Storie originali > Avventura
Segui la storia  |       
Autore: Andrew Foulieur    27/12/2016    0 recensioni
La storia parla di un ragazzo che si ritrova essere un eroe e da ciò gli viene assegnata una missione, ma non può morire fino a che non riuscirà a terminarla. Sarà in grado di raggiungere il suo obiettivo?
Genere: Azione, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Hero - Capitolo 0
Capitolo 0

La Morte

Un’accentuata espressione di dolore l’accompagnò nel cammino verso chissà quale luogo, tra gli innevati e sconfinati boschi canadesi. Il manto di neve, uniforme nel coprire ogni ciuffo d’erba e chiunque avesse deciso di passare per quei luoghi: come lui. Il suo passo era dannatamente lento, quasi trascinante e intriso d’energie sprecate. Il sangue ancora usciva, però molto più lentamente, dal polso destro. Fissava quel poco che ne rimaneva: era stata tagliata di netto, chirurgicamente e con una maestria fuori dal comune… nonostante fosse fatto con estrema violenza. Il suo rammarico fu quello di non averla potuta recuperare: il suo nemico se la portò con sé lasciandolo agonizzare nel suo stesso sangue, ma ebbe lo stesso la forza di andare avanti… per proseguire il suo cammino.
Gli sarebbero mancati solo trecento metri, ma ormai ne aveva già percorsi altrettanti dal luogo dello scontro e il sangue uscente dal braccio aveva formato una traccia.
Ormai, il suo corpo era esausto.
Decisi di seguirlo da lontano, come sempre.
Senza una mano… una goccia di sangue, bianco in volto, come la neve al di sotto del suo sedere, e ormai s’era accasciato anche a terra. L’animale che incontrò pocanzi, per caso, e dopo un’efferato scontro, sempre per caso, che ometterò per evitarmi altri problemi, decise di recidergli la mano per ricordargli che l’aveva quasi battuto. Ma, allo stesso tempo, non abbastanza forte per finirlo: perché qualcosa nella logica d’uccidere qualcuno per forza non gli tornava. Il risultato fu che venne atterato dal suo nemico, proprio per evitare che Mastiff avrebbe potuto ripensarci: avrebbe potuto finirlo, ma per qualche strana ragione non lo fece. Non credo che ci sia stata mancanza di determinazione, ma credo ci sia stata qualche altra ragione improvvisa.
«Chi sei? Un uomo che può diventare animale? Che magia è questa? Non ti faccio fuori perché non non è giusto uccidere solo per goduria personale!» – Parlò usando uno strano inglese, forse era una mescolanza con quella usata dai Cherokee, imparata dai suoi genitori adottivi. Diede le spalle al proprio nemico, forse per ingenuità o perché non s’aspettava che l’attaccasse.
Un grido, da parte del suo avversario, lo fece voltare, ma era fin troppo tardi. L’animale… il mezzo uomo… gli si eresse di nuovo e con uno scatto fulmineo, gli morse il braccio – all’altezza del polso, per essere precisi – gli tranciò la mano via dal resto del corpo e se la mangiò: quello che prima era un semplice cannibale, divenne per metà orso e con un ghigno stampato sul volto, gli dimostrò che la sua scelta di risparmiarlo fu del tutto sbagliata.
Preso dal dolore per la rescissione del braccio – purtroppo non sarebbe dovuto accadere, ma non avrebbe potuto scoprire realmente chi fosse – e dal risentimento nel riconoscere che sarebbe stato megio fermarlo e renderlo innocuo: invece di lasciarlo lì a marcire senza assicurarsi che sia del tutto inerme; dunque decise d’andarsene, Mastiff: non sarebbe stato – giustamente – saggio rimanere vicino a qualcuno che potrebbe aver intenzione di mangiarti solo per goduria personale. Riuscì nel suo tentativo, trovando ancora quel briciolo d’energia dentro di sé per correre, mentre l’orso decise anche lui d’accasciarsi a terra e di riposare: i fiotti di sangue sarebbero stati una manna dal cielo per chiunque avesse voluto divertirsi a cacciare uno che sembrasse un indiano: anche solo per scherzo, tanto l’uomo sembra essere stato programmato per uccidere senza pietà. Anche se non esiste pietà nel togliere la vita a qualcuno che non soffre.
Fece poche centinaia di metri, forse solo un centinaio… per poi accasciarsi a terra e rendersi conto che stava per morire. Il sangue caldo colante dalla mano stava ancora colando, mentre il suo corpo stava sempre diventando più bianco: nonostante tutto ero sicura che non servisse il mio intervento.
