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Autore: blackthornssnaps    25/12/2016    1 recensioni
“Avrei dovuto ascoltare di più i vecchi proverbi che mia madre mi raccontava da bambino”, si ritrovò a pensare Simon, guardando tutto lo scompiglio che si era creato. Beh, che lui aveva creato, in realtà.
Si consolava, almeno in parte, ripetendosi che non era totalmente opera sua: buona parte della colpa era da attribuire al vino.
Ed era proprio questo che gli aveva riportato in mente le parole della madre: “In vino veritas” ripeteva sempre lei.
“Già”, aveva finalmente capito Simon. “Forse anche troppo”.
Genere: Comico, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Alec Lightwood, Clarissa, Izzy Lightwood, Jace Lightwood, Simon Lewis
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Alle Emmabelle.
La storia è leggermente cambiata, ma la dedica resta.


 

In vino veritas

 

Avrei dovuto ascoltare di più i vecchi proverbi che la mamma mi raccontava da bambino”, si ritrovò a pensare Simon, guardando tutto lo scompiglio che si era creato. Beh, che lui aveva creato, in realtà.
Si consolava, almeno in parte, ripetendosi che non era totalmente opera sua: buona parte della colpa era da attribuire al vino.
Ed era proprio questo che gli aveva riportato in mente le parole della madre: “In vino veritas” ripeteva sempre lei.
Già”, aveva finalmente capito Simon. “Forse anche troppo”.
 
***
 
Aveva parlato senza pensare.
Non che sarebbe cambiato qualcosa: probabilmente nessuno avrebbe potuto definirlo nel pieno delle sue facoltà mentali, anche senza tutto l’alcool in circolo nel suo corpo. Ma chi lo è mai il giorno del suo matrimonio? Di sicuro Simon non lo era.
Tutto quello che aveva vissuto fino a quel momento gli pareva un sogno, e covava segretamente il terrore che prima o poi si sarebbe svegliato e che tutto sarebbe svanito.
Insomma, ne aveva passate tante: era diventato un vampiro, aveva perso la memoria ed era riuscito ad affrontare la sua nuova vita da Shadowhunter. Ora, finalmente, era felice.
E, diciamolo, non si sarebbe mai aspettato di arrivare davvero a sposare Isabelle Lightwood. Probabilmente non se lo aspettava nessuno.
Invece eccolo lì, a festeggiare con tutti quelli che erano diventati i suoi amici e che ormai considerava la sua famiglia, con una splendida donna al suo fianco. Donna che era ormai ufficialmente sua moglie. Non si sarebbe mai stancato di ripeterlo.
Ecco perché aveva tirato fuori il fatidico argomento taboo: era un gioco tra lui e Isabelle quando erano ancora fidanzati, non voleva perderlo ora che erano sposati.
Non aveva tenuto conto, però, che fosse la loro festa, che fossero circondati da gente e che probabilmente certe cose avrebbe dovuto aspettare di essere solo con sua moglie prima di dirle ad alta voce.
Erano seduti l’uno accanto all’altra, al tavolo centrale degli sposi, e osservavano gli invitati, le loro famiglie e gli amici, lì davanti a loro.
Erano tutti intenti a ridere (probabilmente sempre per colpa delle quantità industriali di vino consumate) e raccontarsi storie dei bei momenti passati, ed erano tutti lì per loro.
Simon si mise a ridere ascoltando qualche storiella di una Izzy bambina, beccandosi occhiatacce dalla moglie.
Finirono col ripercorrere tutti i momenti vissuti assieme mentre captavano parti di conversazioni degli invitati attorno, da quelli belli alle discussioni o alle più piccole debolezze e insicurezze che tutti condividevano.
E poi iniziarono a parlare di Lord Montgomery.
Se fosse potuto tornare indietro, Simon si sarebbe maledetto per il pessimo tempismo, ma… Beh ormai il danno era fatto.
L’argomento uscì per caso, portandoli a ridere ricordando tutte le volte che erano stati sul punto di concludere qualcosa per poi dover rinunciare l’attimo dopo, interrotti da uno sconvolto Alec.
Oh, la faccia che aveva fatto la prima volta quando erano in camera sua... non se la sarebbero mai scordata.
«Povero fratellone, pensavo di averlo segnato a vita, quella volta. Non mi ha più permesso di entrare in camera sua, nemmeno per sbaglio, per mesi interi!» disse ridendo Isabelle, ricordando quel momento forse con un’allegria più esagerata del dovuto. «Fortuna che poi si è ripreso.»
«Certo, solo perché lui non sa. Insomma, quella volta alla fine non abbiamo fatto nulla, proprio per opera sua. Se sapesse che la prima vera volta l’abbiamo avuta sul suo divano nell’appartamento mentre lui e Magnus non c’erano, invece...» Simon si interruppe per lasciar spazio a una risata incontrollata, seguita subito dopo da quella di Izzy.
Le loro risate durarono ben poco, però.
Sentirono un singulto, subito seguito da un rumore di vetri rotti.
Si voltarono attirati da quei rumori, preoccupati che fosse successo qualcosa di grave… e si trovarono faccia a faccia con un Alec visibilmente sconcertato.
Li stava fissando con gli occhi spalancati e una mezza smorfia di disgusto, mentre ai suoi piedi giacevano i resti del bicchiere di champagne che fino a poco prima reggeva in mano.
«CHE COSA AVETE FATTO?!» gridò «Cioè voi due… il mio divano… quando noi non… MA COME AVETE POTUTO?!»
Simon si sentì mancare… L’aveva fatta grossa, non pensava che Alec li stesse ascoltando mentre parlavano.
Guardò Isabelle preoccupato, in cerca di aiuto, ma lei stava guardando il fratello, con un’espressione colpevole e imbarazzata dipinta in volto, mentre lui ancora farfugliava minacce frustrato. Fu solo per un attimo, però: si riprese quasi subito e la
fierezza di Isabelle Lightwood tornò in superficie.
