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Autore: eringad    24/05/2009    6 recensioni
[...] Il passeggero.
Che ruolo ha il passeggero in un viaggio? Non può decidere la strada, non può dare opinioni al guidatore.
Io sono
il passeggero.
Sono trasportato in questa vita come in questa macchina, non dal mio volere.
E anche se decidessi di scendere dalla macchina mi ritroverei in un posto che non mi appartiene. [...]

Quando la tua città e la tua vita sono un Inferno, vuoi solo scappare, correre via fino a quando c'è strada di fronte a te.
[Team Sand - Gaara-centric]
{Partecipante al Rock Is My Ispiration Contest indetto da Happy_Pumpkin}
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Kankuro, Sabaku no Gaara , Temari
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
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Il Passeggero

Il Passeggero

 

I am the passenger
And I ride and I ride
I ride through the citys backside
I see the stars come o
ut of the sky
Yeah, they're bright in a hollow sky
You know it looks so good tonight

 

 

Seduto sul sedile del passeggero di una vecchia Volvo blu, guardavo fuori dal finestrino la città grigia sfilare sotto i miei occhi.

I muri anneriti dal tempo sembravano un grande palcoscenico di colori e luci improbabili.

Quei murales vivaci stonavano con la tristezza di quella città.

Una scritta sui mattoni, con milioni di colori, o così mi sembrava, recitava uno ‘Still Alive’ con dietro lo scenario di questa dannata città.

Ancora vivo.

Io lo sono.

Lo sono ancora.

Notte dopo notte, a lottare per la sopravvivenza in questo dannato Inferno di cemento.

Ma se avevo ancora qualcosa da difendere vuol dire che ero ancora vivo.

Quello che difendevo era la mia vita.

E la mia ragione di esistere era proprio quella, provare che esistevo.

Poco importava dei sacrifici che dovevo compiere per questo.

Ruotai gli occhi posandoli su mia sorella, stringeva con forza il volante tra le mani. Tanto forte che le nocche erano diventate bianche.

Lei aveva paura di me.

Lei era come tutti gli altri.

Mi lanciò un fugace sguardo mordendosi a sangue il labbro inferiore.

Codarda.

Sembri tanto forte ma davanti a me tremi come una bambina impaurita.

 

“Dobbiamo passare a prendere Kankuro.”

 

Disse velocemente, con la voce che le tremava.

Io non risposi passandomi il dorso della mano sullo zigomo sanguinante.

Non ero parte della loro famiglia, non lo ero ormai da tempo.

Non capivo il loro accanimento a far sembrare tutto questo come una malata normalità.

Mi strinsi nella mia felpa larga, coprendo i miei capelli rossi con il cappuccio.

Tornai a guardare fuori, rivolgendo stavolta lo sguardo al cielo.

Quel cielo vuoto, che ormai lo era da troppo tempo per me.

Un cielo luminoso, pieno di stelle, che rifletteva la mia angoscia come uno specchio.

Lo detestavo e lo amavo allo stesso tempo.

Non potevo guardare altro dalla finestra di camera mia, ogni notte, quando non dormivo.

E quelle stelle iridescenti mi ricordavano tanto la luce negli occhi di mio padre quando mi guardava.

Occhi scintillanti di follia. Per quello non dormivo, appena chiudevo gli occhi li rivedevo.

Quando io, Temari e Kankuro andavamo a trovarlo nell’istituto criminale, guardava me e urlava frasi sconnesse, insultando nostra madre.

Temari quando ero piccolo mi diceva menzogne, diceva che mamma sarebbe tornata e papà sarebbe morto perché era cattivo.

Ma lei non è mai tornata. Lei era morta, e invece quel bastardo era vivo.

Lui, colui che aveva ucciso nostra madre.

La giustizia non esisteva. Era solo una mera illusione dei sognatori.

E i sogni non sono parte di questa realtà.

Sentii i freni stridenti dell’auto e vidi davanti a noi quell’alcolizzato di Kankuro che si stringeva nella sua felpa viola, storcendo il volto in preda alla nausea.

Barcollò fino ai sedili posteriori sedendosi e sbattendo violentemente la portiera cigolante.

Mi lanciò uno sguardo spaventato dallo specchietto retrovisore.

 

“Tem… Cazzo! Non di nuovo!”

 

“Sta zitto.”

 

Lo freddai con due parole e lui si rannicchiò sui sedili in posizione fetale borbottando qualche insulto a mezza bocca.

Temari si girò preoccupata, raccolse un sacchetto di carta dal portaoggetti e glielo passò.

Guardai quella che una volta era mia sorella disgustato.

Minigonna, stivali a mezza coscia, un top fin troppo corto per il freddo dell’inverno.

Anche lei si sacrificava. Ma non per sé stessa.

Per noi.

Era un’illusa. Non avrebbe cambiato niente, anche se avesse sbancato al casinò.

Noi non saremmo cambiati.

Strinse di nuovo il volante tra le mani poggiando la testa sul cuoio consunto che la rivestiva.

 

“Io non ce la faccio più… Questo posto non fa per noi…”

 

“È l’unico posto che abbiamo. Puoi sgolarti quanto vuoi ma qui non ti sente nessuno.”

