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Autore: Novizia_Ood    26/12/2016    5 recensioni
Sherlock è sempre stato bravo ad osservare, ma quando si tratta di sentimenti è sempre il primo a mettersi dei grossi veli sugli occhi pur di non ammettere a se stesso di essere degno d'amore. E innamorarsi di John Watson era stata la cosa più stupida che avesse fatto in vita sua.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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All I do

 

 

C’era un modo per smettere d’amarlo?

 

Non era stato semplice ammettere a se stesso di amare il suo migliore amico; non era stato semplice ammettere di provare qualcosa per qualcuno, soprattutto per una delle uniche persone che riteneva pieno di buone virtù e di coraggio. 

Innamorarsi di John Watson era stata la cosa più stupida che avesse fatto in vita sua. Ma da un lato non riusciva a biasimarsi del tutto. Ora che ci ripensava, si diceva che era stato inevitabile.

Guardarlo da lontano e ritrovarsi ad ammirarlo di nascosto avrebbe dovuto già dirgli qualcosa anni prima e invece era stato volutamente cieco, così che quei sentimenti montassero in lui fino a sfociare in una violenta cascata dopo il matrimonio con Mary Morstan. Era stato doloroso, parecchio. Talmente doloroso che non avrebbe mai pensato di superarlo né di riuscire a stargli lontano.

In quei giorni era stato difficile non avvicinarsi e non ricercare il contatto. E Sherlock non amava il contatto fisico, con nessuno. Addirittura con sua madre non riusciva a sentirsi a suo agio in un abbraccio, anche breve come quello che serve per il tempo di un saluto. Niente.

Eppure con John sembrava sempre di essere al posto giusto nel momento giusto: accanto a lui. 

Sherlock non aveva idea di cosa fosse il sistema solare, di quale pianeta fosse più vicino e di quale fosse più lontano dal sole, ma di una cosa era certo: lui ruotava intorno a John.

E John non ruotava intorno a lui.

Lui era meravigliosamente splendente nella sua irraggiungibilità e se solo Sherlock avesse provato ad avvicinarsi di più, probabilmente ci sarebbe caduto dentro e sarebbe rimasto carbonizzato.

Non doveva e non poteva. 

Lo avrebbe fatto volentieri, magari per annullarsi, magari per non portare più il peso di ciò che sentiva, per renderlo reale agli occhi di tutti. Avrebbe fatto meno fatica, sicuramente. E invece era lì, a pizzicare le corde del suo violino mentre lo guardava seduto davanti a sé sulla poltrona rossa. Probabilmente John non si era accorto di come lo stesse fissando con insistenza oppure dava per scontato che si fosse semplicemente incantato. Ma se solo avesse alzato quei maledetti occhi su di lui sarebbe stato in grado di capire che quelli di Sherlock si spostavano, seguendo il profilo del suo viso. Sherlock era partito dalla fronte, pizzicando con le dita lunghe, tra l’indice e il pollice, la corda del ré; era sceso sugli occhi, sfiorando la corda del lá; il naso, la corda del sol; le guance con quella del mi.

Scendendo sempre più giù con gli occhi e con le mani sullo strumento.

Quando il suo sguardo si fermò sulle sue labbra - tirate in una linea a causa dell’espressione seria e forse preoccupata, Sherlock poteva dedurlo da come fosse leggermente inclinato sul giornale poggiato sul bracciolo e dalla sua fronte appena corrugata - il suo pollice si fermò ad accarezzare il ponticello. 

Tutte le corde passavano per lì. 

Gli bastava guardarlo negli occhi, guardare il profilo del suo naso o il rossore sulle sue guance a causa del freddo londinese, per immaginare le sue labbra. Ed erano giorni che ormai, anche tutto ciò che non fosse una parte del suo corpo, lo riportava con la mente alle labbra di John.

Il té la mattina, il lato destro del suo letto vuoto, la sua poltrona.

Quella stessa casa.

La famiglia Harvey ancora a piede libero. Nemmeno un passo falso? - recitò il dottore mentre manteneva le pagine del giornale con due mani, sguardo fisso sulle scritte. Mai su quello di Sherlock. Perché? - Allarmismi per nulla!” Esclamò con un piccolo sbuffò che gli uscì dal naso. 

Sherlock assottigliò gli occhi, questa volta tornando a focalizzarsi su altre parti della sua faccia - con un dito sfiorò la corda del lá. Guardami John, risuonava in quella sottile vibrazione. Ma lui non guardò.

