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Autore: Christine Enjolras    24/12/2016    3 recensioni
Grazie a just-french-me-up - nome del suo profilo su tumblr - per la linea della storia!
Sono passati sette anni dagli eventi accaduti alla scuola privata di Saint-Denis ed Enjolras e Grantaire vivono insieme da quattro di essi, sempre più innamorati l'uno dell'altro. Si avvicina Natale e, come ogni anno, i due ragazzi non pensano di festeggiarlo. Tuttavia, il resto del gruppo riesce a portali fuori per una giornata di festeggiamenti tra amici, ma durante la giornata inizia a nevicare, facendo aumentare la neve già depositata sul terreno nei giorni precedenti. Grantaire, quando si fa ora di tornare a casa, è troppo ubriaco per mettersi alla guida, quindi tocca ad Enjolras prendere il suo posto alla guida, nonostante non sia pratico alla guida, dato che il suo compagno non lo fa guidare molto spesso. Sembra andare tutto bene finchè, ad un incrocio, un camion non slitta sul ghiaccio...
Genere: Romantico, Sovrannaturale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Altri, Enjolras, Grantaire, Les Amis de l'ABC, Nuovo personaggio
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Be-beep! Be-beep! Be-beep!

Ecco quale fu il primo suono che Enjolras sentì quella mattina. Non riusciva neanche ad aprire gli occhi da tanto si sentiva stanco, perciò, anche se il suono della sveglia iniziava a dargli fastidio, non si mosse per spegnerla: restò coricato sul lato sinistro, con un braccio sotto al cuscino e l’altro accuratamente coperto dal piumone, anche se la mano destra usciva per appoggiarsi al cuscino. Strano quanto il letto appaia più comodo e accogliente non appena ci si sveglia: la straordinaria morbidezza delle lenzuola che ci avvolgono carezzando la pelle sembra suggerirci di restare lì dove ci troviamo ancora per molto tempo.

Be-beep! Be-beep! Be-beep! Be…

Poco dopo che la sveglia ebbe smesso di suonare, Enjolras, ancora con gli occhi serrati dalla stanchezza, sentì un leggero mugugno dietro di lui e, a breve distanza di tempo, sentì qualcosa sfiorargli la spalla destra, vicino alla scapola: il biondo ragazzo si scrollò leggermente, ma non si mosse. A quel punto sentì nella stessa zona un bacio, e la cosa iniziò a farlo sorridere. Chi c’era dietro di lui continuò a baciargli la spalla, andando sempre più vicino al collo e passando dolcemente una mano lungo la sua vita, arrivando a stringerlo ad abbracciarlo. Nel sentire i baci arrivare al collo, Enjolras si voltò, sdraiandosi sulla schiena, e aprì lentamente gli occhi. “Buongiorno, raggio di sole” disse dolcemente Grantaire affiancandosi a lui e appoggiando la sua fronte a quella del biondino.

“Buongiorno…” non fece a tempo a finire di parlare, che Grantaire gli diede un bacio e poi si attaccò di nuovo al suo collo, stringendolo più forte a sé.

Enjolras ebbe un leggerissimo sussulto e si scostò un pochino, allora Grantaire allontanò leggermente il viso e, guardando i profondi occhi azzurri del suo ragazzo, disse: “Che succede? Hai freddo?”

Enjolras restò a fissarlo immobile, gli sorrise e, carezzandogli le guance gli rispose: “Ammesso che, piumone o no, dormire nudi a dicembre non è esattamente una buona idea… non credi che dovresti andare a raderti?”

Grantaire si tirò leggermente su, in modo da poter guardare meglio Enjolras negli occhi, si tastò la guancia e, confuso, chiese: “Perché? Che ha che non va?”

Enjolras si lasciò scappare un risolino e aggiunse: “È giusto un pochino lunga. Mi fa il solletico!”

“Ah davvero?” disse Grantaire passando il braccio destro oltre il busto di Enjolras, così da essere sopra di lui, facendo spalancare gli occhi al biondino. “Eeeee… se io facessi così?” Detto ciò si avvicinò e riprese a baciarlo sul collo, strisciando volutamente il viso così da solleticare il suo ragazzo, al che Enjolras, ridendo, iniziò a divincolarsi per togliersi dalla presa di Grantaire, ma senza troppi risultati. Cercò in tutti i modi di allontanarlo, ma più lui si agitava, più il suo ragazzo lo stringeva. Aveva iniziato anche a spingerlo lontano da sé, ma Grantaire lo aveva preso per i polsi, cercando di immobilizzarlo portando le sue braccia aperte sul materasso.

A quel punto, Enjolras fu costretto ad arrendersi: “Va bene, va bene! Smettila adesso, R, ti prego! Basta, dai!”

Grantaire si staccò e, lasciando andare le braccia del suo ragazzo, il quale lo allontanò spingendo le mani lungo il suo scolpito petto leggermente villoso, appoggiò i gomiti esternamente al biondino e aggiunse: “Non mi sembrava che la cosa ti desse fastidio, ieri notte.”

Enjolras guardò il provocante sorriso del suo ragazzo e si lasciò scappare un risolino; poi abbassò lo sguardo sul suo petto, lo carezzò lentamente portando di nuovo le mani lungo il suo collo fino alle sue guance, e, sorridendo, disse: “Non mi intendo di scienza e non so per quale legge della natura accada ciò, ma ti assicuro che i tuoi peli crescono assurdamente in fretta!”

“Suppongo per la stessa legge per cui tu ne sei quasi totalmente privo!” disse Grantaire avvicinandosi di nuovo e strusciando il naso contro la mascella di Enjolras, il quale ridacchiò lasciandosi baciare anche lì. Grantaire guardò Enjolras negli occhi per diversi istanti da quella posizione, poi sorrise e riprese a baciarlo, scendendo dal collo al petto del biondo ragazzo e poi verso il suo ventre. Quando sentì che Grantaire si stava spingendo un po’ più giù, Enjolras sussultò e lo fece fermare, spingendolo per le spalle.

“Non ti è bastato ieri notte?” gli chiese sorridendo già rassegnato.

Grantaire alzò lo sguardò, poi portò gli occhi azzurri verso il soffitto, stette a riflettere qualche secondo e, ridacchiando, tirò il piumone su di sé, lo portò con sé per coprire sia lui che Enjolras fin sopra la testa e, avvicinando il suo viso a quello del suo ragazzo, aggiunse: “Finché sto con te, non mi basterà mai una volta sola al giorno!” Enjolras si lasciò scappare un risolino, scosse la testa e lasciò che Grantaire gli desse un bacio sulle labbra, al quale rispose subito portando entrambe le braccia attorno al collo di Grantaire.

 

Ci misero davvero molto tempo prima di uscire dal letto: la sveglia aveva suonato alle otto e mezza, ma Grantaire e Enjolras, tra una cosa e un’altra, andarono in cucina per fare colazione solo alle undici. Grantaire si alzò per primo: lasciò il suo ragazzo a sonnecchiare ancora un po’, andò in bagno per farsi una doccia e poi, lasciato il bagno ad Enjolras, andò a preparare la colazione. Quando il biondo ragazzo, vestito con una larga felpa di Grantaire, legò i capelli ancora bagnati e andò in cucina, il suo compagno aveva appena finito di porre sulla penisola apparecchiata caffè caldo, pane perfettamente tostato e tre diverse marmellate. Grantaire alzò lo sguardo, probabilmente sentendo i leggeri passi di Enjolras avvicinarsi da dietro il divano, e rimase un po’ con i chiari occhi azzurri fissi su di lui. Enjolras si scrutò, pensando che qualcosa non andasse e, interrogando Grantaire solo con lo sguardo, sentì l’altro ragazzo rispondergli: “Se vai in giro così, non ti lamentare se da due volte diventano tre, oggi!”

Enjolras rispose al suo sorriso divertito con un risolino e andò a sedersi alla penisola, mentre Grantaire trafficava con la lavastoviglie. “Se alzi così tanto il riscaldamento non puoi pretendere che io vada in giro tanto vestito!”

“Scherzi?” chiese Grantaire alzandosi e andando verso di lui. Poi, tirando fuori il suo i-pod dalla tasca della tasca dei jeans, andò dietro Enjolras, gli mise le mani sulle spalle e, quando il biondino si fu girato verso di lui, gli disse: “Guarda che io sono più che contento se vai in giro svestito!” Enjolras gli sorrise rassegnato e Grantaire gli pose un bacio sulla fronte, collegando l’i-pod alle casse che stavano in fondo alla penisola della cucina, appoggiate contro il muro.

Iiiiiiiii don't want aaaa looot foooooor Christmaaas. Theeeeeeeere is just one thing Iiii neeeeeeed! I don't care abooouuut the preseeeents underneath the Christmas treeeeee!

Enjolras non riusciva a credere alle sue orecchie: smise di sorseggiare il suo caffè e si voltò verso Grantaire, che intanto si era seduto sulla sedia alla sua destra e stava ricoprendo il pane con un alto strato di marmellata di lampone, e gli chiese: “Canzoni di Natale? Sono sei anni che vivo con te e non le hai mai messe!”

“E allora?” chiese confuso Grantaire.

“Anche il tuo cinismo si sta ammorbidendo?”

“Assolutamente no” disse Grantaire ritornando alla sua fetta di pane. “Sai benissimo che non sono credente e che trovo il Natale una festa strumentalizzata solo per far fare a tutti spese folli e far girare l’economia.”

“E allora perché questa trovata?” chiese Enjolras guardando fisso Grantaire.

Il ragazzo dai riccioli neri, si voltò verso di lui, sorrise e gli rispose: “Perché oggi è sabato.”

Enjolras non riusciva a capire: ma che razza di motivazione era? Rimase a fissare Grantaire ancora per qualche istante con occhi perplessi, tanto confusi che a Grantaire venne da ridere e gli pizzicò una guancia teneramente. “E questo che cosa vorrebbe dire?”

