori del
primo.
James
lo prese in giro (ma non c’era alcuna novità
in quello, l’avrebbe fatto in ogni caso) e lo
ringraziò per aver portato i
Grifondoro in testa già al primo giorno. Su suo fratello
poteva sempre contare.
Rose ci tenne a fargli sapere che per lei ogni casa era uguale, e lui
sarebbe
rimasto suo cugino qualsiasi decisione avesse preso (anche quella di
scegliere
Divinazione o sposare un Elfo Domestico, disse straparlando, ma Albus
non era
sicuro che fosse proprio così. Almeno non per la
Divinazione). Per il resto,
Dominique gli sorrise, Victoire lo reindirizzò
all’aula giusta con un buffetto
affettuoso e nessuno degli altri fece caso a lui abbastanza da
rivolgergli la
parola. In compenso, Albus era certo che il suo smistamento fosse un
argomento
di conversazione molto gettonato. Solo, non con lui.
I
suoi compagni di dormitorio erano Nott
(simpatico, più o meno, ma lo sapeva solo perché
lo aveva sentito chiacchierare
con una compagna, non certo per esperienza personale), Collins (che era
silenzioso da far para, e non solo con Albus) e Malfoy (malissimo).
In
realtà, Malfoy non era irritante come si era
aspettato. Certo non rivolgeva la parola a nessuno, compreso lui (non
che si
lamentasse), ma era praticamente invisibile. Non come Collins, che
sedeva sul
suo letto e giocava a scacchi magici continuamente in solitudine.
Semplicemente, lui non c’era. Albus non ricordava una sola
volta in cui si
fosse svegliato e l’avesse trovato in bagno o fra le coperte,
né che la sera ci
fosse un qualsiasi movimento oltre le corti richiuse del suo
baldacchino.
In
realtà, le cose iniziavano a farsi sospette.
C’era chi diceva che Malfoy stesse architettando un qualche
piano malvagio,
continuando la lunga lista che era evidentemente di famiglia. Albus non
credeva
che fosse così, ma certo non aveva voglia di difendere il
figlio di un
mangiamorte.
Non
era sua intenzione parlargli. Non avrebbe mai
pensato che avrebbe voluto aiutarlo (lui, che di aiuto avrebbe avuto
bisogno
davvero in gran quantità). Di certo, non aveva mai neppure
immaginato
lontanamente di poter diventare suo amico.
Accadde
un giorno di ottobre. Le lezioni erano
iniziate da abbastanza tempo perché i professori potessero
considerare finito
il periodo di misericordia che avevano concesso loro in quanto nuovi
studenti e
avevano iniziato a caricarli di compiti in quantità
esagerata. Era così che
Rose spendeva gran parte delle sue giornate, e Albus non la vedeva da
un po’.
Certo, anche lui passava molto tempo a fare ricerche su ricerche, ma
mai con la
perizia che ci metteva sua cugina. Dopo quasi due mesi di solitudine,
Albus
credeva di poter impazzire.
D’altra
parte c’era Malfoy. Albus non faceva
attenzione a quello che faceva il ragazzo intenzionalmente, davvero, ma
essere
compagni di stanza portava a questo. Sapeva molte cose di persone con
cui non
aveva mai parlato. Collins, ad esempio, faceva schifo in pozioni e
adorava gli
scacchi (preferiva quelli babbani, ma non aveva mai trovato un compagno
alla
sua altezza e doveva accontentarsi). Nott era un asso nei quidditch e
tifava le
Arpies, che in quel periodo andavano davvero forte. Di Malfoy non
sapeva quasi
nulla, se non che passava nella stanza appena il tempo necessario a
dormire,
non era un gran chiacchierone e non aveva fatto più
progressi di lui, nella
socializzazione.
Scoprì
dove passava le sue giornate dalle
chiacchiere con sua cugina, in quei pochi minuti che passavano insieme
prima di
colazione, prima di doverla salutare per andare al suo tavolo (che con
il tempo
si era fatto un po’ più sciolto e meno silenzioso,
sebbene non animato come
quello di grifondoro, ma il cambiamento non aveva riguardato Albus).
«Non
lo sai? Passa praticamente tutto il tempo in
biblioteca. Credo a studiare. Certo, dovrebbe proprio, dato che in
pozioni va
peggio di quello strambo serpeverde… il tuo compagno di
stanza, forse, sì».
Rose
aveva sbuffato con una certa supponenza (lei
in pozioni andava benissimo, dopotutto).