“È veramente assurdo” continuò commentando l’articolo che pian piano stava leggendo, abbassando sempre di più il mento man mano che arrivava al fondo della pagina. Sherlock avrebbe voluto sfiorarglielo per alzargli la testa. Guardami. “Non ti infastidisce mai?” Aggiunse con una piccola risata, alzando finalmente lo sguardo su quello del suo ex coinquilino. 

“Sono spesso infastidito, ma in questo momento non riesco a cogliere a cosa tu ti stia riferendo.” Lo stava guardando in quel momento, ma non lo stava osservando, non lo stava vedendo. 

 

Sembri triste, quando pensi che lui non riesca a vederti. 

 

Oh se lo era. 

John infierì sorridendo ancora di più e Sherlock si ritrovò a sfiorare involontariamente il ponticello di legno. “Il fatto di avere la soluzione in pugno, ma di non poterla ancora provare del tutto e quindi di dover leggere certe stupidaggini su di un giornale!” Sherlock riuscì a riconoscere un tono frustrato tra quelle parole. 

Tante volte aveva pensato d’avere la soluzione in pugno, tante volte aveva pensato che John potesse effettivamente vederlo e tantissime volte non era riuscito a provarlo, perché magari era solo stata la sua sciocca immaginazione che, combinata con il suo forte desiderio, pensava di poterlo illudere a quel modo. 

“Sì, è molto frustrante.” Commentò più seguendo il filo dei propri pensieri che di quelli di John. Con un gesto veloce lasciò andare il suo violino, non voleva più toccarlo, aveva bisogno di lasciarlo. Si alzò sulle gambe traballanti e si avvicinò al tavolo per riporlo nella sua custodia con cura. 

Lo avrebbe ripreso quando ne avrebbe sentito il bisogno. 

“Sherlock, penso tu debba dormire.” Il tono di John ora era molto più morbido e il rumore del giornale che scivolava sul tavolino fece capire al detective che lo avesse posato e che ora gli stesse fissando le spalle, attendendo che si voltasse nuovamente verso di lui.

“Sono solo le sette di mattina.” Rispose senza girarsi, ma guardando fuori dalla finestra. La strada era quasi libera se non fosse stato per un taxi e un pullman.

“Ma sono circa 18 ore che non dormi per questo caso - il suo tono non era cambiato, ancora pacato e e dolce. No, forse quella era ancora la sua immaginazione, forse era semplicemente il tono che utilizzava con i suoi pazienti ogniqualvolta doveva suggerir loro di fare qualcosa senza però farlo apparire come un comando. - Dovresti riposare, almeno un’ora.” Aggiunse piano.

“Le hai contate davvero?” E si voltò verso di lui, con la speranza nel cuore e l’incredulità dipinta in viso, in modo che almeno quella riuscisse a vederla. 

“Sono più o meno le stesse ore che ho fatto anche io…” puntualizzò con un sottile sorriso. Anche quello poteva essere uno scherzo della sua immaginazione. Era solo lui a vedere quanto John provasse a restare sveglio quando erano nel mezzo di un caso? Avrebbe potuto lasciare Sherlock da solo la notte, per andare a riposarsi dopo le corse fatte e i pericoli scampati per un pelo. E invece no. 

John era sempre maledettamente sveglio a guardarlo mentre andava avanti e indietro per il salone; ad ascoltarlo mentre deduzione dopo deduzione arrivava alla soluzione del caso o almeno ad uno snodo importante; a dire la propria anche se a volte sapeva benissimo di dire stupidaggini, ma quello era il suo modo di stargli accanto. E Sherlock tutte quelle cose le sapeva, le vedeva, ma temeva di interpretarle male. Sempre. Perché non poteva essere assolutamente ciò che credeva. 

“Vai a riposare.” Disse Sherlock con un sospiro e sospirò anche l’altro.

“Non ti ho chiesto di andare a dormire perché voglio farlo io. Se c’è lavoro da fare lo facciamo, ma qui adesso non c’è niente. Lo hai detto anche tu che dobbiamo aspettare solo i risultati dal laboratorio per confermare. - Fece una pausa guardandolo negli occhi pur di convincerlo, certo perché era quella la motivazione - Confermare, Sherlock. Non devi capire più niente adesso, il caso è chiuso.” Provare a ragionare come con un bambino era ciò che a John veniva meglio quando era così ben disposto, cosa che accadeva raramente. A volte aveva pazienza, ma con la mancanza di sonno la perdeva tutta. 

