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Autore: frown    29/12/2016    2 recensioni
Un ragazzo e una ragazza - quasi amici - sono costretti a trascorrere la notte insieme, quando si ritrovano a tre ore da casa in mezzo al nulla. Tra chiacchiere futili e poco serie, discorsi riflessivi sull'amicizia e sul futuro, questi due adolescenti scopriranno di avere molto in comune. Ma riusciranno a dirselo prima di arrivare a casa?
“Anche io ho una cicatrice molto figa, somiglia a Donald Trump” le spiegò fiero e orgoglioso facendola scoppiare a ridere, molto rumorosamente. Le altre tre persone nel pullman si girarono a guardarli. 
***
“Me l’avresti già fatta vedere! E l’avresti già detto a tutti. In più è biologicamente impossibile averne una del genere” spiegò guardandolo, usando il tono da saputella. “Ma se ce l’hai, fammela vedere” osò lei, lanciandogli il guanto di sfida.
“Vorrei, ma è in punto piuttosto… Intimo. Te la farei vedere qui, ma-”
“Dimentichi che ti ho già visto nudo? L’avrei notata” replicò prima di lanciargli un’occhiataccia. “Stai mentendo”. 
“E’ l’ultima cosa a cui penseresti se siamo entrambi nudi, Nora. Non l’hai semplicemente notata, ma c’è. Te la farò vedere più tardi, a casa” replicò così tremendamente sicuro di sé.
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
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The master of trips and the kebab-espert 

Only for a night







Nora l’aveva compreso molto tempo prima di quanto avrebbe ammesso. Nessuna festa poteva essere così spettacolare da meritarsi un viaggio di due ore e mezza in macchina, per di più in un luogo sperduto in campagna. Stava malissimo e l’unica cosa che avrebbe davvero voluto fare era scivolare sotto le coperte pesanti e calde del suo letto, mangiare i suoi biscotti preferiti con le scaglie di cioccolato e guardare ogni singola puntata di Friends. 
Invece si ritrovava in piedi nel buio, al freddo, con indosso una gonna che le copriva a malapena il sedere. Fissava le poche facce rimaste, cercando di individuarne una in particolare. 
Dopo il casino che era successo, quando un gruppo di ragazzi aveva avuto la brillante idea di far scoppiare dei petardi e dei fuochi d’artificio nel cortile, ma finendo solo per appiccare un fuoco che era costato loro la chiamata furibonda dei vicini e l’arrivo della polizia e dei vigili del fuoco, Nora non aveva più visto Karina.
La maggior parte degli invitati se ne era andata da un pezzo, gli ultimi stavano lasciando la casa in quel momento, camminando in direzione delle poche auto rimaste parcheggiate. Nora riuscì a riconoscere una sua compagna di corso, faceva con lei matematica ed era tremendamente antipatica. C’erano anche dei ragazzi del terzo anno che cercavano di entrare in una macchina da cinque posti quasi all’oscuro di essere in otto. 
C’era anche qualcun altro che non aveva mai visto, ma la testa bionda di Karina era come scomparsa. Ed era un dramma.
Karina era l’unica che moriva dalla voglia di andare a quella festa ed era stato Thomas – il ragazzo di Karina, quello che studiava economia e aveva la patente – a portarle fino lì con l’auto. 
La festa si svolgeva nel cottage di famiglia di un ragazzo che si era diplomato nella loro scuola l’anno scorso, ed era famoso per le sue straordinarie feste apocalittiche. La casa distava qualche miglia da Vienna ed era vicino a un enorme foresta, il posto era celebre per un vicinato tranquillo, dedito al puro relax nel weekend. 
Prima che la polizia interrompesse esagitata la festa, Nora avrebbe potuto anche gradirla – se solo fosse stata in compagnia delle amiche. 
Ma Fedra era ad un campeggio, Julia era fuori città con il fidanzato e Charlotte era occupata con una cosa di famiglia. 
