Libri > Harry Potter
Ricorda la storia  |      
Autore: Katekat    28/12/2016    2 recensioni
Alla fine, ci è cascato di nuovo. D’altronde, è sempre stato il suo gioco, quello di Black. E lui, il suo giocattolo.
[Sirius/Remus. Esercizi di amore e psico-perversione.]
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Nimphadora Tonks, Remus Lupin, Sirius Black | Coppie: Remus/Ninfadora, Remus/Sirius
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
(Not) a love game
 
 


’cause we are the ones that want to play
always want to go
but you never want to stay
 
 
 
 
 
– Tonks ha preso una sbandata per te. Lo sapevi?
Remus è turbato. Si lascia prendere la sigaretta dalle dita – nessun accenno di debole protesta contro l’inveterata arroganza con la quale Black gli si impone, come suo solito.
– No che non lo sapevo, ovvio. – Lo guarda aspirare e soffiare fuori il fumo con rabbia. Il calore del suo braccio, attraverso il tessuto sottile della camicia, lo ustiona. – Perché pensavi lo sapessi?
Black sposta il peso del corpo da un piede all’altro; si protende sugli avambracci oltre il davanzale della finestra, guarda giù – nel buio fitto, fondo, del giardino di notte. Grimmauld Place è silenziosa e inerme, e l’inverno è freddo quest’anno, più di quelli già trascorsi.   
Remus lo conosce troppo bene per lasciarsi ingannare. Quel volto imperscrutabile, quelle palpebre livide che scendono a celare uno sguardo altrimenti troppo rivelatore – la rabbiosa noncuranza che sempre, in lui, racchiude un segreto turbamento. Nulla, di tutto questo, gli giunge inaspettato.  
– Non lo so – dice infine Black. – Ma tu di certo non sei stupido, no? E non sei nemmeno più un ragazzino. Com’è possibile non ti sia mai nemmeno balenato il dubbio che le piacessi?
Volge la testa a guardarlo, gli occhi stretti in una rima sottile che non lascia scampo. Il resto del suo corpo rimane immobile, come fosse quello di un altro.
L’accusa impregna come acido la sua voce – come se Remus si fosse macchiato di quale disonorevole tradimento nei sui confronti. Neppure questa è una novità; anzi, sempre più spesso capita che si incazzi con lui per nessuna apparente ragione.
Remus tace. Avverte sfrigolare nell’aria il sentore della sua indignazione, come fanno i lupi con la pioggia prima che cada.
– Ti dà fastidio perchè è tua cugina?
– Non dire stronzate. – La mano di Black, quella che regge la sigaretta, taglia secca l’aria, scacciando quel pensiero assurdo al pari di un insetto molesto. – Lei è troppo giovane – continua. – Non sa niente. Niente di niente.
– Se non sbaglio ha appena compiuto ventis-
– Non vuol dire nulla, Remus. E lo sai. – Tono perentorio. Crepita fulmineo come una lingua di fuoco; la voce di Remus si accartoccia. 
Per molti minuti restano in silenzio, al centro di una landa desolata dove soffia un gelido vento. Due cowboy non più giovanissimi; un esile fil di fumo si leva dalle canne di pistole ormai scariche che nessuno dei due è disposto a deporre.  
Come quasi tutti i loro litigi, non c’è un motivo preciso per cui avvengano. Capitano e basta, come un cataclisma naturale che non si può prevedere né impedire.
Il silenzio si tende sotto il cielo di ossidiana che incombe sulle loro teste. Quella sera i lampioni di Grimmauld Place hanno deciso di restare spenti – in realtà, è solo il frutto di un banale abuso di potere con lo Spegnino di qualcuno che non verrà punito per questo. 
Remus, i pugni gelidi in tasca, si appoggia di pancia al davanzale di pietra. Con il naso all’insù fissa le stelle. Avrebbe voglia di una sigaretta adesso, ma l’ultima che gli restava ora penzola indolente dalla bocca di Sirius. Come tante altre cose che gli ha dato – o che lui gli ha tolto – non ha voglia di riprendersela.