Albus
si era trattenuto dal dirle che solo lei
poteva passare abbastanza tempo in biblioteca da accorgersi della
polverosa
presenza di Malfoy in mezzo alla polvere degli scaffali e, salutata,
l’informazione fu dimenticata.
Se
ne ricordò qualche settimana dopo.
Albus
entrò nella biblioteca esitante, sotto lo
sguardo pesante della bibliotecaria. Fino a quel giorno aveva potuto
sbirciare
dai libri e soprattutto dalla pergamena di Rose, ma lei si era detta impegnata, Albus, davvero impegnatissima,
non posso proprio parlare ciao, quindi ora doveva
destreggiarsi nella marea
di volumi da solo, con una pergamena e mezza sul basilisco da scrivere
per il
giorno dopo. Per di più, non poteva proprio fare a meno di
figurarsi lo sguardo
deluso che avrebbe assunto il professore quando le sue aspettative su
Albus
sarebbero state disattese, la netta disapprovazione che avrebbe reso
evidente
che, oltre a essere un serpeverde asociale, il figlio di Harry Potter
era anche
una schiappa totale in Difesa contro le Arti Oscure.
Avanzò
di qualche passo, incerto, senza la minima
idea di dove sarebbe dovuto andare. Pensò che sicuramente i
libri erano
ordinati per argomento, materia o autore, ma uno sguardo veloce alle
infinite
pile di carta lo fecero propendere per una veloce sortita in mezzo agli
scaffali, alla ricerca di qualcosa che sembrasse vagamente inerente al
tema.
Al
primo scaffale trovò “Le ricette di Nonna
Ofelia” proprio accanto a “Malefici e sortilegi per
dilettanti, volume terzo”,
e le sue speranze si dissolsero. Dopo essere passato accanto a ogni
singolo
scaffale almeno quattro volte, quasi un’ora più
tardi, Albus si gettò
pesantemente su un divanetto, sconsolato. Teneva pieno di fiducia
l’unico libro
che sembrava poter essergli utile, sfogliando le prime pagine
indeciso… e
qualcosa lo punse. Non era solo una molla scoperta, si rese conto Albus
alzando
lo sguardo. Seppellito sotto una pila di libri più alta di
lui c’era Scorpius
Malfoy, immerso in un’ombra di cui sembrava essere parte,
anche con i colori
scintillanti da cui era caratterizzato. Incrociò per un
breve attimo lo sguardo
dorato del ragazzino, pungente come uno spillo, che subito
rituffò il naso nel
tomo polveroso con una foga che faceva sembrare quella lettura
essenziale per
la sua sopravvivenza.
Albus
s’irrigidì. Chissà come non si era
accorto
di essersi seduto proprio di fronte a Malfoy, con solo un tavolo a
dividerli.
Poteva quasi sembrare che fosse stata un’azione ponderata e
che quel posto
l’avesse scelto. Non era così, ma certamente chi
li avesse visti avrebbe
pensato che fossero due maghi oscuri pronti a progettare il proprio
sterminio
di massa o chissà quale congettura. Certo, andarsene, a quel
punto non sarebbe
stato molto cortese. Anzi, non lo sarebbe stato per nulla. Non gli
piaceva
essere scortese, e Malfoy sembrava innocuo, dopotutto, se non si avesse
provato
a interrompere la sua lettura.
Albus
si sforzò di sedersi meglio per cercare la
concentrazione. Forse era colpa della molla che gli pungeva proprio il
fondoschiena,
o magari dello sguardo di Malfoy (che però era incollato
alle pagine ogni volta
che lo cercava), ma non ci riuscì.
Un
cigolio interruppe i suoi pensieri. Il volume
di Malfoy era ora posato a un angolo del tavolino, al centro Scorpius
stava
ordinando attentamente la pila precedentemente accatastata. Ne tolse
uno e
glielo porse, senza guardarlo infaccia, continuando a passare in
rassegna i
titoli. Albus non lo prse, finchè lo sguardo di Malfoy non
si alzò a guardarlo
interrogativo. Ci fu un breve sfioramento di pelle. Quella di Malfoy
era calda,
al contrario di quanto si fosse aspettato.
«Ci
vuole un po’ di occhio, ma poi ci si abitua
all’ordine della Signorina Lance. Ma quello che hai preso tu
non c’entra
proprio niente». Il suo tono era basso e calmo, misurato.
Albus non disse una
parola. Lo guardò alzarsi e girare fra i libri con una certa
sicurezza che non
aveva mai visto prima, in lui. «Ecco. Questi ti potranno
aiutare, ma credo che
dovresti comunque chiedere qualcosa a tuo padre
sull’argomento».