“Siamo talmente vicini a Natale che tua madre ha deciso di fare la datrice di lavoro buona!” disse Grantaire sorridendo. “È il primo sabato dopo anni che non mi fa andare alla galleria ad aiutarla: devo ringraziare lo spirito natalizio in qualche modo!”

Enjolras restò a guardarlo ancora, sempre più perplesso, al che Grantaire scoppiò a ridere e Enjolras capì: lo spintonò leggermente, sorridendo, e gli disse: “Ma piantala di sparare cazzate!”

A quel punto Grantaire si alzò, si mise davanti ad Enjolras, portò entrambe le mani sul suo delicato viso e si avvicinò a lui, carezzandolo di nuovo con il naso lungo la fronte e gli disse a bassa voce: “Ogni tanto ci vuole anche un po’ di musica allegra, anche se a nessuno di noi due è mai piaciuto particolarmente il Natale.” Poi sollevò leggermente il viso di Enjolras verso di sé e iniziò a baciarlo.

'Cause I just want you here toniiiight holding on to me so tiiiight. What more can Iiii dooooooooooooo? Oh, Baby! All I want for Christmaaaaaas is youuuuuuuuu!

Quando finirono di baciarsi, Grantaire appoggiò di nuovo la sua fronte a quella di Enjolras e restarono un po’ a guardarsi in silenzio prima che il ragazzo dai riccioli scuri si avvicinasse e abbracciasse il biondino, stringendolo a sé. Quella mattina Grantaire si stava dimostrando più affettuoso del solito: era da tempo che non lo coccolava così. Che davvero quell’anno sentisse lo spirito natalizio e non volesse ammetterlo?

L’idillio finì presto. Enjolras aveva appena iniziato a sentire il freddo respiro di Grantaire lungo il suo esile collo, quando qualcuno suonò alla porta. Grantaire si voltò, allontanandosi appena da Enjolras e chiese, guardando verso la porta: “Aspettavi qualcuno?” Enjolras aspettò che Grantaire si voltasse verso di lui e gli fece segno di no con la testa. Intanto, chi stava fuori dalla porta si fece più insistente.

“Non vai ad aprire?” chiese Enjolras.

“Perché mai dovrei?” chiese Grantaire ridacchiando.

“Dai, per favore!” disse Enjolras. “Vai ad aprire che intanto io vado a mettermi un paio di pantaloni.”

Il campanello smise di suonare, ma al suo posto, una profondissima voce disse: “Andiamo ragazzi: sappiamo che siete lì e ci state ignorando!” Enjolras la riconobbe subito: era la voce di Bahorel.

“Non è molto carino fare così!” si aggiunse la voce di Courfeyrac.

“Smettetela!” disse Éponine. “State disturbando il vicinato!”

Grantaire si lasciò scappare un sospiro scocciato e un’alzata di occhi verso il soffitto. “Non ci siamo per nessuno! Tornate più tardi!”

“Va bene!” disse Bahorel. “Quando hai preso la mira dimmelo che conto trenta secondi e poi entro!” Il solito Bahorel… A quel punto, Grantaire sbuffò di nuovo e andò ad aprire: il suo ex compagno di stanza stava appoggiato allo stipite della porta e, sorridendo beffardo, lo salutò con la mano dal suo metro e novanta di altezza. Enjolras vide Courfeyrac entrare in casa a passo spedito e dietro di lui entrò tutto il resto del loro gruppo. Da quando avevano finito il liceo non si trovavano tutti assieme molto spesso, quindi Enjolras era contento di vedere i suoi amici… anche se avrebbero potuto scegliere un altro momento, certo… Quando anche Bahorel ebbe varcato la porta d’ingresso, guardò Enjolras, il quale si stava dirigendo in camera per indossare un paio di pantaloni, sorrise e disse a Grantaire, portandogli un braccio attorno al collo e indicandogli il biondino: “E adesso prova a dirmi che non ti ho interrotto!” Sia Enjolras che Grantaire si imbarazzarono un po’ nel sentirsi dire questo, e il biondo ragazzo cercò di nasconderlo chiudendo la porta della sua stanza da letto per vestirsi. Prese i jeans chiari che dalla sera prima stavano sul pavimento, li indossò e tornò dagli altri.

C’erano davvero tutti quanti: Jehan stava seduto sulle ginocchia di Bahorel; accanto a loro, Marius e Cosette sedevano sul divano tenendosi per mano, mentre Èponine e Courfeyrac, che stava seduto sul bracciolo del divano, si parlavano sottovoce: lei sembrava parecchio alterata. Sull’altro divano, Joly sedeva accanto a Bossuet e accanto a loro c’erano anche Feuilly e Combeferre. Quando Enjolras si avvicinò, gli altri si girarono verso di lui e Combeferre gli fece segno di andare a sedersi nel posto che era rimasto libero accanto a lui con un gran sorriso.

“Allora” iniziò Grantaire appoggiando sul tavolino alcuni biscotti appena sfornati, “a cosa dobbiamo la vostra adunata al completo?”

“Come?!” chiese a bocca piena Courfeyrac che, nel frattempo, si era già avventato sui biscotti. “Non ti ricordi già più?”

“Di cosa?” chiese Grantaire sedendosi sul bracciolo del divano accanto ad Enjolras, il quale lo interrogò con occhi confusi.

“Ti avevo telefonato qualche giorno fa avvisandoti che oggi avremmo festeggiato tutti assieme!” gli spiegò il ragazzo dalle orecchie a sventola dopo aver deglutito.

“Sul serio?” chiese Grantaire visibilmente sorpreso dalla notizia. Enjolras lo guardò: il suo compagno alzò gli occhi al cielo come se stesse cercando di fare mente locale, tastandosi la barba che ancora non aveva rasato.

“Perché io non ne sapevo nulla?” chiese Enjolras voltandosi prima verso Courfeyrac e poi verso Combeferre.

“Avevo chiesto al tuo ragazzo di dirtelo!” spiegò Courfeyrac cercando di agguantare un altro biscotto, ma vedendoselo portare via prima da Jehan: Enjolras notò solo in quel momento che i rossi capelli del suo minuto amico erano più corti ed ordinati del solito. Courfeyrac lanciò un’occhiata a Jehan e, prendendo un biscotto, proseguì: “Tu eri a colloquio da Javert per il tirocinio.”

“Aaaaah!” sembrò ricordare Grantaire. “Adesso sì che ricordo! È stato quel mattino che sei uscito tutto imbronciato per la tensione!” spiegò ad Enjolras pizzicandogli una guancia.

“Ti ricordi davvero questi dettagli e non che ti ho chiamato?!” replicò indignato Courfeyrac.

“Lasciali in pace!” disse Bossuet. “Anch’io mi ricorderei un dettaglio simile se si trattasse di me e Joly!”

“E speravo anche tu…” disse Éponine leggermente seccata voltandosi verso Courfeyrac.

“Ma se lui ci ha messo due mesi a capire di avere una cotta per te” spiegò tranquillamente Combeferre, “davvero credi si accorga di certe cose e le ricordi pure?”

Nel vedere il raggelante sguardo assassino della sua fidanzata, Courfeyrac si alzò in piedi e andò a nascondersi dietro a Cosette e Marius, dicendo loro: “Aiutatemi voi, ve ne prego…”

Marius e Cosette si scambiarono un’occhiata poi si girarono contemporaneamente verso Bahorel, il quale non ebbe bisogno di parole: prese Courfeyrac per un orecchio e lo tirò con forza verso Éponine. “Mi spiace Courf,” si scusò Marius, “ma sei indifendibile…”

“Beh allora che fate?” chiese Feuilly sporgendosi oltre Combeferre per parlare con Enjolras. “Venite direttamente con noi? Pensavamo di pranzare tutti assieme, fare un giro ai mercatini, andare a pattinare e poi dritti a cena!”

“Tutta la giornata, insomma…” commentò Grantaire.

“Sì!” disse Jehan entusiasta. “Alla fin fine non ci vediamo quasi mai e, giustamente, ognuno di noi passerà le feste a casa propria con la famiglia, per cui c’era sembrata una buona idea per passare un po’ di tempo assieme!”

“Dai!” insistette Cosette. “Tu col lavoro alla galleria, lui con l’università… siete sempre talmente impegnati che non riuscite mai a stare un po’ con noi! Non dateci buca anche oggi!”

Enjolras e Grantaire si scambiarono un’occhiata veloce, entrambi un po’ perplessi. Enjolras sapeva benissimo che neanche Grantaire aveva una gran voglia di festeggiare il Natale: non credeva in Dio, quindi perché festeggiarne la nascita? Inoltre, per lui il Natale era diventato per lo più un’occasione per far girare l’economia che una sentita festa religiosa: gente che si getta nei negozi a cercare i regali, i bambini che fanno spendere ai genitori in mezzi pubblici o in benzina per vedere le luci, che additano i regali che scriveranno nella letterina a Babbo Natale, signore in panico che all’ultimo riempiranno carrelli di cibo pensando a cosa cucinare per il pranzo con la famiglia… No: il Natale per Grantaire non significava nient’altro che questo. Dal canto suo, Enjolras si trovava in accordo con la sua teoria della commercializzazione del Natale, ma ne sentiva fortemente il valore religioso. Nessuno dei due impazziva all’idea di doverlo passare con la sua famiglia al completo, seduti ad un tavolo di parenti che non vedevano mai, con quantità di cibo inimmaginabile e discorsi noiosi a cui nessuno dei due avrebbe partecipato. Enjolras li ricordava tutti i Natali con la sua famiglia, eccetto quelli di quando era molto piccolo: se non fosse stato per i suoi cugini, con tutta probabilità li avrebbe odiati completamente. Dopo essersi consultato con lo sguardo con Grantaire, si voltò a guardare gli altri ragazzi, uno ad uno, e capì che tutti quanti ci tenevo nell’averli con loro per quei festeggiamenti. Sospirò, portò una mano sul ginocchio del suo ragazzo e fece cenno di sì con la testa. Poi si alzò e disse loro: “Datemi giusto il tempo di asciugarmi i capelli e di vestirmi.”

