Für Elise
Noi, esseri limitati dallo spirito
illimitato, siamo nati soltanto per la gioia e la sofferenza. E si potrebbe
quasi dire che i più eminenti afferrano la gioia attraverso la sofferenza.
Ludwig Van Beethoven
Ah! Quanto è
difficile amare un artista.
È un susseguirsi
di alti e bassi, di gioia e sofferenza. Per quanto tu voglia essere il centro
del mondo per lui, come lui lo è per te, sai che mai sarai al primo posto. C’è
sempre un’altra davanti a te: una Dea vaga e sfuggente, una Strega che lo
ammalia e lo porta lontano, in altri mondi, pur di inseguirla.
E non fai altro
che chiederti se quando lui ti guarda, ti parla, ti sfiora, in realtà pensa a
Lei, Lei che lo domina a tutte le ore del giorno e della notte.
Ore eterne di
angoscia e tormento, dominate dalla sensazione di essere inutile, come inutile
è sperare di divenire, anche solo per un momento, più importante di Lei.
Lei che sei
arrivata a detestare.
Ma ci sono momenti
per cui senti che nient’altro ha importanza, per cui gli abissi di disperazione
non sono niente, come la pioggia prima dell’arcobaleno.
Come ora, seduta
in una stanza affollata che non esiste più, perché ci siete solo tu e lui.
Alza gli occhi dai
tasti del pianoforte, dicendo solo: «La mia ultima composizione». E ti lancia
un’occhiata, l’attimo più lungo della tua vita.
Solo voi sapete. È
quel legame a doppio filo che ti dà la forza di alzarti ogni mattina, è la
consapevolezza che il tuo potere è sufficiente ad attraversare i baratri al di
là di cui si trova e a diventare, per pochi, preziosi istanti, la sua unica
Musa.
«Für Elise» aggiunge piano, prima di liberarti dalle catene del suo
sguardo e chiudere gli occhi.
E poi comincia a
suonare.
Mai prigione è
stata più dolce.