Lo
sguardo di Albus, che aveva seguito i suoi
gesti dall’inizio, lo seguì finché non
scomparve oltre la soglia della
biblioteca. Sembrava perdere sicurezza a ogni passo, le spalle che si
inarcavano, un rapido sguardo nervoso, le mani nascoste in tasca.
Albus
continuò a guardare i titoli (“Mitologia
Classica”, “Come Combattere un Basilisco”
e “Animali Fantastici dove Trovarli”),
incerto. Solo una sbirciatina, si disse infine. Li sfogliò
in fretta, come se
qualcuno avesse potuto scoprirlo in un qualsiasi momento a fare
qualcosa di
proibito. Le pagine segnate erano proprio quelle fondamentali, gli
appunti ai
margini segnavano i paragrafi più importanti e le
informazioni fondamentali.
Scacciò il pensiero che Scorpius Malfoy aveva aiutato lui,
Albus Potter, e che
certo non poteva averlo fatto per puro altruismo (i Malfoy non
conoscono
l’altruismo, è risaputo), ma scrisse comunque un
resoconto di tutte le
informazioni più interessanti fino a riempire mezza
pergamena in più di quella
che gli era stata assegnata.
Quando
si alzò, al coprifuoco, per rimettere al
loro posto tutti i libri, si accorse che l’ultimo libro
lasciato sul tavolo non
era uno di quelli della biblioteca. Era una bella copia rivestita in
pelle di
“Storia di Hogwarts”, e in appendice aveva scritto
“Se smarrito, da riportare a
Scorpius Malfoy”. Per quanto il primario istinto di Albus gli
dicesse di
lasciarlo lì o, ancora meglio, seppellirlo nelle pile di
libri della biblioteca
perché non potesse essere mai più ritrovato,
Malfoy l’aveva aiutato, con la
ricerca per il giorno successivo. Non gli piaceva essere scortese.
Prese il
libro con sé, una voce sorprendentemente simile a quella di
zio Ron che lo
rimproverava mentalmente.
Arrivato
in camera, però, non trovò Malfoy. Non si
chiese cosa potesse fare fuori dal dormitorio dopo il coprifuoco:
appena si
appoggiò sul letto, tutta la stanchezza accumulata in quelle
settimane si
riversò in lui e si addormentò, finalmente, fino
alla mattina successiva.
Aveva
preso O.
Prendere
O in Difesa, per Albus, era quasi un
miracolo, considerando la sua riluttanza a leggere le avventure della
sua
famiglia e di come, sistematicamente, entrasse in coma non appena il
professore
si dedicava al suo argomento preferito: Harry Potter.
Era
quasi arrivato alla mensa, però, che il senso
di colpa aveva sostituito l’eccitazione e la sorpresa. Non
aveva ancora
restituito il libro a Malfoy. Non l’aveva fatto la sera
stessa, certo, perché
si era addormentato, ma nemmeno i giorni successivi. Aveva smesso di
pensare a
lui, che era più incorporeo di un fantasma, ed era stato
peraltro molto
semplice. Ma non gli aveva nemmeno detto grazie, per quella O che era
interamente merito suo.
Fece
dietrofront con molta più emozione di quanta
se ne aspettassero le ragazze che camminavano dietro di lui, che gli
andarono a
sbattere contro. Tornò al tavolo qualche minuto dopo,
individuando Malfoy
distante di qualche posto dai suoi compagni, che mangiava in
solitudine. Si
diresse verso di lui con passo sicuro, prima che i pensieri di quello
che
avrebbero pensato le persone potessero tangerlo.
«Questo
è tuo, Malfoy. L’hai dimenticato sul
tavolo in biblioteca».
Malfoy
alzò gli occhi dal suo arrosto con una
certa sorpresa. «Oh. Alla fine me l’hai restituito,
quindi. Grazie, ci tengo
molto».
Albus
strabuzzò un po’ gli occhi. Si tirò
indietro
i capelli in un gesto molto simile a quello che un tempo era stato il
segno
distintivo di suo nonno, ma che in lui era semplicemente nervosismo.
«Non te
l’avevo rubato».
«Sì,
ci credo».
«Davvero».
«Lo
so. È qui. Va bene».
Albus
spostò il peso da un piede all’altro, un
po’
nervoso. Tenne gli occhi bassi, per evitare di avere
un’esatta concezione di
quanti fossero quelli che li stavano fissando. Si sedette.
Lo
sguardo che Malfoy gli rivolse era definibile
solo come sbalordito.
«Non
sei mai in stanza, non avrei potuto
restituirtelo neanche volendo. Non che non volessi,
cioè…».