«Dai fratellone, te la stai prendendo troppo come al solito: non abbiamo fatto niente di male! Non è un crimine, questo!» disse guardando Simon, che si azzardò ad annuire, ma senza aprire più bocca.
Alec tentò di ribattere, ma lo stupore era troppo e tutto quello che riusciva a dire erano spezzoni di frasi non articolate tra di loro.
«No, ma… non importa! Questo non vi dà il diritto... il mio divano! Non avevate altro posto…? Povero me… e Magnus!»
Come richiamato, lo stregone si fece largo tra la folla e comparve accanto al compagno, appoggiandogli una mano sulla schiena.
«Su, su, fiorellino, la sposina ha ragione. Stai facendo troppe storie e stai anche spaventando i bambini» disse con voce suadente, tentando di calmarlo e accennando ai bimbi in un angolo, che li fissavano con i loro occhioni spalancati.
Poi, improvvisamente, si girò verso Simon e Isabelle, con i suoi occhi da gatto che brillavano.
«Non pensate che sia contento di sapere che avete usufruito dei miei mobili scelti con estrema cura per i vostri giochetti, sia chiaro». Li osservò in silenzio per un attimo, per poi girarsi e tornare a rivolgersi al compagno, gli occhi tornati del solito colore, con un piccolo accenno di sorriso. «Tuttavia, Alexander caro, in fondo è solo un divano. Possiamo sempre prenderne un altro, se la cosa ti turba tanto» disse, poi, sottovoce, così che solo Alec potesse sentirlo, aggiunse: «Anche se quando si è trattata della nostra prima volta, non mi sei sembrato così tanto contrariato rispetto a quel divano.»
Magnus sorrise, amabile, e Alec, già rosso per il vino e la rabbia, si sentì le guance andare ancora più a fuoco.
Prima che potesse rispondere, però, una terza voce si intromise nel discorso.
«Suvvia, quanti problemi vi state facendo! Ve lo procuro io un divano, se volete!»
Ecco” pensò Simon, “ora sì che sono davvero finito”.
Si voltarono tutti verso il nuovo interlocutore, fissandolo come fosse un fantasma. A quanto pareva nessuno aveva notato che fosse nei paraggi.
Jace Herondale si ergeva in tutto il suo angelico splendore con la spalla appoggiata alla colonna: se per darsi un’aria da figo come suo solito o per sorreggersi a causa del vino, Simon non avrebbe saputo dirlo. I capelli biondi erano accuratamente spettinati ad arte e aveva in mano un calice di champagne che sorseggiava tranquillamente.
Guardò il suo parabatai con i suoi grossi occhi dorati, in una muta conversazione, e Alec si incupì ancora di più.
Forse non sono l’unico che sarà rovinato a causa di Jace” si ritrovò a riflettere Simon, guardando il povero Alec e la sua espressione afflitta.
Fu Magnus a interrompere il silenzio.
«No, grazie. Preferisco pensare da solo al mio arredamento… Direi che voi Nephilim avete già fatto abbastanza danni» disse, scoccando un’occhiataccia a Simon e Isabelle, che fecero spallucce.
Poi, tornando a rivolgersi a Jace, con sguardo penetrante aggiunse: «Soprattutto perché avrei paura di sapere cosa avete fatto tu e la rossa su quel divano».
Simon cercò di mantenere un’espressione neutra: in fin dei conti Clary era pur sempre la sua migliore amica, ed era abbastanza sicuro che l’essere parabatai non comprendesse anche condividere i dettagli della propria vita privata con il partner.
Jace si portò una mano al petto con fare teatrale, fingendosi offeso.
«Queste tue insinuazioni mi feriscono, non abbiamo fatto nulla sul divano che ti avrei procurato».
Isabelle lo guardò storto, alzando un sopracciglio sospettosa. «È vero, Iz» aggiunse Jace. «Però Alec, in confidenza, capisco tu possa essere rimasto sconvolto da questa rivelazione da parte dei novelli sposi: lo sono anche io. Simon, da te non mi sarei mai aspettato una cosa del genere! Sono fiero di voi, ragazzi, ma sono sicuro non sia stato nulla di che. Ti puoi rilassare, amico mio».
Alec lo guardò male, ma non fu niente in confronto all’espressione che assunse poco dopo, quando Jace aggiunse: «Se invece sapessi le cose che abbiamo fatto io e Clary sul tuo divano…»
«CHE COSA?!» urlò Alec, facendo un mezzo salto indietro per allontanarsi dal suo migliore amico, che se la rideva di gusto seguito a ruota da Isabelle e Simon. Magnus, invece, cercava di mantenere una certa espressione disgustata, ma si vedeva che sotto sotto stava cercando di non iniziare a ridere pure lui.
«Anche voi?! Cosa… QUANDO?!» urlò Alec.
«Oh beh, sai… tu e Magnus eravate in vacanza con i bambini e noi siamo venuti a bagnarvi le piante, non vorrai mica che muoiano? Solo che una cosa tira l’altra e…» spiegò Jace, continuando a ridere.
«JACE!» gridò qualcuno, interrompendo il suo discorso.
Tutti si voltarono e videro Clary spedire i bimbi da nonna Maryse, per poi affrettarsi a raggiungere il fidanzato e tirargli, infine, un pugno sul braccio.
«Cosa stai dicendo?» gli urlò contro. «Ma che ti viene in mente? Alec, non è assolutamente vero».
«Sì, che lo è». Clary gli lanciò un’occhiata furiosa e Jace si zittì.
«Non pensavo che avrei mai detto una cosa del genere in vita mia, ma… non offenderti, Fray, mi risulta più facile credere al biondo ossigenato, in questo caso, che non a te.» prese parola Simon.
A quel punto Magnus iniziò davvero a ridere, insieme a Isabelle che non aveva ancora smesso da prima.
Clary guardò il suo parabatai indignata, nello stesso momento in cui Jace disse: «Pensavo di aver chiarito questa cosa al nostro primo incontro: io sono biondo naturale.»
A quel punto Clary alzò gli occhi al cielo, mentre Alec, che ormai aveva perso ogni sprazzo di vita, si coprì il volto con le mani.
 