Era ancora, tra la vita e la morte. Ormai, gli sarebbe rimasto poco da vivere.
Aveva diciotto anni compiuti. Correva il cinque novembre del 1909, su quella linea temporale e lo ricordo tutt’ora.
Passò qualche minuto e divenne cadaverico: le forze l’avevano già abbandonato del tutto, ma non riuscii ad andare oltre, senza farmi vedere. Non potrei mai donare i miei servigi a chi non servo.
A mio figlio, non servo.
Mai.
Passarono venti minuti, tanto che incominciai a sospettare che ci fosse qualcosa di storto.
Invece era tutto regolare, solo con un leggero ritardo: il sangue aveva appena smesso di sgorgare dalla mano e la ferita s’era già cicatrizzata completamente. Da quel momento, si rialzò da terra, ove era stato per qualche decina di minuti, per riprendersi dalle sue fatiche e prese a correre disperatamente. Con il moncherino alla mano destra. S’avviò verso l’ignoto, e dalla determinazione usata in ogni passo, il luogo d’arrivo sarebbe dovuto essere molto importante. E decisi di smettere di seguirlo, per impegni urgenti, e nel mentre aumentò il passo e la sua velocità, lasciando persino le impronte sulla candida neve.
Mi distaccai da lui, comparendo in una grande tenda e lo vidi sghignazzare, un altro tizio cui dovrà prestare attenzione, mentre contemplava il dissanguarsi delle sue ultime vittime. Due indiani pellerossa, a cui darei quarant’anni – massimo – d’età: i loro occhi rivolti verso il cielo. Entrambi con il collo spezzato e una ferita all’addome, più precisamente subito sotto lo sterno.
La sua bramosia era palpabile a occhio nudo, quasi godesse nell’infliggere la morte agli altri e forse era il solo e unico scopo della sua vita. E l’unico dettaglio, distanziando il triangolo dell’omicidio plurimo, era la fumata del focolare, acceso per chissà quale motivo. Anche se il fuoco era esterno alla tenda, se ricordo bene. Avrei potuto pensare che i due l’accesero per il freddo, o il cacciatore per lo stesso motivo: comunque accadde, il cacciatore riuscire a lasciare la scena del crimine senza lasciare altre tracce.
Solo a quel punto, quando m’assicurai che fossero entrambi morti, anche io m’addentrai ove erano distesi i due cadaveri, per portare le loro anime ai loro destinatari, ma decisi di rimanere qualche secondo in più, sia per capire perfettamente chi sia il loro destinatario, ma anche per ricordare come abbia permesso che qualcuno mi posssa aver separato da lui.
Dispiegai un po’ dei miei fumogeni per il lavoro teatrale donatami dalla mia mortale natura e posi le mani sul petto della donna. Feci un bel respiro profondo. Lentamente la sua anima venne a me, come se estratta da una carcassa ormai spenta e dunque non funzionante, ma era in silenzio. Non si lamentava della sua condizione di morte, ma solo un tacito silenzio aleggiava nella stanza. E così feci anche con l’uomo. Stesso risultato, ma nel prendermi anche l’anima dell’uomo, vidi entrare qualcuno dalla porta della tenda.
Sfondò i due teli, che formavano la porta della tenda, con un calcio, nel mentre notai che quello che era entrato era proprio il mio Mastiff. Alto circa un metro e settantacinque, a soli diciotto anni. Capelli scuri, come la pece. Occhi marroni… quasi neri. Fisico definito, asciutto e senza un filo di grasso: aggiungerei che incominciava ad avere le prime rughe. Il suo calcio, fu violento… il suo volto si contrasse quasi lentamente, nel vedere i due indiani stesi a terra. Si prodigò per cercare di capire cosa fosse successo. Anche se le ferite di taglio all’addome e alla gola, avevano detto tutto il necessario. In quel momento, anche gli occhi del ragazzo si sgranarono e s’arretrò fino alla parete della tenda, incominciando a piangere lacrime di rabbia. Strinse il pugno sinistro per cercare di trattenerla: trasudante da ogni poro del suo corpo. Avrebbe stretto entrambe le mani, ma non poteva. L’uomo orso gliel’aveva portata via. E con lei, anche qualcuno a lui voleva bene.
Premusibilmente sarebbero potuti essere i suoi genitori adottivi.
Non ce la feci a vederlo in quel modo, soltanto perché ha cercato di fare la cosa giusta. Non toccava a lui ucciderlo, quel cacciatore. Purtroppo la natura umana, è incline soltanto all’autosopravvivenza. E non possiamo farci niente. Anche se dovranno incontrarmi, prima o poi.