“Puoi tornare a casa, allora. Mary e Rosie si staranno chiedendo-” ma John lo interruppe alzandosi dalla poltrona con uno sbuffo. Sì, la sua pazienza si era appena esaurita.

“Andiamo” disse solo, con tono fermo e un cenno del capo verso il corridoio oltre la cucina. Sherlock rimase a fissarlo con gli occhi assottigliati. Quella non l’aveva capita.

“Dove?” Domandò scuotendo appena la testa e facendo spallucce. 

“A dormire, avanti.” L’incitò lui allungando una mano verso di lui.

“Appena te ne andrai uscirò da quella stanza, lo sai vero?” Non c’era assolutamente verso di metterlo a letto e poi andarsene sperando che rimanesse lì a farsi una bella dormita in tutta tranquillità. Non esisteva. 

“Chi ti ha detto che uscirò da quella stanza?” E la mente di Sherlock divenne completamente vuota, i suoi pensieri si ammutolirono tutti d’un botto. Per la prima volta si era completamente bloccata. Nemmeno era in grado di mandare stimoli ai propri muscoli per muoversi.

Immobile, rimase a guardarlo.

“Sherlock?” Erano forse passati più secondi di quelli che credeva. Batté le palpebre più volte, cercando di riprendere il controllo del proprio corpo e ancora più piano quello della sua mente. E dopo qualche altro secondo riuscì a sentire la mano di John stringergli l’avambraccio e tirarlo appena, come per svegliarlo. Prima che potesse rispondere, l’altro gli afferrò il mento e glielo abbassò di qualche centimetro per guardarlo meglio. “Hai gli occhi rossi e secchi. Immagino brucino al momento, vero?” Domandò, sapendo già la risposta, ma ciò che non sapeva era che anche l’avambraccio di Sherlock, a quel contatto, stava bruciando come non mai.

Il sole non si tocca è una regola per un motivo.

Si ritrovò ad annuire e basta.

John allungò l’altra mano e gliela posò sul viso per alzargli una palpebra e dare un’altra occhiata. Ora sì che gli occhi gli bruciavano fortissimo. Non riusciva nemmeno più a guardarlo così vicino.

Il medico sospirò pesantemente guardandolo in viso e lasciando cadere entrambe le braccia lungo i propri fianchi. 

“Andiamo a letto. Per favore, non farmelo ripetere più.” Disse autoritario, ma con un tono stanco e disperato nella voce al quale Sherlock non riuscì a ribattere né tantomeno a dire di no. Abbassò lo sguardo e, sbottonandosi il bottone della giacca, si avviò verso la propria camera, sentendo John sussurrare un flebile “Grazie” mentre si muoveva per seguirlo a ruota. 

Entrarono in stanza e John si richiuse la porta alle spalle nel momento stesso in cui Sherlock si sfilò la giacca e andò ad appenderla nell’armadio. Si sfilò le scarpe e, senza nemmeno decidere di spogliarsi per mettersi il pigiama, si infilò sotto le coperte, voltandosi dal lato della porta.

John sospirò ancora, perché lo sapeva che quello era il suo modo di ribellarsi a ciò che lui gli aveva chiesto, ma per quello che valeva, a lui andava bene che eseguisse i suoi ordini anche in quella scombinata maniera. Tutto a patto che dormisse. Lui fece il giro della stanza andando a posizionarsi dalla parte sinistra del letto, sfilandosi le scarpe anche lui, ma restando poi sopra le lenzuola pulite. Non aveva freddo e non sentiva l’esigenza di coprisi, a differenza di Sherlock che aveva tirato il lenzuolo bianco fin sotto il mento.

John si appoggiò con le spalle alla testiera scura del letto e poi incrociò le braccia, cominciando a guardarsi intorno sperando di prendere sonno da un momento all’altro. Ma non ci riuscì. Né lui né Sherlock per almeno mezz’ora dopo essere saliti su quel letto. 

Sherlock si sentiva troppo vicino al sole e John… e John Sherlock non lo sapeva perché fosse ancora sveglio.

“Solo perché sei girato dall’altro lato non significa che io non mi accorga che tu non stai dormendo veramente.” Disse a voce bassa, con le braccia ancora incrociate e il viso rivolto alla sua destra dove giaceva Sherlock, più che seccato ormai. 

“Solo perché siamo a letto non significa che io abbia sonno.” Ribatté fintamente annoiato. Forse era così raro, ultimamente, per lui passare del tempo con John che avrebbe ritenuto uno spreco di tempo dormire in sua presenza. Voleva parlare senza dire nulla veramente; voleva essere ascoltato e voleva ascoltare, guardarlo, sentirlo

E invece era lì, di spalle. 