 

Tutto sommato la giornata non andò per niente male: arrivati ai mercatini lungo gli Champs-Elysées, alla fine, Marius propose di pranzare tra le bancarelle dei mercatini anziché seduti ad un tavolo di qualche locale, così il gruppo di giovani amici si gettò su diversi assaggi tra una bancarella ed un’altra, tra spiedini di carne alla brace e frittelle ricoperte di zucchero o di cioccolato fuso. Gli stand in legno simili a capanne erano riforniti di ogni genere di articolo natalizio, da manufatti in legno ad articoli di lana. Jehan puntò una lunghissima e pelosissima sciarpa rossa e verde, ma Bahorel lo prese di peso e lo trascinò via, perché secondo lui era un orrore, mentre Combeferre e Feuilly si intrattennero diversi minuti in una bancarella che vendeva caleidoscopi, ammirandoli affascinati. Cosette e Marius optarono per una bancarella che vendeva luci, di ogni forma e colore, lasciandosi affascinare dagli effetti luminosi che creavano attorno a loro. Courfeyrac trovò più saggio continuare a strafogarsi di cibo assieme a Bahorel, il quale, se prendeva qualcosa di dolce, era costretto a dividerlo con Jehan ogni volta. Ci furono anche istanti di panico quando Bossuet, camminando troppo vicino ad una bancarella, fece accidentalmente cadere una sfera con la neve a terra, spaccandola in mille pezzi; per fortuna Joly e Combeferre riuscirono a far calmare il povero proprietario proponendosi di pagare la palla rotta e di raccogliere loro stessi i pezzi; ovviamente, Joly non fece raccogliere i pezzi a Bossuet né tantomeno lo fece più avvicinare a bancarelle con oggetti fragili. Mentre Éponine e Cosette si gettarono a guardare delle bambole di porcellana, Enjolras notò che Grantaire aveva già iniziato a bere, passando da bancarelle che vendevano birra ad altre da cui acquistò del vin brulé. Così, Enjolras andò da lui per dirgli di darsi una controllata, ma Grantaire rispose che non doveva preoccuparsi, che non si sarebbe certo sbronzato con così poco. Quando già iniziò a far buio, il gruppo si spostò in direzione di Place de la Concorde, alla pista di pattinaggio allestita per l’occasione. Courfeyrac prese Marius per un braccio e lo trascinò subito sulla pista, facendo fin da subito cadere entrambi col sedere sul ghiaccio, il che scatenò una risata generale in tutto il gruppo. Presto, Bahorel recuperò un paio di pattini e mostrò loro l’esperienza datagli da anni e anni di sport, seguito a ruota da Grantaire, che Enjolras sapeva essere un vero esperto di pattinaggio a rotelle: neanche sul ghiaccio dimostrò di cavarsela male. Joly si astenne e con lui anche Enjolras e Combeferre: il primo non voleva rischiare di raffreddarsi sudando, mentre il terzo non amava lo sport, che per lui era sempre una sorta di umiliazione pubblica, da quel che ricordava Enjolras. A breve, anche Bossuet raggiunse gli altri, cadendo in avanti dopo pochi passi; poco più in là, anche Jehan si gettò sul ghiaccio, aggrappandosi ad uno dei piccoli pinguini che di solito usavano i bambini, seguito a ruota da Feuilly che da piccolo, aveva raccontato ad Enjolras infilandosi i pattini, si era abituato a pattinare con i bambini dell’orfanotrofio su ogni superficie ghiacciata che capitava loro a tiro: affidò al biondo ragazzo la sua fidata videocamera e raggiunse il resto del gruppo, tenendo a braccetto Éponine e Cosette, le quali avevano prima bisogno di riprendere un po’ di fiducia sul ghiaccio e poi si lanciarono nella mischia raggiungendo i loro imbranati fidanzati. Mentre riprendeva un po’ gli altri così che Feuilly potesse fare spola avanti e indietro dalla pista, Enjolras si guardò attorno: il sole era quasi del tutto tramontato e già prevaleva il buio, e aveva anche iniziato a nevicare mentre le calde luci della città illuminavano i volti allegri dei bambini e dei genitori che si stavano godendo quel sabato pomeriggio in allegria, accompagnati dalle allegre canzoni di Natale che suonavano da radio nascoste. Era forse quello lo spirito natalizio che lui non aveva mai sentito? Mentre rifletteva su questo osservando una coppia di genitori che tenevano per mano un bambino per insegnargli a pattinare, Enjolras sentì qualcuno arrivargli di fianco: Grantaire prese la videocamera di Feuilly, consegnandola a Combeferre, e portò il suo ragazzo verso il noleggio di pattini, chiedendo un trentotto per lui. Enjolras sulle prime cercò di dire al commesso di lasciar stare perché lui non sapeva pattinare, ma Grantaire non volle sentir ragioni: lo fece sedere su una panchina, gli mise lui stesso i pattini ai piedi, per essere sicuro che fossero allacciati nel modo giusto, e trascinò il suo ragazzo sulla pista di pattinaggio, tenendogli saldamente entrambe le mani.

“R…” provò ad allontanarsi dall’ingresso alla pista Enjolras. “R, io non sono capace…”

“Ti tengo io!” gli rispose subito Grantaire portandolo dolcemente sul ghiaccio. “Non ti farò cadere, te lo prometto.” Con una spintarella di Combeferre, anche Enjolras si ritrovò sul ghiaccio, incerto e titubante. Rischiò di cadere un paio di volte, ma Grantaire riuscì a prenderlo per tempo, rimettendolo in piedi. Ad un certo punto, per fargli prendere sicurezza, Grantaire si spostò dietro di lui e lo fece raddrizzare sulla schiena, tenendolo saldamente in vita perché non cadesse. Quando Enjolras sembrò prendere più sicurezza, Grantaire lo lasciò andare, senza che il biondo ragazzo se ne accorgesse. Quando si rese conto che Grantaire non lo stava più tenendo, Enjolras si voltò impaurito e per poco quasi non cadde: si aggrappò al bordo e Grantaire lo raggiunse subito, prendendolo di nuovo per le mani. Continuarono a pattinare assieme per un po’, anche se ogni tanto, Enjolras si fermava vicino a Combeferre e Joly e lasciava che Grantaire facesse qualche giro di pista a velocità più sostenuta. Quando, alla fine, Joly chiamò tutti perché era ora di cena, Combeferre suggerì al gruppo sul ghiaccio di farsi fare una fotografia tutti assieme, così i ragazzi iniziarono a radunarsi poco più avanti della balaustra, ma quando arrivò anche Bossuet, sbadatamente fece cadere quasi l’intero gruppo sul ghiaccio, al che, piano piano, i ragazzi si aiutarono a vicenda a rialzarsi e riuscirono a fare una foto, anche se un po’ a fatica. Una volta tolti i pattini, si avviarono verso un ristorante non lontano dai piedi della Tour Eiffel dove Grantaire, quel pomeriggio, aveva prenotato un tavolo per loro. Tra risate, cibo e vino, molto vino, la cena trascorse tranquilla e in modo molto piacevole, tanto che Enjolras, nella sua irremovibile sobrietà, si convinse che lasciarsi trascinare in quello strano festeggiamento non fosse stata poi un’idea tanto malvagia. Durante la cena, però, Enjolras vide Grantaire alzare parecchio il gomito e la cosa non gli piacque molto, ma lo lasciò fare, fidandosi che sapesse quando fermarsi da solo: ormai stavano insieme da sei anni, quindi pensò di potersi fidare del lavoro di autocontrollo che avevano fatto insieme su Grantaire. Al termine della serata, però, si accorse che avrebbe fatto meglio a fermarlo.

“Voglio guidare io!” disse Grantaire visibilmente ubriaco mentre Enjolras lo accompagnava alla loro auto.

“Non se ne parla!” lo ammonì Enjolras facendolo appoggiare all’automobile con la schiena e cercando nelle sue tasche le chiavi della macchina. “Sei talmente ubriaco che per stasera è decisamente meglio che guidi io!”

“Non sono ubriaco!” disse Grantaire avvicinandosi a lui. “Solo brillo!”

“Sì certo: come no!” disse seccato Enjolras. Quando finalmente trovò le chiavi, portò Grantaire verso la portiera del passeggiero e lo fece sedere, allacciandogli lui stesso la cintura.

Quando Enjolras si sedette al posto di guida e inserì la chiave nel blocchetto di accensione, sentì Grantaire sbuffare e dirgli: “Certo che sai essere proprio bacchettone quando vuoi!” A quel punto Enjolras sospirò scocciato e si allacciò la cintura, quando Grantaire aggiunse: “Non serve che ti scaldi tanto! Stavamo festeggiando!”

“Potevi farlo senza bere tutto quel vino!” lo rimbeccò Enjolras avviando il motore. “Nevica da dannati… avremmo dovuto prendere la metro…” Dopo quel commento cadde il silenzio: forse Grantaire era ancora abbastanza lucido da ricordare che Enjolras era poco abituato a guidare con la neve. Il biondo ragazzo aveva preso la patente in estate e l’autunno di quello stesso anno si era trasferito per vivere con Grantaire, il quale lo faceva guidare da sempre molto poco, per cui non aveva mai avuto modo di impratichirsi con la guida su una strada ghiacciata.

Enjolras cercò di andare il più piano possibile, molto prudentemente sulle strade di Parigi, per evitare quanto più poteva problemi di controllo dell’auto. Non ebbe molti problemi per fortuna. Mancava poco ad arrivare a casa loro quando, per via dell’orario, si trovò ad un semaforo lampeggiante. Il ragazzo sapeva benissimo di avere la precedenza quando, appena passato il semaforo, sentì un fortissimo clacson alla sua sinistra e si voltò: una furgoncino stava arrivando scivolando sulla strada bagnata proprio verso di loro. Preso dal panico, Enjolras cercò di voltarsi per attutire il colpo, ma il furgoncino li prese in pieno e lì iniziò il buio.