Mi mostrai.
In tutto il mio effimero splendore.
Alta sul metro e settanta. Capelli corvini lunghi, fino alle spalle, e occhi verde acqua chiaro. Sorriso smagliante, e magra quanto basta per non risultare pelle e ossa. Pelle chiara, roseo. E mi feci calzare perfettamente il vestito su ogni curva sinuosa. Il mio corpo era soltanto intangibile, ma fottutamente reale: purtroppo la mia essenza m’avrebbe impedito di rimanere troppo in questo mondo, ma avrei voluto incontrarlo, per potergli riuscire a spiegare chi fosse realmente e quale fosse il suo posto nel mondo in cui avrebbe vissuto. Mi stringeva il cuore non potergli dire di più, ma l’unico momento che avrei avuto con lui mi sarebbe costata la responsabilità di non essere riuscita a fermare il circolo vizioso dell’immortalità.

«Si vede che hai preso da entrambi. Ricordo ancora quando l’incontrai: il tuo vero padre. Era grosso quanto un grizzly e non aveva intenzione di concedersi a me. Pensai che ci fosse qualche strana ragione, per cui non volesse farlo, ma… fortunatamente per me… chiunque ha bisogno di trovare la propria pace e m’è bastato donargliela: nient’altro. Funziona sopratutto per i guerrieri. Loro mi conoscono bene, m’incontrano in ogni loro battaglia: tra i loro nemici o tra i loro amici. O entrambi. E tra la loro famiglia. Purtroppo è la mia natura e non posso farci niente!» – Confessai, senza troppi giri di parole.
«E tu chi sei? Cosa gli è successo?» – Mi chiese balbettando, guardando con terrore sia me e sia il corpo dei due indiani. Non si mosse dalla sua posizione, con la schiena schacciata verso al muro.
«Sono tua madre, Mastiff!» – Gli risposi. Dolcemente. Ma mi limitai a rispondergli.
«Ora chi sarebbe Mastiff? Io sono Cuore Infuocato!» – Mi disse, di getto, ancora preso dal terrore.
«È Mastiff il tuo vero nome. Te lo diedi alla nascita e tuo padre se ne già era andato via, ignorante sulla tua nascita. Ti ho dovuto lasciare a dei genitori adottivi, dopo che presi con me loro figlio perché era stato ucciso da uno spietato cacciatore. Quelli non sono i tuoi genitori. Ti hanno adottato perché volevano avere un figlio tutto per loro. Non ne comprendo il motivo, ma è andata così. Ed è stato meglio così, o almeno credo…» – Glielo dovetti confessare, ma ne ero consapevole. Delle conseguenze.
«Quindi sei tu mia madre? Perché non mi hai tenuto con te, per tutto questo tempo?» – Mi disse, sempre di getto, e incredulo a quello che stavo sentendo.
«Si… non potevo, Mastiff. Non avrei potuto mantenerti, la mia essenza me lo impedisce: figliolo, io sono La Morte, e purtroppo avrei potuto dirti chi tu sia realmente soltanto al giungere del tuo primo “ultimo passo”. Però, da questo momento, non potrai mai più morire. Né ora e né mai. E sono qui per avvisarti che avrai una vita lunga e che sarà irta di pericoli, per te e per il mondo in cui ti trovi. E dovrai impegnarti con tutto te stesso per cercare di trovare la tua pace. Ma io e te non potremmo mai più rivederci. Te lo dico, anche se tenterai d’incontrarmi di nuovo… non servirà che provi a suicidarti!» – Gli cercai di spiegare, a parole mie, anche se m’era difficile farlo. Nel farlo, feci un passo indietro, per far intendere che l’avrei dovuto lasciare andare molto presto.