La sua mente si riempie di nomi di costellazioni, quelli che conosce – e delle persone che portano nomi di stelle e sono altrettanto fredde e splendenti e irraggiungibili. E della bocca di Sirius, che invece è calda ma amara.
Si chiede come sarebbe quella di Tonks. Scommette che non ha mai assaggiato qualcosa di altrettanto puro e innocente e normale.  
– E’ molto matura per la sua età – sussurra, pensando a lei.   
– È solo incosciente. – Black lascia cadere la cenere oltre il davanzale. – Testarda, orgogliosa e incosciente. E non vuole mai ammettere quando ha torto.
– Mi sembra il ritratto più sincero di te stesso che ti abbia mai sentito fare in tutti questi anni che ci conosciamo. – Remus sorride dolcemente: le spalle di Sirius si sono appena irrigidite; la frecciatina è andata a segno. – Avete molte cose in comune.
– Ho cercato di metterla in guardia – continua imperterrito Black, ignorandolo del tutto. – Ma non credo abbia capito a fondo la situazione... Davvero, la facevo più sveglia. Deve aver preso da suo padre; Andromeda non era così.  
Spegne con rabbia la cicca sul davanzale, schiacciandola tra pollice e indice ingialliti. Molly inorridirebbe nel vederlo fare una cosa simile (ma d’altronde quella è ancora casa sua, che cazzo, può ancora fare il padrone a casa sua, no?).   
– Non è stato molto sveglio da parte sua neppure fuggire con un Nato Babbano, se proprio vuoi metterla in questi termini – ribatte pacato Remus. – D’altronde, capisco il tuo punto di vista. Babbano è una cosa, Licantropo un’altra. Come mettere un Avvincino contro un Ippogrifo… Afferrato.
Lo sguardo cupo di Sirius cozza col suo.
– Vorresti darmi torto? Sto solo cercando di proteggerla. È mia cugina.
Remus lo guarda. – Non ti biasimo per questo, Sirius. Ma per quello che non stai dicendo.    
Black assottiglia lo sguardo, lasciandolo vagare nel vuoto davanti a sé; sopra i tetti delle case lontane, a stento visibili nel chiarore lunare.
– Con tutti i tuoi GUFO e quei MAGO e non riesci ad arrivarci da solo, lupastro?
Ora tocca a Remus essere sorpreso. Forse si era aspettato che negasse.
– Che dirti… l’età non mi ha proprio fatto bene. – Scrolla le spalle con leggerezza. – Immagino che occupi un posto d’onore nella tua classifica dei “poco svegli”, adesso. Per usare il tuo eufemismo, Sirius.
Per un lungo istante il volto di Black sembra sul punto di aprirsi in una delle sue risate lugubri e dirompenti al tempo stesso. La sua espressione è contraddittoria; sta decidendo se l’ironia dell’amico lo indispettisca o lo diverta di più.
– Dì, ti fa piacere che una ragazzina giovane e bella ti faccia il filo, vecchio porco.
Il suo volto è rimasto serio, ma il suo tono è quello di una volta.
– Beh, se vuol dire che questo vecchio porco continua a mietere un discreto successo, la cosa non può che lusingarmi. Non sei d’accordo?
Sirius emette un verso rauco, a metà tra la risata e il ringhio. Alza gli occhi al cielo – e Remus sa di avergli strappato un soffio di ilarità, suo malgrado. Per questo decide di azzardare un po’ di più su quel terreno infido e fangoso.
– Alla nostra età è importante ricevere conferme – dice. – E amore – aggiunge, come ripensandoci.
E subito capisce di aver detto la cosa sbagliata.
– L’amore è sopravvalutato – ringhia Black. – E poi… pensi davvero che Tonks ti ami? – Il modo in cui lo dice non gli piace – lo fa sembrare una cosa sporca, malevola. – Chissà cosa ci ha visto in te. – Il suo profilo affilato si staglia contro le stelle del cielo. È passato ad accendersi un’altra sigaretta. – No, aspetta… lo so. È una tipa idealista, lei; un po’ come noi alla sua età. Vive di idoli da ammirare, esempi da seguire. Cerca il modello di vita su cui plasmare la sua. Quando ti avrà visto per come sei davvero, non ci sarà più posto per te sul suo piedistallo.