Dopo un incredibile viaggio in macchina – Nora non ha la minima idea di come sia potuta sopravvivere a due ore e mezza di Thomas che non parlava d’altro che la crisi economica europea – erano arrivati tutti interi alla festa. Karina e Thomas avevano frettolosamente trovato subito un angolo dove accamparsi e scambiarsi spinte effusioni – probabilmente era l’unica soluzione escogitata da Karina per fargli chiudere la bocca. 
Mentre lei era finita in una conversazione poco avvincente con dei ragazzi del secondo anno, per una di loro era la prima festa ed aveva decisamente esagerato con l’alcool. Infatti, quando la polizia era arrivata, Nora era in bagno a reggere i capelli rossi della ragazza che abbracciata alla tazza del water vomitava da dieci minuti. 
“Hai visto Karina?” aveva chiesto una volta fuori dalla toilette a un’altra ragazza che stava aiutando l’amica a vomitare. 
La ragazza aveva scosso semplicemente la testa in negazione. 
Aveva allora estratto il cellulare dalla tasca del cappotto, solo per ritrovarsi a fissarlo spento e scarico. 
“Stai calma” si era detta, decidendo di avviarsi verso l’auto di Thomas, magari Karina l’aspettava lì, o magari era ancora dentro a cercarla e sarebbe finita comunque dove quel deficiente aveva parcheggiato la sua berlina.
Aveva dunque camminato lungo la strada, cercando di ricordarsi dove l’avesse parcheggiata, ma quando raggiunse l’incrocio, capì che non c’era nemmeno traccia dell’auto di Thomas. Ripercorse la strada altre due volte per sicurezza, ricordandosi che lui l’aveva parcheggiata proprio di fianco a quel cassonetto, abbastanza lontano per proteggerla da “dementi ubriachi” come aveva detto lui.
Ma non c’era niente, né l’auto né quei due dementi.
“Non ci credo che questo sta succedendo a me” mugugnò paonazza, battendo i denti. Era in quell’inferno senza soldi, cellulare e nessuna possibilità di tornare a casa.
“Non hai ancora smesso di parlare da sola, Nora Celine Fitzbauer
?” 
Una voce familiare le fece alzare gli occhi da terra, ad incontrare un paio di occhi scuri.
I capelli di Elias erano spettinati e le sue guance arrossate, dal freddo o dall’alcool. Indossava il suo famoso ghigno obliquo e confidenziale, che sembrava non lasciare mai le sue labbra.
Nora alzò gli occhi al cielo alle sue parole. “Non ancora” mormorò passandosi una mano tra i capelli.
Sapeva che sarebbe stato alla festa, lo sapeva decisamente, e mentirebbe se dicesse di non averlo cercato con lo sguardo e di non averlo fatto scivolare un paio di volte sulla sua figura.
Guardarlo le faceva ripensare ad alcuni mesi fa, riusciva a ripercorrere quella serata nei minimi particolari. Il loro inciampare su sé stessi, il sapore della birra sulle sue labbra e perfino l’odore delle sue lenzuola.
I ricordi di mani sospettose e i sottili mugolii nel suo orecchio la facevano ancora accaldare e arrossire come una stupida. 
Era stato casuale, sbadato ed estremamente naturale, o almeno per lei. Non ci aveva rimuginato nemmeno un secondo, all’inizio. Solo dopo, Nora era riuscita a realizzare che quello che stava iniziando con lui era una sciocchezza. Era stato tutto così facile e semplice, soprattutto per una come lei, così razionale da risultare quasi rigida. 
Allora aveva preferito mettere le distanze fra loro, nonostante fosse stato duro.
Ma in qualche modo lui era comunque esattamente dove c’era anche lei e finivano per scontrarsi l’un l’altro in ogni occasione.
Stanotte Nora era riuscita a non incappare nel suo corpo nell’oscurità per miracolo, si credeva salva, e invece eccoli lì, a sorriderle dolcemente nel buio, innocuo come solo le cose fatali possono essere.