***
 
Dopo un tempo interminabile erano riusciti ad allontanare Jace e Simon dal povero Alec.
I due si erano messi a bisticciare come ai vecchi tempi, su cose totalmente inutili per giunta, senza rendersi conto che così non avevano fatto altro che peggiorare l’umore del terzo ragazzo.
Clary era intervenuta, aveva sgridato quelli che adorava definire “i due uomini della sua vita”, anche se in momenti come quello somigliavano più a bambini che ad altro, e aveva cercato di consolare un po’ Alec, ma invano.
Era stata Isabelle a risolvere la situazione, alla fine: aveva preso Jace e Simon per le orecchie (letteralmente) e li aveva trascinati lontani da tutti, ordinando a Magnus di occuparsi di Alec, nel frattempo.
Lo stregone l’aveva presa in parola e se n’era andato con un braccio attorno alle spalle del compagno, raggiungendo i loro figli e svanendo subito dopo nella confusione della cerimonia.
Erano passati almeno 15 minuti da allora, minuti durante i quali Clary si era versata un altro drink e si era seduta aspettando il ritorno della sua nuova famiglia, ma di loro neanche l’ombra.
Dove accidenti li aveva portati Izzy? Nessuno sembrava saperlo.
Beh, se la meritano proprio una bella ramanzina come solo Isabelle Lightwood sa fare” si ritrovò a pensare Clary, però questo non la fece sentire meglio.
Continuava a sentirsi in colpa, come se avesse dovuto fare qualcosa in più per evitare tutto quello che era successo, ma cosa avrebbe mai potuto fare?
Erano pensieri stupidi e irrazionali, se ne rendeva conto anche lei, eppure non riusciva a toglierseli dalla testa.
Rimase in quello stato di trance a lungo, continuando a rigirarsi il bicchiere – ormai vuoto – tra le dita, talmente assorta nei suoi pensieri che non si accorse nemmeno quando qualcuno le si avvicinò.
«Ehi» disse una voce e Clary sobbalzò.
La voce si mise a ridere. «Scusami, non volevo spaventarti. Immaginavo non mi avessi vista arrivare, ma non pensavo di essere così terrificante!»
Sarcasmo, una cosa che conosceva bene dopo tutti gli anni passati con Jace.
Buttare sul ridere situazioni – apparentemente – tragiche per farla sentire meglio.
C’era solo un’altra persona di sua conoscenza, oltre al suo fidanzato, in grado di uscirsene con frasi così: Emma Carstairs.
Clary si voltò e se la trovò in piedi lì accanto.
Era cresciuta così tanto dalla prima volta che l’aveva incontrata, anni prima, a Idris, quando erano diventate amiche. Era solo una bambina all’epoca, invece ora Clary si trovava davanti una giovane quasi donna.
Beh, l’aveva vista più volte nel corso di questi anni: aveva presieduto alla sua cerimonia parabatai, quando si era legata per sempre a Julian, e l’aveva vista anche in varie altre occasioni, nonostante la lontananza.
Eppure le faceva sempre un certo effetto vederla così grande.
Ora Emma la stava osservando con i suoi occhioni nocciola, sul viso un’espressione decisamente preoccupata.
«Clary» le disse «Sei proprio sicura di star bene? Mi sembri… non lo so, distante» le chiese.
«Sì, sì sto bene. Mi ero solo persa un po’ nei miei pensieri, tutto qui» rispose, abbozzando un piccolo sorriso.
La ragazza rimase a fissarla per qualche secondo, indecisa sul da farsi, poi prese una sedia dal tavolo vicino e si sedette accanto a lei.
«Oh, pensavi a Jace per caso?» se ne uscì Emma, con un sorrisetto malefico sul volto. «Beh, a lui e magari a quella volta sul divano di Alec e Magnus. Cos’è che stava dicendo prima? Che siete andati là a bagnare le piante e…» Clary doveva essere sbiancata e aver assunto un’espressione strana, perché Emma si interruppe per scoppiare a ridere.
«Allora è vero! E tu hai detto ad Alec di no, ma invece…» non riusciva a frenare le risate.
«Ssh. Emma, dai! Okay, sì, è vero, ma… tu come accidenti hai fatto a sentirlo? Non eri qui! Oppure… oh, non dirmi che si è davvero sentito così tanto!» si coprì il volto con le mani.
Non riusciva a credere che stesse davvero accadendo. Ora capiva come poteva essersi sentito Alec prima. Doveva essere un incubo, altroché.
Non appena Emma riuscì finalmente a calmarsi, le appoggiò una mano sulla spalla, con fare amichevole.
«Ehi, ehi, calma. Non è mica una tragedia» esordì. «Jace è il tuo ragazzo, ci sta tutto! Poi ognuno nella sua vita privata fa quello che vuole, stavo solo scherzando, chi sono poi io per giudicare?» alzò la testa e la guardò, e vedendo Emma sorriderle Clary si sentì quasi costretta a ricambiare, per riflesso.
«Allooora…» continuò la ragazzina, di nuovo con quel sorrisetto stampato in faccia «Non mi hai detto com’è stato. Sai, sono parecchio curiosa. Ho sentito varie voci sulle abilità di Jace, naturalmente, ma non sono del tutto sicura di potermi fidare di quello che dicono. Invece chiedendolo a te…»
«EMMA!» a quel punto Clary era assolutamente certa di aver assunto la stessa tonalità dei suoi capelli, mentre scoccava all’amica un’occhiata indignata.
La ragazza era sul punto di risponderle, aveva già indossato una maschera di innocenza proprio per questo, quando qualcun altro la interruppe.
«So già che mi pentirò di quello che sto per chiederti, ma si può sapere cosa le hai detto per sconvolgerla così tanto?» chiese a Emma il nuovo arrivato.
Clary alzò lo sguardo per identificare il ragazzo, anche se in realtà non ce n’era bisogno.
Non c’erano dubbi su chi fosse.
