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Autore: belle_delamb    23/12/2016    3 recensioni
La vita non tornerà più come prima. Forse però nemmeno la vorrei più la vita di prima, troppa frivolezza, non mi sentirei più a mio agio. Non so se continuerò la mia esistenza qui nel bosco, ci sono troppi ricordi. Ho intenzione di andare via. Dove? Laddove le catene mi permetteranno di arrivare.
La storia partecipa al contest ‘Fantastic Beasts-Non siamo solo mostri
Genere: Dark, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Le catene mi facevano male ai polsi e alle caviglie. Mi accasciai al suolo. Ormai avrei dovuto abituarmi a quel dolore. La prigionia era diventata più sopportabile con il passare del tempo. I miei capelli si erano allungati così tanto da coprire completamente il mio corpo ignudo. Mi mancava la quercia a cui ero legata fin dalla nascita, ma alla fin fine non sarei morta di nostalgia, non come le mie cugine, le amadriadi [1], legate così tanto al loro albero natale da non poter vivere senza di esso. Ma forse per loro sarebbe stato più semplice, si sarebbero solo lasciate andare, non avrebbero dovuto soffrire per molto. Osservai i lividi sul mio corpo. Ero rannicchiata nella terra bagnata, acquitrini verdastri stavano intorno a me. Non era la vegetazione sana e florida in cui ero nata e cresciuta, ma una flora malata e paludosa. Un mondo infelice in cui una ninfa, tantomeno una driade [2], non poteva vivere serenamente. Sospirai. In fondo era colpa mia se mi trovavo lì, la Sfinge [3] mi aveva avvertita, mi aveva detto di stare attenta, di non tentare la sorte. Io non avevo ascoltato. Tipico di me.
Era successo tutto molto tempo prima, quando ero solo una driade frivola che ballava avvolta unicamente dalle foglie. Era una giornata di sole splendente quando era successo l’incidente. Un cacciatore si era avventurato nel bosco sacro e io ero sfuggita, timorosa di essere la sua vittima. Andavo così di fretta che ero scivolata lungo il bordo di un dirupo e mi ero ritrovata al fondo di esso, ferita ma ancora viva. Difficile che le mie sorelle mi trovassero, difficile che mi riportassero al mio albero in tempo per guarire. In quel momento mi scoprii a pensare per la prima volta alla morte. Ero immortale, non invincibile. Ero vissuta in un mondo femminile, composto da ninfe, un mondo dolce e innocuo, almeno in apparenza. Le ninfe, come gran parte del popolo magico, sono amorali. Non abbiamo una moralità, non conosciamo nulla di simile a quella umana, non seguiamo leggi o convenzioni, viviamo solamente come meglio crediamo. Avevo ucciso ballando, avevo condotto uomini alla follia per me e non ci avevo mai ripensato se non con orgoglio. Non conoscevo l’amore, se non quello per le mie sorelle. In fin di vita pensai a tutte queste cose, quando vidi un’ombra sporgersi su di me. Era una creatura piccola e non di bell’aspetto, un folletto forse. Fu l’ultima cosa che potei percepire prima di perdere i sensi.
Mi risvegliai non so quanto tempo dopo, sdraiata su un letto di foglie e paglia, un panno bagnato sul capo, una serie di rami di querce su tutto il mio corpo, questi, anche se non erano del mio albero, stavano rigenerando il mio corpo. Ma chi era il mio salvatore? Un principe dall’armatura scintillante? Oppure un bell’avventuriero? Quale fu la mia sorpresa quando scorsi un essere basso, con una fronte spaziosa, occhi sporgenti, braccia troppo lunghe e pelle verdastra venire verso di me.
-Vi sentite meglio, signora?- mi chiese con voce gracchiante.
-Credo di sì-
Fu così che conobbi Arnold, discendente dalla stirpe dei folletti goblin [4], ma da essi allontanatosi perché aveva una visione diversa del mondo. Era lui che mi aveva portata lì e curata, quell’essere all’apparenza così esile. Fu talmente gentile con me che dimenticai quasi subito il suo orribile aspetto. Mi procurò anche un nuovo abito di foglie per sostituire il vecchio che era ormai lacero. Era oltremodo premuroso con me e questo mi rendeva felice. Strano che qualcuno s’interessasse a me senza essere una delle mie sorelle. Dico questo per poter spiegare il legame che mi unì a lui nonostante il suo aspetto, per poter giustificare ciò che tutti definirono ingiustificabile.
-Abitate qua?- gli chiesi.
-Sì, questa è una delle mie dimore-
La grotta era piccola, accogliente, grandi boccette colorate si trovavano dentro scaffali ricavati nella roccia.
-Non ditemi che siete un medico-
-Sono solo un dispensatore di cure-
-E qual è la differenza, di grazia?-
-Il medico identifica la malattia, io la curo solamente-
Scoppiai a ridere. –E come si fa a curare una malattia se non la si identifica?-
E il piccolo goblin iniziò a parlare e, giuro, in quel preciso momento dimenticai il suo aspetto e vidi solo la sua anima e non esiste cavaliere dalla fulgida armatura o principe dai sorrisi brillanti che possa essere paragonato a quella piccola creatura che mi arrivava appena all’altezza del seno. Ascoltai rapita le sue parole e posso dire con sicurezza che tra noi quel giorno si creò un legame. Ci separammo quando ormai il buio aveva avvolto la foresta e gli promisi che sarei passata a trovarlo non appena mi fosse stato possibile.