“Girati” disse John, ma Sherlock non si mosse. Il dottore si lasciò scivolare lungo la testiera del letto fino a stendersi, con un gomito puntato nel materasso e voltato verso il suo amico. “Sherlock…” 

E se il sole chiama, se il sole ti permette di riscaldarti con il suo calore, se ti permette di guardarlo senza bruciare allora sei obbligato a coglierne l’occasione. 

Ci volle un movimento rapido e fluido per permettergli di trovarsi voltato verso di lui, senza essere completamente al suo livello. Lui era poco più in alto, con il braccio appoggiato nel materasso per mantenersi la testa. 

Sherlock aveva un solo cuscino nel suo letto, quindi John probabilmente si sarebbe dovuto arrangiare. 

“C’è qualcosa che ti turba?” E poi succedeva quello. Ed era fastidiosissimo.

Perché John era capace di non capire l’indizio più idiota del mondo - robe che anche un bambino di 10 anni sarebbe stato in grado di capire - era in grado di essere la persona più lenta a pensare tra tutti i presenti, ma quando si trattava di lui gli bastava poco per accorgersi di qualcosa di immenso. E puntualmente scopriva le sue carte, quelle che cercava di tenere coperte anche a se stesso.

“Questa deduzione viene dal fatto che io non riesca a prendere sonno? Dopo due anni di convivenza ti stupisci ancora?” E quelle parole scelte erano state meschine da parte di se stesso, perché gli piaceva ancora l’idea di essere stato il suo coinquilino. 

“Deriva dal fatto che ti sei ammutolito prima, sembrava che non mi ascoltassi nemmeno e che ora mi sembri infastidito.” Confessò. Ed effettivamente sì, Sherlock probabilmente aveva mandato quei messaggi, ma sempre involontariamente. 

“Mi stupisco che tu possa pensare che qualche volta ti ascolto” quelle parole volevano essere irritanti, ma al contrario di ogni aspettativa, John rise piano, facendo vibrare appena il letto sotto di lui. Una vibrazione che arrivò anche a Sherlock. 

“Hai ragione, sono un idiota.” Riuscì a tornare serio in pochi secondi. “Ma se ti do fastidio qui dentro, mi dispiace. Non volevo invadere la tua privacy, solo… farti dormire.” 

Oh, John.

“Obbligarmi a dormire, che è diverso.” Corresse guardandolo ancora dal basso. A quel punto però probabilmente il braccio di John cominciava a perdere stabilità, perché lo allungò sotto l’orecchio e ci si appoggiò sopra abbassandosi, questa volta risultando più basso rispetto a Sherlock.

“È che sono molti giorni che… - non mi prendo cura anche di te, avrebbe voluto dire e Sherlock non lo sapeva, non lo avrebbe saputo. - Sempre dietro a Mary, alla bambina e quindi volevo-”

“Non mi devi niente, John.” Lo interruppe non appena colse la nota di colpevolezza nei suoi occhi. Quelli brillavano anche al buio della stanza con le serrande chiuse. 

“Lo devo a Mycroft. Quel giorno sulla pista di atterraggio gli ho promesso che ti avrei tenuto d’occhio anche per lui.”

“Probabilmente intendeva le droghe e non ne sto facendo uso da un bel po’. Puoi stare tranquillo se è questo che ti spaventa.” Ne era davvero spaventato John? 

“Tu pensi che intendesse quello?” Gli domandò retoricamente. 

“E cos’altro?” Certo, perché Sherlock non lo aveva guardato suo fratello negli occhi percependo un po’ di paura e nel sapere che l’unica persona che ci tenesse a lui, quanto suo fratello (se non di più), fosse proprio John. 

“Intendeva di tenerti d’occhio, in tutti i sensi. Stare attento che tu dorma, che tu mangi, che tu non ti faccia risucchiare eccessivamente da alcuni casi solo per sfogare la mente e che non ti cacci in guai troppo più grossi di te.” 

“Temo proprio che l’abbia interpretata solo tu un questo modo.” Non sorrise a quelle sue stesse parole, ma affondò forse di più la testa nel proprio cuscino mentre John si rialzava di nuovo sul gomito. Stava chiaramente scomodo in quella posizione.

“Si vede che volevo interpretarla così.” Disse con un piccolo sospiro a cui Sherlock rialzò gli occhi per guardarlo. 

