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Autore: G46Stark    26/12/2016    2 recensioni
Questa storia spiega perchè, alle feste, Will non lascia mai che Nico beva più di un'aranciata.
Nico di Angelo è un consulente investigativo un po' stravagante.
Will Solace è un medico militare in pensione.
Entrambi cercano un coinquilino.
Grazie al loro comune amico Austin Lake si incontrano, ma il crimine è sempre in agguato.
Il gioco è cominciato!
ACHTUNG: questa storia è un AU con la serie TV "Sherlock" della bbc, ed è tratto dall'episodio 1: "Uno studio in rosa".
Buon Natale e buona lettura,
G46Stark
Genere: Comico, Demenziale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Austin, Nico di Angelo, Reyna, Will Solace
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'In vino...'
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Come va il suo blog?
Bene, sì, molto bene.
Non ha scritto una parola, vero?
Lei ha appena scritto “ha un problema di fiducia”.
E lei sta controllando cosa scrivo. Ecco cosa intendo. Will, è un soldato. Le occorrerà qualche tempo per riadattarsi alla vita civile. E scrivere un blog su tutto quello che le succede le sarebbe davvero molto utile.
Non mi succede niente, mi creda.
_________________________
L’ispettore Jason Grace era seduto dietro la scrivania dell’ufficio stampa, in centrale. Accanto a lui sedeva la sua collega Annabeth Chase. L’ispettore era pensieroso: quella mattina era stato rinvenuto il cadavere di Beth Davenport, viceministro dei trasporti, in un cantiere nel centro di Londra, nel quale non avrebbe dovuto trovarsi; gli esami preliminari svolti dal coroner rivelavano che si era tolta la vita con un veleno. Veleno che era già stato utilizzato per il suicidio di altre due persone. A quel punto Jason iniziava a sospettare che ci fosse qualcosa che non quadrava: che possibilità c’era, si diceva, che tre persone di sesso, età ed estrazione sociale diverse, si uccidessero senza alcun apparente motivo, in un luogo isolato e con cui non avrebbero avuto niente a che fare, per di più con lo stesso veleno? C’era decisamente qualcosa che gli sfuggiva. Se fosse dipeso da lui, avrebbe chiesto aiuto già dopo il ritrovamento del secondo cadavere, ma Annabeth lo aveva convinto che non fosse necessario; ma ora anche lei iniziava ad essere stressata dalla situazione, e Jason si era sempre più convinto che fosse necessario l’intervento di una persona esterna.
Proprio in quel momento lui e Annabeth stavano tenendo una conferenza stampa sull’ultimo ritrovamento, anche se per Jason non aveva senso farne una: non avevano in mano niente, a parte tre persone che si erano apparentemente suicidate.
< Possiamo affermare che questo presunto suicidio abbia notevole attinenza con quelli di Sir Jeffrey Patterson e James Philmor. Vista l’affinità, questi eventi saranno considerati collegati; le indagini sono ancora in corso, ma l’ispettore Grace risponderà alle vostre domande. >
Stava dicendo Annabeth ai giornalisti; uno di loro alzò la mano e pose la sua domanda:
< Signor Ispettore, come si possono collegare i suicidi? >
< Hanno assunto tutti lo stesso veleno, sono stati ritrovati in posti dove non avevano nessuna ragione di essere; nessuno di loro aveva mostrato… > il giornalista, molto sgarbatamente, interruppe l’ispettore, commentando:
< Ma non esistono suicidi in serie! >
< A quanto pare sì. > rispose Jason, sforzandosi di essere diplomatico: dopo tutte quelle ore passate a rimuginare sul caso proprio non riusciva a reggere quei dannati reporter che facevano la scoperta dell’acqua fredda.
< Queste persone avevano qualche collegamento? > chiese un altro:
< Non lo abbiamo ancora trovato, ma lo stiamo cercando, dev’esserci qualcosa. >
A tutte le persone presenti nella stanza suonò il cellulare, e a tutti arrivò lo stesso identico messaggio: “WRONG!”
Annabeth assunse un’espressione stizzita e disse ai giornalisti: < Per favore, ignorate il messaggio. >
< Ma c’è scritto solo “sbagliato”. > protestò qualcuno;
< Sì, e voi ignoratelo. > fu la sbrigativa risposta della detective: < Se non ci sono altre domande per l’ispettore Grace, chiuderei qui questa conferenza stampa. >
< Se sono dei suicidi, perché state indagando? >
< Come ho detto, questi suicidi sono chiaramente collegati…si tratta di una situazione insolita, seguita dai nostri migliori investigatori. >
Di nuovo, a tutti i telefoni della sala arrivò lo stesso identico messaggio: “WRONG!”
