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Autore: EcateC    23/12/2016    12 recensioni
La vera storia di Harleen Frances Quinzel, la rigida dottoressa newyorkese che si lasciò sedurre da Joker per diventare la famigerata Harley Quinn, la pagliaccetta bella e simpatica che tutti conosciamo.
Ma da lasciarsi alle spalle una vita di privazioni a conquistare il cuore del super criminale di Gotham c'è una bella differenza, ed è qui che riposa la vera inversione dei ruoli. Provare per credere.
Genere: Dark, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harley Quinn, Joker, Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti
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 ♦ The role reversal ♦





Sucker for pain.

 


-Via! Non possiamo affidarlo a lei, è solo una ragazza!-

-Non abbiamo altra scelta, è stata l’unica psichiatra che ha dato la sua disponibilità- rispose Antony Arkham, il direttore dell’omonimo manicomio -E poi ha tutte le credenziali necessarie, senti qua- continuò, mettendosi a posto gli occhiali sul naso e iniziando a leggere il CV della nuova venuta -Harleen Frances Quinzel, ventisei anni, una laurea con il massimo dei voti in Psichiatria, attestazione di frequenza agli stage della Scuola di Psicopatologia di Harvard e una tesi in Criminologia forense interamente dedicata a… Il Clown di Gotham City: deviazione comportamentale di una personalità estrema e multisfaccettata-

-Ha fatto la tesi sul Joker?

-Sì, e vuole anche scrivere una monografia su di lui-

-Incredibile- esclamò Rogers, il Pubblico Ministero -Come si può scrivere una tesi sul Joker?-

-Ognuno ha le proprie ossessioni, vostro onore- lo liquidò il direttore, ridacchiando -Ma vedrà, con lui non durerà più di una settimana, proprio come gli altri-

-La faccia entrare, sentiamo cos’ha da dire-

-Come vuole. Rebecca?-

Una segretaria sottile e dai capelli perfetti entrò in ufficio -Sì, dottor Arkham?-

-Vada a chiamare la dottoressa Quinzel, per cortesia-

-Certo, dottore-

Rebecca uscì, facendo ticchettare i tacchi alti sul pavimento.

Davanti a lei, seduta a gambe strette in sala d’attesa, c’era una ragazza occhialuta col capo chino. Costei indossava un sobrio tailleur grigio sotto il camice bianco e aveva i capelli acconciati in un rigido chignon, il che le conferiva un aspetto tanto professionale quanto severo. In realtà, la dottoressa Quinzel non era affatto severa o compunta, era semplicemente molto tesa. Stava facendo finta di leggere il pesante tomo che aveva sulle ginocchia, facendo finta perché era troppo nervosa anche solo per poter leggere.

-Dottoressa Quinzel?- la voce acuta della segretaria la fece trasalire -Oh, scusi, l’ho spaventata?-

-No, no, si figuri- rispose con un sorriso imbarazzato, alzandosi goffamente in piedi e facendo quasi cadere il libro -Ero immersa nella lettura e non l’ho sentita arrivare. Sa, Psicofarmacologia è così interessante!-

-Immagino…- proferì la segreteria con una punta di disgusto, guardandola dall’alto al basso -Prego, può accomodarsi-

La ragazza con gli occhiali le sorrise appena e la seguì nell’ufficio, dandosi ripetutamente dell’idiota. 

-Vuole darmi il libro?-

-Forse è meglio, grazie, così evito di farlo cadere davanti a tutti- scherzò, ma l'altra la guardò quasi con beffarda commiserazione.

-Gliel’ho chiesto proprio per questo- 

-Grazie…- rispose ferita, senza reagire. Solo glielo porse, e si trovò di fronte alla porta in linoleum del direttore, con la targhetta placcata in oro che recitava Dott. Antony Arkham.

“Respira, Harleen. Tu sai cosa dire, sai cosa devi fare… l’hai ripetuto trenta volte, lo sai bene…”

Con le mani sudate e tremanti aprì la porta, trovandosi subito due paia d’occhi intenti a fissarla.

“Respira, Harleen, respira”.

-Buongiorno- esclamò ai suoi superiori, entrando con le spalle dritte ma incassate.