Infatti, scomparii in una dissolvenza quasi teatrale. Divenni un fantasma. Invisibile, incorporea. Lui decise di rimanere nella sua posizione. Non si mosse per tutta la poca durata del discorso. Non feci nemmeno attenzione ai dettagli della sua abitazione, sopratutto perché l’unica cosa importante era l’avvisare Mastiff del suo inesorabile e folle destino. Non la prese bene, rimanendo stranamente in silenzio, nell’antro di quella tenda ormai vuota. Avrebbe voluto dire e dirmi tanto: lo capivo dalla tacita frustrazione che ebbe nel constatare che non avrebbe potuto fare più niente per riportarli da luie e continuare a vivere, ma che avrebbe dovuto continuare a vivere anche per loro due.
Solo.
Come un cane.
Per l’eternità.

Sono consapevole che avrei dovuto iniziare a risolvere “i guai” che avevo – con altre entità come me – combinato; ovvio che nessuno dei miei… probabili… figli sa quello che è successo e l’unica cosa per cui sarei fortunata è che non potrebbero comunque vedermi. Stranamente ho sviluppato una strana empatia con qualunque cosa appartenente al creato e pare che sia stata davvero destinata al “veicolare” ogni essere al proprio destino: tutto si crea e nulla si distrugge. Mi definiscono solo una maledizione, ma l’unica maledizione che porto con me è quella di non poter rivedere mai più i destinatari della vita.
È triste, il mio lavoro.
Tutti mi demonizzano, ma in realtà sarei e sono l’unica cosa benevola nell’intero flusso della vita, soprattutto degli uomini: l’unica razza che è destinata al “gioire al nascere e piangere alla morte” dei loro simili… anche se hanno un enorme falla di sistema che consiste nell’essere stati creati con un elevato senso della proprietà sia fisica che morale degli altri e degli oggetti e questo sta portando a un’inevitabile autoestinzione.
Per quanto nessuno possa vedermi e pensare che sia soltanto eterea, ho una mia fisicità e sono più umana di quanto possa – chi ha la possibilità di ascoltarmi – immaginare. Posso parlare e anche un mio piccolo gesto può essere preso da infinite interpretazioni – tutte giuste e tutte sbagliate – perché nessuno conosce cosa sono costretta a fare, per rispettare la mia natura; anche io sono stata creata da qualcuno d’infinitamente potente di cui non conosco nemmeno l’esistenza, ma – per tornare al mio discorso – quello che sono sicura di sapere è che per cercare di gestire questo “compito” affidatoci, a me e agli altri tre come la sottoscritta, di gestire l’evoluzione del nostro universo d’appartenenza, abbiamo cercato di facilitarci il lavoro donando alcuni simulacri che rispecchiassero la nostra natura all’uomo… principalmente… e diciamo che non è andata del tutto bene: ma proprio per niente.
Per me, potrei persino affermare che per eccesso di zelo ho lasciato che s’arrivasse a un’evoluzione della specie non molto “calcolata”, – tanto nessuno potrà sapere niente di questa storia – tanto da arrivare a constatare – sia io che gli studiosi che nel corso della storia hanno avuto modo di studiare questi “esseri potenti di qualcosa di straordinario rispetto al proprio precedessore” – l’esistenza dell’homo potens come denominazione dell’evoluzione biogenetica dell’homo sapiens sapiens e nel corso del tempo trascorso dalla scelta infausta di dotare la razza, con il corredo genetico avente il più alto grado di adattabilità alle mutazioni, di fattori che potessero essere usate anche per rendere i soggetti aventi queste “mutazioni” non influenzabili anche dalla morte.
La morte è un processo inevitabile per la conservazione e il riciclo della stessa energia che non si disperde, ma che tra materia e antimateria – per ridurre all’osso il concetto: esisterebbero anche gli altri tipi d’energia: tipo quello temporale, ma è un’altra storia – è sempre atto il processo di riciclo che permette la coesione tra le fonti d’energia e i suoi – dell’energia – consumatori; chi non muore, altro non fa che non permette un riciclo e trarre energia da una “fonte di consumo inesauribile” mi sembrava un buon modo per equilibrare di nuovo tutto il consumo d’energia.