 

La prima cosa che Enjolras vide dopo tutto quel buio, fu un bianco soffitto con una tenue luce. Aveva come la sensazione di essere rinato, ma non riusciva a capire bene dove si trovasse, né cosa stesse succedendo… Subito si sollevò sulle braccia e vide di fronte a sé un orologio: segnava le nove e qualche minuto… a giudicare dalla luce che entrava dalla finestra alla sua sinistra doveva essere mattina… Ehi, un attimo! Ma quella accanto a lui era una flebo? Quando ci era arrivato in ospedale? Cos’era successo dopo lo scontro col furgoncino?

“Mi dispiace…” sentì dire da una voce alla sua destra. Quando si voltò vide un canuto medico di schiena, ma non vedeva con chi stesse parlando. Intravide solo Grantaire con lo sguardo perso accanto all’interlocutore del medico: era in pigiama ed aveva il braccio sinistro fasciato e un discreto numero di cerotti sul lato sinistro del viso.

“R!” lo chiamò Enjolras. “Che succede? Perché sono qui?” Da Grantaire, però, non ottenne nessuna reazione… sembrava che nemmeno lo avesse sentito: fatto curioso. Lo sguardo del suo compagno era vuoto, sconvolto… che stava accadendo? Quando il medico si spostò, Enjolras vide che egli aveva appena finito di parlare con i suoi genitori. Il medico si allontanò e la bionda donna sembrò perdere le forze, quasi stesse per svenire. “Mamma, cosa ti succede?!” si alzò immediatamente Enjolras dal letto andandole incontro: anche da lei, nessuna reazione. “Papà…” provò a chiamare Enjolras, ma anche da lui nulla: i suoi occhi vuoti rimasero posati sulla moglie. Poi lo sguardo di Enjolras si spostò su Grantaire, il quale sembrava fissare un punto imprecisato del pavimento.

Enjolras stava per avvicinarsi a lui, quando venne distratto da sua madre. “Mio figlio!” scoppiò in pianto la donna. “Il mio unico figlio!”

“Celeste…” provò a farla calmare suo marito.

 “Germain!” gli saltò al collo la donna continuando a piangere a dirotto. “Non… non può essere accaduto davvero…!!!” Accaduto? Cosa…? Di cosa stava parlando sua madre? Perché piangeva?  “Rivoglio indietro il mio Alexandre!” Come?

“Lo so…” riprovò suo padre, quasi sul punto di piangere: Enjolras non ricordava di averlo mai visto così. “Anch’io lo vorrei, ma non tornerà indietro…”

“Papà, ma di cosa parli?” chiese Enjolras confuso e spaventato allo stesso tempo. “Io sono qui…” Quando provò a toccare i suoi genitori, accadde una cosa che lo terrorizzò: le sue mani passarono attraverso ai suoi genitori. “Ma che…?!” esclamò spaventato Enjolras indietreggiando.

“NO!” urlò la donna correndo verso un punto dietro ad Enjolras. Nel fare questo, Celeste gli passò di nuovo attraverso. Ma che diamine stava succedendo?! Terrorizzato, Enjolras si voltò e quello che vide lo lasciò senza fiato: c’era lui in quel letto d’ospedale! Era lui quello con la maschera per ossigeno, flebo e garze avvolte sulle braccia e attorno alla testa sul quale sua madre stava piangendo! Com’era possibile?! No… no, doveva essere solo un brutto sogno… per forza! Anche suo padre gli passò attraverso per raggiungere sua moglie e sostenerla. No… no: non stava accadendo per davvero.

“R!” si voltò gridando Enjolras. Il suo compagno stava ancora lì, immobile, con lo sguardo perso sul quel corpo immobile nel letto. “R, ti prego, parlami!” provò di nuovo Enjolras spaventato a morte, avvicinandosi a lui per farsi vedere.

“Piccolo…” disse fievole Grantaire guardando verso il letto.

“No, no, no!” disse Enjolras. “Io sono qui, R! Guardami…!” Quando provò a prendere le sue guance tra le mani, sentì che di nuovo stava per passargli attraverso e subito ritirò le mani. “No…” esclamò guardandosi le mani in preda al panico. “Non posso… non posso essere…”

“Celeste…” sentì dire debolmente da suo padre, quindi, di riflesso, si voltò immediatamente verso di lui, vedendolo sollevare dolcemente la moglie dal corpo del figlio. “Tesoro… Dopo tre giorni di coma non puoi pensare che… Alexandre è morto… lo dobbiamo accettare…” Lui era cosa?! Allora era vero?! Ma come… ma come…?!

“NO!” urlò lei alzandosi in piedi! “No, non è possibile!” Detto questo si voltò e corse verso Grantaire. “Georges!” Nel sentirsi chiamare, Grantaire alzò di scattò la testa e guardò la donna. “Georges… lui… lui non è morto, vero?!” gli chiese sorridendo, quasi la disperazione la stesse rendendo pazza e avesse bisogno della felice conferma che suo figlio fosse vivo. “Vero, Georges? Di… dillo anche tu a mio marito che Alexandre non è morto!”

Grantaire lanciò di nuovo un’occhiata al letto, scambiò uno sguardo con Germain e si voltò verso Celeste sconvolto e, scuotendo la testa debolmente, disse: “Mi dispiace, Celeste… non… lui è…”

“No!” scoppiò di nuovo in lacrime la donna abbracciando Grantaire, il quale passò a stento le mani attorno a lei, senza saper bene cosa fare. Dopo poco, Enjolras vide suo padre avvicinarsi a loro e mettere una mano sulla spalla della moglie, la quale si voltò verso di lui e dopo qualche istante tornò tra le braccia del marito, che la strinse a sé e iniziò a piangere assieme a lei.

“È colpa mia…” bisbigliò Grantaire, facendo voltare verso di lui sia Enjolras che i suoi genitori. “È solo colpa mia se Enjolras non c’è più…” Detto questo, cadde sulle ginocchia.

“No, ragazzo” gli disse Germain avvicinandosi a lui. “No, non potevi sapere cosa sarebbe successo…”

“Lui non era bravo a guidare in inverno…” continuò Grantaire come se non lo avesse sentito. “Io lo sapevo… eppure mi sono ubriacato lo stesso pensando di guidare in ogni caso… ma lui non ha voluto… Se io avessi guidato io… se avessi guidato io sarei morto io… non lui…”

“Georges, tesoro…” si buttò su di lui anche Celeste, abbracciandolo di nuovo, mentre Germain avvolse lei con un braccio e portò una mano sulla spalla di lui.

Enjolras li guardava quando si voltò ad osservare il suo corpo pallido, senza vita: non riusciva a crederci… era davvero morto… Allora voleva dire questo, morire? Stare a guardare inerte il dolore dei suoi affetti? Non poteva essere…

Mentre pensava a queste cose, una luce bianca si accese alla sua destra: una figura luminosa sembrò fargli un cenno con la mano per dirgli di seguirlo e per un attimo Enjolras sentì l’impulso di avvicinarsi. Ma poi si fermò. “N-no…” disse Enjolras indietreggiando. Poi si voltò a guardare i suoi genitori e il suo ragazzo e aggiunse: “No, non… non posso lasciarli così!” Restò a fissarli per un po’, poi tornò a rivolgersi alla figura e, gettandosi in ginocchio, disse: “Ti prego… ti prego! Concedimi ancora un po’ di tempo per rassicurarli! Non… posso andarmene così! Ti prego! Solo fino a Natale!” La figura sembrò guardare verso il gruppo alle spalle di Enjolras, poi fece un cenno con la testa e indietreggiò, svanendo nella luce della finestra.

 

Enjolras seguì Grantaire a casa loro: il suo compagno non era mai stato tanto depresso in tutta la sua vita. Enjolras, appostato davanti accanto al muro che separava il vano cucina dall’ingresso, poteva vedere Grantaire stare seduto sul divano immobile, con lo sguardo perso altrove, perso nel vuoto: quella stessa mattina lo avevano dimesso dall’ospedale ed era stata sua sorella Amélie ad insistere perché tornasse a casa, poi Grantaire le aveva detto che stava bene, ma che voleva restare da solo e da allora non si era più mosso da quel divano. Erano ore che restava lì a fissare il vuoto con chissà cosa per la testa. Enjolras stava malissimo nel vederlo così e non riusciva a perdonarsi il fatto di non poter fare nulla né per lui, né per i suoi genitori: tutto quel senso di colpa pesava su di lui come un macigno. Avrebbe voluto tanto rassicurare Grantaire, dirgli che non era colpa sua, ma come? Ad un certo punto, suonò il campanello: Grantaire, inizialmente, sembrò volerlo ignorare, ma quando suonò una seconda volta si girò lentamente verso la porta, e alla terza, senza cambiare espressione, si alzò e andò ad aprire. Enjolras si sporse per vedere chi fosse: tutto il suo gruppo di amici stava sulla porta con lo sguardo dispiaciuto.

“Avete saputo, quindi…” disse Grantaire abbozzando un sorriso amaro a Bahorel, il quale, per una volta, non nascondeva minimamente il suo dispiacere.

“Combeferre ha telefonato ai suoi stamattina” disse Bahorel con un tono di voce bassissimo. “È stato uno shock per tutti quanti, R… ma sappiamo che per te è stato peggio.”