Un ragazzo alto, con indomabili riccioli color cioccolato e occhi di un verde-blu così particolare che era impossibile dimenticarli. Julian Blackthorn, il parabatai di Emma.
Beh, il suo fidanzato, in realtà.
Erano cambiate un sacco di cose nell’ultimo periodo, così tante e così in fretta che ancora molti degli Shadowhunters facevano fatica a rendersene conto.
Una delle novità era stata proprio l’abolizione della legge che vietava ai parabatai di innamorarsi tra loro.
E Julian e Emma ne erano stati la causa.
Avevano tentato invano di nascondere i loro sentimenti, sia agli altri che a loro stessi, e avevano tentato anche di reprimerli, per non incombere nell’ira del Conclave. Nessuno dei due voleva causare all’altro la rimozione dei Marchi, non se lo sarebbero mai perdonato, però nonostante avessero già provato di tutto, i loro sentimenti restavano immutati. Anzi, diventavano più forti ogni giorno, spaventandoli sempre di più.
Clary in un certo senso li capiva: anche lei e Jace avevano provato a negare l’evidenza quando tutti credevano che fossero fratelli, ma i risultati erano stati inconcludenti anche quella volta.
Certo, per i parabatai era diverso: c’era da considerare tutta la questione delle rune più forti, tanto da sembrare quasi magiche, e la mentalità sempre così chiusa del Conclave, che vietava l’uso della magia a chiunque non appartenesse ai Figli di Lilith. Specialmente agli Shadowhunters.
Però restava sempre qualcosa che Clary stessa aveva provato sulla sua pelle: un amore proibito.
In seguito alla guerra con le fate e alla nomina di Simon come nuovo Console – eh sì, Simon Console, Clary stessa ancora stentava a crederci – tutti quanti dovettero, però, fare i conti con questo nuovo potere.
Era stato proprio questo a permettere loro di vincere nuovamente e quella stupida credenza sulla magia poteva finalmente restare considerata solo come tale: nessuno Shadowhunter veniva sottratto alla sua natura parzialmente angelica a causa di questo, perciò non restavano altre ragioni valide per vietarne l’esistenza.
Come riconoscimento del lavoro svolto, il primo emendamento di Simon come Console fu proprio l’abrogazione del divieto di innamorarsi tra parabatai, legge che fu accolta con inaspettato successo da parte di una quasi totale maggioranza di voti.
Per cui eccoli lì finalmente: Emma e Julian, che non avevano più bisogno di nascondersi, ormai, e potevano vivere in pace e alla luce del sole la loro storia.
Jules, come era solita chiamarlo lei, si era posizionato proprio dietro la sua ragazza, chino verso di lei, le braccia tese appoggiate allo schienale della sedia. La stava osservando in attesa di una risposta alla domanda, tentando di nascondere un’espressione divertita.
Oh, bene. Pure lui si prenderà gioco di me, adesso” pensò Clary sconsolata.
«Le ho semplicemente chiesto di raccontarmi come andavano le cose con Jace, perché ero curiosa. È lei quella che si è messa subito sulla difensiva» si giustificò la Shadowhunter.
Julian, però, la guardò con un sopracciglio alzato.
«Mmh. Quindi non sei venuta a parlarle perché volevi sapere i dettagli della sua intimità con il suo fidanzato per soddisfare la Emma dodicenne che è ancora in te e che aveva una cotta clamorosa per Jace Herondale, vero?» la provocò lui, con una smorfia.
Forse mi sbagliavo, prima” rifletté Clary. “Jules, devi intervenire più spesso in queste situazioni imbarazzanti!
Emma, intanto, guardava il suo parabatai con una faccia colpevole.
«Non è vero…» iniziò, ma si corresse subito non appena si ritrovò con due paia di occhi a fissarla, sapendo perfettamente che stava mentendo.
Non sarebbe mai riuscita a nascondergli qualcosa, lui la conosceva troppo bene.
«Okay, va bene. Le ho davvero chiesto di confermare le voci che circolano, ma non è assolutamente vero che è per soddisfare la dodicenne innamorata di Jace. Era solo curiosità, la mia» poi, rivolta al suo fidanzato, aggiunse: «Mi è passata la cotta per lui, lo sai.»
Si fissarono negli occhi per minuti interminabili. Julian non aveva ancora distolto lo sguardo da lei da quando era arrivato.
Poi espirò e le sorrise, sussurrando appena un debole “Lo so” che Emma riuscì a sentire lo stesso, nonostante tutto.
Clary si sentì improvvisamente di troppo, come se con la sua sola presenza potesse rovinare quella piccola atmosfera che si era creata tra i due giovani.
Decise di lasciar loro un po’ di spazio, approfittando del suo tempo per andare a cercare i suoi amici ancora dispersi chissà dove. Del resto era meglio fare qualcosa di produttivo piuttosto che restarsene seduta su una sedia, imbambolata a ubriacarsi.
Passò davanti a Julian, scompigliandogli leggermente i capelli con fare affettuoso come segno di saluto e ringraziamento – si era affezionata anche a lui, dopotutto – e poi, prima di andarsene del tutto, si fermò accanto a Emma.
La abbracciò per qualche secondo, sussurrandole qualcosa all’orecchio, per poi allontanarsi con un sorrisetto compiaciuto in faccia, mentre sul viso della ragazzina si andava a formare un’espressione di completo stupore.
«Tienila d’occhio» fu tutto quello che disse a Julian, prima di incamminarsi verso la porta che conduceva fuori.
«Che cosa ti ha detto?» lo sentì chiedere, ma la sua ragazza non gli rispose.
Clary rise da sola ripensando alla risposta che le aveva dato.
Le voci sono vere, ma non del tutto accurate. Non si avvicinano neanche lontanamente alla realtà. Jace non è bravo, è molto di più”.
 