“Che ci fai ancora qui? Non eri con Karina e il suo strisciante boy-toy?” le chiese Elias facendola sorridere mestamente. Strisciante, una parola curiosa per descrivere Thomas.
“Ero” sibilò, disincrociando le sue braccia e liberando le mani dalla sua stessa morsa e chiedendo: “Li hai visti, per caso? Sono ancora dentro?” 
Elias scosse la testa e si avvicinò a lei d’un passo. “Sono stato l’ultimo ad uscire, non c’è più nessuno dentro” disse tornando a guardarla. “Hai provato a chiamarla?”
Nora si strinse elle spalle e brontolò. “Il mio cellulare è morto”
Senza bisogno di dire altro, Elias estrasse il suo cellulare dalla tasca della tasca posteriore dei jeans, cercò il nome di Karina nella rubrica telefonica e la chiamò. “Segreteria telefonica”.
Nora accusò il colpo. “Sarà morto anche il suo cellulare. Ti prego dimmi che hai un passaggio per tornare a casa” lo supplicò, incrociando di nuovo le braccia sentendo improvvisamente freddo dappertutto. 
“Mi dispiace deluderti, il mio passaggio se ne è andato con la polizia dopo aver appiccato il fuoco. Un fuoco molto piccolo e molto innocuo” ci tenne a precisare. “Sto andando alla fermata del pullman”.
Nora alzò gli occhi al cielo. Non era affatto sorpresa di sapere che fossero stati proprio gli amici di Elias ad appiccare il fuoco, ma a saperlo abbandonato per la strada e costretto a prendere il bus notturno le veniva da ridere.
“Perché non sei semplicemente rimasto? Stavo pensando anch’io di tornare alla festa a scroccare un divano...” tentò Nora. Camminare non so dove alla ricerca di una non so quale fermata dei pullman non la eccitava per niente. 
“Ehm, la polizia ha chiamato i suoi genitori e non credo che nessuno di noi due voglia essere lì quando torneranno a casa. Il soggiorno è completamente distrutto” sogghignò.
“Okay. Mi rimangio tutto, quanto dista questa fantomatica fermata del pullman?” chiese, camminando sul posto cercando di riscaldarsi un poco. 
“Qualche minuto, credo” replicò alzando le spalle ed iniziando a camminare sullo strettissimo marciapiede.
“Tua madre?” le chiese poi lui.
“Sai che non è mai a casa, è via per lavoro” rispose tristemente. Tuttavia, a quell’ora non le avrebbe telefonato neanche se fosse stata in casa.
Saranno state le due del mattino e l’unico suono che Nora riusciva a percepire era quello dei loro respiri e degli uccelli che si muovevano tra gli alberi. 
Nora aveva sempre amato quei momenti, il dopo-festa, quando l’effetto dell’alcool bazzicava ancora nella sua testa, ma il mondo attorno a lei era preso da una quiete paradisiaca. Si sentiva unica al mondo, non esisteva nessuno a parte lei e le sue amiche che tornavano a casa. In questo caso, lei e Elias. 
Si voltò a guardarlo e lo trovò preso a cercare qualcosa nelle tasche dei jeans scuri. Ne estrasse un pacchetto di sigarette sgualcito e consunto dalla quale ne prese una, l’accese e si rivolse a lei. 
“Ne vuoi una?” le domandò dopo aver preso il primo tiro, il fumo spariva lentamente nell’aria fredda. 
“Io non fumo” rispose Nora, lui soggnignò in quel suo modo strambo.
Riuscì a sentirlo borbottare un “Naturalmente...” sotto il suo respiro, in tono beffardo ma non perfido. Ad Elias piaceva deridere le persone, o più che altro burlarsi di loro, ed era sempre il primo a fare ironia su qualcuno, ma Nora aveva capito che non avrebbe mai voluto ferire nessuno. 