Malfoy
gli sorrise.
«Hai
ragione. Grazie per avermelo riportato».
«Già.
E grazie a te per avermi aiutato con la
ricerca».
Dirlo
era più semplice di quanto Albus si fosse
aspettato.
«Avresti
dovuto scrivere a tuo padre».
Il
sorriso nascente che Albus non si era accorto di
portare si spense subito. «Perché?»,
sputò fra le labbra strette, limitando le
accuse che fremevano per uscire.
«Tuo
padre l’ha visto di persona, un basilisco,
avrebbe potuto darti una descrizione più accurata di quella
di qualsiasi libro.
Avresti preso E di certo».
Detto
così, Albus non poteva negare avesse senso.
Era uno di quei discorsi da Corvonero che gli faceva sempre sua cugina,
e
trovare tante somiglianze fra una Weasley e un Malfoy lo spinse a
sorridere per
la prima volta da che era a Hogwarts.
«Non
hai un buon rapporto con tuo padre?» continuò
Scorpius curioso. Qualche secondo dopo averlo chiesto
arrossì in un modo che
poteva avere eguali solo fra i Weasley. «Scusa, era troppo
personale, non avrei
dovuto… dopotutto non mi conosci nemmeno».
«Non
c’è problema, Scorpius. Sì, credo che
il
nostro rapporto vada bene». E per la prima volta ci credette
davvero, anche se
era finito a serpeverde.
Quello
che venne dopo non fu una scelta, ma il
naturale corso degli eventi.
Nessuno
pensò che ci fosse bisogno di parlarne.
Albus non si sedeva accanto a Malfoy, ma quello era il posto vuoto con
visuale
migliore, così poteva risparmiarsi il fastidio degli
occhiali (e quello più
consistente di sedere accanto a qualcuno che palesemente avrebbe voluto
stargli
lontano). Scorpius non chiedeva aiuto a nessuno, per pozioni, ma a
farle
insieme veniva tutto più naturale (soprattutto
perché a lui venivano dati i
compiti più innocui).
Era
un equilibrio delicato e instabile, che sarebbe
crollato al primo commento sprezzante che certamente uno dei due, un
giorno,
avrebbe espresso sulle origini dell’altro e che palesemente
avrebbe attirato a
sé le antipatie di Weasley e Malfoy, oltre che le congetture
di tutti gli
altri.
Non
avrebbe mai potuto funzionare. Non avrebbe mai
dovuto funzionare. Eppure, in un qualche strano modo, contro ogni
previsione…
funzionava.
NdA:
Bene,
salve a tutti! Se siete arrivati fino a qui,
beh, spero che continuerete a stare con me per ancora un bel
po’, ma comunque
grazie di cuore. Se volete saltare le prolisse e vagamente inutili note
scritte
qui in seguito sentitevi liberissimi di farlo, perché sono
davvero prolisse e
inutili.
Okay,
allora. Se non avete ancora chiuso la pagina
significa che siete un po’ masochisti (ma vi adoro comunque).
Parto
dicendo: buon quasi-Natale! Perché, beh,
questa storia è nel mio computer davvero da molto tempo, e
se ho deciso di
pubblicare il primo capitolo è solo per spirito Natalizio (e
perché l’altra
storia che invece volevo pubblicare per Natale non sono riuscita a
buttarla
giù, ma andiamo avanti).
Un
paio di avvertimenti:
La
storia affronterà gli anni di Hogwarts dei
principali protagonisti, ognuno diviso in qualche capitolo, per un
totale di
una ventina.
Ci
ho pensato prima che Cursed Child fosse anche
solo annunciato, ci ho fantasticato quando era solo congetture,
l’ho abbozzata
prima che uscisse. Insomma, con The Cursed Child questa storia
condivide solo
il nome dei protagonisti e l’universo (anche
perché io non l’ho ancora letto).
Se state cercando una fanfiction su The Cursed Child, questa
probabilmente non
è la vostra storia.
Se
quello che volete è la certezza di
aggiornamenti veloci, mi dispiace: non succederà. La storia,
per il momento, è
composta da frammenti dei momenti più importanti e un filo
di trama, ma deve
ancora essere scritta.
Infine,
probabilmente alle coppie segnalate se ne
aggiungeranno altre (e se volete sapere quali dovete leggere,
già, perché per
il momento sono solo un’idea).
Oh
Merlino, non so come qualcuno potrebbe leggere
questo sproloquio per intero, mi dispiace se vi ho causato sonnolenza
e/o coma.
Credo che per quando avrete finito potrebbe essere già
Natale, quindi… buon
Natale, alla prossima!