-Buongiorno a lei- le rispose bonariamente il direttore -Prego, si segga. Dunque, dottoressa Quinzel, abbiamo esaminato sommariamente il suo curriculum e non si stupirà se le dico che è accademicamente impeccabile, lei non ha proprio nulla da invidiare a nessuno dei suoi colleghi-

La ragazza abbassò gli occhi e fece un sorriso umile. Non era una novità per lei, era sempre stata la più brava e la più diligente del suo corso.

-Tuttavia, c’è una cosa che francamente ci lascia un po’ perplessi e riguarda proprio la natura della sua richiesta, ovvero sia affidarle in cura un criminale internazionale delle proporzioni del Joker. Lei è ancora così giovane, dottoressa, e costui è tra i soggetti più pericolosi e mefistofelici di questo pianeta, non crede che sia troppo prematuro assegnarle un caso del genere?-

Harleen ispirò aria, si era aspettata quella domanda.

-No- rispose Harleen, stringendosi forte la gonna del tailleur -Non lo credo, direttore. Conosco la sua personalità, so perfettamente cosa ha fatto e come l’ha fatto, ma sono formata a questo scopo e non ho alcuna paura di lui. E poi è per il mio libro, ho davvero bisogno di fargli qualche domanda-

-Qualche domanda?- ripeté Arkham, beffardo -E lei crede davvero che Joker sia disposto a collaborare e a rispondere a qualche domanda?-

-Sono realista, ma confido nelle mie capacità di psichiatra-

I due uomini si guardarono in viso, uno scettico e l’altro soddisfatto, e la dottoressa Harleen Frances Quinzel in quel momento sarebbe anche potuta svenire, da quanto era angosciata. Non lo dava a vedere, in famiglia le avevano insegnato l’autocontrollo e il contenimento di sé, ma quando aveva scoperto dai giornali e telegiornali di tutto il mondo che il suo caso umano preferito era stato catturato e rinchiuso per l’ennesima volta nell’Arkham Asylum, qualcosa di molto simile all’entusiasmo era scattato in lei e l’aveva indotta a partire subito da Manhattan, sua terra natia.

Lei desiderava intensamente conoscere quell’uomo, ne era da sempre stata misteriosamente attratta e aveva dedicato a lui tutta la sua vita accademica e sociale, dato che non ne aveva propriamente una. Inutile dire che quella era l’unica occasione che aveva di incontrarlo, di sentirlo almeno parlare. 

Da sopra gli occhiali guardò nervosamente gli uomini che confabulavano fra loro, il dottor Arkham pareva contrario mentre il magistrato sembrava ben disposto.

-Siamo d’accordo?-

-Va bene- esclamò Arkham, arreso -Glielo dica pure…-

-Dottoressa Quinzel?-

-Sì?- cinguettò Harleen, mai stata più nervosa in vita sua.

-Inizia domani-

 

 

L’indomani mattina, Harleen Frances Quinzel si presentò in anticipo, sempre nel suo impeccabile tailleur grigio. Leggermente truccata, malgrado la stanchezza non aveva il viso particolarmente 

provato, era solo silenziosa e chiusa in se stessa, come sempre. 

Come tutte le mattine, si era svegliata alle sei, era uscita a fare jogging, aveva pulito casa, aveva fatto mezz’ora di joga, si era lavata i capelli e infine aveva fatto una colazione scarsa ma salutare, per mantenere la sua linea sottile.

E tutto questo in sole tre ore. Era molto disciplinata, Harleen Quinzel, talmente tanto che aveva soffocato nella disciplina il vero significato della vita. Non che fosse triste, diciamo leggermente apatica. A parte il caso Joker, infatti, non c’era niente che avesse il potere di coinvolgerla emotivamente o di farla sorridere.

Tutto le sembrava noioso e frutto della costrizione. Tutto tranne quello che stava per intraprendere.

Joker! Ancora stentava a crederlo.

Naturalmente, non aveva chiuso occhio dall’agitazione. Aveva passato tutta la notte a pensare a cosa gli avrebbe chiesto, a come avrebbe impostato il discorso, a come si sarebbe posta con lui, se seria, se autorevole, se accomodante, se comprensiva, se, se, se, mille, duemila se!