Il ritorno alla mia quercia fu lungo e solitario. Trovai le mie sorelle ad aspettarmi. Appena mi videro mi vennero incontro, lanciando gridolini di apparente gioia per il mio rientro.
-Di grazia, dov’eri finita?- mi chiese Driope.
E io mi ritrovai così a raccontare ciò che mi era successo. Quale fu la sorpresa delle mie sorelle quando scoprirono che il mio salvatore era un goblin. Mi guardarono tutte esterrefatte, come se fosse stato un crimine da parte mia non morire immediatamente e farmi toccare da una creatura come lui. Inutili i miei tentativi di far cambiare loro idea.
-I goblin sono mostri, tesoro, noi non ci abbassiamo a certi livelli-
-Cara, sei solo sconvolta-
-Sei ancora una bambina, imparerai che nella vita certe cose non si possono fare-
-Ci sono delle regole, noi non ci mischiamo con le creature inferiori-
Ascoltavo tutti questi rimproveri senza in realtà sapere cosa dire. Aveva davvero tanta importanza che cosa fosse Arnold? Decisi di far finta di nulla e di cambiare al più presto discorso. Fortunatamente noi driadi, come un po’ tutte le ninfe, abbiamo la memoria corta e ben presto le mie sorelle si misero a ballare intorno a un fuoco improvvisato, alzando gli occhi al cielo scuro e alla luna. Io non avevo voglia di danzare quella notte, per cui tornai al mio albero, dentro al quale mi nascosi. Mi addormentai contro la ruvida corteccia. >Come mi mancava la mia quercia quando, durante la prigionia, dovevo dormire a terra. Non mi piace la terra. Quella poi più che terra era vero e proprio fango. Le catene mi mordevano la carne. Il dolore era lacerante. Erano state strette in modo da non darmi nessuna possibilità di fuga. Le cose avrebbero potuto andare diversamente, ormai però è troppo tardi. A volte ci si complica la vita per nulla, con un diverso comportamento le cose sarebbero andate diversamente.

La mattina dopo uscii dalla mia quercia di buon ora, prima delle mie sorelle, bisognosa di riflettere un po’. Non sapevo esattamente dove andare, così mi feci trasportare dall’istinto e mi ritrovai a percorrere la strada fatta il giorno precedente. Probabilmente in fondo al cuore sapevo bene dove avrei voluto andare. E il volto raccapricciante eppure familiare di Arnold mi strinse il cuore. Passeggiammo insieme e parlammo molto. Insieme a lui mi sentivo intelligente e compresa. Quella non fu l’unica occasione in cui c’incontrammo nel bosco. E l’ultima volta ci baciammo.

Avevo sempre freddo durante la mia prigionia. Passavo il tempo avvolta nei miei capelli, mia unica coperta. Il mio carceriere veniva a trovarmi tutte le notti. Voleva sempre la stessa cosa e io gliela negavo sempre. Mi prometteva la libertà, giurava che mi avrebbe liberata dalla catene e che mi avrebbe portata in un luogo più sano. Io ogni notte lo rifiutavo. Preferivo le catene al suo amore.