Le sue parole sono accolte da un silenzio di apnea. Remus si stringe appena nelle spalle come se qualcosa, di esse, lo avesse urtato. È il freddo, direbbe comunque, se qualcuno glielo chiedesse.
– Dici? – Il suo tono si mantiene leggero, impalpabile. – E’ quello che hai fatto tu, no? – E poi colpisce nel profondo; pulsante, vivo e dolente. – Mi hai sostituito con James quando non ero più abbastanza interessante per i tuoi gusti. 
– I morti meglio lasciarli dove sono – glissa Sirius, in un sussurro vacuo. Le sue nocche sono bianche, intorno al davanzale della finestra. 
Non sopporti che ti si tocchi James, dice il sorriso caustico di Remus.
– Io non ti ho mai sostituito – riprende Black, scuotendo il capo. – Ho semplicemente distrutto il piedistallo. Non ho bisogno di idoli, io.
– Non al di fuori di te stesso, certo che no – lo rimbecca Remus. Il sorriso è ancora lì. – O non ammetterai neppure questo?
Sirius ha finito la sua terza sigaretta; la cicca vola nel buio, portata via dal vento.  
– Cos’altro? Cos’altro c’è che dovrei ammettere?
– Che sei geloso. – Affondato. Affonda.  
– Perché dovrei esserlo? È mia cugina.
– Appunto.
Remus si stacca lentamente dal muro. Gli si avvicina con le braccia incrociate sul petto, lo sguardo fisso su di lui. Sirius tiene basso il suo – quando inquadra la punta delle sue scarpe, immobili sul pavimento, lo solleva lentamente fino al suo volto.
– Non credevi che potessi piacere a qualcun altro, vero, Sirius? – bisbiglia Remus. – E’ questa la verità che non vuoi accettare.  
Sirius strizza impercettibilmente gli occhi; sente il suo fiato scorrergli sottile sulla pelle. Tace, per una volta; non ribatte. Sedotto e insieme indispettito dalla brutalità di quell’affermazione buttata lì senza mezzi termini, senza scudi – cosa che in genere è lui, e solo lui, a fare.
Non sa che fare, quando la sua stessa insensibilità gli viene ritorta contro.  
– Credevi che io, così dimesso, anonimo, così comune, ordinario, così poco speciale, non potessi attirare le attenzioni di un’altra persona. Tantomeno di una ragazza giovane e carina come Tonks. Estremamente intelligente, poi. Non riesci a immaginare cosa lei ci trovi in quest’uomo più vecchio di lei, spento, curvo, che dimostra tanti più anni e ben pochi sentimenti. Che non ha soldi, né una casa da offrirle. Che è considerato da tutti un mostro; che forse, in fondo, lo è davvero. – Appena un brivido lo percorre, alla menzione di quella che è stata per molti anni la sua etichetta. – Saranno sicuramente molte le cose che tu e Tonks avete in comune, Sirius, ma, fattelo dire, lei è molto più acuta e profonda e sensibile di quanto tu possa mai essere. Lei è la parte migliore di te.
Si ferma; riprende fiato in un gran sospiro tremolante che è quasi un rantolo. Le guance appena accaldate sono l’unica cosa che tradiscono il turbamento che lo arde dall’interno.
Black incassa; non dice una parola. Sposta piano lo sguardo da una pupilla all’altra di Remus. Si fissano da vicinissimo, i respiri che diventano uno. Due uomini alti; uno più chiaro, l’altro scuro. A un qualunque osservatore esterno sfuggirebbe la conturbante familiarità con cui gesti ed espressioni si rincorrono, si rispecchiano, si completano in una danza invisibile. Un silenzioso abbraccio di sfida che culmina in un duetto di morte. Bisogna essere allenati per vederlo.
Black emerge finalmente dal proprio silenzio di pietra.   
– Non ho mai pensato questo di te, Remus.
– Spero bene di no – ghigna Remus. – Se davvero mi disprezzavi, di cosa ti saresti mai innamorato?
Black lo ascolta, le braccia ossute abbandonate lungo i fianchi. Ricorda un albero, uno di quei pini sfibrati d’alta montagna, secchi ma tenaci, che le bufere non riescono a strappare.  