Ma l’idea di avere lui come paziente le faceva ribollire il sangue dall’entusiasmo, e non è una cosa che le capita spesso. Aveva curato molti infermi mentali prima di lui, per diversi anni affiancando un altro psichiatra formatore, e poi, da tre anni a questa parte, da sola.

E ora Joker era diventato il suo paziente ufficiale. Il mitico criminale coi capelli verdi e le macchine sportive… Un pezzo da novanta, lo sapeva. Ed era totalmente e rovinosamente folle che l’avesse in cura lei.

Follia pura.

Non sarebbe mai riuscita a cavargli una sola parola di bocca, ma almeno l’avrebbe visto, avrebbe visto i suoi occhi, che in foto sembrano così azzurri da parere anormali, finti.

Finalmente avrebbe fatto qualcosa di folle anche lei.

-È lei la dottoressa Quinzel?-

Una guardia armata le si parò davanti. Aveva un fucile ad alto calibro in braccio e un espressione strafottente.

-Sono io- rispose costei, alzando subito in piedi.

-Mi segua per favore. Il capo vuole dirle due parole-

“Il capo?” si chiese Harleen con un certo affanno, pensando subito al Presidente degli Stati Uniti d’America.

La guardia grande quanto un guardaroba la scortò in una camera assembleare grigia e vuota, con un lungo tavolo al centro e un enorme monitor appeso sul muro. Appena entrarono, il monitor si accese e fece comparire una donna afroamericana, con le braccia conserte e un’espressione seria e solenne al tempo stesso.

-Buon pomeriggio dottoressa Quinzel- esordì la donna con una voce profonda e priva di inflessioni -Mi chiamo Amanda Waller e sono qui per darle qualche consiglio procedurale. Ho saputo chi le hanno affidato in cura, perciò ritengo opportuno che sia resa edotta su un paio di punti. Primo, il cosiddetto Joker è vivo perché è stato dichiarato incapace di intendere e di volere, ma intende e vuole meglio di tutti noi messi assieme, non lo dimentichi mai. Secondo, le sedute sono controllate a distanza da impianti audiovisivi, ma per non violare le norme sindacali abbiamo dovuto togliere l’audio, perciò, purtroppo, voi sarete ripresi ma non ascoltati. Ma sappia che io so leggere il labiale. Terza cosa e più importante, sappia che noi la controlliamo, e se dovesse insorgere anche un minimo dubbio sulla sua lealtà, verrà automaticamente accusata di favoreggiamento personale ai danni dello stato, con relativa interdizione perpetua alla professione di psichiatra. Sono stata abbastanza chiara?-

Harleen annuì, con la bocca aperta.

-Bene. Non sono qui per fare del terrorismo, dottoressa, ma per metterla in guardia. Quell’uomo coglie i punti deboli e sa manipolarli a proprio vantaggio, ricordi sempre con chi ha a che fare-

-Sì, signore… ehm, signora-

-Buon lavoro, dottoressa-

E detto questo, il monitor si spense.

Harleen rimase seduta immobile, con il fiato corto.

Probabilmente, pensò, ci avrebbe rimesso la pelle. Joker l’avrebbe ammazzata, come ha fatto con tre dei sei psichiatri con cui ha dovuto confrontarsi.

Ma a lei di morire, in fin dei conti, non importava poi tanto. La sua vita non era tutto sto granché.

-Questo è un telecomando d’allarme- disse un’altra guardia, un tenente a giudicare dalla divisa, mentre percorrevano il lungo corridoio dell’ala sinistra -Per qualsiasi cosa, anche solo un minimo, vago sospetto, mi raccomando, spinga il pulsante e cinque delle nostre migliori guardie correranno in suo soccorso. Quell’uomo è pericoloso, dottoressa, non si esima dal cautelarsi-

E tre. Quante volte dovevano ripeterle che era pericoloso?

-G-grazie- esclamò Harleen, afferrando il piccolo telecomandino e mettendoselo nella tasca del camice -Siete molto gentili-

-Non siamo gentili, siamo umani. Buona fortuna, dottoressa-

E detto questo, con il riconoscimento digitale prima e tre chiavi dopo, aprì le quattro serrature della camera blindata n. 237. 