Fu proprio mentre tornavo da uno degli incontri con Arnold che incontrai la Sfinge. Nessuno conosceva il suo nome e neppure dove vivesse, ma la sua leggiadra e imponente figura si vedeva spesso nel bosco, molte volte sdraiata sotto il sole per prenderne il calore. Il suo enorme corpo da leonessa era impressionante. Sembrava incredibile che i suoi lineamenti fossero così delicati e le sue labbra così carnose. Testa da donna e corpo da leone. Mi avvicinai con discrezione. Non era la prima volta che la vedevo e c’era qualcosa in lei che mi affascinava, che mi attraeva a sé. Ero a un paio di metri da lei quando la Sfinge alzò di scatto la testa. Mi ritrovai a fissare i suoi occhi dorati. -Desideri?- mi chiese, sprezzante.
-Nulla, io … - feci per andarmene, ma la Sfinge balzò in piedi e mi sbarrò la strada.
-Ora tu resti qua- mi disse e iniziò a girarmi intorno, come se fossi una preda –io ti ho già vista-
-Sono una driade- mormorai –il mio albero non è distante-
-No, io ti ho vista … sì, ti ho vista con il goblin-
-Sì, è possibile- avevo paura.
-Tu sei l’amica di quella piccola creatura- scoppiò in una risata che assomigliava molto a un ruggito.
-Sì, parliamo molto- ammisi, chiedendomi dove volesse arrivare.
La Sfinge mosse la coda. –Una coppia alquanto bizzarra-
-Non troppo- mi difesi.
-Non bisognerebbe innamorarsi di ciò che è troppo dissimile- sorrise, un sorriso famelico –la vita è semplice, il problema è che le persone tendono a complicarsela, è da questo che nascono le tragedie-
-Io devo andare-
La Sfinge questa volta si fece da parte. –Corri via, ninfetta, ma ricordarti delle mie parole, io sono molto più anziana di te e molto più saggia, sono stata anch’io un tempo una graziosa ragazza e so che a volte il cuore è un pessimo consigliere-
Mi allontanai rapidamente, scossa da quell’improvviso incontro. Speravo di dimenticare ciò che era successo, ma non potevo immaginare che al mio arrivo alla quercia le cose sarebbero peggiorate.
Le mie sorelle mi aspettavano. Fu Driope, la maggiore, la prima a parlare. Il volto era contratto in un’espressione infelice, come se fosse tremendamente dispiaciuta per me. Mi venne incontro e mi circondò le spalle con un braccio, quindi mi condusse distante dalle altre affinché potessimo comunicare in privato.
-Dobbiamo parlare- mi sussurrò.
Le due parole da me più odiate! –E di cosa, di grazia?-
-Ti hanno vista di nuovo con quell’essere-
-Si chiama Arnold – precisai.
-Comunque si chiami non avresti dovuto vederlo-
-Perché? Non facciamo nulla di male- e cercai di scacciare il ricordo del bacio.
-Non devi più incontrarlo, anche perché adesso hai un compito molto importante da portare a termine- e un sorriso le piegò le labbra sottili.
-Quale?-
-Durante l’ultima danza sei stata notata da un principe-
-Cosa?- domandai, sinceramente sorpresa.
-Un principe del regno confinante è rimasto incantato dal modo in cui ballavi e ora ti vuole-
-Mi vuole?- chiesi sorpresa.
-Noi siamo a favore di quest’unione-
Non mi avevano mai fatto una richiesta del genere. Noi driadi dovevamo essere libere di unirci solo a chi desideravamo, questo era ciò che mi aveva detto Driope fin dal momento in cui ero uscita dalla corteccia della mia quercia. Niente avrebbe potuto comandarci.
-Pensa ai vantaggi che questa cosa potrebbe procurarti- continuò lei –ci sono driadi che hanno abbandonato il bosco per diventare principesse, non saresti la prima-
-Io amo questo bosco-
-Ma amerai ancora di più il palazzo- insisté –e se non vuoi farlo per te, fallo per noi, come principessa ci potrai aiutare, potrai proteggere questo posto-
E tanto disse che alla fine mi convinse. Forse il bosco non era proprio il mio futuro, sarei sicuramente stata meglio in un enorme palazzo, stretta in ampi abiti, sottomessa a un marito. Solo ora mi accorgo di quanto fossero stupide quelle idee, ma a mia difesa ero molto ingenua a quel tempo e Driope aveva il più totale controllo sulla mia mente, come una madre potrebbe averne su dei figli ubbidienti. Ora capisco il mio sbaglio e penso con rimpianto alle parole che poco prima la Sfinge mi aveva rivolto: la vita è semplice, siamo noi a renderla complicata. Sarebbe bastato un rifiuto, un semplice no. Nessuno avrebbe potuto costringermi a fare ciò che non volevo, ma non penso di essere stata l’unica sprovveduta a farsi guidare dagli altrui fallaci consigli.
-Per prima cosa però dovrai dire addio a quel goblin- mi avvertì Driope.
Ammetto che le mie proteste furono piuttosto deboli. La verità era che in fondo iniziavo anch’io ad assaporare un futuro da ricca dama, un avvenire diverso. Ero proprio una stolta, diverso non voleva dire migliore, ma ero solo una ninfa frivola.
Diedi l’addio ad Arnold la mattina seguente e resistetti prima alle sue suppliche e poi alle sue minacce. Non voglio ripetere ciò che gli dissi perché, lo sapevo bene già allora, erano parole dure che un essere buono come lui non meritava. Fu colpa mia di tutto ciò che avvenne dopo e vorrei poter essere l’unica a pagare.