“Sono un adulto, John. Non sono certo tuo figlio né il tuo fratello minore.” L’idea che lui potesse vederlo in quel modo era qualcosa che lo scombussolava parecchio, perché non poteva e non doveva essere così; c’era già Mycroft a farlo sentire insufficiente.

“Lo so benissimo, ma evidentemente mi piace pensare che tu abbia ancora bisogno di me.” Sciocco, idiota, stupido John. Sherlock avrebbe avuto sempre bisogno di lui, anche quando non lo dava a vedere; anche quando alle soluzioni dei casi ci arrivava da solo dopo aver parlato per due ore di fila; anche quando non ce n’era veramente bisogno, lui aveva bisogno di John. “Non vorrei essere lasciato indietro per nessun motivo al mondo, capisci?” 

“Come potrei lasciarti indietro?” Chiese Sherlock guardandolo ancora. Le mani chiuse nei pugni a stringere le lenzuola ora poco più sotto del proprio collo.

“Lo hai fatto tantissime volte, soprattutto con i casi. Vai sempre avanti, sempre da solo.” Fece una pausa per scivolare di nuovo con la testa sul materasso, le braccia ora incrociate dietro la testa e a pancia in su. “Sei così veloce a cancellare le cose dalla tua mente che-”

“Non potrei mai cancellarti, John.” L’interruppe tanto bruscamente che il dottore si voltò a guardarlo di scatto. Sherlock sarebbe stato un illuso anche solo a pensare di poterlo mai dimenticare o lasciare indietro. “E tutte le volte in cui io ti ho lasciato indietro, l’ho fatto perché saresti stato in pericolo e non volevo, assolutamente, coinvolgerti.” Anche essere lì in quel momento per Sherlock voleva dire mettere John in pericolo, perché non era quella la casa che lo aspettava e non era quella a cui lui aspettava di tornare. Non era Sherlock la persona che amava e con cui voleva condividere il resto della vita.

“Non ti ho cancellato nemmeno io.” Disse all’improvviso John, avvicinandosi pericolosamente al cuscino di Sherlock. Stava cominciando a prendere fuoco. “Per questo sento continuamente il bisogno di starti vicino. E se dovessi allontanarmi di nuovo, io non potrei sopportarlo. Se per starti vicino e per prendermi cura di te dovessi farmi odiare, allora odiami pure.” Quella era una vera e propria bomba lanciata senza il minimo preavviso ed era la più meschina, perché la sua immaginazione stava vagando di nuovo. Molto, troppo lontano. 

“Non riuscirei ad odiarti nemmeno per un momento.” Cosa gli stava dicendo? Lo guardò negli occhi e John sorrise dolcemente. Una consolazione sembrava averla avuta. “Ma potresti odiarmi tu molto presto.” Avvertì.

“Se avessi intenzione di allontanarmi, sì. Ti odierei.” Confessò senza abbassare gli occhi, ma mantenendo il contatto visivo con lui.

“Temo che questa volta sia qualcosa di molto peggio che allontanarti…” pazzo, folle. Cosa stava facendo? Aveva dimenticato la regola numero uno di quel sistema delicato formato da sole e un solo pianeta. Si alzò dal proprio cuscino, quel poco che serviva per chinarsi sul viso di John e posare le proprie labbra sulle sue con delicatezza.  Un bacio a bocca chiusa su quella dell’altro era tutto ciò a cui Sherlock avrebbe mai potuto aspirare, perché non si sarebbe mai preso un permesso più grande di quello. stava già bruciando completamente, dalla punta dei ricci fino a quella dei piedi. 

Quando si staccò, qualche secondo dopo, fu dura riaprire gli occhi, perché la luce di John adesso era fin troppo accecante e probabilmente sarebbe rimasto cieco per qualche tempo prima di tornare a vedere qualcosa. 

Ma quando anche l’altro riaprì gli occhi, inchiodandoli a quelli di Sherlock, non c’era traccia di paura sul suo volto. 

Ce n’era molto di più nell’espressione di Sherlock, perché in quel momento, per la prima volta, stava finalmente accadendo. 

John lo stava vedendo.

“Mi dispiace” sussurrò Sherlock con voce tremante come non si era mai sentito, completamente terrorizzato da ciò che aveva appena fatto. Ma quando John si alzò di nuovo con il busto per baciarlo di nuovo, qualcosa nel suo petto si sciolse per il calore. 

Era lava sotto il tocco di John più esperto e esigente. Le sue mani erano posate sul suo viso e la bocca chiedeva baci a labbra socchiuse, mentre le loro gambe si sfioravano appena al livello delle ginocchia. 