Gli è così vicino; potrebbe toccarlo se volesse.
– È vero che all’inizio era più la scommessa di scivolare tra le mie chiappe a intrigarti… Se ben ricordo, avevi puntato venti Falci contro quel tizio di Tassorosso. Come si chiamava?
– Piantala. – Il tono asciutto con cui lo zittisce vibra di una nota di sofferenza.
Non spegne il sorriso di Remus; anzi, lo allarga ancor di più, compiaciuto e masochista.
– Quanti giorni mi avevi dato prima che capitolassi? Tre, quattro?... Sicuro entro una settimana, dicesti. Poi sarei caduto a quattro zampe davanti a te. Nessuno ti aveva resistito più di una settimana, d’altronde. 
– Smettila. Non è divertente – lo fredda Sirius, con voce incolore. È lì, sul suo viso, la cosa più vicina alla vergogna che uno orgoglioso come lui possa esternare.
– Mi ricordo che James lo sapeva. – Remus è ormai un fiume in piena. – Se lo fece scappare una volta che eravamo ubriachi, in Dormitorio. E Minus, Sirius? Anche a lui lo avevi detto? Immagino fossi l’oggetto preferito delle vostre conversazioni, quando ero imprigionato alla Stamberga e potevate prendermi per il culo senza che lo venissi a sapere. E scommetto come ti piaceva vantarti di prendermi per il culo, Sirius…  
Il pomo d’Adamo che rimbalza è l’unica cosa che si muove in Black, per il resto impietrito.
Remus fissa a terra, ancora quell’accenno benevolo di sorriso che non riesce a togliersi dalla faccia. I suoi occhi sono un po’ lucidi – sarà il freddo, direbbe, il vento.
– Suppongo che tutti fossero convinti che ti morissi dietro. E che non aspettassi altro che di essere… impalato da te. Le ragazze mi invidiavano; alcuni ragazzi… pure.
– Remus…
– James non era geloso, però. Mi sembrava strano, inconcepibile, data la sua ossessione morbosa per te. Solo dopo ho capito il perché. Non mi ha mai considerato una vera minaccia, perché semplicemente non lo ero. Io ero il diversivo, e lui il tuo punto fermo, la solida roccia. Quella mai scalfita, nemmeno dopo la sua morte. Non aveva paura di perdere il posto.  
 – Non eri uno qualunque da scopare e basta – lo interrompe Black, un po’ troppo precipitosamente. – Forse all’inizio sì, eri un gioco; ma poi qualcosa è cambiato. Mi davi cose diverse rispetto a James. Mi davi qualcosa che non avevo mai avuto fino a quel momento, ma di cui non sapevo che farmene. Mi davi quello di cui avevo bisogno, ma non quello che volevo allora. Anche io l’ho capito dopo. Molto dopo. Eravamo ragazzi.
– Lo dicesti anche quando Piton stava per rimetterci le penne per colpa del tuo ridicolo scherzo. Anche rischiare di uccidere qualcuno era un gioco, vero, Sirius?
Black storce il naso, come ogni volta che qualcuno pronuncia il nome di Piton davanti a lui.
– Perché rivangare il passato? Nessuno di noi può più farci nulla; è andata così.
Remus lo fissa; scuote la testa, tra l’incredulità e la rassegnazione. – Quanto amore sprecato allora… E quanto amore sprecato adesso. – Sente prossimo il punto di rottura. – Tu non mi meriti, Sirius. Come io non merito Tonks.
Si volta di scatto. Nascondere gli occhi pieni di lacrime non ha senso; non quando Black può leggere qualsiasi emozione abbia dentro di lui, pur non vedendolo in faccia.
Rabbia, amara; dolore, liquido.
E si vergogna di essere un uomo e di piangere; di essere vecchio e di piangere. Di essere un Lupo Mannaro, senza speranza, e innamorato.
Quella schiena voltata è l’ultimo presidio di una dignità da lungo perduta.  
– Non dirò che hai torto, Remus. Su una cosa soprattutto non ti sei sbagliato – dice la voce di Black alle sue spalle. – Se veramente pensassi di te quello che hai appena detto, non ti avrei mai amato – sussurra. – Non sono così in basso