< Dice di nuovo “sbagliato!” >
< Altre domande? > Annabeth sviò nuovamente l’attenzione della stampa dal messaggio:
< Potrebbe trattarsi di omicidi? E potrebbero essere opera di un serial killer? > chiese una giornalista seduta in prima fila:
< So che forse sarebbe più interessante, ma questi sembrano proprio suicidi. Riconosciamo la differenza: la somministrazione del veleno è stata volontaria. >
< Sì, ma se fossero omicidi, cosa si potrebbe fare per stare tranquilli? > chiese la stessa donna:
< Non suicidarsi sarebbe un inizio. > rispose lui, iniziando a spazientirsi:
< È del Daily Mail. > lo avvisò Annabeth sottovoce:
< Ovviamente si tratta di una situazione complicata, ma sarà sufficiente seguire le precauzioni più elementari. Possiamo stare tutti tranquilli! > Jason aggiustò il tiro, o il suo capo l’avrebbe scuoiato vivo per la cattiva pubblicità fatta al dipartimento su una delle testate più lette di Londra.
Per la terza volta a tutti i telefoni arrivò il messaggio “WRONG!”, ma stavolta a Jason ne arrivò un altro: “Sai dove trovarmi. -NdA”. Proprio come sospettava.
< Grazie. > disse alzandosi e ponendo fine alla conferenza stampa.
< Devi farlo smettere: se continua così faremo la figura degli idioti! > gli disse Annabeth mentre rientravano nell’ufficio.
< Se mi dici come, io lo faccio smettere. > fu la lapidaria risposta dell’ispettore.
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Will Solace stava attraversando zoppicando Hyde Park, perso nei suoi pensieri.
Era appena uscito dallo studio del dottor Apollo, il suo analista consigliatogli dai suoi superiori dopo il suo congedo.
Per camminare si appoggiava ad una stampella di alluminio; senza non riusciva proprio a spostarsi. Il dottor Apollo credeva fosse psicosomatico, un segnale del suo disagio interiore, un sintomo dello stress post-traumatico; ma lui non ne era affatto convinto. Non riusciva ad utilizzare la sua gamba in modo normale, non più. Punto. Il proiettile doveva aver leso qualche nervo o danneggiato in modo grave qualche tessuto, non c’era nessuna spiegazione psicologica per il suo zoppicare. Era qualcosa di fisico. Ne era sicuro, non era pazzo.
< Will! Will Solace! >
Will si voltò e vide avvicinarsi un uomo di carnagione scura, che stringeva in mano un giornale e una valigetta di pelle consunta:
< Lake, Austin Lake! Eravamo insieme alla Barts! >
< Sì, sì sì, scusa, ciao Austin > disse, incolore, riconoscendo il vecchio compagno di studi:
< Ho saputo che ti sei fatto sparare, che ti è successo? > continuò l’uomo, senza perdere il sorriso:
< Mi hanno sparato. > rispose Will, alludendo alla sua gamba.
Austin offrì a Will un caffè; quindi si sedettero su una panchina a chiacchierare, anche se in realtà era Austin a parlare, mentre Will ascoltava in silenzio, commentando di tanto in tanto:
< Lavori ancora alla Barts? > chiese ad un certo punto
< Sì, ora insegno. Alle giovani promesse come eravamo noi. Quanto li odio! > gli rispose ridacchiando l’altro:
< E tu? Rimarrai a Londra fino a completa guarigione? >
< Non posso permettermelo con la mia pensione. > Will sapeva che avrebbe dovuto cercare un posto di lavoro, dopotutto aveva una laurea in medicina, valeva la pena sfruttarla; ma continuava a rimandare: dopo essere stato per così tanto tempo in missione la prospettiva di tornare dietro la scrivania non lo allettava per niente.
< Kay non può aiutarti? >
< Sì certo. > rispose ironico. Kay era l’ultima persona sulla faccia della terra che poteva aiutarlo.
< Potresti prenderti un coinquilino, per esempio. > propose:
< Oh, dai, chi mi accetterebbe? > chiese ironicamente Will. Chi avrebbe mai voluto come coinquilino un ex militare invalido che si svegliava in piena notte urlando in preda agli incubi?