Oh, John.

Perché lo aveva guardato in quel modo e perché lo stava baciando? Quella non poteva essere più la sua immaginazione, ci doveva pur essere un limite per quella. 

Le mani di Sherlock scivolarono lentamente sulle guance dell’altro, mentre quelle di John corsero dietro la sua nuca ad accarezzargli e a stringergli i capelli intanto che provava ad avvicinarlo di più a sé. Ma invece di scendere dal cuscino, Sherlock lo tirò sopra tra un bacio e l’altro, sentendo il materasso abbassarsi per il peso del corpo più vicino al proprio. Scivolarono entrambi più vicini l’uno all’altro e con un gesto involontario Sherlock agganciò con la propria gamba quella di John.

Era troppo vicino, così vicino da essere in grado di sentire quali punti bruciassero come fuoco al contatto con qualsiasi parte del corpo di John.

La gamba destra era in fiamme; la sua nuca era in fiamme; il suo petto lo era e le sue labbra erano ormai un vulcano che il dottore continuava ad accarezzare pericolosamente con la punta della lingua umida. 

Sherlock non gli avrebbe mai permesso di entrare e mai si sarebbe permesso di farlo a sua volta nonostante i baci divennero per un attimo a bocca più aperta e voraci. 

“John…” disse all’improvviso tra un bacio e l’altro mentre lui non aveva assolutamente intenzione di fermarsi, scendendo a baciargli la mandibola. Perché era stato così sciocco da farli eruttare entrambi? Che cosa stava facendo? “Che cosa-”

“Deducilo da solo.” Fu la risposta trascinata e sussurrata sulle sue labbra, mentre con una mano dietro la sua testa si girava e rigirava un preciso riccio attorno al dito. 

Era troppo vicino per guardarlo chiaramente negli occhi, così si limitò a chiuderli e a pensarci intensamente.

“Sono molto confuso al momento, non riesco a pensare.” Confessò con molto imbarazzo, stringendo forte gli occhi, come se spremerli in quel modo gli sarebbe servito a partorire un qualsiasi pensiero di senso compiuto. John si fermò di botto, immobile.

“Non riesci a pensare?!” Ripeté sconvolto. No che non ci riusciva, come poteva trovare il filo dei propri pensieri se correvano tutti così velocemente e vorticosamente in quel flusso di lava? Era impossibile. 

“No.” Rispose stizzito riaprendo gli occhi e a quell’occhiata John tirò via le mani e provò anche a divincolarsi dalla gamba di lui, restando però a guardarlo.

“Scusa” disse subito. Per quanto sapeva che Sherlock amasse la sua testa e il suo genio, la cosa peggiore da fargli era impedirgli di pensare. 

Sospirarono entrambi, ancora con il cuore che batteva veloce, forse all’unisono con l’altro, ma non potevano saperlo. Sherlock non poteva sapere ciò che passava per la testa di John, né in quel momento né mai ci era riuscito. Che la sua immaginazione gli avesse giocato un brutto scherzo? Se John fosse stato sempre lì a guardarlo e a vederlo e Sherlock non si fosse mai permesso di notarlo? Se la paura avesse costruito un muro? E se… la sua mente stava tornando a lavorare, più lucida grazie alla lontananza di John. Ma per un momento Sherlock volle che tornasse vuota di nuovo nonostante non si fosse ancora ripreso dalle ustioni di poco prima. 

“Mi odi.” Parlò Sherlock.

“No, io-”

“Mi odi per non averti detto in due anni che fossi ancora vivo, perché magari adesso saresti ancora qui a vivere con me e al tempo stesso ti odi perché non puoi odiarmi per qualcosa che ho fatto che ti ha permesso di avere una figlia meravigliosa come Rosie.” Nella stanza cadde il silenzio più totale. John era fermo a fissarlo triste in volto e Sherlock per un attimo ebbe paura che potesse alzarsi e andarsene. 

Quando il dottore si sedette in mezzo al letto, prendendosi il viso tra le mani prima di passarle tra i capelli, Sherlock ebbe lo stesso riflesso e saltò a sedere anche lui. 

“John, mi dispiace. Io davvero-”

“Zitto, per favore.” L’interruppe John, forse troppo bruscamente, ma quello bastò a farlo zittire tutto d’un botto. Se si fosse alzato e se ne fosse andato, probabilmente Sherlock sarebbe crollato su se stesso e si sarebbe dato la colpa per tutto quello. “Da quanto tempo avevi questa deduzione pronta?” Chiese.