 

 

 

 

 

Lo vide lì, seduto scomodamente in una sedia di ferro, con le braccia attaccate al corpo da una camicia di sicurezza. Era di spalle ma aveva il profilo rivolto verso sinistra, con lo sguardo fisso e un vago sorriso sulle labbra pallide e sottili. I capelli tinti di verde erano spettinati e dalle radici si intravedeva già una vaga ricrescita scura.

Pareva serenamente perso nei suoi pensieri.

La dottoressa rimase per un attimo ferma sulla soglia, le sue mani erano sudate e la mancava l’aria dall’emozione.

Quanto aveva desiderato conoscere quell’uomo? Dopo aver passato mille giorni e mille notti a studiare i suoi omicidi efferati e a tentare di capire la sua personalità così rara e controversa, sentiva quasi il bisogno di vederlo, di conoscere di persona colui che era stato per più di due anni il protagonista principale dei suoi giorni e dei suoi pensieri.

Il famigerato Joker, un grattacapo affascinante per ogni medico della mente come lei.

-Salve- esordì, sentendosi vagamente imbarazzata. E poi cos’era quel Salve? Si può dire “salve” a un super criminale??

-Chi c’è?- esclamò l’uomo con voce curiosa, ciondolando col capo -Un angioletto è caduto dal cielo? Che cosa fa in manicomio un piccolo adorabile angioletto?-

-Non sono un angioletto, signor… Joker- rispose freddamente la donna, ma con la voce leggermente incrinata -Sono la dottoressa Harleen Frances Quinzel, e sono venuta qui per passare un po' di tempo con lei, se non le dispiace-

Si fece coraggio e avanzò di qualche passo, fino a che non gli fu esattamente alle spalle. Poteva vedergli la fronte e la punta del naso, ma per uno strano motivo, non aveva il coraggio di fronteggiarlo e palesarsi, malgrado la curiosità di vederlo finalmente dal vivo e non per foto la stesse bruciando dentro.

Ma senza che lei potesse prevederlo, Joker ribaltò la testa di scatto e la guardò alla rovescia, facendole il suo classico sorriso spalancato e grottesco.

La ragazza fece quasi un balzo indietro dalla sorpresa.

-Ahh- esclamò deliziato, incatenandola nei suoi occhi chiari e spiritati -Dunque sei tu la Strizza-cervelli che vuole scrivere un libro su di me? O sei davvero un angioletto?-

La dottoressa arrossì e indietreggiò di molti passi -Lei come… Chi l’ha informato?-

-Il re di Gotham city ha i suoi informatori, madame- soggiunse sempre a testa in giù, mostrandole di nuovo tutti i denti argentati -E lei è un bellissimo regalo di compleanno-

Peccato solo che oggi non era il suo compleanno. Harleen sapeva tutto di lui, perfino l’orario indicativo in cui era nato.

-Non faccia lo spiritoso-

-Per una volta che non lo faccio… Lei è un adorabile regalo, dottoressa-

Harleen si sedette di fronte a lui, tirandosi nervosamente indietro una ciocca di capelli.

“Mi sta fissando” pensò mentre tirava fuori le analisi, il suo taccuino, la penna, e qualsiasi altra cosa che volesse il Cielo per temporeggiare.

Alzò un attimo lo sguardo verso sinistra, una telecamera piuttosto grande e minacciosa era puntata verso di lei e la stava riprendendo. Guardò verso destra, tre paia d’occhi la stavano fissando dalla finestrella sulla porta blindata.

Guardò in avanti, Joker le stava sorridendo.

-Sa? Non si vedono tanto spesso dottori come lei-

-Intende dottori donne?

-No, no, no, no- sussurrò e scosse la testa ripetutamente, sembrava davvero matto -Non sono un… come si dice… quella parola non mi viene…-

-Un retrogrado?-

-BRAVA! Sì! Non lo sono- esclamò entusiasta -Intendevo dire che non si vedono tanto spesso dottori bellissime-

Le fece un sorriso ammiccante, e Harleen abbassò subito gli occhi, cercando di fare finta di nulla. Riteneva cosa ovvia che Joker la stesse prendendo in giro, non si sentiva il tipo di donna sexy o spigliata che poteva piacere a uno come lui, benché fosse oggettivamente bella. Era infatti bionda, snella e molto delicata, ma aveva un’espressione talmente seria e malinconica che rendeva il suo aspetto complessivamente grigiastro e deprimente.

