Occhi
inniettati di sangue
Si
chiama Ariel Porter, vive a
Wuthering,
Virginia, precisamente a Wolfgun street. Ha i capelli color mogano
scuro, occhi
marroni; è alta un metro e sessantacinque circa e corre
quasi tutti i giorni
alle sei di mattina intorno al vicinato, poi ritorna a casa per circa
quaranta
minuti per prepararsi per la scuola. Guida una Mini Cooper blu
metallizzato e
va a scuola, il liceo Wuthering High, dalle sette e quaranta alle due e
trentacinque, dopodiché torna di nuovo a casa ma solo dopo
aver dato un
passaggio al suo migliore amico Duke. Non so cosa faccia fino alle
cinque, ma a
quell’ora riprende la Mini per andare in spiaggia da sola con
un libro e la
macchina fotografica. A volte si vede lì con due amiche,
entrambe bionde, di
cui ancora non ho appreso i nomi. E’ questione di tempo,
comunque. La osservo
da qualche mese ormai, senza mai parlarci. La conoscerò tra
qualche giorno e ne
saprò di più.
Mi sveglio di
soprassalto quando sento
una porta sbattere. I miei genitori adottivi non sono molto
considerevoli,
quindi non si preoccupano del fatto che io abbia bisogno di una
quantità
decente di sonno almeno durante la settimana degli esami di fine
semestre. Va
avanti così da almeno una settimana: Mary e John litigano di
continuo
ultimamente e, non dovrei saperlo, ma il motivo sono io. Rebecca me
l’ha detto
cercando di offendermi dato che mi ha odiata sin dal momento in cui
dovetti
trasferirmi qui due anni fa. John il fratello di
un’assistente sociale e,
siccome conosceva la mia storia, quando gli è stato riferito
che la mia
famiglia adottiva voleva trasferirsi in Ohio e non c’era
posto per me nella nuova
casa, ha deciso di accogliermi nella sua famiglia. Non che mi sia mai
sentita
accolta. Senza dubbio John è stato molto gentile ad offrire
il suo supporto, ma
non si può dire la stessa cosa di sua moglie Mary; lei mi
odia quasi quanto
Rebecca, la loro figlia.
Ora litigano perché, dato che tra un mese sarò
maggiorenne, Mary insiste
affinché John si limiti ad affittarmi un posticino tutto per
me; in pratica
vuole che mi levi dai piedi. John non è d’accordo,
ed è per quello Mary diventa
stridula ed io mi ritrovo sveglia alle due del mattino.
Do
un’occhiata fuori dalla finestra. Tutto sembra
fermo. Le foglie sono immobili sulla strada, i rami sembrano
paralizzati e non
c’è alcun rumore. Sembra quasi soprannaturale per
essere inizio dicembre.
L’anno scorso, come gli anni precedenti, nevicava durante
questo periodo. Ora
invece se qualcuno mi dicesse che in verità siamo a marzo
gli crederei.
Decido che ne ho avuto abbastanza di sentire i miei genitori adottivi
litigare
e mi dirigo verso quella finestra; la apro facendo rumore. Mi maledico per un secondo
prima di
ringraziare il fatto che Mary e John discutano a voce così
alta da coprire il
suono della finestra che si apre e si chiude dopo che sono uscita sul
tetto. Mi sdraio portanto le mani dietro al collo per osservare meglio
il cielo limpido.
E’ da tanto che non vengo qui a pensare. Porto la mano alla
sferetta argentata
che porto sempre al collo; una delle suore del collegio in cui ho
passato i
primi anni della mia vita diceva che l’avevo al collo quando
sono stata
lasciata, o meglio abbandonata, sullo stipite del loro portone.
Il silenzio è tanto da risultare inquietante. Non me ne
accorgo nemmeno quando inizio a trattenere il respiro sentendomi
osservata. Mi metto a sedere e quando mi guardo attorno mi accorgo che
un uccello enorme mi fissa da lontano.
-Cosa stai facendo sul tetto?- mi chiede Mary scocciata. Tu cosa stai facendo in camera
mia? Quando mi rigiro l'uccello non c'è
più. Probabilmente anche lui non è riuscito a
sopportare la voce della mia dolce madre.
-Non riuscivo a dormire, avevo un po' caldo. C'è qualcosa
che non va?- chiedo facendo finta di non essere stata sveglia fino a
quest'ora a causa sua.
-Volevo avvertirti che me ne vado per qualche giorno.- spiega e mi
trattengo dal mettermi a ballare dalla felicità; mi fingo il
più dispiaciuta possibile. -Rebecca rimarrà qui,
comunque. Domani e fino a quando non torno dovrai portarla tu da casa a
scuola e viceversa.- conclude.