Austin ridacchiò, poi, vedendo l’espressione interrogativa di Will spiegò:
< Sai, sei la seconda persona a dirmi questo oggi. >
< E chi è stata la prima? >
______________________________________
Reyna aprì il sacco da cadaveri, rivelando il corpo di un uomo anziano morto da poco;
< Quanto è fresco? > chiese l’uomo accanto a lei, mentre scrutava il corpo nel sacco;
L’uomo aveva all’incirca l’età di Reyna, sui 25 anni circa, ed era molto carino: alto, magro, con un ammasso indomabile di capelli ricci neri e due profondi occhi dello stesso colore, che spiccavano sulla pelle lattea del viso. Peccato che non sembrava interessarsi a lei, o al genere femminile. Anzi, in realtà non sembrava interessarsi affatto al genere umano.
< È appena arrivato, sessantasette anni, morte naturale. > iniziò a elencare Reyna: < Lavorava qui. Lo conoscevo. Una brava persona. >
L’altro alzò gli occhi dal cadavere, soddisfatto della risposta:
< Bene! Cominciamo con il frustino! >
Reyna uscì e gli lasciò campo libero. Andò in bagno un momento e tirò fuori il rossetto dalla tasca del camice. Se lo applicò sulle labbra, e poi si risistemò i capelli. Si osservò allo specchio. “Speriamo bene” pensò, uscendo e andando ad osservare l’uomo dalla finestra che di solito serviva per il riconoscimento del cadavere da parte dei parenti.
Il moro stava frustando il cadavere del suo ex collega con un frustino per cavalli, e ci stava mettendo tutto sé stesso in quel lavoro.
Dopo un po’ cominciò ad avere pietà per il povero estinto, così entrò, interrompendo la fustigazione.
< Allora, giornataccia, eh? >
< Devo sapere che tipo di ematomi si formano nei primi venti minuti dal momento della morte. > spiegò lui, prendendo appunti su un quadernetto.
< Stavo pensando, magari più tardi potremmo… > iniziò Reyna, prendendo coraggio e tentando di chiedergli ciò che voleva:
< Ti sei messa il rossetto? > chiese l’altro: < Non avevi il rossetto prima. >
< Sì, mi sono rifatta il trucco… > rispose lei, dandosi mentalmente della stupida, come aveva potuto pensare che non l’avrebbe notato?
< Scusa, stavi dicendo? >
< Mi chiedevo se ti andava una tazza di caffè. > chiese Reyna, demoralizzata:
< Nero, senza zucchero, grazie. > disse lui, raccogliendo le sue cose: < Vado di sopra. > concluse, uscendo dalla stanza, lasciando dietro di sé una Reyna alquanto delusa.
___________________________
Austin guidò Will attraverso le sale del St. Bartolomew Hospital, fino ad uno dei laboratori del pianterreno posti sopra l’obitorio, situato nel seminterrato.
All’interno c’era un uomo alto, chino su un vetrino da microscopio, con una zazzera di capelli neri ricci, che conduceva un esperimento.
Il laboratorio era molto diverso da quello che c’era quando frequentava l’università lì: c’erano dei computer a vagliare i vari composti chimici presenti nel campione, microscopi elettronici, luci a led e altre apparecchiature moderne e super sofisticate.
< Molto diverso dai miei tempi. > commentò Will infatti.
< Non immagini quanto! > esclamò Austin.
< Austin mi presti il cellulare, il mio non ha campo. > chiese l’uomo moro:
< Scusa, perché non usi il fisso? > protestò Austin:
< Preferisco gli SMS. >
< Usi il mio. > disse Will, passando il suo cellulare all’uomo:
< Oh, grazie. > rispose quello, un po’ sorpreso.
< Will Solace, un mio vecchio amico. > lo presentò Austin.
Mentre l’uomo digitava il messaggio gli chiese: < Afghanistan o Iraq? >
< Scusi? > chiese Will, confuso:
< Dov’è successo, in Afghanistan o in Iraq? > ripeté l’uomo:
Will lanciò un’occhiata ad Austin, che sorrideva leggermente nella loro direzione:
< Afghanistan, ma come fa a saperlo? >
L’uomo lo ignorò, restituendogli il cellulare, e sorridendo alla donna appena entrata con una tazza di caffè in mano:
< Oh, Reyna, il caffè, grazie. > la ringraziò: < Che fine ha fatto il rossetto? >
< Non mi stava bene, l’ho tolto. > spiegò lei, lievemente imbarazzata.
< Davvero? Invece stavi bene, hai la bocca troppo…piccola ora. > protestò lui, bevendo un sorso di caffè:
< Ok… > disse Reyna uscendo:
< A lei piace il violino? > chiese di nuovo il moro a Will, riprendendo a fare ciò che stava facendo in precedenza.
< Come scusi? > Will non capiva perché quell’uomo gli facesse una simile domanda; forse voleva solo rompere il ghiaccio?