Grantaire tornò subito cupo e abbassò lo sguardo: non riusciva a guardare nessuno negli occhi in quella situazione. Rimasero tutti in silenzio per diverso tempo prima che Marius prendesse la parola: “P-possiamo entrare solo un paio di minuti? Credimi, ti capisco… perdere qualcuno è un dolore atroce… Ma non ti farà bene restare da solo… io lo so…” Grantaire alzò appena lo sguardo verso il lentigginoso ragazzo, ma non lo guardò negli occhi; poi restò immobile per qualche istante e, con un cenno della testa, si decise a farli entrare. In quel momento Enjolras li guardò uno ad uno: Bahorel entrò per primo, ma si fermò sulla porta e, sospirando, abbracciò Grantaire, anche se quest’ultimo rispose debolmente al suo gesto di consolazione; dietro di lui entrò Jehan, lacrimando e si fermò a pochi passi da loro, e poco dopo Combeferre, accompagnato da Courfeyrac, entrambi sfiniti, come non avessero più forze per gestire la cosa: Enjolras fu sicuro di non aver mai visto Courfeyrac con l’umore tanto a terra e vedere i suoi due migliori amici in quello stato gli spezzò il cuore. Anche Cosette, che entrò con Marius a sostenerla, era in lacrime… ma dallo sguardo del suo ex compagno di corso, Enjolras non fu sicuro che fosse Cosette quella che aveva bisogno di supporto… Dietro di loro, Bossuet e Joly, entrambi cupi in volto, restarono accanto a Grantaire, cercando di rassicurarlo, mentre Feuilly, dopo aver passato una mano sulla spalla di Grantaire, entrò con Éponine e raggiunsero il prima possibile rispettivamente Combeferre e Courfeyrac, i quali sembravano istante dopo istante sempre più deboli. Enjolras non voleva credere ai suoi occhi… erano anni che era amico con quel gruppo di ragazzi ed ora, davanti alla loro sofferenza non poteva fare nulla… dir loro che stava bene, che non dovevano preoccuparsi per lui… Se solo ci fosse stato un modo per farsi sentire... Quando anche il gruppo di ragazzi in piedi andò a sedersi, Enjolras si spostò davanti alla finestra, vicino al televisore, dove poteva guardare tutti i suoi amici in viso: anche se le loro espressioni lo stavano facendo soffrire, non riusciva ad ignorarli e, durante il loro lungo silenzio, pensò a come fare a comunicare con loro.

“R, non è colpa tua” ruppe il silenzio Bahorel. “Lo sai questo, vero?”

Grantaire uscì dal suo silenzio e l’espressione, da vuota, si fece disperata, praticamente in lacrime. “Sì, che lo è, invece” rispose quasi piangendo. “Se mi fossi contenuto, non avrebbe guidato lui.”

“Quel furgone avrebbe potuto travolgervi lo stesso!” rispose alterandosi Bahorel.

“E quindi?” ribatté amaramente Grantaire. “Sarei morto io al posto suo e ora neanche voi starete soffrendo così.” Questa risposta sconvolse tutti quanti.

“Non dire cazzate!” disse Bahorel alzandosi in piedi irato.

Grantaire si voltò lentamente verso di lui, tranquillo, perso. Sorrise amaramente e rispose a Bahorel: “Non doveva morire lui, Yvan: lo sai anche tu che non doveva morire lui.” A quella considerazione, nessuno seppe come rispondere: solo Bahorel sembrava pronto a rispondere, ma Combeferre allungò la mano sul suo braccio e sembrò volerlo fermare, si alzò in piedi e si sedette accanto a Grantaire, passandogli un braccio attorno alle spalle.

“Manca moltissimo anche a me” gli disse Combeferre quasi singhiozzando. “Era il mio migliore amico… lo era da anni… ma niente lo riporterà indietro, nemmeno questo tuo immotivato senso di colpa. Posso capire come ti senti… ma non è colpa tua, e non devi parlare così, anche se stai soffrendo. È una fase in cui non puoi accettare quello che è accaduto: passerà.”

“Ascoltalo, R: ti prego!” disse di getto Enjolras, avvicinandosi a Grantaire. “Ti prego… non sopporto di vederti così!”

“Avete sentito?” disse Jehan guardandosi attorno: nessuno rispose. Enjolras sgranò gli occhi verso il suo minuto amico: possibile che parlasse della sua voce? Che lo avesse sentito?

“Di che parli, Jehan?” chiese dolcemente Feuilly.

“Mi era sembrato di sentire la voce di Enjolras…” Nel sentire Jehan pronunciare quelle parole, tutti si voltarono verso di lui sconvolti, increduli: solo Bahorel sembrava non credere minimamente alle sue parole, ed anche Combeferre e Joly non sembravano del tutto convinti.

“Jehan…” iniziò con calma Combeferre.

“Tu puoi sentirmi?” chiese Enjolras avvicinandosi a Jehan lentamente. “Jehan! Tu puoi davvero sentirmi?!”

“Eccolo di nuovo!” esclamò Jehan entusiasta, balzando in piedi in preda alla commozione. “Enjolras, dove sei?!”

“Non ci posso credere!” fu felicissimo Enjolras: finalmente qualcuno lo sentiva e sapeva che lui era lì! La gioia fu immensa e subito andò di fronte al rosso ragazzo per parlare con lui. “Sono di fronte a te, Jehan! Proprio in piedi davanti a te!”

“Dice che è qui!” sorrise il minuto ragazzo fissando davanti a sé: Enjolras sapeva che lo stava guardando negli occhi anche se era sicuro che Jehan non lo vedesse. “Enjolras!”

“Smettila, Jehan!” lo riprese subito Bahorel. Enjolras si voltò verso di lui e lo vide arrabbiato: poi lo vide voltarsi verso Grantaire, il quale sembrò rabbuiarsi all’improvviso, come se per un attimo avesse creduto alle parole di Jehan e ora stesse ricadendo nel suo cinismo. “Gli spiriti non esistono: basta così. Non illuderlo oltre!”

“No, no!” disse Enjolras spaventato che Jehan potesse credergli. “Jehan, io sono qui! Non ascoltarlo!”

“Ma io lo sento davvero…” disse Jehan dispiaciuto. “Mi sta parlando…”

“Jehan…” tentò più dolcemente Combeferre al posto di Bahorel. “Forse è solo perché vorresti sentirlo per davvero… Enjolras non è qui con noi… lui si è spento…”

“Ma forse Jehan ha ragione!” tentò Bossuet. “Ferre! Tu per primo dici sempre che nulla può essere dato per certo finché non viene dimostrato!”

“Sì, convincili Bossuet!” disse al suo amico Enjolras.

“Anche papà diceva spesso di aver sentito la voce di monseigneur Myriel quando venne a mancare un paio d’anni fa…” li sostenne Cosette timidamente.

“Il prof Valjean?!” chiese sorpreso Bahorel. “Sul serio?!”

“Ragazzi, non è possibile…” sostenne titubante Joly. “Non esistono prove dell’esistenza dei fantasmi…”

“Neanche degli alieni!” disse Courfeyrac probabilmente speranzoso che Joly sbagliasse. “Cosa ci dovrebbe far credere che l’uomo non ha davvero un’anima?!”

“Courf…” lo ammonì Éponine: Enjolras ricordava bene che lei non credeva minimamente agli eventi sovrannaturali. “Basta così…”

“E io che per un attimo quasi ci avevo creduto…” disse amaramente Grantaire, sprofondando nel divano. “Che idiota…”

“R…” disse Enjolras avvicinandosi a lui, quando si accorse che anche Jehan sembrava essersi arreso, allora tornò a rivolgersi a lui. “Jehan… Jehan ti prego: non devi ascoltarli. Sono qui…” Nessuna risposta.

 

Passarono alcuni giorni: oramai era la vigilia di Natale ed Enjolras, ancora non era riuscito a comunicare con nessuno dei suoi cari rimasti. Quel giorno celebrarono il suo funerale ed Enjolras fu lì, assieme a tutti: sua madre fu tutta un pianto e suo padre fu vicino ad essere nella sua stessa situazione, affiancati dai suoi zii e i suoi cugini; anche Cosette e Jehan piangevano e Combeferre e Courfeyrac furono molto vicini a farlo; in tutti gli altri presenti Enjolras vide una tristezza tale che più volte fu tentato di abbracciarli, di dir loro che stava bene e che non dovevano preoccuparsi, cosa che in quei giorni aveva tentato di fare più volte, soprattutto con Grantaire, il quale, dal giorno della sua morte, non aveva nemmeno toccato cibo. Al funerale c’erano anche il professor Valjean e Fantine e il professor Javert: erano almeno due anni che non aveva contatti con nessuno dei due e la cosa lo sorprese, soprattutto perché entrambi tennero un discorso commemorativo durante la funzione. Alla fine del funerale, Enjolras vide che nessuno dei presenti ebbe il coraggio di augurare agli altri buon Natale, né nessun augurio simile. Gli sembrò così strano… era talmente abituato a quel clima di festa e gioia generale che vedere tutti i suoi parenti e amici così abbattuti gli fece capire quanto si era perso in quegli anni in cui aveva sempre evitato di festeggiare il Natale… soprattutto perché non aveva nemmeno avuto occasione di salutare al meglio tutte quelle persone che ora sentivano la sua mancanza. La sua morte era stata del tutto improvvisa e solo ora si rendeva conto di quanto aveva dato per scontato tutti i suoi affetti, ora che non poteva congedarsi dalla vita terrena come avrebbe dovuto, ora che tutta la gioia sembrava svanita dai volti delle persone che amava… solo in quel momento poteva capire quanto avesse dato tutto per scontato nella sua vita. Non se la sentì di seguire Grantaire a casa: aveva poche ore ancora da passare sulla Terra e preferì rimanere lì, in mezzo alle lapidi innevate sotto alla fioca neve che scendeva leggera dal cielo. Forse tornare e stare accanto a Grantaire sarebbe stato il modo migliore per spendere le sue ultime ore nel mondo dei vivi… ma vederlo depresso e non potergli dire nulla era troppo frustrante perché riuscisse a stare in sua presenza. Si sedette sulla sua tomba e rimase ad osservare la neve che cadeva. Quanto era bizzarro essere uno spirito errante: se ne stava lì seduto su marmo ghiacciato coi piedi nudi affondati nella neve candida eppure, nonostante portasse ancora il camice dell’ospedale, non sentiva assolutamente freddo; nonostante fosse in quello stato da tre giorni, non era ancora riuscito ad abituarsi ad essere effettivamente morto.