Sopravviverò. Una strega è pur sempre meglio di
due streghe.
-Ok.-
Se ne va senza ulteriori saluti e aspetto di vedere la sua qashqai
uscire dal vialetto prima di rientrare in camera mia a dormire.
Dopo la solita corsa giornaliera ed essermi preparata aspetto che
Rebecca finisca di imbottirsi il reggiseno.
-Sono pronta.- dice scendendo le scale. Questa mattina ha biascicato a
malapena due parole. Meglio
così.
La scorto verso la Mini Cooper dopo aver afferrato una
mela dal cesto di frutta che tengo appositamente per fare colazione
davanti la porta di casa. Il tragitto è silenzioso, sia
all'interno che all'esterno della macchina. Per poco non prendo il
marciapiede quando noto che un uccello uguale a quello di ieri (se non
lo stesso) si è posato sullo specchietto vicino al mio
finestrino.
-Dio, datti una calmata, è solo un corvo. Se ne vedono
sempre a Wuthering.- sbotta Rebecca slacciandosi la cintura. Siamo
arrivate.
Mi scuso di fretta e chiudo la macchina dopo che entrambe siamo uscite.
Rebecca non mi saluta e se ne va. Mancano ancora dieci minuti alla
prima campanella. Noto Duke seduto sul muretto a fumare e mi avvicino
addentando la mia mela, anche se il secondo "incontro" con il corvo mi
ha fatto perdere l'appetito.
-Hey Ari, hai qualcosa anche per me?- mi chiede uno snack ogni mattina,
in cambio mi racconta gli ultimi scoop. Il padre di Duke è
uno sceriffo e sua madre una giornalista, per cui è sempre
la persona adatta a cui chiedere novità.
-Puoi finire questa.- gli dico passandogli la mia mela -Tu che mi
racconti?
-Ci sono due ragazzi nuovi a scuola, fratelli. Un ragazzo e una
ragazza. Non hai fame?- poi finisce la mela in quattro morsi.
-No, ma tu sì, vedo. Di che anno sono, questi due fratelli?-
-Penso che siano entrambi dell'ultimo anno. Lei si chiama Lexa. E'
davvero figa.- dice facendo su e giù con le sopracciglia.
Rido fragorosamente perché so già quali sono le
sue intenzioni. E' sempre stato un play-boy, ma non ci ha mai provato
con me, probabilmente perché ormai ci conosciamo da dieci
anni e sarebbe alquanto strano.
-Il fratello?-
-Non ne ho idea, non ho aff...- viene interrotto dalla mia sorellastra.
-Si chiama Harry. Sappi che l'ho visto prima io.- afferma fiera e poi
se ne va con le sue due amiche Barbie e Barbie. Non scherzo, si
chiamano entrambe Barbara e si fanno chiamare con quel soprannome.
-Tranquilla Ariel, non credo che uno dell'ultimo anno vada dietro ad
una del primo anno.- mi tranquillizza Duke poggiandomi una mano sulla
spalla, anche se non ne avevo bisogno.
-Guarda che non ero interessata.- sbuffo alzando gli occhi al cielo.
La giornata procede lentamente. Quando arriva l'ora di pranzo noto con
felicità che non c'è nessuno in fila per la pizza
in mensa, poi sposto lo sguardo dove provengono urla e
profanità e mi avvicino a una ragazza per chiederle cosa sta
succedendo. Sta in piedi a braccia conserte e sorride come orgogliosa.
-C'è una rissa?- chiedo.
-Già.- risponde con un sorriso sadico. -Mi chiamo Lexa.- la
guardo sbalordita. Bel
modo di presentarsi. Non dico il mio nome. Seguo invece
il suo sguardo e vedo con chiarezza un ragazzo che non avevo mai visto
prima: fisico scolpito, braccia tuatuate, capelli ricci e vene pulsanti
dalla rabbia. Sta prendendo a pugni un ragazzo spietatamente. Tutto
d'un tratto si ferma e alza il viso incrociando i miei occhi.
Rabbrividisco a quella vista. I suoi occhi inniettati di sangue ora
fissano me.
Note: Ciao! Spero davvero tanto che questa storia vi interessi. Sono molto aperta a suggerimenti sia dal punto di vista della scrittura sia quello dei contenuti. Per favore ditemi la vostra in una recensione! Mi farebbe tanto tanto piacere. Ho appena ricreato l'account dopo un paio di anni quindi potrei essere un po' arruginita. Potrebbe esserci anche qualche errore di battitura quindi mi scuso per quelli. Grazie di aver letto il primo capitolo. A presto!
-hellaborealis
P.s. : i prossimi capitoli dovrebbero essere più lunghi.