< Io suono il violino quando penso, e a volte non parlo per giorni interi. Due potenziali coinquilini dovrebbero conoscere i difetti reciproci. > spiegò l’altro.
Will era stupito, come sapeva che cercava un coinquilino?
< Gli hai parlato di me? > chiese, rivolto ad Austin, che però gli fece di no con la testa, senza però perdere il sorriso.
< E allora chi ha parlato di coinquilini? >
< Io. Stamattina Austin mi ha detto che sarà difficile per me trovare un coinquilino, e dopo pranzo si presenta con un vecchio amico, chiaramente appena rientrato da una missione militare in Afghanistan. Non è stato difficile. > illustrò il moro, infilandosi cappotto e sciarpa.
< Come sapeva dell’Afghanistan? >
< Ho adocchiato un piccolo appartamento nel centro di Londra, insieme potremo premettercelo. > disse l’uomo senza rispondere alla sua domanda: < Ci vediamo lì domani sera alle sette. Scusate, devo scappare, ho dimenticato il mio frustino in obitorio. > concluse, avvicinandosi alla porta:
< Tutto qui? > chiese Will:
< Tutto qui cosa? > ribattè l’altro, avvicinandosi di nuovo a Will. Il biondo dovette ammettere con dispiacere che quel tipo era più alto di lui di una buona spanna.
< Vuole condividere un appartamento con me? >
< Problemi? >
< Noi due non ci conosciamo affatto, non conosco questo posto, né tantomeno il suo nome. >
< Io so che lei è un medico militare, e che è stato ferito in Afghanistan, so che ha un fratello che si preoccupa per lei, ma non gli chiederà aiuto, perché non lo approva, probabilmente perché è un alcolista, o meglio: perché di recente ha lasciato la moglie. E so che il suo analista pensa che il suo zoppicare sia psicosomatico, diagnosi corretta, temo. È sufficiente per frequentarci, non crede? >
Will era rimasto stupefatto: come faceva quel tizio a conoscere così bene la sua vita?
L’uomo aprì la porta per uscire, ma all’ultimo momento si girò:
< Il mio nome è Nico di Angelo, e l’indirizzo è il 221B Baker Street. >
Detto questo uscì chiudendosi la porta alle spalle.
Will si girò verso Austin per chiedergli da dove fosse uscito quel bizzarro personaggio, ma l’unica risposta che ebbe da parte del suo vecchio compagno di studi fu:
< Sì, fa sempre così. >
__________________________________
Nico si svegliò quando un dispettosissimo raggio di sole filtrò attraverso le tende della sua finestra.
Aprì gli occhi, ma non appena le sue pupille percepirono la luce li richiuse, maledicendosi.
Aveva tirato male la tenda di una delle finestre e un sottile raggio solare creava decisamente troppa luce nella stanza.
Tentò di alzarsi, ma quando ebbe sollevato le spalle dal materasso, una fitta di dolore si propagò per tutta la sua testa, stordendolo. Quando la sua cabina smise di girare si accorse di essere di nuovo steso con la schiena contro le lenzuola.
Un vago senso di nausea si sparse per il suo corpo. Tentò di mettere a fuoco ciò che era successo la sera prima, ma senza successo.
Decise allora di girarsi dall’altra parte per evitare quel fastidioso raggio di sole e, con un po’ di fortuna, tornare a dormire.
Con estrema cautela si girò su un lato, e per poco non urlò.
Non tanto perché ciò che trovò fosse brutto, anzi, ma più che altro per la sorpresa: davanti a lui, addormentato, con l’espressione da angelo, c’era Will Solace. Completamente nudo. Con autentico terrore si accorse di non essere in condizioni migliori.
A una persona qualunque, in quella situazione, sarebbero venuti in mente mille interrogativi del tipo: “Perché sono nudo?” oppure “Spero di essermi ricordato le precauzioni” o anche “O cavoli, e adesso?”
Ma a Nico veniva in mente una sola domanda: “Perché Jason non mi ha ancora chiesto di intervenire in quei casi di suicidio?”
Per cui scosse Will, che mugugnò qualcosa come “Ancora cinque minuti, mamma”. Ma Nico non mollò, e in qualche secondo gli occhi azzurri dell’altro lo stavano scrutando: < Buongiorno Raggio di Sole! > disse il biondo con voce roca da “mi sono appena svegliato dopo la migliore notte della mia vita”.