Ad un certo punto, un canto si alzò dalla strada che passava accanto al cimitero: “Dooooouce nuiiiiiit, saaaaaaainte nuiiiiiiiit! Daaaaaans les cieeeeeeeux! L’aaaaaastre luiiiiit. Le mystééééére (accento) annoooooncé s’accompliiiiiiit. Ceeet enfaaaaaant sur la paaaaaille endormiiiiiiii. C’eeeeest l’amouuuuur infiiiiniiiiiiiiiiiiii! C’eeeeest l’amouuuur infiniiiiiiiii!” Senza rendersene nemmeno conto, Enjolras iniziò a cantare assieme a loro: quante volte avevano cantato quella canzone assieme a casa sua. Rimase lì, a fissare il punto da cui sentiva salire il canto in lontananza, a cantare distrattamente, preso da altri pensieri. La neve continuava a cadere, lenta, dolce e ricopriva del suo bianco manto le piante e le lapidi del cimitero, rispettando con la sua leggerezza il silenzio sacrale di quel luogo.

“Hai incontrato uno strano fato, non è così?” disse una calma e profonda voce dietro di lui. “Guardare tutti i tuoi cari senza poter parlare con loro.”

“Già” confermò Enjolras senza voltarsi. “Strano e crudele.” Ci mise ancora qualche secondo a realizzare che qualcuno stava davvero parlando con lui: quando lo capì, alzò la testa sgranando gli occhi e si girò di scatto verso il suo interlocutore, alzandosi in piedi. “Professore Myriel?!”

“Mio caro ragazzo!” lo salutò il vecchio preside della scuola che aveva frequentato al liceo. Era esattamente come Enjolras lo ricordava: piccolo, canuto, raggiante di gioia e vestito con gli abiti neri che portava in qualità di ex vescovo. “Vorrei dire che è un piacere rivederti, ma vista la tua situazione forse non sarebbe il caso!”

“Ma lei…” cercò di dire Enjolras guardando il preside avvicinarsi. “Come… come può?”

“Come faccio ad essere qui?” chiese il vescovo al posto suo, portandogli entrambe le mani sulle spalle. “Nostro Signore ha ritenuto che io avessi ancora dei compiti da svolgere in questo mondo, evidentemente, altrimenti mi avrebbe voluto lassù con lui… anche se probabilmente anch’io avrò da scontare qualche anno in purgatorio!” rispose senza perdere quel sorriso che sempre lo aveva caratterizzato. “Per esempio: ora dobbiamo pensare a te! Perché sei ancora qui?” Enjolras restò a fissarlo spaesato per qualche istante, confuso su cosa monseigneur Myriel potesse voler dire con quella domanda. Nel vedere la confusione nei suoi occhi, Myriel accentuò il suo sorriso e si chiarì: “Hai ancora qualcosa che senti di dover fare in questo mondo?”

Enjolras si fece triste, abbassò lo sguardo e spiegò al defunto preside: “Io e Grantaire abbiamo avuto un incidente quasi una settimana fa: il mio spirito ha lasciato il mio corpo dopo tre giorni di coma e ho visto i miei genitori accanto al letto a piangere… e Grantaire ha iniziato a sentirsi in colpa per quanto è successo…” Lì fece una pausa, che monseigneur Myriel rispettò col suo silenzio, dopo di che riprese, determinato: “Io voglio che Grantaire capisca che lui non c’entra e voglio che tutti sappiano che sto bene, ma ormai ho poche ore! Mi è stato concesso tempo solo fino a Natale! Cosette dice che lei ha parlato col professor Valjean: me lo insegni, la prego!”

Myriel restò ad osservare Enjolras serio, un po’ pensieroso, come stesse pensando a cosa fare. “Convincere Georges che esistono gli spiriti potrebbe essere molto arduo” disse alla fine. “Con Jean comunico tutt’ora perché è un uomo dalla indubbia fede… per comunicare con Georges avrai sicuramente bisogno di aiuto. Ci vuole che qualcuno lo convinca che sei accanto a lui.” Già… ma come fare? Mentre parlavano pensando ad una soluzione, Enjolras udì dei passi avvicinarsi alla sua sinistra: Jehan stava portando dei fiori alla sua tomba.

“Ciao Enjolras” parlò alla lapide il minuto ragazzo, poggiando i fiori accanto a quelli lasciati lì dopo il funerale. “Mi spiace di non essere riuscito a fare il mio discorso alla celebrazione: spero tu non ci sia rimasto male…”

“Jehan…” scappò debolmente al biondo giovane.

“Ho pensato di leggertelo adesso…” proseguì Jehan sul punto di piangere. “Anche se voglio che tu sappia, che io davvero ho avuto l’impressione che tu stessi parlando con me… e questo già ti dovrebbe far capire quanto mi manchi già…” Ma certo! Jehan poteva aiutarlo! Enjolras e il defunto vescovo si scambiarono un’occhiata, segno che avevano pensato entrambi la stessa cosa.

“Jehan!” lo chiamò subito Enjolras. “Jehan, riesci ancora a sentirmi?!”

Il rosso ragazzo si immobilizzò e fissò davanti a sé. “Enjolras?” chiese al vento. Poi abbassò la testa e, sconsolato, disse: “Sta succedendo di nuovo, lo vedi?” Diamine… se nemmeno Jehan credeva più di poter comunicare con Enjolras, come avrebbe fatto a parlare con gli altri? E soprattutto con Grantaire! Enjolras stava già per arrendersi, quando Myriel lo fece scostare e prese in mano la situazione con un raggiante sorriso. Enjolras lo vide raccogliere da terra della neve ancora soffice: come aveva fatto?! Lui erano quattro giorni che passava attraverso a cose e persone… che cosa… come?! Enjolras ancora non riusciva a credere ai suoi occhi: Jehan, tornato in se, alzò gli occhi a fissare la palla di neve, che lui, pensò Enjolras, doveva veder fluttuare davanti ai suoi occhi. Poi l’ex preside sbriciolò dolcemente la palla di neve sulla testa del rosso ragazzo, il quale rimase ad osservare la neve sgretolarsi come incantato.

“Enjolras…” disse sorridente Jehan. “Sei stato tu… non è vero?!”

Per il biondo ragazzo vedere che il suo minuto amico stava ricominciando a credere fu una gioia immensa! “No, Jehan” affermò commosso. “No, monseigneur Myriel è qui con noi. Io sono davanti a te.”

“Monseigneur…” disse Jehan iniziando a lacrimare per la commozione. Poi si voltò in lacrime verso il punto in cui si trovava Enjolras e gli disse: “Sapevo di averti sentito! Ero sicuro che fossi lì con noi!”

“Caro ragazzo” cominciò Myriel inginocchiandosi accanto a Jehan e portandogli una mano sulla spalla. Jehan parve percepirlo, perché alzò sorpreso la testa e si voltò dove si trovava il preside. “Al nostro caro Alexandre servirà il tuo aiuto, ma dovrai essere molto deciso: pensi di potercela fare?”

“Farò tutto quello che posso, monseigneur.”

“Bene” riprese Myriel. “Inizia ad avviarti a casa dei suoi genitori: noi arriveremo presto. Intanto fai in modo che i tuoi amici si radunino a casa di Georges. Non fallire, mi raccomando: abbiamo poco tempo.”

“Corro!”

“Jehan!” lo chiamò Enjolras mentre il minuto ragazzo stava già correndo via, fermandolo. “Grazie!”

“Dopo tutto quello che tu hai fatto per me…” disse Jehan sorridente, “questo non sarà niente, Enjolras!”

Enjolras guardò il suo minuto amico allontanarsi di corsa nella neve: non riusciva a credere che forse sarebbe riuscito finalmente a parlare con tutti gli altri! Poi si voltò verso Myriel e gli sorrise. Nel vedere il suo sguardo rallegrato, l’ex preside fece un cenno di seguirlo e si voltò per andarsene, ma immediatamente Enjolras lo fermò: “Monseigneur, aspetti!” Myriel si voltò e allora Enjolras gli chiese: “Prima di andare… lei tocca gli oggetti e le persone… come posso farlo anch’io?”

Myriel si lasciò scappare un sorriso e gli disse: “Verrò con te, ragazzo: non ti serve impararlo ora.” Restarono a fissarsi per diversi secondi: come poteva dire ad un ex vescovo che avrebbe voluto poter toccare il suo ragazzo un ultima volta? Enjolras non riusciva a trovare un modo per dirglielo senza andar contro a quella che era, dopotutto, la morale cristiana del suo ex preside. Dopo qualche istante, Myriel sorrise, annuì e disse: “Ho capito.” Enjolras sollevò di nuovo lo sguardo verso di lui e fu certo che egli avesse davvero capito quello che voleva fare. “Forza, allora: ho poco tempo per insegnartelo!”