-Grazie- disse solo, senza neanche alzare lo sguardo dalla sua cartella clinica. La quantità di sedativi e di analgesici che gli avevano prescritto era follemente esagerata, pensò. Lo guardò di nuovo e lui le sorrise ancora, sembrava che cercasse di sorriderle ogni volta che poteva.

-Bene- esordì Harleen con fare discorsivo, appoggiando il plico delle analisi e incrociando le mani sul tavolo -Signor Joker, per me è un onore poterla conoscere, qualsiasi psichiatra vorrebbe essere al mio posto per sentire cosa ha da dire, soprattutto alla luce… -

-Mi dai un bacio?- la interruppe, con un sorriso a ventiquattro denti -Unbaciobaciobacio, piccolino?-

Harleen lo guardò, scioccata. 

-Cos… No, affatto, non… non è opportuno- balbettò, arrossendo come un papavero -Insomma, che razza di domanda è? È impazzito?-

Chiedere a un pazzo se è impazzito. Certo.

-Ha ragione, dottoressa, mi cospargo il capo di cenere- esclamò con finto pentitismo, abbassando il capo e la voce di due toni -Impazzisco quando vedo una bella donna, ma sono un gentiluomo, non le imporrei niente contro la sua casta volontà-

La ragazza inspirò dal naso, per una strana ragione aveva le mani che le tremavano.

“Ti sta prendendo in giro, Harleen, è Joker, non fare l’idiota”

Lui le fece un sorriso talmente aperto e sincero che quasi le venne voglia di ridere.

-D’accordo… Riprendiamo da dove stavo dicendo- esclamò imponendosi di non guardare di nuovo quegli occhi azzurri.

-Riprendiamo, riprendiamo-

-Sappia che non sono qui per giudicarla, Mr. J, si senta libero di dirmi tutto quello che vuole. Il mio compito è quello di capire e aiutarla a capire, anche nell’ottica di rieducarla e farla uscire da qua-

-Lo sa qual è il colmo per un angioletto?- le domandò lui a bruciapelo, studiandola attentamente. 

Harleen scosse la testa e iniziò a scrivere rigidamente nel suo taccuino: Primo giorno. Il soggetto non collabora. Si scherma inconsapevolmente dietro i suoi manierismi e le sue stereotipie, ma cerca il contatto visivo. Escluderei la schizofrenia di tipo paranoide, i disturbi paiono inoltre associati a un leggero maschilismo apparentemente… Poi cancellò tutto, tesa come un fil di ferro.

-Dottoressa Quinzel? Qual è il colmo per un angioletto!?-

-Avere un diavolo per capello?- gli rispose a tono, desiderosa di metterlo in buca.

Lui ridacchiò -Carina, ma no…-

-Avere la testa tra le nuvole?-

Sta volta il detenuto rise di gusto, così apertamente da farla sorridere -No, no, dottoressa! È lontana…-

-E allora me lo dica lei-

-È un segreto- ammiccò -Se farà la brava, glielo dirò più avanti-

Harleen sorrise e alzò gli occhi al cielo, anche se la curiosità iniziò ad accenderla -Come vuole. Possiamo cominciare la seduta?-

-Non l’abbiamo già cominciata?-

-Beh, non esattamente…-

-Esattamente sì, invece. L’ho già fatta sorridere, quando è stata l’ultima volta che l’ha fatto?-

Harley fece un sorriso tanto imbarazzato quanto sorpreso -Stiamo sconfinando, questi non sono affari suoi-

-Oh, sì che lo sono. Tutto ciò che riguarda il divertimento è affare mio. Lei si diverte qualche volta?-

-No- rispose sinceramente -Il divertimento non serve a niente-

-È la vita che non serve a niente senza divertimento, dottoressa- le rispose lui, con quelle sue espressioni tanto buffe quanto ipnotiche -Di cosa mi vuole parlare?-

 

Occhi azzurri, chiari ma incredibilmente profondi, folli ma limpidi. Può un’anima così sporca avere gli occhi limpidi?

 

La giovane si disincantò e schiarì la voce -Sono io lo psichiatra, Joker, è lei che deve parlare-

-Eppure non sono io quello che ha il visino depresso, dico bene?-

Harleen si abbassò di nuovo a scrivere nel suo taccuino, irritata.