Ciò che successe successivamente è storia in tutto il regno, l’incantesimo che trasformò il mio bel bosco in una palude, le piante che trascinarono le mie amate sorelle nelle acque insalubri, le catene che m’imprigionarono perché fossi costretta a guardare ciò che avevo provocato. E a ricevere la proposta di Arnold tutte le notti. Essere la sua amante, passare il resto dell’eternità con lui. Un tempo avrei accettato senza esitare perché ero certa che non potesse esistere essere più dolce e gentile, ma questo era prima che vedessi di cos’era capace. Forse però una soluzione a tutta questa storia c’era, mi ripetevo. Un giorno, camminando fin dove le mie catene me lo permettevano, incontrai la Sfinge. I suoi poveri capelli erano tutti arruffati e i suoi lineamenti sembravano meno belli in quel momento. L’aveva rinchiusa in un gabbia, come si sarebbe fatto con un leone famelico.
-Non hai ascoltato i miei consigli- mi disse.
-Mi dispiace-
-Lo so, ma forse non è ancora troppo tardi- e mi spiegò che l’unico modo per spezzare l’incantesimo era uccidere chi l’aveva creato. Mi disse che Arnold portava sempre un gladio al suo fianco. Potevo usare quello per portare a termine la mia missione. Un colpo deciso, certo, ma prima bisognava prenderlo e poi ci voleva il coraggio per pugnalare un essere vivente. Non sapevo se ne avrei avuto, visto soprattutto che conoscevo bene la vittima. Driope mi avrebbe detto che in fondo altre volte avevo provocato la morte, giovani e vecchi si erano uccisi per me oppure erano andati incontro a follia o ancora a missioni mortali. Io però non li avevo mai uccisi fisicamente, aveva fatto tutto la mia bellezza, io ero sempre rimasta a guardare passivamente il mondo che mi girava intorno. Ora era venuto il momento di agire e di rimediare ai danni fatti senza volerlo. Avevo un piano e le catene non mi avrebbero impedito di portarlo a compimento, dopotutto essendo una driade, sapevo bene come convincere un uomo a fare ciò che volevo e Arnold in fondo era un uomo.