***
 
Com’è possibile che finisco sempre per ritrovarmi in situazioni talmente assurde da sembrare irreali, senza mai sapere come uscirne?” rifletté Simon, mentre si dirigeva dritto in mezzo alla folla presente alla cerimonia, prontamente intenzionato a portare a termine il suo compito.
Isabelle Sophia Lightwood: la ragazza più bella, fiera, forte e coraggiosa che lui avesse mai incontrato. Era la donna perfetta, insomma.
Certo, se non si considera quanto riesca ad essere ostinata e autoritaria quando si mette d’impegno. Incute decisamente paura” continuò a borbottare Simon, troppo assorto nei suoi pensieri per pensare a tutto ciò che lo circondava.
«Quando hai finito di perderti in chissà quale tua malata fantasia che, ci tengo a sottolineare, NON voglio assolutamente sapere… beh, a quel punto ti accorgerai che tuo cognato è proprio laggiù» sentenziò il ragazzo biondo accanto a lui, prendendolo per la manica dell’abito e indicando un punto isolato della stanza con il dito.
E, in effetti, colui che stavano cercando era proprio lì.
Alexander Lightwood era appoggiato sul tavolino di fronte a lui, con la testa abbandonata stancamente sulle braccia nascondendo il viso, mentre un bambino interamente blu gli si avvicinava timidamente cercando le sue attenzioni.
Simon lanciò uno sguardo a Jace, che gli rispose con un ghigno divertito mentre lo invitava a fare il primo passo con un cenno del capo. Valutò l’idea di lasciarlo lì e fuggire, ma con una rapida occhiata dietro di loro intravide Izzy, che li scrutava minacciosa da lontano, e si ritrovò a pensare che, forse, la sua paura di affrontare il maggiore dei fratelli Lightwood era del tutto irrazionale, considerato il carattere della donna che aveva appena sposato.
E gliene aveva anche dato prova solo pochi minuti prima, quando aveva trascinato da parte sia lui che il biondo ossigenato – non riusciva proprio a credere che quel colore così dannatamente “vivo” potesse essere naturale – prendendoli da parte per fargli una ramanzina da mamma infuriata, facendo quasi morire – Simon ne era certo – entrambi di paura.
Era sempre colpa sua anche il motivo per cui erano andati alla ricerca di Alec, dopo essere stati più volte minacciati di evirazione se non gli avessero chiesto scusa.
Insomma Isabelle tollerava qualche piccola presa in giro al fratello e alla sua capacità di sclerare come una ragazzina impazzita per un nonnulla, anzi era anche la prima a stuzzicarlo molto spesso, ma tutto aveva un limite. Di certo continuare una litigata, futile come quella avvenuta prima per giunta, con Jace Herondale quando a pochi passi di distanza Alec sembrava volesse sprofondare sottoterra… beh, Simon comprese che non era stata proprio una mossa intelligente. E la moglie non lo aveva proprio sopportato.
Così ora si trovavano lì, insieme, lui e il suo antico rivale.
Il ragazzo che Simon aveva detestato per anni, che lo aveva tormentato perché geloso del suo rapporto con Clary.
Quello che pensava non avrebbe mai potuto sopportare e che, invece, nonostante qualche discussione ogni tanto, aveva imparato a conoscere e aveva iniziato a considerare una specie di amico.
E, anche se Jace non lo avrebbe mai ammesso, sapeva che la pensava allo stesso modo e, perché no, magari infondo gli stava pure simpatico.
Certe cose, però, non sarebbero mai cambiate e Jace si sarebbe fatto tagliare qualche dito piuttosto che fare la persona matura e responsabile, assumersi le sue colpe – perché era stato lui a iniziare – e andare dal suo parabatai a scusarsi per primo.
Ovviamente, avrebbe aspettato che fosse lui a fare qualcosa.
Simon sbuffò, dunque, borbottando qualcosa che somigliava particolarmente a una serie di insulti sull’immaturità del compare, per poi prendere un respiro e avvicinarsi al cognato.
«Ehi, ehm… Alec?» chiese un po’ titubante, aspettandosi il peggio dalla reazione dell’altro.
Lo Shadowhunters, però, non fece nulla di ciò che si aspettavano.
Si limitò semplicemente ad alzare la testa e a piantare i suoi occhi, così azzurri da sembrare irreali, verso il suo interlocutore, con un’espressione tra il deluso e lo scocciato.
Forse è per questo che Magnus si è innamorato di lui” si ritrovò a riflettere Simon, “Quando ti guarda i suoi occhi sembrano trapassarti l’anima”.
Si schiarì la voce.
«Sì, uhm, giusto… io e Jace siamo venuti qui…» iniziò, acciuffando il ragazzo e strattonandolo verso di sé, visto che non aveva ancora accennato a muoversi. «Beh noi volevamo chiederti scusa, per prima. E per aver approfittato della tua assenza e del divano.»
E di tua sorella” pensò Simon, ma non lo disse ad alta voce. “Anche se forse è più lei che si approfitta di me”.
Alec restò a guardarli in silenzio per un po’, soffermandosi più a lungo sul parabatai.
Alla fine sospirò e si alzò, sussurrando qualcosa a Max, rimasto lì tutto il tempo, per farlo correre dal fratello.
Quando parlò, infine, si rivolse a Jace.
«Non cambierai mai, vero?» gli riversò contro, leggermente arrabbiato, ma con il tono stanco di chi non ha neanche più voglia di gridare.
«Non sarai mai tu il primo a scusarsi, anche se in fondo tutto questo è opera tua» non era più una domanda.
Il ragazzo lo fissò allucinato per mezzo secondo, poi sembrò riprendersi.
«Mia?!» esclamò sconvolto. «Cosa ho fatto io? Lui ha–» ma non finì mai la frase, perché Alec lo interruppe.
«Anche questo è tipico di te» affermò sbuffando, più a se stesso che a loro. «Lui ha iniziato con le confessioni imbarazzanti, okay» continuò ritornando a un tono di voce normale «Ma per lo meno lui non l’ha fatto apposta. Lui non l’ha detto per vedermi strillare, non l’ha fatto per alimentare il suo ego. Lo stava dicendo a Izzy perché stavano parlando tra di loro, ha solo avuto la sfortuna che io sentissi.»
Durante questo scambio Simon era rimasto perfettamente immobile, con una faccia a dir poco stupita.
Aveva visto i due litigare negli anni, aveva visto Jace fare qualcosa di stupido e Alec rimproverarlo, ma mai così.
Aveva sempre urlato con quel suo modo un po’ isterico e decisamente troppo esagerato che, però, era un modo implicito di tirar fuori tutta la sua esasperazione da fratello maggiore e la preoccupazione per il suo spericolato migliore amico.
Ma questo… questo non era niente del genere.
Gli aveva sputato in faccia cose crudeli, vere ovviamente, ma terribili e senza mai nemmeno scomporsi.
Che cosa c’era di diverso stavolta? Aveva liquidato Simon come niente, ma Jace…
D’altronde anche quest’ultimo lo stupì, poco dopo.
Pensava si sarebbe arrabbiato di rimando, o quantomeno indignato, mettendosi a gridare contro l’altro, invece restò in silenzio.
Ebbe pure l’accortezza di chinare il capo, come se si vergognasse, cosa che però Simon non credeva possibile.
«Non ne faccio mai una giusta, vero?» farfugliò Jace alla fine, con un’aria così colpevole da far quasi ridere. E, infatti, fu esattamente quello che Alec fece, strappando un sorrisetto anche a lui.
Perché ora aveva capito: era questa la sua strategia allora, rendere la scena il più melodrammatica possibile per aggirare l’ostacolo e buttarla sul comico. Sperava che così chiunque fosse arrabbiato con lui in quel momento potesse essere troppo impegnato a ridere da preoccuparsi davvero delle sue colpe.
Si ritrovò pure a dover ammettere fosse un buon piano.
Alec conosceva le intenzioni di Jace, Simon ne era assolutamente convinto – in fondo erano parabatai da anni – e si limitò a scuotere la testa divertito.
Tutto sommato non gli importava granché della cosa, probabilmente tutto ciò di cui aveva bisogno era esattamente quello che aveva davanti: il suo migliore amico che cercava in tutti i modi di farlo star meglio, nonostante poco prima fosse stato la causa – in parte almeno – del suo malumore.
«Beh, non sempre dai. Solo la maggior parte delle volte» gli rispose.
Nonostante questo, però, nulla impedì ad Alec di tirare un non-così-tanto-scherzoso pugno allo Shadowhunter in questione.
«Ahia! E questo per che cos’era?» strillò.
«Per il tuo essere così idiota» sentenziò il maggiore.A questo punto Simon si sentì in dovere di dire qualcosa. Sapeva fin troppo bene sarebbe stata una pessima idea, ma non è che poteva continuare a farsi ignorare così da quei due.
«Non per interrompere il vostro splendido momento insieme…» esordì, «ma non credete sia il caso di smetterla di bisticciare come dei bambini anche voi? Non lo abbiamo già fatto abbastanza per stasera? Sono sicuro che Isabelle potrebbe seriamente ucciderci tutti se continuassimo.»
Due paia di occhi si piantarono su di lui, finché il proprietario del primo sguardo – quello dorato – non se ne uscì con il solito ghigno che riservava quasi esclusivamente per lui.
«Se ti senti escluso basta dirlo, possiamo iniziare a insultarti un po’, così prendi parte alla discussione!» rispose serafico.
«No, grazie. Sono a posto così. Però posso sempre prendere in giro te, Clary mi ha raccontato certe cose che sono certo al tuo parabatai possano interessare» lo provocò Simon, ma Jace non si lasciò certo scoraggiare.
Era pur sempre Jace Herondale, lui.
«Non peggiorare la situazione, Lewis. O Lovelace. O comunque tu voglia farti chiamare ora. Non saresti mai in grado di raccontare cose vere e compromettenti su di me che già non si sappiano. E anche se fosse, Clary non te lo perdonerebbe. Non sei proprio nella posizione di poter parlare» ribatté allora, soddisfatto.
Prima che il nuovo sposino potesse anche solo pensare a cosa rispondere, intervenne Alec, sbuffando irritato e alzando gli occhi al cielo.
«Vorrei ricordarvi che nessuno dei due è nella posizione di dire qualsiasi cosa, in realtà. Di certo non dopo quello che mi avete confessato!» sbottò infine.
Simon e Jace si guardarono e, forse per la prima volta in vita loro, lo sguardo che si scambiarono aveva un qualcosa di maligno e incredibilmente complice. Come se avessero avuto la stessa idea nello stesso momento.
Di nuovo, però, il maggiore dei Lightwood li precedette, senza dar loro il tempo di esprimere ad alta voce qualunque cosa potesse essergli passata per la mente.
«Sapete cosa? Il vostro sguardo non mi piace. Neanche un po’. Per cui d’accordo, vi perdono, non voglio neanche più sentir parlare di questa storia o di cosa avete fatto con chi sul mio divano. Solo… per favore, sparite dalla mia vista ora. Non ho intenzione di sopportarvi un minuto di più. Siete inquietanti» e fu così che si dileguò anche lui nella folla, probabilmente alla ricerca della sua famiglia, lasciando i due ragazzi da soli.
«Hai intenzione di rinfacciarglielo vero? Non glielo farai dimenticare mai eh?» chiese Simon, ad un certo punto.
Jace sorrise, come solo lui sapeva fare.
«No, mai
 