– Se non ti conoscessi davvero,  rischierei di crederti anche stavolta, Sirius. Ma ti conosco troppo bene per illudermi ancora.   
Remus chiude gli occhi. Alza appena il mento, lascia che il vento della notte gli scompigli la zazzera ingrigita sulla fronte. Sente Black emettere uno sbuffo di impazienza e disappunto. Avverte la sua esitazione, l’orribile incertezza l’attimo prima che il suo braccio gli si chiuda molto lentamente intorno alla vita. Non lo stringe a sé; rimane lì, forse in attesa che lui se lo scrolli via. E il fatto che non lo faccia rende evidente quanto, in cuor suo, non riesca a smettere di desiderare, contro ogni ragione.
Di fronte alla sua muta arrendevolezza, Black osa stringerlo un po’ di più. Remus sa che non dovrebbe consentirglielo; non dovrebbe lasciarlo entrare ancora una volta. Sul suo volto, pallido e immoto, corre uno spasmo di dolce sofferenza. Sente debolmente incrinarsi la sfera invisibile che racchiude la solitudine del suo spazio personale. Appena lì fuori, c’è Sirius. Ne sente il tepore senza avvertirlo direttamene; irradiarsi fino a lui, senza poterlo bruciare.
Gli viene in mente la storia dei ricci e della giusta distanza, che qualcuno gli avrà raccontato in una notte d’inverno di tanti anni prima.
La ripete a Sirius e Black lo ascolta in silenzio, la testa appena piegata al di sopra della sua spalla.
– Hai trovato un modo per starmi vicino senza farmi male? – domanda, alla fine della storia. Il volto ormai asciutto, la voce quasi ferma.
– Non ne sono sicuro – risponde cauto Black.  
– Tonks non mi farebbe mai del male – bisbiglia Remus.
– Ma non può darti quello che posso darti io.
– Tu non dai, Sirius. Prendi e basta. E quello che dai, quando vuoi darlo, ferisce come un coltello. Sei un’arma a doppio taglio.
– Pensi che con lei saresti felice? Vuoi sposarla, comprarle una casetta lontana dal mondo e giocare ai bambini persi nel bosco e poi ritrovati? Anche ritrovati, saranno sempre bambini perduti, Remus, non la sai questa storia?
– Magari dovrei provare a vivere una vita normale per sentirmi normale. Una famiglia, perché no. Dei bambini. Figli miei.
– Vuoi disseminare il mondo di mostriciattoli segregati dal mondo civile?
– Ti diverti proprio a fare a pezzi la mia vita, vero, Sirius?
– No. Solo quando non include me in essa. Sono egoista, Remus; e non riesco a cambiare. Mi dispiace.  
Remus accenna a voltarsi. Vuole guardarlo in faccia, ma Black lo tiene fermo, bloccandolo tra le braccia. Gli respira sulla nuca, e il suo petto scarno si alza e si abbassa convulso contro la sua schiena.
– Perche me lo stai dicendo? – gli chiede piano, assecondando quel suo moto quasi di disperazione.
– Perché sei la cosa più simile a un amico che mi sia rimasta.
Remus rimane in silenzio. Quell’ammissione lo ha tramortito. Sa che Sirius non ha voluto che lo guardasse in faccia apposta; perché Sirius si vergogna di quella debolezza, che quindi ha tanto più valore quando rivelata spontaneamente, mentre non si vergogna di lapidarlo con il veleno del suo sadismo quando è arrabbiato con lui. Sirius ha un’idea tutta sua del giusto e dello sbagliato, perché nessuno si è mai preso la briga di insegnarglielo.
Con lui Remus muore e rinasce ogni volta. È un circolo vizioso che si perpetua senza speranza.
E poi una testa scarmigliata dall’improbabile rosa shocking attraversa in volo i suoi pensieri.
Potrebbe essere, lei, la sua salvezza?
– Sì, sono geloso di Tonks. È questo che volevi sentire, no? – La voce di Black lo riscuote all’improvviso. – Non aspettavi altro che lo ammettessi. Ebbene, l’ho fatto... Contento, adesso?
Remus si districa dal suo braccio, attorto come fil di ferro intorno a sé, e si volta afferrandolo per le spalle. Sente sotto le dita la sagoma netta delle sue clavicole, nel punto in cui si congiungono alle scapole.