Attesi il ritorno di Arnold con il cuore in gola. Non avevo nessuno specchio per sistemare il mio aspetto, così mi risolsi a riflettermi nell’acquitrino anche se l’immagine che mi restituì era allungata e malata. Mi tirai indietro i capelli e osservai il mio corpo ignudo. Non mi sembrava sciupato. Da quanto tempo ero stata lontana dal mio albero? Ormai avevo perso il conto. Mi diedi due pizzicotti alle guancie per renderle un po’ più colorite. Dovevo essere al meglio. Aspettai Arnold con la chioma buttata indietro, in modo tale da non nascondere nessuno dei miei pregi. E quando giunse ottenni l’effetto desiderato.
-Sei incantevole- mi disse.
-E sono tutta per te- esordii con un sorriso.
-Alla fine accetti la mia proposta-
Annuii. Al suo fianco potevo vedere il gladio. Ce la potevo fare.
-Tremi, piccola?-
-Ho solo freddo- mormorai.
E lui si tolse il mantello per mettermelo sulle spalle. Quel gesto mi strinse il cuore, ma ormai la decisione era presa. –Non puoi stare qui- mormorò e sussurrando alcune parole trasformò quel pezzo della palude in un terreno verdeggiante ed accogliente.
-Grazie- mormorai.
-Non devi ringraziarmi- disse lui, scuotendo la testa. Sentii un tuffo al cuore ricordando il momento passato insieme nella grotta. Ma quello era stato molto tempo prima e probabilmente quella grotta non esisteva neanche più. Strano come il tempo passasse. Poteva essere passato un giorno oppure un mese, non avrei saputo dirlo.
-Sì che devo … e devo anche scusarmi- mormorai.
-Per cosa?- chiese lui, fingendosi ingenuo, con l’occhio nero brillante.
-Per quello che ti ho fatto-
-Davvero?- era sorpreso, quasi diffidente.
-Mi dispiace davvero, sono stata insensibile-
Arnold continuò a fissarmi senza dire nulla.
-Potrai mai perdonarmi?- chiesi in un sussurro.
-Tutti meritano il perdono- disse lui.
- Anch’io?- mormorai.
-Tu più di altri-
Sorrisi e allungai verso di lui le braccia. Non si ritrasse. Lasciò che lo circondassi e lo stringessi a me. Gli appoggiai la testa sul petto. Sentii le mani di lui accarezzarmi, le lunghe dita intrecciarsi tra i capelli. Vecchi ricordi mi affiorarono alla mente. Cercai di scacciarli, di concentrarmi su tutto ciò che avevo perso. Perché mi riusciva così difficile? Non lo sapevo. Quando avevo progettato il piano avevo creduto che sarebbe stato semplice in fondo attuarlo. Ora la pensavo diversamente.
-Mi sei mancata, piccola- mi sussurrò lui all’orecchio –non sai quanto mi sei mancata-
-Anche tu- e non mentivo mentre lo dicevo, mi era mancato per davvero Arnold, mi era mancato terribilmente. Ma dovevo portare a termine la missione. Allungai una mano e sfiorai il gladio.
-Cosa?- chiese lui e io premetti le mie labbra contro le sue.
Ci fu un attimo di esitazione da parte di Arnold e io quasi sperai che scoprisse l’inganno, quasi pregai di essere esonerata dal mio doloroso compito. Lui però esitò solo un attimo prima di lasciarsi coinvolgere dal bacio. Non mi fu difficile a quel punto afferrare il gladio con la mano destra. Lo estrassi con delicatezza, quindi restai con quello in mano, senza sapere esattamente cosa fare in quel momento. In quel momento ripensai alla frase che la Sfinge mi aveva rivolto, che siamo noi a complicarci le cose, che la vita è semplice. Aveva ragione. La vita è molto semplice, ma le convenzioni sociali, gli altri e altre mille cose ce la rendono difficile. Arnold allontanò la sua bocca dalla mia.
-Fai quello che devi- mi sussurrò.
Io non compresi subito.
-Non dovresti esitare-
-Io non posso- sussurrai.
-Sì che puoi, anzi devi, per le tue sorelle, per gli abitanti del bosco, per te, ho esagerato e devo pagare-
Scossi la testa e improvvisamente sentii qualcosa di gelido scendermi lungo le guancie. Non avevo mai pianto nella mia vita.
-La vita è semplice, non complichiamola- disse lui.
Il labbro inferiore mi tremava.
Arnold mi sorrise, mostrando i denti aguzzi, quindi mi tolse delicatamente il gladio di mano e se lo portò dinnanzi. Io lo guardai senza sapere cosa fare. Lui mi evitò la scelta, si piantò la lama nel cuore. Mi uscì un singhiozzo dalle labbra mentre osservavo lui che si accasciava e il sangue che gli usciva copioso dal petto. Le catene caddero ai miei piedi con un cigolio, ma io rimasi immobile, il gladio in mano, mentre la palude tremava intorno a me.

Non ho mai dimenticato Arnold. A volte penso che una parte di me sia ancora in quella palude. Sento anche ora le catene che mi stringono i polsi e le caviglie. La verità è che non avrei mai dovuto ascoltare le mie sorelle. Loro sono state salvate. Ora ballano felici nel bosco, sembra che la vicenda non le abbia intaccate, cantano e ridono, nude come sempre. I miei sentimenti per loro sono mutati. Io sono cambiata. Se in meglio o in peggio non saprei dirlo. Ho incontrato la Sfinge un po’ di tempo fa. Anche lei sembra diversa, non solo nell’aspetto, non è più bella come un tempo, ma anche nel carattere. È meno sicura, meno maestosa. Non mi ha risposto quando l’ho salutata. Mi odia? Non saprei dirlo. Il suo sguardo mi è sembrato più di compassione che di odio. Forse vede le catene che mi imprigionano. Poco importa. La vita non tornerà più come prima. Forse però nemmeno la vorrei più la vita di prima, troppa frivolezza, non mi sentirei più a mio agio. Non so se continuerò la mia esistenza qui nel bosco, ci sono troppi ricordi. Ho intenzione di andare via. Dove? Laddove le catene mi permetteranno di arrivare.

Note:
[1] Le amadriadi sono ninfe presenti nella mitologia greca così attaccate al loro albero natale da morire di nostalgia una volta allontanate da esso.
[2] Le driadi sono ninfe presenti nella mitologia greca. Legate a un albero particolare se venivano staccate da esso non morivano.
[3] La Sfinge è un mostro mitologico, poneva domande ai passanti e se questi non riuscivano a rispondere gli uccideva.
[4] I goblin sono piccoli folletti presenti in diverse culture. Sono famosi per i loro dispetti.
   
 
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