Camminavano in silenzio, ma questo non risultava teso o strano, ma confortante, realizzò Nora più tardi. 
Si sentiva misteriosamente a suo agio accanto a lui, come quando si rilassava sulla sua poltrona a casa, quella confortevole. Dopo la loro prima volta – la sua prima volta – erano esausti ed avevano avuto bisogno di un po’ di tempo per riprendersi pienamente e ancora una volta non era stato imbarazzante stare lì sdraiata accanto a lui. Confortevole.
Lui non le aveva detto nulla, non le aveva chiesto nulla, neanche di andarsene – come invece si era aspettata. Anzi, poco dopo le aveva offerto un caffè – dal gusto discutibile – e avevano guardato assieme le repliche di Criminal Minds. Troppo confortevole.
“Eccoci qui” disse semplicemente Elias ed indicò la fermata del pullman a distanza di un paio di metri. “Non so quando arriverà, però. Ho esaurito tutta la mia arguzia per questo mese” spiegò, facendo ridere Nora. “Giuro, non so più leggere” continuò fissando il tabellone degli orari. “Venti minuti” disse gettando la sigaretta a terra.
Nora annuì. Sperava solo sarebbe sopravvissuta a quei dannati venti minuti al freddo.
“Freddo?” le domandò Elias avvicinandosi e imprigionandola con le braccia in una calda morsa. “So come tenerti al caldo” snocciolò con nonchalance, prima di premere le labbra sulle sue.
Nel momento in cui le loro labbra si incontrarono, Nora si scordò che questa era la cosa che aveva evitato così tanto che accadesse. Le sue mani premevano fortissimo sui suoi fianchi, tenendola con fermezza. Elias sapeva di birra e sigarette e qualcos’altro che era probabilmente proprio lui, tutto ciò le fece facilmente scordare il freddo e tutto il resto. 
Quando il pullman arrivò, venti minuti più tardi, Nora aveva le labbra gonfie e martoriate dalle labbra e dai denti di Elias, in compenso le sue mani lo avevano completamente spettinato. Era buffo. 
Nora fu la prima a salire e gettando un’occhiata d’ispezione notò che sull’autobus c’erano solo una donna sulla trentina e due uomini che giocavano a carte. Tirò un sospiro di sollievo. Nora odiava i pullman notturni da quando un uomo ubriaco le aveva palpato il sedere, una notte di ritorno a casa. 
Si sentiva più tranquilla con Elias – nonostante le avesse palpato lui stesso il sedere un numero considerevole di volte. 
“Lo chauffeur ha detto che saremo in città tra circa tre ore” la informò Elias enfatizzando ironicamente sulla parola chauffeur e scivolando sul sedile accanto al suo. “Sembra che passeremo un po’ di tempo assieme” disse mettendosi comodo, girando la testa e afferrandole una ciocca di capelli per giocarci. 
Elias era un ragazzo… molto fisico. Cercava sempre il contatto fisico con tutti, ma con lei era diverso, dato che una spallata a un amico era interpretabile diversamente alle carezze che le dedicava sempre. O alle manate sul sedere. 
Questo suo essere così fisico si aggiungeva alla lista delle cose che le facevano diventare molto duro resistergli. 
“Come sta andando l’organizzazione della gita?” le domandò.
“No, ti prego. Non anche tu. Karina mi sta facendo andare giù di testa con questa storia. Sembra che il suo unico obiettivo sia organizzare questa dannata gita, per la primavera manca ancora un bel po’” rispose ridendo e roteando gli occhi scherzosamente. 
“Io e i ragazzi abbiamo già finito di pianificare il tutto” le disse giocosamente altezzoso. 
Nora rise di nuovo. “Siete delle ragazzine eccitate per lo spring-break anche voi?”
“Non chiamarle così” la minacciò puntandole un dito di fronte al naso. 
“Perché?” domandò sorridendo, togliendogli la mano dal suo volto. “E’ così che si chiamano” spiegò davanti alla sua occhiataccia. 