***
 
Jace si sedette a capotavola, nel suo posto d'onore riservato, unico membro della famiglia ad averne uno (ma questa è un’altra lunga storia).
Erano tutti riuniti all'Istituto per festeggiare Capodanno insieme, tradizione che Clary e Simon – cresciuti nel mondo mondano – avevano insistito per continuare a festeggiare in grande stile.
Era anche una di quelle occasioni che ai bambini piaceva chiamare “riunioni da Zio Jace” e quest’ultimo, anche se non lo dava mai a vedere, era davvero onorato di essere lo zio preferito, divertente e simpatico. I suoi nipoti stravedevano per lui: d'altronde, come potevano farne a meno? Tutti lo adoravano.
Si guardò intorno: erano tutti seduti al grande tavolo dell'Istituto, dove ora abitavano lui e Clary, insieme ai loro figli. Osservò con orgoglio e amore la sua piccola Celine, che ormai tanto piccola non era più: erano già passati 5 anni dalla sua nascita, ma Jace ricordava quel giorno come se fosse stato ieri. Era stato uno dei momenti più belli ed emozionanti della sua vita.
Jace sorrise, perso nei suoi ricordi e Clary, seduta accanto a lui, se ne accorse.
Alzò un sopracciglio con fare interrogativo e il marito scosse la testa, stringendole leggermente una mano. Clary teneva in braccio la loro bambina più piccola, Elizabeth, che aveva solo un anno e mezzo; era una bambina molto tranquilla e stava seduta sulle gambe della mamma guardando gli altri con i suoi grandi occhioni verdi.
Ad un certo punto Jace sentì qualcuno afferrargli il piede da sotto il tavolo: si abbassò e trovò Will, il suo secondo figlio. Lo sollevò ridendo e se lo mise in braccio, mentre il bambino gli sorrideva e gli faceva la linguaccia.
Aveva quasi tre anni e gli assomigliava già moltissimo con quei suoi capelli biondo dorati, e gli occhi verdi con qualche sfumatura d'oro che scrutavano il mondo curiosi.
Non si sarebbe mai dimenticato la faccia di Alec quando gli avevano comunicato il nome e, in realtà, Jace credeva fosse stata una scelta che il parabatai non gli avrebbe mai perdonato, nonostante ormai ci avesse fatto l’abitudine. In effetti, forse non era stata proprio una grande idea chiamare il figlio come l’uomo di cui il suo parabatai era geloso ai tempi dei primi mesi di relazione con Magnus, ma non era certo colpa sua se gli Shadowhunters erano così tradizionalisti. Dare ai propri figli un nome appartenente alla famiglia, seppur di generazioni passate, era infatti usanza comune e nessuno gli avrebbe tolto la soddisfazione di veder mutare l’espressione di Alec ogni volta che veniva chiamato il bambino.
Con grande sorpresa di Jace, di nuovo assorto nelle sue memorie, improvvisamente qualcuno gli prese l'altro piede: si abbassò e vide Rose, la figlia di Emma e Julian.
Doveva aspettarselo! Lei e suo figlio erano inseparabili fin dalla culla, nonostante lei fosse più piccola di un po’ di mesi.
Era la fotocopia di suo padre, con i capelli mossi castani e gli occhi di quel verde-azzurro tipico Blackthorn.
La bambina gli sorrise da sotto il tavolo, con il suo bellissimo sorriso sdentato, e lui prese in braccio pure lei.
«Papà, siamo due demoni! Ti abbiamo spaventato?» esclamò il bimbo.
Jace rise alle parole di Will, felice che suo figlio avesse ereditato la passione per la caccia ai demoni.
«Siete spaventosissimi! Non fatevi vedere da Emma, però, perché potrebbe confondersi e uccidervi!» disse, fingendosi serio.
«Parlavi di me?». Emma, sentendosi chiamata, comparve alle sue spalle e prese in braccio la figlia.
A volte Jace, guardandola, rivedeva quella ragazzina che si era opposta al Conclave, non volendo che il suo migliore amico subisse il peso della Spada Mortale. Spada che poi lei stessa, anni dopo, aveva distrutto. Bel modo di pareggiare i conti, in effetti.
«Lascia in pace Jace, dai, ora dobbiamo andare a mangiare» disse, portando via la bambina e facendola sedere al suo posto, di fianco a George. Era il figlio di Simon e Isabelle, e aveva ereditato i loro capelli e occhi scuri. Lui, Will e Rose avevano tutti la stessa età, il che era davvero una fortuna: passavano interi pomeriggi a giocare insieme, a New York o a Los Angeles, aiutati dal fatto che Clary potesse aprire un portale ogni volta che volevano. Spesso Julian e Emma li portavano tutti e tre in spiaggia e Will tornava a casa pieno di sabbia, sfinito e felicissimo.
Julian ed Emma erano ormai diventati un punto fisso nella loro vita: erano i loro più cari amici e, con la scusa che i loro figli andavano così d’accordo, si ritrovavano a passare insieme molte delle occasioni più importanti. Il fatto che poi l’Istituto di New York fosse uno dei pochi a festeggiare il Capodanno aveva assicurato la loro presenza lì.
Maryse entrò improvvisamente nella stanza, portando con sé un enorme vassoio di cibo: in queste occasioni le piaceva tornare all'Istituto e cucinare per tutti, spesso aiutata da Clary. Anche Isabelle si offriva sempre di aiutare ma, dopo che un anno aveva letteralmente mandato in fumo la loro cena facendola bruciare, ogni volta che entrava in cucina veniva non-molto-gentilmente cacciata via.
La donna era quasi arrivata al tavolo con la prima portata quando rischiò di cadere malamente a terra.
Darya, la figlia di Magnus e Alec stava correndo in giro per l’Istituto ed era passata molto vicina a nonna Maryse, sbilanciandola.
I due ragazzi l'avevano adottata circa 3 anni prima, ma la bimba all'epoca aveva già 2 anni.
Si era scoperta essere una lontanissima nipote di Magnus: lo stregone era venuto a sapere che entrambi i genitori della piccola erano morti, tramite qualche contatto che nonostante tutto aveva tenuto con le sue origini umane, e non se l'era sentito di lasciarla a crescere in un orfanotrofio in Indonesia. Alec si era trovato d'accordo con lui, come sempre, e nel giro di qualche mese Darya era entrata a far parte della famiglia.
Il nome completo della piccola era Darya-ye Noor, un nome di origine persiana che significa “mare di luce”. Magnus e Alec avevano deciso di tenerlo, anche perché allo stesso modo è chiamato un grande diamante rosa presente a Teheran e Magnus, affascinato com’è dal lusso, dalle cose antiche e luccicanti, rifletteva in quella creatura una parte di lui che per anni aveva tentato di dimenticare. In più amava riempire la bambina di glitter rosa, proprio per rendere onore al suo nome.
Jace osservò che anche in quel momento Darya era piena di brillantini ed era impossibile non vederla, con i suoi liscissimi capelli scuri raccolti in due trecce e la sua pelle dello stesso colore di quella di Magnus.
Osservò la scena per qualche minuto e infine decise di posare il figlio – ancora in braccio a lui – e alzarsi per aiutare Maryse, palesemente in difficoltà, con la nipote ai suoi piedi e l'enorme vassoio in mano.
A salvare la situazione fu però Max: chiamò infatti la sorellina a sedersi accanto a lui, attirandola con un vortice di glitter che gli usciva dalle dita blu, facendola ridere. Crescendo, Max era diventato uno stregone degno di suo padre e, anche alla sua giovane età, era in grado di compiere magie impressionanti, che solitamente servivano semplicemente a far divertire la sorellina o i cugini.