Lo guarda fisso fisso in viso. L’espressione di Black è quella di un cane braccato, perseguitato, tormentato. E di fronte ad essa, del tutto inaspettato e inopportuno, un riso silenzioso comincia a scuoterlo – lo sente propagarsi irrefrenabile dalle membra al volto. Si copre la faccia con le mani, sghignazzando in modo quasi isterico.  
Black è dapprima attonito, poi confuso; infine indignato.
– Adesso cosa c’è? – sbotta, strappandogli le mani dal volto. – Cazzo hai da ridere? Apri gli occhi, su… Cristo, sei proprio un imbecille, lo dico sempre io…
Remus ride copiosamente, e non sa bene neppure lui il perché. Ride finchè i muscoli gli fanno male. Probabilmente è tutto lo stress accumulato che sta venendo fuori, e la reazione di Black è come benzina sul fuoco: ride talmente tanto che è costretto ad appoggiarsi alla parete, piegandosi sulle braccia per sostenersi.
Quando Black, spazientito, lo afferra per il davanti della camicia, spalmandolo contro il davanzale della finestra, finalmente apre gli occhi; si asciuga le lacrime dalle guance. Sente il vento freddo penetrargli nella carne come tante piccole dita ghiacciate sulla sua schiena.
Si ritrova davanti gli occhi neri e selvaggi di Sirius; le labbra gli tremano ad ogni parola esplosa con rabbia.  
– Sai una cosa, Remus? Sei un grande stronzo. – La sua voce freme. Di cosa, Remus non saprebbe dire. – E sei pure pazzo. Isterico. Sei completamente fuori di testa. – Gli picchia con le nocche sulla fronte. – Tonks dovrebbe essere avvertita di questi tuoi sbalzi da Licantropo mestruato, se davvero intende continuare questa cosa con te.
Folie à deux – mormora Remus, senza un preciso nesso logico, annuendo col capo. Black lo sta fissando proprio come se fosse un invasato. E poi, ricordandosi improvvisamente di una cosa: –  Immagino tu non le abbia detto ancora nulla di noi.
– Nemmeno per sogno.
– E lei non sospetta nulla?
Sirius curva la bocca in un ghigno di compatimento e disprezzo. Gli brucia ancora l’essere stato oggetto di ridicolo da parte dell’amico.
– È troppo infatuata per voler vedere la verità. E non sarò certo io ad aprirle gli occhi.
Remus lo scruta. – E chi altri, allora?
Black passa ad un pigro, lento sorriso da Stregatto. I mutamenti di espressione si avvicendano repentini come stagioni sul suo volto. È impressionante e impossibile tener dietro a tutte le sfaccettature della sua personalità che di volta in volta si rivelano.
– Ma tu, ovviamente – dice dolcemente. – Devi essere tu a impartirle la lezione. E, se vuoi un consiglio da amico, fai in modo che non se la scordi.  
Il sorriso indulge; di fronte all’espressione sconcertata di Remus, si allarga sulla sua bocca in un che di malizioso appagamento. Trae dalla tasca l’ennesima sigaretta.
Ora Remus non ride più. Una ruga di franca disapprovazione incide la sua fronte; ora che, finalmente, ha capito a che gioco hanno giocato finora. Alla fine, ci è cascato di nuovo. D’altronde, è sempre stato il suo gioco, quello di Black. E lui, il suo giocattolo.
– Lo hai calcolato fin dal principio – mormora. – Tutto questo perché era qui che volevi andare a parare. Il colpo finale… Sei sadico, lo sai? – Gli tremano le labbra.
Tremano anche le mani di Sirius, mentre cerca di accendere la sigaretta. Solo alla fine ci riesce.
– Sono giusto – ringhia. – Nessuno mi ha indorato la pillola quando ho dovuto sapere cosa facevano i miei cari zietti ai Babbani. O quando ho scoperto cosa si nascondeva sull’avambraccio sinistro di mio fratello. – I suoi occhi si velano per un attimo, ma ormai anche parlare di Regulus, dopo tutto questo tempo, non fa più così male. – È così che si cresce, l’ho sperimentato sulla mia pelle. Lei pensa di aver passato la fase, di non aver più bisogno di nessuno che le insegni niente. Bene, dimostrale che si sbaglia, le farai un favore per il futuro. La vita non è tutta rose e fiori.