“N-non era pronta per niente.”

“Beh da quanto lo pensi?” Insisté John guardandolo.

“Da un bel po’ ormai. Che mi odiassi per la mia finta morte penso di averlo capito una settimana dopo il mio ritorno. Direi che essere picchiato e essere mandato a quel paese, numerose volte di continuo, sono stati messaggi più che chiari dopo essere stati sommati insieme. Ma-”

“No, smettila con queste cazzate. Davvero non capisci? Voglio sapere da quanto tempo sai che io sarei voluto restare qui con te.” Sherlock rimase in silenzio e non perché non sapesse cosa dire, ma perché John era sembrato aggressivo per un attimo in quella frase e lui aveva bisogno di rimettere un attimo in ordine i pensieri per non permettergli di fraintendere troppo e si arrabbiarsi.

“Io non lo so, l’ho solo supposto.”

“Sherlock…” e sembrava stesse per scoppiare.

“Che cosa vuoi sentirti dire, John? Dimmelo!” Sbottò Sherlock per primo, finendo a sedersi sui talloni proprio davanti a lui e in quel momento, per rispondere, anche l’altro fece lo stesso, avvicinandosi a sua volta. 

“Voglio sapere da quanto tempo pensi che io sarei voluto restare qui, con te. Da quanto tempo pensi che non avrei voluto abbandonarti così. Perché , cazzo, ti ho abbandonato io. Per quanto io possa essere incazzato con te per quello che hai fatto, io non riesco a non pensare che se avessi avuto la pazienza di aspettare un po’ di più prima di cominciare ad uscire con qualcuno, prima di tornare a casa con una donna o prima anche solo di pensare di potermi innamorare di lei, perché ero ancora innamorato di te.” Fece una pausa perché probabilmente lo sforzo di tirar fuori quelle cose era stato troppo grande. “Da quanto hai capito che avrei preferito starti accanto, piuttosto che con qualcun’altra.” Terminò guardandolo in viso e prendendo un respiro profondo. Sherlock lo guardò di rimando e rimase qualche secondo immobile per registrare tutto quello che gli aveva detto. Forse era troppo per capirlo tutto in una volta, forse ci avrebbe messo settimane o mesi per metabolizzarlo per intero.

“Te l’ho detto, ho solo supposto che volessi tornare a casa, c-cioè qui.” Fece spallucce prima di riprendere subito a parlare. “Ma quel ‘con me’ era sempre stato solo e unicamente una mia fantasia a dir la verità, non ci ho mai creduto veramente. Mi dicevo che forse ti mancavano i tuoi spazi, la tua vecchia vita perché con una figlia non dev’essere tutto sempre rose e fiori. Pensavo che ti mancasse quel senso di leggerezza che avevi quando eri qui. E per quanto io mi sia compreso in tutto questo, in realtà non ho mai pensato veramente che tu volessi tornare qui per me.” Si zittì perché in quel momento per la sua gola sembrava impossibile continuare. Era veramente troppo difficile. Si era bruciato e ora gli mancava la pelle, la protezione, era totalmente scoperto ed esposto ad altro calore, perché john stava bruciando più di qualsiasi altra volta in cui Sherlock gli era stato vicino.

“Tu sei stato la mia casa per anni… come fai a dire che, se volessi tornare, non lo farei per te?” Il suo tono era più calmo adesso, ma lo stesso incredulo e un po’ spaesato.

“Perché era impossibile.” 

“Non per me a quanto pare.” Disse John allargando le braccia e poi posando i palmi delle mani sulle proprie cosce. “Tante volte ho pensato di tornare indietro, mi sono sentito in colpa perché avrei potuto aspettare, ma al tempo stesso non tornerei mai indietro, perché Rosie è la cosa più bella che mi sia capitata, più di qualsiasi altra cosa. È lei la prima.” Sherlock annuì a quelle parole. Non aveva idea di quanto bene John volesse a sua figlia, non poteva nemmeno immaginarlo e lo sapeva, era cosciente dei propri limiti.

“Lo so, mi dispiace per quello che ho fatto. Non avrei dovuto avvicinarmi così a te.” Sicuramente John stava cercando un modo per tirarsi fuori da quella situazione così difficile e dolorosa e per la seconda volta nella mattinata, Sherlock si sentì in colpa. 