Non fu per niente facile imparare a toccare gli oggetti: monseigneur Myriel spiegò ad Enjolras che doveva concentrare molte energie nell’arto con cui voleva afferrare o colpire un oggetto per riuscirci, e il biondo ragazzo dovette fare diversi tentativi per farlo. Non aveva molto tempo e questo sicuramente non lo aiutò a concentrarsi al meglio, ma alla fine ricordò di quando da piccolo, ad arti marziali, gli veniva chiesto di spezzare tavolette di legno e riuscì ad appallottolare e sollevare della neve. Per sicurezza, il defunto vescovo lo fece riprovare più volte e, quando riuscì senza più la minima difficoltà, finalmente poterono muoversi verso la residenza della famiglia Enjolras: se non altro poter passare attraverso oggetti e pareti si rivelò utile, se non altro per poter salire nel rimorchio del furgoncino diretto a casa sua con la spesa per il pranzo di Natale. Quando arrivarono a destinazione, Jehan si trovava già davanti al cancellone ad attenderli ed Enjolras corse subito verso di lui: dall’espressione smarrita che aveva Enjolras avrebbe detto che temesse di aver immaginato tutto, e infatti fu questo che Jehan gli disse quando lo raggiunse. Enjolras stesso suonò il campanello e fece coraggio a Jehan perché entrasse: quando il maggiordomo rispose, Jehan disse che doveva parlare coi signori di una questione importante riguardante il figlio. I signori Enjolras andarono all’ingresso della grande villa ad attenderlo e lo fecero accomodare nel soggiorno, ansiosi di sentire cosa aveva da dire. Come Enjolras si aspettava, i suoi genitori non credettero alla storia di Jehan, e cercarono di non lasciarsi demoralizzare né di essere troppo diretti col giovane interlocutore. Allora Myriel ebbe un’idea: disse ad Enjolras di fare qualche cosa che solo i suoi genitori avrebbero compreso, così da dimostrare loro la sua presenza. Così, il biondo ragazzo puntò quell’orribile vaso che sua nonna aveva regalato loro molti anni fa, un orribile soprammobile che lui aveva sempre odiato, e i suoi genitori lo sapevano benissimo. Lo prese e si spostò davanti a loro perché i suoi genitori lo vedessero fluttuare davanti a loro, e lo lasciò cadere a terra, frantumandolo in mille pezzi. Si rese perfettamente conto che i suoi genitori si erano spaventati, ma quando li vide scambiarsi un’occhiata d’intesa e sembrarono pronti a piangere, capì che sapevano che lui era lì. A quel punto, finalmente, riuscì a parlare loro e disse che non dovevano preoccuparsi, che lui stava bene e che di lì a poche ore sarebbe andato in un posto migliore. Come si aspettava, non riuscì a rassicurarli del tutto, ma nulla avrebbe potuto colmare il vuoto di aver perso un figlio. Però poterlo salutare per un’ultima volta fu comunque una consolazione per loro; inoltre, Myriel fece promettere al ragazzo che sarebbe andato spesso da loro durante la notte, cosa che sorprese anche Enjolras perché non avrebbe mai creduto che potesse farlo per davvero. Con queste premesse e un abbraccio da parte sua, il congedo dai suoi genitori andò meglio delle aspettative: fu difficile, doloroso, ma ce la fece. Rimaneva solo una cosa da fare: salutare Grantaire.

Mentre tornavano verso la città, Jehan spiegò ad Enjolras di essere riuscito a far radunare l’intero gruppo nel loro appartamento per prepararli alla notizia. Jehan citofonò e il gruppo salì per le scale fino al sottotetto, dove ad attenderli si trovava Feuilly.

“Jehan” lo accolse preoccupato Feuilly scendendo gli ultimi gradini della scala andandogli incontro. “Che succede? Perché tanta urgenza?” Mentre salivano verso l’ingresso, Enjolras vide Combeferre sporgersi dalla porta: lo sguardo era lo stesso di quel pomeriggio, forse solo più stanco di quello che Enjolras ricordava di avergli visto.

Jehan non si fermò: entrò deciso nell’appartamento, dove gli altri tutti lo attendevano incuriositi e tristi allo stesso tempo, e annunciò, debolmente: “Devo raccontarvi una cosa… riguardo ad Enjolras.”

 

“Assurdo!” disse Bahorel al termine della storia alzandosi dal divano, evidentemente per cercare di non urlare contro a Jehan. “Non ti avevamo già chiesto di smetterla con questa storia? Enjolras è morto! L’abbiamo seppellito oggi! Che altre conferme ti servono?!”

“Lo so che è morto!” gli rispose senza esitazioni Jehan. “Ma ti dico che è qui! Io lo sento! Mi parla! Anche monseigneur Myriel! Perché non vuoi credermi?!”

“Jehan, ti prego…” provò più teneramente Combeferre, senza scomporsi. Enjolras lo guardò: lo capì che non ce la faceva più a sentirlo parlare così. “Basta così…”

“NO!” urlò Jehan. “No, voi dovete credermi! Non vi mentirei mai su una cosa tanto importante!”

“Jehan…” ritentò Feuilly.

Jehan stava per rispondere, ma Enjolras lanciò uno sguardo interrogativo a Myriel e si vide accordato il permesso di intervenire. Passò una mano sulla spalla di Jehan e gli disse: “Grazie, Jehan: ora lascia fare a me.” Detto questo, andò dietro a Bahorel, si sollevò sulle punte e gli diede un pugno sulla nuca, più forte che poté: sentirlo parlare così lo aveva irritato all’inverosimile. La fonte dei suoi guai era stata la sua boccaccia!

“Ahio!” disse il robusto uomo voltandosi verso quello che ai suoi occhi ancora era probabilmente il nulla.

“Che ti prende, maciste?” chiese Courfeyrac confuso.

“Qualcosa mi ha colpito…”

“Ma che dici?” chiese Bossuet. “Non c’è nulla dietro di te…”

“Ti dico che qualcosa mi ha colpito la nuca!”

“Ma non c’è nulla…” lo sostenne Joly.

“Saprò quello che ho sentito, malatino!”

“Per me inizi a delirare anche tu…” controbatté Joly. Allora Enjolras si avvicinò a lui e gli mise il cappuccio in testa, stringendolo davanti al suo viso, cercando di non fargli male. “Ma che…?!” scappò a Joly già in panico.

“Enjolras!” esclamò Jehan guardando verso il suo amico.

“Non è possibile…” disse Grantaire attirando l’attenzione di tutti. Enjolras si voltò e lo vide avvicinarsi lentamente, con un passo debole, incerto. “Sei stato davvero tu…?” Enjolras lo vide fissare verso Joly incredulo, con occhi spalancati quasi ci stesse credendo. Ma ben presto quell’espressione stupefatta tornò ad essere un sorriso amaro e Grantaire si allontanò dicendo: “Che stupido… Probabilmente anch’io inizio a delirare…”

“Aspetta R…” cercò di fermarlo Marius alzandosi in piedi. Enjolras non lo fece allontanare ulteriormente: prima che lasciasse la stanza, Enjolras lo fermò passandogli entrambe le braccia attorno al busto e si strinse a lui; era una cosa che aveva fatto spesso quando, la sera, Grantaire si metteva a preparare la cena e lui era seduto al bancone della cucina a studiare. Sapeva che stringendolo in quel modo, Grantaire avrebbe potuto capire. Si strinse alla sua ampia schiena, accarezzò la sua scapola con il naso e appoggiò il mento alla sua spalla, portando il viso contro il suo collo. “En… Enjolras?” si lasciò scappare dopo qualche secondo di sorpresa.

“Sì, R…” sussurrò Enjolras convinto che finalmente lo avrebbe sentito. “Sono qui.” Dopo qualche istante, Grantaire si voltò e guardò Enjolras negli occhi.

“I…” cominciò Grantaire. Poi sorrise e cominciò a piangere. “Io ti vedo!” Enjolras non riusciva a crederci: lo vedeva? Ma… ma come…?!

“Anch’io ti vedo!” esclamò Jehan andando verso di lui correndo. Poi gli saltò al collo: potevano toccarlo? Come? Di riflesso, Enjolras si voltò verso Myriel e lo vide sorridergli e fargli un cenno come volesse dirgli di godersi quel momento.

“Enjolras!” esclamò anche Cosette avanzando verso di lui.

“Non può essere!” disse anche Marius seguendola.

“Lo sapevo!” aggiunse la bionda e minuta ragazza unendosi all’abbraccio. “Lo sapevo che mio padre non mi aveva mentito!”

A poco a poco, anche gli altri ragazzi iniziarono a vederlo e si avvicinarono per abbracciarlo. Solo Bahorel sembrò esitare, probabilmente per non aver creduto alle parole di Jehan; ma il minuto ragazzo dai capelli rossi andò a prenderlo per mano e lo portò verso Enjolras che gli sorrise e si lasciò abbracciare. Dietro di lui riuscì a scorgere Courfeyrac e Combeferre stare in disparte: per loro, Enjolras sapeva che doveva riservare un saluto migliore di un semplice abbraccio. “Ragazzi…” si avvicinò lentamente. Non fece a tempo a dire nulla che Combeferre gli saltò al collo in lacrime, e poco dopo vennero raggiunti anche da Courfeyrac che li abbracciò entrambi.

“Mi dispiace!” disse Combeferre senza muoversi. “Mi dispiace tantissimo! Avrei dovuto crederci subito!”

“Va tutto bene, Ferre” cercò di tranquillizzarlo Enjolras. “Ora ci credi e puoi vedermi…”

“Enj” lo chiamò Courfeyrac piangendo. “Avremmo dovuto essere più presenti…”

“Non dirlo nemmeno, Courf” li strinse maggiormente Enjolras. “Non pensateci neanche: siete sempre stati unici per me! Non mi sono sentito solo neanche un istante da quando ci siete voi due! Mi avete dato tanto e io non vi ringrazierò mai abbastanza per tutto quello che avete fatto per me!”

Detto questo, sentì l’impulso di piangere anche lui e sentì Combeferre passargli una mano sulla nuca e dirgli: “Non ti dimenticheremo mai… è una promessa!”

“Nessuno di noi ti dimenticherà mai!” fece eco Feuilly alle spalle di Enjolras. Quando il biondo ragazzo si voltò e vide Grantaire dietro il suo gruppo di amici, andò verso di lui e gli prese il viso tra le mani.

“Andrà tutto bene, R!” gli disse asciugandogli le lacrime.