Spesso Jace e Clary, quando volevano qualche momento di intimità, portavano i bambini a casa di Magnus e Alec, dove il piccolo Max riusciva a tenerli buoni con la sua magia luccicante: impresa non da poco, considerando che tutti i suoi cugini erano Shadowhunters scalmanati.
Al contrario, suo fratello Rafe era diventato un ragazzo molto timido, anche se bravissimo nel combattimento e con l’arco, come il padre.
Jace guardò con affetto anche lui: spesso loro due si trovavano da soli, quando il ragazzo andava da lui per chiedergli consigli per migliorarsi nell’addestramento, ma soprattutto – cosa che lo metteva evidentemente in imbarazzo e che invece faceva divertire lo zio – consigli sulle ragazze.
Ovviamente lui era sempre felice di fornirglieli, soprattutto questi ultimi, nonostante fosse continuamente messo in difficoltà da Magnus e Alec, che solitamente interrompevano le loro “sedute” non approvando i metodi che lo zio suggeriva.
E in quel momento un pensiero si affacciò alla mente di Jace, che portò istintivamente le sue labbra a distendersi in un ghigno: era tempo di vendicarsi.
Ma la vendetta, si sa, è un piatto da servire freddo, quindi decise semplicemente di aspettare e di cogliere il momento giusto, che sicuramente sarebbe presto arrivato, conoscendo la sua famiglia.
Doveva solo tenere occhi e orecchie aperte, in modo da potersi inserire con nonchalance nella conversazione: non voleva certo far arrabbiare Alec come al matrimonio di Simon e Izzy.
Il tavolo dei bambini, dal lato opposto a dove era seduto lui, era troppo lontano per cogliere le conversazioni, e comunque Jace dubitava di poter trovare degli spunti accettabili da loro.
Fece allora scorrere lo sguardo sulla sua famiglia, fino ad incontrare quello di Clary.
«Ehi, stai bene? Stasera sei strano» gli chiese sua moglie.
«Sto bene, stavo solo… pensando» rispose lui, cercando di fare la sua solita faccia da innocente che funzionava con tutti. Si era dimenticato del fatto che con quella espressione non era mai riuscito ad ingannare lei, però.
«Non me la racconti giusta… Cosa stai architettando?» Clary lo guardò sospettosa, ma Jace si limitò a fare spallucce e lei, dopo essere rimasta a fissarlo per un altro lungo attimo, riprese a parlare con Simon, seduto al suo fianco.
«Zio! Zio Jace!» sussurrò una voce ad un certo punto, e l’interessato si guardò intorno per capire chi lo stesse chiamando.
Rafael si era furtivamente avvicinato dietro di lui, per parlargli.
«Ehi, Rafe!». Si girò verso il nipote, dando le spalle alla moglie, sperando non ascoltasse la conversazione.
«Ti ricordi di quella ragazza di cui ti avevo parlato? I tuoi consigli hanno funzionato! Però papà Alec non mi permette più di vederla perché dice che sono troppo giovane per avere una fidanzata» spiegò il ragazzo, in fretta.
«Ora però non girarti, ci sta guardando male» aggiunse poi, notando lo sguardo assassino che lo zio stava per rivolgere al parabatai.
Ecco qui l’occasione che stavo aspettando” pensò Jace alla fine, dopo mezzo minuto di indecisione. “Grazie, Rafe”.
«Capisco. Tu torna a mangiare tranquillo, qui ci penso io» gli promise, liquidandolo con un gesto della mano.
Subito dopo si girò e si schiarì la voce.
«ALEC!» gridò.
Si voltarono tutti a fissarlo, preoccupati che fosse successo qualcosa di grave, tranne i bambini che continuarono a giocare come niente fosse.
«Ti sembra questo il modo di educare tuo figlio?» esordì serafico, una volta ottenuta l’attenzione di tutti, incrociando le braccia al petto.
Il diretto interessato arrossì leggermente. «Che ho fatto di male, scusa?».
«Non è mai troppo presto per avere una fidanzata» ghignò il biondo. «Questa cosa che impedisci alla gente di darci dentro sta diventando un’ossessione. Non è che sei sessuofobico?».
Alec arrossì fino a diventare dello stesso colore dei capelli di Clary, proprio mentre Magnus esclamava: «Fidati, non lo è!».
Simon cercò di trattenere una risata, confermando però quello che aveva detto Magnus, probabilmente ripensando alla scena che si era trovato davanti la mattina in cui aveva trovato Max all’Accademia.
Julian e Emma si scambiarono uno sguardo interrogativo.
«Voi non… io… insomma, sto solo cercando di…» cominciò a dire Alec, ma il suo parabatai lo interruppe subito.
«Di fare quello che hai cercato di fare con Simon e Isabelle? Vuoi che ti ricordi com’è andata a finire?». Jace si scambiò un’occhiata complice con Simon, ed entrambi scoppiarono a ridere.
«JACE HERONDALE» gridò Alec, con la voce particolarmente acuta.
I due compari, ormai complici, scoppiarono a ridere ancora di più sentendo di quante ottave era salito il tono del ragazzo.
«Avevi promesso che non avresti più tirato in ballo questa storia!» continuò quest’ultimo, visibilmente sconvolto.
«No, invece. Tu mi avevi chiesto di non farlo, ma non una promessa è uscita dalla mia bocca» precisò Jace, mentre Simon annuiva.
«Per quanto mi costi ammetterlo, ha ragione. Quella volta te ne sei andato prima ancora di sentire la nostra risposta» gli diede manforte.
«Tu sei… voi… non ci posso… aaaah vi odio!» farfugliò Alec.
Ma nessuno lo stava davvero ascoltando, troppo presi com’erano a sbeffeggiarlo.
«Ah, quel divano era proprio comodo, vero Izzy?» cominciò Simon, guardando però Jace, che non attese una risposta prima di rivolgersi alla sua metà.
«Oh Clary, ma te lo ricordi? Era proprio della misura perfetta per noi!» esclamò quindi il biondo, imitando il suo amico.
Strano come la vita può sorprendere. Nessuno dei due avrebbe mai pensato che sarebbero finiti così.
«Oh per l’Angelo, Jace! Non abbiamo fatto nulla di che su quel divano! Piantala con sta storia e lascia stare Alec» intervenne Clary, voltandosi poi verso il suo migliore amico scoccandogli un’occhiataccia «E anche tu, Simon, smettila di dargli corda!» lo riprese, tirando un pugno sulle braccia a entrambi, tanto per ribadire il concetto, ma allo stesso tempo arrossendo.
Jace si portò una mano al petto, fingendosi offeso. «Non abbiamo fatto nulla di che?? Stai scherzando? Non ti ricordi, è stata la prima volta che abbiamo provato a…».
«Solo perché sono consapevole di essere invecchiata e che voi siate tutti adulti e con dei figli, non significa che io voglia sapere i dettagli delle vostre vite. E soprattutto non ho nessuna intenzione di sapere che diamine avete fatto su quel divano!» esclamò perentoria Maryse, con il suo solito tono autoritario e glaciale che negli anni non aveva mai abbandonato.
D’altronde con una famiglia così…
Jace e Simon dovettero ammettere di essersi completamente scordati della sua presenza e del fatto che non conoscesse nulla al riguardo: adesso, invece, a causa loro un’altra persona sapeva cosa avevano fatto ad Alec.
Erano consapevoli di doversi quantomeno dispiacere della cosa, ma, al contrario, i due si lanciarono uno sguardo complice e scoppiarono a ridere di nuovo sotto gli occhi di un’esasperata Clary.
Questa volta le loro risate ebbero breve durata, però.
«Io voglio sapere cosa avete fatto tu e mamma sul divano di zio Alec» disse all’improvviso una vocina, proveniente da dietro di loro.
Ora sì che sono nei guai” si ritrovò a pensare Jace, nel silenzio carico di tensione che seguì l’intervento.
Si girò e ritrovò Celine, che lo stava guardando con i suoi grandi occhioni innocenti.