“No, Sherlock. A me non dispiace assolutamente.” Disse scuotendo la testa e quello fu in assoluto il momento in cui il detective si sentì più perso che mai. Non riusciva a connettere completamente tutto ciò che John stesse dicendo né dove volesse arrivare e cosa si dovesse aspettare da quella conversazione. 

“A me dispiace e fa incazzare che tu non abbia mai tirato fuori questo argomento, che tu non me ne abbia mai parlato. Perché io e Mary ormai non facciamo che parlare di questo, all’inizio litigavamo anche e parecchio, finché non è stata meno delicata di te nel dirmi le cose come pensava che stessero. Anche lei ci ha impiegato parecchio per dirmelo.” Sospirò abbassando lo sguardo. “Sapevate tutto e non mi avete detto niente. O almeno tu lo supponevi…” si corresse alla fine, con un debole sorriso. 

“Non avevo idea che fossi stato causa di litigi” disse con sincerità Sherlock spostando lo sguardo altrove, troppo preoccupato per potersi permettere di aspettare di incrociare gli occhi di John.

“Di parecchi in realtà. Fino a che tre settimane fa non abbiamo capito che fosse assolutamente inutile andare avanti così. Ecco perché riesco a stare così dietro i tuoi casi ultimamente…” 

“Beh, qui sei tu che non mi hai detto delle cose.” Sherlock tornò a guardarlo questa volta.

“Certo, te lo avrei detto e poi? Pensavo che avresti dedotto qualcosa da lì. Ovviamente mi sbagliavo… lo avevi già fatto.” John si permise di allungare una mano verso quella di Sherlock e lui si lasciò prendere senza fare troppe storie.

“Hai detto che eri innamorato di me…” disse lui, fissando gli occhi sulle proprie mani unite che ora stavano intrecciando le dita tra di loro. 

“A detta di Mary, in realtà, lo sono ancora.” Confessò accarezzandogli il dorso della mano con il pollice. Sherlock era completamente frastornato. Si era chiuso così tanto nel suo muro di paure che non era stato in grado di vedere oltre, probabilmente l’ovvio.

Era così concentrato sul fatto che John non lo vedesse, da non vedere lui stesso John.

“E-e a detta tua?” Domandò guardandolo di nuovo. Ora aveva assoluto bisogno di capirlo meglio. John sorrise prima di incrociare il suo sguardo.

“Davvero non lo vedi, Sherlock?” Inclinò leggermente la testa da un lato e per la prima volta un Holmes si sentì stupido alla presenza di qualcun altro. Per John sembrava tutto così ovvio, mentre lui faceva fatica a trovare i sentimenti in se stesso, figurarsi nel trovarli negli altri. 

E forse John non bruciava solo come intendeva Sherlock, ma bruciava per lui. E, oh. Adesso sì che lo vedeva. Tutta la lava che aveva sentito scorrere nelle vene al posto del sangue, non era completamente sua. Apparteneva a John. Erano stati in due ad esplodere, erano stati in due a gravitarsi intorno e poi a scontrarsi con le più grandi esplosioni possibili. Ed era stato meraviglioso.

Più sicuro con quel pensiero, Sherlock deglutì prima di avvicinarsi di nuovo al viso di John, guardandolo negli occhi finché il suo sguardo non gli cadde sulle labbra. Avrebbe voluto accarezzarle e avrebbe voluto toccare tutte le corde giuste per farlo vibrare e comporre una musica che solo lui sarebbe stato in grado di suonare correttamente. Ma ora per lui John era un nuovo strumento, uno sconosciuto e familiare insieme. Era strano, ma aveva bisogno di cominciare da qualche parte, così allungò una mano sul suo viso e con un pollice gli accarezzò il labbro inferiore guardandosi con attenzione mentre lo faceva. Era davvero così morbido quel ponticello? Era anche caldo e umido, era umano. 

Lo baciò di nuovo.

E quella volta John non dovette chiedere di approfondire il bacio, perché Sherlock lo fece senza che gli venisse chiesto il permesso. 

Perché una volta che in quel sole ci era caduto, allora aveva tutta l’intenzione di continuare a bruciare con lui.











Angolo della scrittrice:

Questa volta l'angolo è relativamente piccolo perché sono le 1:56 e quindi il cervello lavora poco, ha già dato tutto con una botta di ispirazione per questa OS che, giuro, non so da dove esce. Sicuramente ci saranno mille errori, ma domani mattina a mente più fresca, correggerò! Mi raccomando, fatemi sapere se è stata una porcata da mezzanotte oppure è passabile! :P
Intanto aumenta esponenzialmente l'ansia per la S4. Aiutatemi.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  
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