“No, senza di te…”

“Invece sì!” cercò di fargli forza. “Tu sei stato l’unico che io abbia mai davvero amato nella mia vita: hai tantissimi difetti, questo è vero; ma non mi hanno impedito di vedere i tuoi migliori pregi! Sei sempre stato leale, dolce, mi hai sempre voluto proteggere e mi hai dato tanto… mi dispiace solo di essere stato così maledettamente cocciuto da essermene accorto tanto tardi…”

Grantaire si lasciò scappare un risolino, poi gli carezzò una guancia e gli rispose: “Se non fossi stato cocciuto non saresti stato te stesso… così… incredibilmente caparbio e idealista!” Poi lo baciò e lo strinse a sé, il più forte che poté, avvicinando il viso al suo collo come era solito fare. “Non voglio lasciarti andare…”

Enjolras, nel sentire il tremore nella sua voce, non resse più e lasciò uscire le lacrime. “Non abbiamo scelta…”

“Mi hai insegnato tu che si può sempre scegliere!”

“La morte è l’unica cosa che l’uomo non può vincere, R… lo sai…”

“Resta con me…”

“Tu devi riprendere a vivere…”

“Non posso…”

“Sì che puoi! La vita è sempre piena di novità e qualcosa di meraviglioso potrà sempre accadere… Vivi al meglio, R! Non lasciarti scappare nessun istante, nessuna gioia, nessuna persona! Cogli ogni attimo e vivilo al meglio fino alla fine! Fallo per me!” mentre Enjolras diceva queste parole, i due allontanarono i loro visi e Grantaire lo baciò di nuovo. Poi si allontanarono di nuovo e si guardarono negli occhi in silenzio, senza dirsi nulla: tante volte era successo negli anni in cui erano stati insieme come coppia. Poi Enjolras si sforzò di sorridere e, passando una mano sulla sua guancia, gli disse: “Promettimi anche che ti raderai…”

Grantaire si lasciò scappare un risolino leggero e rispose: “È una vera fissa quella che hai per la barba lunga!”

“È ispida e fastidiosa! Soprattutto appena sveglio!”

“Mi mancherà svegliarti al mattino…”

“Anche a me mancherà svegliarmi accanto a te…” Quando finì di pronunciare questa frase, baciò di nuovo Grantaire e, poco dopo, una luce si accese alle sue spalle.

“Alexandre…” lo chiamò Myriel. Enjolras si voltò appena e dietro al sorridente vescovo vide la stessa luce che tre giorni prima aveva visto in ospedale. “È ora di andare.”

Enjolras non avrebbe voluto andarsene, ma non aveva scelta… Passò lo sguardo dispiaciuto verso tutti i suoi amici, poi si voltò di nuovo verso Grantaire e avvicinandosi al suo viso gli disse: “Ora devo… ora devo an… andarmene, amore… Cerca di passare un buon Natale… rimedia a quello che assieme non abbiamo fatto…”

Grantaire lo strinse di nuovo a sé e gli sussurrò: “Non passerà un solo istante in cui non penserò a te!”

“So che lo farai” confermò Enjolras appoggiando la sua fronte a quella del suo compagno. “Verrò a trovarti ogni notte quando chiuderai gli occhi, te lo prometto!”

“Conterò i minuti…” Si baciarono un’ultima volta: mai per Enjolras un bacio fu tanto bello e tanto doloroso allo stesso tempo. Poi si allontanò lentamente, camminando all’indietro, tenendo le mani del suo compagno il più a lungo che poté e se ne andò, vedendo svanire i volti tristi dei suoi amici e del suo ragazzo.

Poi vide solo una fortissima luce bianca e iniziò a sentire uno strano rumore metallico. Beep. Beep. Beep. Beep. Era davvero quello il paradiso? Che cosa stava accadendo? La prima cosa che Enjolras vide dopo tutta quella luce fu un bianco soffitto con una tenue luce. Aveva come la sensazione di essere a pezzi, ma non riusciva a capire bene dove si trovasse, né cosa stesse succedendo… Subito si sollevò sulle braccia e vide di fronte a sé un orologio: segnava le nove e qualche minuto… a giudicare dalla luce che entrava dalla finestra alla sua sinistra doveva essere mattina… Ehi, un attimo! Ma quella attaccata al suo braccio era una flebo? E sulla faccia… e sualla faccia aveva una maschera per l’ossigeno? Quando ci era arrivato in ospedale? Cos’era successo dopo essere andato verso la luce bianca?

“Enjolras…?” sentì dire da una voce alla sua destra. Lentamente si voltò e vide accanto al suo letto Grantaire quasi in lacrime: era in pigiama ed aveva il braccio sinistro fasciato e un discreto numero di cerotti sul lato sinistro del viso. Dietro di lui, i suoi genitori lo guardavano sorpresi, forse in preda alla commozione, e accanto a loro c’era un canuto medico con un dolce sorriso sul volto.

“R?” chiese confuso Enjolras sfilandosi la mascherina. “Mamma? Papà?” Si guardò attorno ancora un po’ e quando sentì un leggero dolore arrivare da dove era infilata la flebo, pensò ai tre giorni passati come spettro: in tutti quelli non aveva mai sentito un solo dolore, né una solo sensazione fisica fino alla fine. Realizzò solo in quel momento di essere vivo. “R!” gli saltò al collo piangendo.

“Piccolo piano!” disse Grantaire cercando di allontanarlo leggermente. “Non dovresti fare questi sforzi!”

“Tesoro…” si avvicinò al letto sua madre seguita dal marito. “Ci hai fatto stare tanto in pensiero!”

“Mamma! Papà!” abbracciò anche loro Enjolras.

“Ma che ti prende, ragazzo?” chiese suo padre. “Che ti succede?” Sembravano felici di vederlo, ma anche confusi. Possibile che nessuno di loro ricordasse nulla?

“Che…” chiese Enjolras guardandoli uno ad uno, “che giorno è, oggi?”

“È il ventuno, tesoro” gli rispose dolcemente sua madre passandogli una mano fra i capelli dorati. “Sei stato in come per te giorni…”

“Co… come?” non capì Enjolras. “Non… non dovrebbe essere il ventiquattro?”

“Che dici, piccolo?” chiese Grantaire confuso. “Perché il ventiquattro?”

Enjolras non riusciva a capire… cos’era successo? Lui ricordava di essere morto… di aver passato tre giorni come un fantasma! “Ma io…” iniziò Enjolras sempre più spaesato. “Ma io ero morto! Proprio oggi! A quest’ora! E c’eri tu… e voi… e anche lei, dottore!” disse indicando il distinto medico, lasciando basito anche lui. “E io vi vedevo… ero lì, ma non potevate sentirmi! Non sapevo come dirvi che stavo bene, che non dovevate essere tristi e una luce bianca voleva portarmi in paradiso, ma io ho chiesto tempo fino a Natale e mi è stato dato! Poi ho seguito te a casa e sono arrivati gli altri e Jehan riusciva a sentirmi, ma Bahorel non voleva credergli e poi anche tu, Combeferre e Joly lo avete zittito! Sono stato con te fino al mio funerale il ventiquattro e poi è apparso Myriel e ho scoperto che avrei potuto farmi sentire grazie a Jehan e…”

“Aspetta, aspetta, aspetta!” lo afferrò per le spalle suo padre. “Respira, Alexandre!”

“Avrai solo sognato, tesoro…” gli disse sorridendo sua madre. Sognato? Possibile? Non era successo per davvero? Non era stato graziato? Lo aveva solo… sognato durante il coma?

“Davvero…?” chiese Enjolras perso.

“Mi sembra che tu sia vivo” gli rispose Grantaire sorridente. Poi si rabbuiò di colpo e aggiunse: “Per fortuna! Ho avuto tanta paura che non ce l’avresti fatta! Non mi sarei mai perdonato se tu fossi…”

Grantaire non riuscì a finire la frase. Enjolras sorrise e gli disse: “Lo so!” Poi gli saltò di nuovo al collo e lo strinse a sé più forte che riuscì. “Ma non è stata colpa tua, ok? Non pensarlo più!”

“Ho avuto paura di non rivederti più…”

“Ma sono qui! E non darò più per scontato nessun momento con te, né con nessun altro! Mai più!”

“Enj…” sembrò confuso Grantaire allentando un po’ la presa.

Enjolras si allontanò, portò la mano dietro alla sua nuca e gli disse: “Quando usciamo di qui andiamo a prenderci un bell’albero di Natale e chiamiamo gli altri per farlo tutti assieme! Per il cenone andiamo dai miei, ma il pranzo del venticinque andiamo dai tuoi! Il ventisei potremmo passarlo con gli altri e a Capodanno… a Capodanno potremmo andare via, solo io e te! Glielo dai qualche giorno di ferie, vero, ma’?”

“Enj?!” lo chiamò decisamente perplesso Grantaire. “Sei davvero tu che stai parlando?!”

“Sì, amore!” gli disse Enjolras prendendogli la mano tra le sue. “Voglio passare con voi ogni istante che posso! Voglio che viviamo al meglio delle nostre possibilità tutto ciò che ci succederà d’ora in avanti! Promettimi che lo faremo, R!”

Grantaire restò a guardarlo per qualche istante negli occhi, poi lo abbracciò di nuovo e gli disse: “Te lo prometto, piccolo mio!” Poco dopo, Enjolras si voltò leggermente verso i suoi e li invitò ad unirsi all’abbraccio. La sua famiglia al completo era lì con lui.

Restarono lì per qualche secondo e poi Enjolras iniziò a canticchiare, senza nemmeno rendersene conto, quella canzone che da piccolo cantavano sempre sotto le feste: “Dooooouce nuiiiiiit, saaaaaaainte nuiiiiiiiit! Daaaaaans les cieeeeeeeux! L’aaaaaastre luiiiiit. Prima che potesse rendersene conto, anche sua madre si unì al suo canto: “Le mystééééére annoooooncé s’accompliiiiiiit. Ceeet enfaaaaaant sur la paaaaaille endormiiiiiiii.” E alla fine anche Grantaire e suo padre iniziarono a cantarla, sorridendo al biondo ragazzo. “C’eeeeest l’amouuuuur infiiiiniiiiiiiiiiiiii! C’eeeeest l’amouuuur infiniiiiiiiii!

 

Fine

Buon Natale a voi e ai vostri cari!

   
 
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