 

Mi guardarono apprensivi.

Vidi il volto di Temari cambiare in una smorfia cupa.

Girò con decisione le chiavi nel quadro e il motore si accese con un colpo di tosse.

 

“Non è vero. Noi possiamo cambiarla questa realtà.”

 

“Tem, qui siamo nati qui moriremo, tanto non ci manca tanto a giudicare dalla nostra vita…”

 

Kankuro posò una mano sugli occhi tenendo saldamente con l’altra il sacchetto.

Detestavo ammetterlo ma aveva ragione.

E a me non importava.

L’unica cosa che mi dispiaceva è che avrei dovuto subire le loro facce fino alla fine dei miei giorni.

 

“Non dire stronzate! Siamo stati insieme quando è morta la mamma, siamo stati insieme quando hai cominciato a ubriacarti, siamo stati insieme quando ho cominciato a fare la puttana e siamo stati insieme quando Gaara ha cominciato a… Fare quello che fa.”

 

Al mio nome si morse un labbro.

Ancora quella paura pietosa.

Strinsi le braccia al petto incrociandole e tornando a guardare fuori dal finestrino.

 

“Gaara uccide? È questo che intendi? Morirà prima di noi allora! Non puoi cambiare le cose!”

 

Lo freddai con un’occhiata.

Sorrisi inconsciamente, un mezzo sorriso. Kankuro aveva ragione anche su questo.

Quando si ubriacava riusciva a dire cose sensate meglio di quando era sobrio.

Vidi il livido pallore delle guancie di Temari trasformarsi in un rosso scuro.

Rabbioso.

Sentii la macchina scattare in avanti e riprendere la corsa tranquilla.

 

“Kankuro, noi non siamo una famiglia e questo lo sai bene. Non lo siamo mai stati, anche se fingiamo che sia così.”

 

“Già. Però anche se non siamo nulla, a furia di vedervi ogni giorno, mi siete diventati anche simpatici!”

 

“Io non condivido. Voi mi state sulle palle, ammazzerò anche voi prima o poi, è solo questione di tempo.”

 

“Ecco, vedi com’è simpatico nostro fratello?”

 

“Non scherzavo.”

 

Le labbra di Temari si curvarono in un sorriso timido, coperto dalla sua corazza.

Spinse di più il piede sull’acceleratore e l’auto con un ronzio estremo si adattò alla velocità che gli comandava.

Tornai a guardare fuori dal finestrino.

Sentii Kankuro rigettare dentro al sacchetto di carta che crocchiò sotto la sua presa.

E sentivo mia sorella canticchiare il motivetto che passava sulla radio gracchiante: ‘The Passenger’ di un certo Iggy Pop.

Neanche lo conoscevo ma mi sentivo quasi sereno a sentire quella canzone mortificata dalla voce di mia sorella.

Il passeggero.

Che ruolo ha il passeggero in un viaggio? Non può decidere la strada, non può dare opinioni al guidatore.

Io sono il passeggero.

Sono trasportato in questa vita come in questa macchina, non dal mio volere.

E anche se decidessi di scendere dalla macchina mi ritroverei in un posto che non mi appartiene.

Non come quell’auto. Con dentro quella famiglia, sgangherata, opprimente e odiosa.

Ma che conoscevo.

Era questo che mi spaventava di più.

Io non volevo scendere da quella macchina.

Perché con loro, nonostante tutto, sapevo cosa mi aspettava.

E sapevo che Temari non si sarebbe fermata fino a quando non si fosse esaurita la benzina.

E sapevo anche che Kankuro avrebbe continuato a dormire fino alla fine del viaggio.

E sapevo che io non mi sarei mosso da lì, in silenzio, guardando il mondo grigio sfilare fuori dal finestrino.

Invidioso perché in quella macchina avevamo tutti i colori che servivano.

Il viola del cielo di notte che teneva in vita quella città morta.

L’oro del giorno, quello che cambiava ogni prospettiva di quell’Inferno.

E il rosso del sangue, il cuore che batte dentro i muri, nel cemento, nell’asfalto, e in ogni peccatore che ci abita.

 

 

 

 

 

 

Questa storia si è classificata quinta al “Rock Is My Ispiration Contest” indetto da Happy_Pumpkin.

Ringrazio la giudice per il giudizio esauriente e per essere stata così veloce nel pubblicare i risultati.

Faccio i miei complimenti alle podiste: Anisel, Iaia86 e Hiko_chan.

 

La strofa della canzone all’inizio della storia è “The Passenger” di Iggy Pop ed è appunto da lì che prendo ispirazione per i ragionamenti di Gaara sulla vita.

Il finale aperto vi lascia immaginare che usciranno dalla spirale distruttiva della città verso un futuro migliore oppure che finiranno i loro giorni nel loro inferno personale, come preferisce la vostra immaginazione!

Il Gaara che io faccio parlare è quello della prima serie, che sinceramente per me è più interessante dal punto di vista psicologico di quello della seconda serie.

 

Mi eclisso, fa troppo caldo e sto sragionando @_@

Chi vuole lasci pure un commentino, aumenta la mia voglia di scrivere ^^

 

Bye Bye

  
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