– Ha studiato da Auror, pensi che non lo sappia già? – tuona Remus; stringe i pugni fino a sbiancare le nocche – Come puoi essere così cattivo? Chi è che vuoi far soffrire veramente? Lei, che non c’entra nulla, o me, costringendomi a dirglielo? So che il tuo orgoglio brucia, ma lascia la ragazzina fuori dalla tua vendetta personale.
– Io non ti costringo a nulla. Ma lei deve sapere la verità, ecco tutto. Decidi tu quando dirglielo, se prima o dopo averti dichiarato amore eterno. – Ridacchia beffardo, senza mollarlo un attimo con lo sguardo. – Converrai che è meglio la sappia da te piuttosto che da me. Tu hai tatto; sai essere molto delicato.
I suoi occhi si soffermano su di lui per un istante più del dovuto. Pur nella furia che lo invade, Remus non può non cogliere la sottile allusione – e la sua eco, nelle viscere. Non può dimenticare tutti quegli anni, e la pelle, e il sapore.
Distoglie lo sguardo prima che il suo lo risucchi in un vortice di perdizione.
Apre e chiude i pugni più volte, meccanicamente. Riflette.
La cosa più giusta da fare non è sempre la più facile.
– D’accordo – capitola infine. – Devo essere io. Quando ne avrò l’occasione, le parlerò.
Non si rende conto di aver firmato la propria resa finchè Sirius, sazio, non si toglie la sigaretta di bocca. Con un sorriso, gliela infila tra le dita – che si aprono passive, molli, ad accogliere il dono non richiesto – e fa un passo indietro, scuotendosi i capelli dalla fronte.
– Bene, è fatta – dice soddisfatto. – Non abbiamo altro da dirci… Buonanotte, lupastro. Io vado a dormire – si congeda.
– Di già? – Un malcelato disappunto vela le due sillabe. Si dà del coglione un attimo dopo.
Black sorride (a volte è davvero come se gli leggesse nella mente), di nuovo padrone del gioco.
È il suo gioco, dopotutto. È facile, per lui, insinuarsi negli spiragli di debolezza di Remus; lasciarsi colare a fondo nel suo cuore, quando abbassa la guardia. Lì si adagia, nella molle certezza di aver vinto di nuovo.
Eppure, non c’è quel piacere che si aspettava. Non c’è l’ebbrezza di averlo annichilito, come le altre volte.
È pur sempre sua cugina, che diamine. Innocente e tenera come una viola d’inverno. Non gli fa piacere spezzarle il cuore, ma purtroppo è inevitabile. E Remus… Remus gli ha tenuto testa; è stato bravo, si è comportato bene. A un certo punto ha addirittura rovesciato la sorte in suo favore; pescato le giuste carte dal mazzo. Ma Remus deve capire che non può vincere contro di lui.
Questa è l’unica illusione che gli rimane, per cui essere forte. Senza quest’ultima certezza, non avrebbe nulla cui appigliarsi per sopravvivere.
Remus, intanto, si sta mordendo la lingua per non tradirsi con altre parole inopportune.
Sirius gli volta le spalle. È acutamente conscio del suo sguardo addosso, mentre attraversa il balcone e si sofferma brevemente nel rettangolo della portafinestra che dà sul salone. Una scena che gli ricorda da vicino un’altra, avvenuta forse tempo addietro, o forse ancora a venire.
Chi ha detto che il Tempo è circolare ci ha visto giusto.  
– Sto andando a letto – dice, il palmo caldo sulla maniglia. E, disinvolto, scaglia l’ultimo affondo. – A meno che tu non voglia raggiungermi, Remus.  
– Ho smesso di ricadere nelle tentazioni del passato, grazie.
Sirius sta ancora ridendo mentre si chiude la porta alle spalle. 
 
Bugiardo.
Bugiardo, Remus.
 
 
 
and we are the ones that want to choose
always want to play
but you never want to lose*
 
 
 
 
 
Fine  

 



* Sistem of a Down, Aerials 
 
 
 
  
Leggi le 2 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: Katekat