Il paziente cerca di psicanalizzare il medico. Alla personalità schizofrenica si aggiunga la sindrome narcisistica della personalità, egli si sente perfettamente sano e rifiuta inconsciamente il suo stato problematico. Buon osservatore, coglie gli stati d’animo

-Io non sono affatto depressa- cercò di ribattere, celando la sua insicurezza dietro al taccuino -Comunque, che cosa mi sa dire della sua infanzia?-

Il delinquente rise.

-La mia infanzia!- esclamò, scuotendo la testa -Questo non è molto divertente, dottoressa Quiiiinzelll-

-Ha dei brutti ricordi?- domando Harleen, ferocemente curiosa. Sull’infanzia del Joker e su ogni aspetto della sua vita privata, come il suo vero nome, c’era un grande buco nero. Nessuno sapeva niente, pareva quasi che fosse nato così, coi capelli verdi e i tatuaggi.

-Mi trattavano male. Nessuno rideva mai alle mie battute- fece un’espressione imbronciata e si piegò su di lei -E la cosa mi rendeva molto, molto, molto triste, dottoressa-

A ogni molto lui si era proteso verso di lei, fino ad arrivarle poco lontano dal viso. La sua espressione attenta e concentrata si rilassò in un sorriso aperto, quasi dolce. Abbacinata, Harleen si allontanò subito e si schiarì la voce, allacciandosi inconsapevolmente il camice fin sopra il collo.

-D’accordo. Mi…Mi dispiace, questo sicuramente ha inciso nella sua formazione fisica… Cioè, psicologica! Volevo dire psicologica- arrossì come un pomodoro, maledicendosi mentalmente e facendolo ridacchiare -E poi mi dica, come lo chiamavano i suoi genitori? Gli avevano dato un nome, vero?-

Ma all’improvviso, il perenne sorriso dell’uomo sfumò dalle sue labbra e lasciò il posto a una stretta lama rabbiosa. Gli occhi erano fermi e minacciosi su di lei, tanto che la ragazza si sentì cogliere da un panico accecante.

Costei si alzò in piedi, terrificata, mentre  lui continuava a guardarla con la stessa espressione raggelante, senza muovere un muscolo.

Avvertimento. Ecco cosa le stava comunicando con lo sguardo.

Senza pensare e con le mani tremanti di paura Harleen mise la mano in tasca e spinse subito il pulsante d’allarme, cosicché nel giro di un secondo la porta blindata si aprì ed entrarono a cascata cinque grosse guardie e due medici, i primi impugnavano enormi manganelli, i secondi delle siringhe colme fino all’orlo.

-Dottoressa Quinzel?- gridò uno; -Che cosa ha fatto il bastardo!?- gridò un altro; -Si sposti, gli do una bella lezione!-

-No, n-no, sto bene!- balbettò Harleen, parandosi davanti al suo potenziale assalitore -Va… Va tutto bene, non mi ha fatto niente, ho solo spinto il pulsante per sbaglio, davvero-

-Ne è sicura?-

Alle sue spalle, la ragazza sentì la testa di lui colpirla dolcemente sulla schiena

-S-sì, sono sicura- rispose, arrossendo -E non voglio vedere atti di violenza contro il mio paziente, peggiorano solo le cose-

-Come vuole-

Detto questo, tre guardie robuste e ben piazzate aggirarono il Joker e  lo liberarono dai mille lacci di sicurezza che lo inchiodavano alla sedia, giusto per permettergli di alzarsi e camminare. Costui si alzò, era alto e atletico, e aveva ripreso il suo consueto sorriso grottesco.

-Spero di rivederla al più presto, dottoressa Quinzel- le disse gentilmente, rivolgendole un breve inchino mentre veniva scortato malamente dentro.

Le guardie e i medici la guardarono come se fosse un alieno e Harleen, finalmente, riprese a respirare.



Note
Ciao, sono consapevole che sono state pubblicate almeno una trentina di fanfiction come questa, ma la storia della trasformazione di Harleen mi ha talmente colpito che ho voluto anche io dire la mia. Poi il Joker e l'Harley di Suicide Squad mi sono piaciuti da morire, la classica coppia "pane per i miei denti" :D
Spero che qualcuno leggerà, a presto!

   
 
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