“Così piccola eppure così abile a comparire all’improvviso e ad infilarsi nei discorsi più disparati. Se non fosse un pessimo momento, potrei anche essere orgoglioso di lei” pensò.
Sua moglie si sporse verso di lui e gli sussurrò un impercettibile “Sei morto” nell’orecchio, mentre Jace cercava inutilmente di trovare qualcosa da dire.
«Beh, ecco… Noi stavamo… ehm… giocando» disse, senza incrociare lo sguardo di sua figlia. Quella bambina era talmente sveglia che a volte gli metteva paura.
«Giocando?» ripetè la piccola, sospettosa, senza togliere gli occhi dal papà.
«Sì ecco. Noi stavamo giocando a… a…» continuò allora, visibilmente in panico ora.
«A carte!» intervenne Clary, dicendo d’istinto la prima cosa che le veniva in mente.
Jace scosse la testa: probabilmente quella risposta era stata frutto del suo inconscio cresciuto in un mondo mondano che ogni tanto riaffiorava, perché gli Shadowhunters non giocavano a carte.
E, soprattutto, lui non giocava a carte. Non ne era mai stato capace.
«Gli Shadowhunters non giocano a carte» rise Celine, praticamente leggendogli nel pensiero. «Gli Shadowhunters combattono i demoni!». Lo disse con così tanta determinazione che fece sorridere il genitore, mentre si adagiava la figlia sulle ginocchia, fiero di lei.
«Beh, tuo padre non sa giocare a carte, per cui mamma glielo stava probabilmente insegnando» intervenne Alec, sogghignando soddisfatto.
«Papà non sa giocare a carte?» chiese la bambina, incredula, voltandosi a fissarlo.
Jace si sentì sprofondare: Alec aveva giurato che non lo avrebbe mai raccontato a nessuno.
«CHE COSA?» esclamò Simon forse un po’ troppo sconvolto dalla notizia, seguito a ruota da Magnus.
«Jace Herondale non sa fare qualcosa?» chiese allora Emma, stupita. «Questa me la segno!» disse poi, divertita. Clary scoppiò a ridere e diede il cinque alla sua amica.
Jace pensò alla sfortuna che aveva avuto: c’era una sola cosa che non sapeva fare e il suo parabatai era anche riuscito a scoprirla, per poi diffondere la notizia.
Li maledì tutti quanti in silenzio.
Celine sembrò riprendersi dallo shock della rivelazione alla fine, perché saltò giù dalle ginocchia del padre e si mise a correre verso gli altri bambini, per informarli della cosa, probabilmente.
E infatti poco dopo li sentirono tutti sussultare, prima che qualcuno – la solita Celine – urlasse da una parte all’altra della sala.
«Non ti preoccupare, papà! Ci pensiamo noi ad insegnarti!» e detto questo si mise subito a correre per l’Istituto, rovistando nei cassetti alla ricerca del mazzo da gioco, finendo solamente con il rovesciare sul pavimento tutte le vecchie carte dei tarocchi dipinte da Jocelyn anni prima, che Clary aveva deciso di conservare.
«CELINE LUCIE HERONDALE! SMETTILA SUBITO!» la sgridò allora Jace.
Sua figlia, però, lo ignorò bellamente e riprese a correre ovunque, per finire quello che aveva iniziato. Poco dopo anche il piccolo Will si alzò dal suo posto, andando in aiuto della sorella.
Jace scosse la testa e incrociò lo sguardo del parabatai, ma, prima che potesse dire qualcosa, un’altra vocina lo interruppe.
«Zio Jace, ma quindi perché papà Alec non vuole che tu e zia Clary giochiate a carte sul divano?» chiese Darya, comparsa magicamente dietro di lui.
Ma perché i bambini sono così silenziosi?” si chiese Jace, esasperato. “Compaiono ovunque e sentono quello che non dovrebbero sentire”.
«Perché… beh, perché le carte sono andate tutte in giro sul divano e si sono infilate tra i cuscini, quindi non si riuscivamo più a trovarle» cercò di dire Jace, pur sapendo essere una scusa debolissima.
«Ma il divano era grande?». Darya lo guardò con i suoi occhi scurissimi e curiosi.
«Eh sì, era molto grande» confermò allora, non sapendo cos’altro dirle.
«Ho capito perché papà Magnus vuole i divani piccoli! Io glielo chiedo sempre di prendere un divano enorme così possiamo starci seduti tutti insieme, ma lui dice che preferisce controllare chi si mette sul suo divano e quindi lo prende piccolo piccolo» disse la bambina, con voce triste.
Ah, chi lo avrebbe detto che Magnus sarebbe stato così furbo!” pensò Jace, decisamente divertito.
«Non preoccuparti, Darya. Te lo prende lo zio Jace un divano nuovo enorme, okay? Probabilmente prima o poi potrebbe tornare utile anche a tuo fratello, magari è un vizio di famiglia» ghignò lui, guardando Alec che per poco non cadde dalla sedia.
A quel punto però si intromise Magnus.
«Quel divano sparirà velocemente da casa mia. Se oltre a mio figlio, venisse qualche strana idea anche a qualcun altro… non voglio pensare a cosa farebbero quei disgraziati di oggi alla mia principessa.»
“Il solito esagerato” sbuffò Jace prima di voltarsi sconsolato verso la porta, che aveva sentito aprirsi.
«Nonno Luke! Nonna Jocelyn!» esclamò Celine, correndo incontro ai nuovi arrivati. «Ma lo sapete che papà non sa giocare a carte?»
A quel punto tutti si misero a ridere, Jocelyn compresa, e si chinò per dire qualcosa alla nipote che Jace non riuscì a cogliere perché qualcuno lo afferrò per la spalla.
«Dovete smetterla di arrivarmi alle spalle!» esclamò frustrato.
Si scoprì essere Isabelle, questa volta, e la sua espressione non prometteva niente di buono.
«Alloora…» iniziò. «“Giocare a carte”, eh? È così che si dice, adesso? Devo essere rimasta un po’ indietro».
Entrambi i fratelli – il maggiore e quello acquisito – la guardarono scandalizzati per mezzo secondo, ma nessuno le disse più niente: erano abituati alle sue allusioni, dopotutto.
Jace decise di ignorarla, distogliendo lo sguardo da lei - se le avesse dato corda non voleva pensare dove sarebbe andato a parare il discorso –, stufo di farsi prendere in giro per questa storia.
Doveva essere Alec quello a disagio, non lui.
Decise, allora, di concentrare la sua attenzione sul bicchiere di vino che si era appena versato.
Ad un certo punto, la limpidissima vocina di Rose risuonò per tutto l’edificio.
«Ehi Will! Vieni a giocare a carte con me sul divano?» disse, e Jace giurò di aver appena visto Julian Blackthorn strozzarsi con il vino.

 




 

HELLO SWEETIES!

Avrà senso cambiare le note, a questo punto? Boh, fa niente.
Informazione generale: sì, se qualcosa non vi torna non siete pazzi, è vero.
Io e Giada abbiamo modificato – di nuovo – la storia per adattarla al nuovo mondo creato.
Niente di drastico, abbiamo solo messo a posto i nomi dei figli dei 10 anni dopo, così che fossero in linea con la ff di FrancescaPotter.
(piccolo spazio spam: se non l’avete ancora fatto, leggetela! Vi lascio qui il link ->
https://efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3693536&i=1 )
Ci sembrava giusto fare questa modifica, dato che originariamente questa era il nostro regalo di natale per lei.
Ora che i bimbi sono nati e consolidati, questa storia per essere accurata andava sistemata, so here we are!
Per il resto, la prima parte della ff è sempre uguale e io mi sono dilungata fin troppo in chiacchere, come al solito.
Spero vi piaccia e spero di essere riuscita a farvi ridere, così come abbiamo riso noi mentre la stavamo scrivendo.
Se volete, fatemi sapere che ne pensate.
 
Love, Rebs <3
   
 
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