< Will che ci fai nel mio letto? > chiese il moro: < C’è un'altra stanza al piano di sopra. E poi, mi dispiace dirtelo, ma, per quanto mi lusinghi tutto questo, io mi considero sposato con il mio lavoro. >
< Nico, ma che diavolo stai dicendo? > chiese Will, molto confuso:
< Non importa, ne parleremo più tardi. Ora, quei suicidi. Evidentemente si trattano di omicidi: che probabilità ci sono che tre persone così diverse si uccidano nello stesso modo? >
< Quali suicidi? > domandò ancora Will: < Nico, guarda che se è uno scherzo non è affatto divertente. >
< Ti dispiacerebbe passarmi il mio violino per favore? E magari anche un paio di cerotti alla nicotina. >
< Da quando in qua usi i cerotti alla nicotina? E hai un violino? >
< Mi aiutano a pensare, ma è improponibile mantenere il vizio del fumo a Londra, di questi tempi. >
< Aspetta, aspetta, aspetta. > ora Will capiva tutto.
< Dove pensi che ci troviamo? >
< Al 221B Baker Street, ovviamente, dove dovremmo essere? >
< E tu sei… >
< Nico di Angelo, consulente investigativo. Che ti è successo Will? È un inizio di Alzheimer precoce? Statisticamente questa patologia è in aumento. Oppure è collegato al tuo trauma subito in Afghanistan? >
< Afghanistan? Quindi io sarei Watson? >
< Chi?! >
Will scoppiò a ridere in faccia al suo stupefatto fidanzato, che non capiva le ragioni di tanta allegria. Probabilmente qualche inutile pop star era salita in classifica?
< Non ci credo!! Te l’avevo detto di non bere troppo alla festa di Natale, ieri sera. > esclamò Will, tra le risate.
Festa di Natale?
Oh.
Ora ricordava. Lui non era un consulente investigativo, e Will non era un medico militare che condivideva l’appartamento in centro a Londra con lui.
Così come Jason e Annabeth non erano poliziotti, Reyna un coroner con una cotta colossale per lui ed Austin non era un insegnante di medicina.
Erano semidei, e vivevano al Campo Mezzosangue. Campo che, la sera prima, aveva organizzato una super mega festa natalizia con tanto di alcolici (colpa della malefica progenie di Ermes NdAutrice).
Evidentemente si era sognato tutto.
< Eri davvero convinto di essere Sherlock Holmes? > gli chiese Will ridendo ancora (il suo ragazzo aveva assunto un preoccupante colorito violaceo per le troppe risate, ma Nico adorava la sua risata, e non l’avrebbe fatto smettere per nulla al mondo).
< Già… però caspita! Sarebbe stato figo! >
< Sai, dicono che nei sogni reinterpretiamo le persone che ci stanno attorno come la percepiamo realmente. Quindi, se io sono Watson, vuol dire che mi vedi come il tuo coinquilino stupido? >
< No, vuol dire che ti vedo come un coraggioso eroe di guerra un tantino scemo e acciaccato, tutto qui. >
< Hei! > esclamò Will, colpendo il suo ragazzo col cuscino. Questo fece partire una lunga lotta con i cuscini, che in breve si trasformò in…
Beh, sapete che vi dico?
Ve lo lascio immaginare.
 
 
Note dell’autrice:
Ok, non picchiatemi.
Non so da dove è saltata fuori questa cosa.
Per chi non conoscesse, tutta la prima parte è tratta dalla serie della bbc “Sherlock” che come avrete capito dal titolo parla del Commissario Montalbano.
Per correttezza devo far notare che i dialoghi sono ripresi fedelmente dalla prima puntata del telefilm: “Uno studio in rosa”.
Volevo scrivere qualcosa di natalizio, ed è saltato fuori questo obbrobrio; nonostante questo la pubblico perché mi sono divertita a scriverla e perché boh, spero che qualcuno lo apprezzi.
All’inizio volevo scrivere su tutto il caso, ma poi mi sembrava decisamente troppo lungo, così l’ho tagliato.
Se qualcuno interessa posso anche continuare la storia, basta che me lo diciate.
Scrivo qui di seguito i personaggi e i semidei con i quali li ho sostituiti (nel caso in cui non li abbiate riconosciuti/non li conosciate):
  • Sherlock Holmes=Nico di Angelo;
  • John H. Watson=Will Solace;
  • Analista di Watson=Apollo;
  • Mike Stemford=Austin Lake;
  • Harriet Watson=Kayla Knowles;
  • Greg Lestrade=Jason Grace;
  • Sally Donovan=Annabeth Chase;
  • Molly Hooper=Reyna Avila Ramirez-Arellano.
Grazie a tutti quelli che hanno letto, a quelli che recensiranno ed auguro a tutti un Buon Natale ed un felice 2017!
Ciao, 

G46Stark
   
 
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