Diciamocela tutta: non ho progettai io le razze da inserire nell’universo e i vari pianeti, ma quel demente di mio “fratello” Theo – voi lo conoscete con il nome di Dio – si divertì a farle tutte a sua immagine, somiglianza ed ego – quindi potreste immaginare quante grane mi abbia “regalato” nel corso dei millenni. Poi s’inserì quell’altro permaloso del mio secondo “fratello” Luck – che credo possiate conoscere con il nome di Lucifero – che ha l’abitudine nel criticare senza dare una reale soluzione. Infine… non ve lo dico: sarò anche io libera di fare o dire quello che mi pare.
Anche se un senso “più etico”, m’impedirebbe di fare cose o prendere decisioni che non sono eticamente corrette: nel provare a prenderle, ho fallito miseramente, perché non avevo calcolato che non potendo interrompere nemmeno io il mio flusso e il consumo d’energia che ho – proprio perché devo continuare a esistere – non dovrei provare a fare cose insensate: se nel voler ridurre i consumi d’energia dell’universo, dovessi unire la mia essenza d’interrutrice di flussi con qualcuno cui non può – per qualche anomalia genetica – essere interrotto, si creerà – con molta probabilità – come progenie qualcuno – per forza di cose – che avrà una, o due oppure nessuna delle nostre proprietà.
In poche parole, per chi non ha ancora capito: unendo la mia genetica con quella di un immortale, avrei potuto creare dei casini e sarei andata a creare – io, come credo anche gli altri esseri come me, da come ho capito – altri esseri che hanno la proprietà di non potersi vedere il loro flusso energetico interrotto ed è solo colpa mia. E degli altri esseri come me. E come farei io, La Morte, a permettere queste unioni… sia dal punto di vista biogenetico e sia dal punto di vista “energetico”? Ovvio: con il sesso… la pratica che ha sempre accomunato tutti gli esseri umanoidi dell’Universo.
Vi starete chiedendo, voi fortunati che avete avuto la possibilità di leggere questo mio testamento scritto che prova finalmente la mia esistenza, cosa v’abbia spinto a cercare di capire cosa ci fosse dietro la morte: niente che non abbiate già visto. Avete presente come mai i bambini piccoli hanno delle reminescenze di signori che non hanno mai visto? Bene: probabilmente una parte dell’energia che sta usando per vivere era appartenuta – in passato – alla vita del signore che lui ha visto, che si stava guardando allo specchio… probabilmente… e ne potrei citare altri casi, come quello che vide la vita oltre la morte e scoprì di ritrovarsi in un posto confortevole. È così, quando non hai più peso e sei libero di volare nell’etere ove nessuno può comandarti. Credetemi se confesso che è davvero bellissimo essere liberi di poter fare realmente l’impensabile e quando ve ne renderete conto… sarà troppo tardi: vi consiglio, come madre e amica irresponsabile, di godervi ogni singolo momento che riuscirete a ottenere nel vostro rimanere in vita… oltre al fatto che ognuno di noi è responsabile delle sue azioni e non è onesto nemmeno dare sempre colpa a me dei vostri fallimenti e delle vostre insicurezze.
Quello che cerco di dirvi, dopo tutta questa storia è: godetevi il viaggio – senza ritorno – fino a che riuscite ad apprezzarne ogni respiro, ogni istante e – soprattutto – tutto il sudore che uno spende per arrivare alla propria realizzazione: anche io avrei voluto che qualcuno mi dicesse che andava tutto bene, ma il mio trovarmi a portare il vuoto in chi non poteva nemmeno vedermi.
Un amico disse che le uniche cose belle al mondo sono l’amore e la morte… io gli do ragione per il semplice motivo che sono anche le due leggi che governano l’universo: se si ama, s’accetta meglio la morte e si muore, si lascia meglio chi si ama.
Con questo pensiero, la musica è finita.

Dimenticavo di avvisarvi che io non sarò più la cronista dell’intera storia, ma i lor signori saranno accompagnati nel loro addentrarsi in questa strana realtà da mio figlio Mastiff. E se risulta essere molto “pragmatico” nel raccontarvi la vicenda, è perché non vuole annoiarvi.

Io avrei da lavorare.

   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Avventura / Vai alla pagina dell'autore: Andrew Foulieur