“Si chiamano vacanze di primavera. Solo Karina le chiama spring-break perché quel film le ha devastato il cervello” illustrò con un tono da maestrina che la fece ridere ancora e ancora. “Come se non fosse già messo male” aggiunse. 
“Odio quel film” replicò Nora semplicemente sbuffando.
Elias la occhieggiò. “Anche io” rimarcò. “Comunque potrei aiutarvi, è chiaro che la vostra gita non sarà mai bella quanto la nostra, ma… Sai, io sono un esperto in fatto di gite”.
Nora alzò gli occhi al cielo e Elias le schiaffeggiò il fianco. 
“Ho visto la tabella di marcia, la pianificazione… Ce l’ha mandata Karina su Whatsapp per sgridarci della nostra… negligenza” rise, allontanandosi da lui, per prevenire ulteriori attacchi. “E’ carina… Nulla di più”. 
“Carina? E’ la migliore tra tutte quelle organizzate della scuola, anzi, dell’intera Vienna. Frutto di duro lavoro, ragazzina” rispose e si avvicinò ulteriormente a Nora. “Non devi minimizzare solo perché la vostra gita non può competere”.
“Certo… Come vuoi tu, oh master of trips” replicò scoppiando a ridere e scuotendo la testa.
“Potrei anche abituarmi ad essere chiamato ‘master’ da te. Puoi iniziare stanotte, quando saremo a casa” ridacchiò guardandola di traverso. 
“Prima di tutto questo non accadrà… mai. E soprattutto non stanotte” disse seria. 
Odiava quanto fosse facile per lui. Una manciata di baci, qualche stupida carezza ed era già intontita da lui. Bastava davvero così poco? Era davvero abbastanza?
Nora si era detta che stanotte non sarebbe successo. Ne andava del suo onore.
Il suo onore che tra l’altro aveva subito già un duro colpo, perché era strano come si sentisse meno nervosa quando parlando di eventi e feste le dicevano “ci sarà anche Elias”, come se si divertisse a toglierle l’ansia per poi andarsene per  la sua strada.
Lui sorrise, per niente annoiato dallo scambio di battute che oramai era un classico fra loro due. “Dici sempre così, tu” la rimproverò.
“Sono seria, Elias” fu il turno di lei di dargli una gomitata sul fianco. 
“Dici spesso anche questo, ma poi...” iniziò lui dopo essersi ripreso, ma lei lo interruppe con un sorriso fittizio. “Se finisci quella frase, mi vedrò costretta a diventare manesca, ti avviso” lo informò con le sopracciglia aggrottate.
Elias alzò le mani in segno di resa.
“Come è andata l’intervista?” gli chiese lei. 
Elias la guardò stupito. “E che ne sai tu?”
“Ho letto il post-it che ti aveva lasciato tua madre sul frigo” spiegò Nora brevemente.
“E’ andata bene” fece lui pragmatico. Nora si accigliò: “Ma…?” 
“Ma è complicato, Nora” le rispose, guardando una gomma da masticare spiaccicata sul sedile di fronte. 
“E’ per tuo padre?” continuò lei. 
Elias era un imbecille colossale, lo conoscevano tutti a Vienna. E la città era piuttosto grande. Sapevano che fosse un imbecille, che era un animale da festa e un donnaiolo poco fine, le faceva un certo effetto sapere che era una delle poche persone attorno a lui a non considerarlo un imbecille.
In realtà era molto più complicato di così, guardandolo quando nessun altro lo faceva, aveva capito che lei aveva un cotta per Elias. Per la persona che era solo con lei.
Elias si agitò un poco sul posto, facendole pensare che quello era un argomento spinoso. Nora sentiva l’urgenza di accarezzargli la pelle e mormorargli nell’orecchio parole dolci e confortanti, di spiegargli che non gli doveva dare così tanta noia non sapere cosa fare della propria vita – che era normale in quell’età.
Nora si sforzò persino di immaginarlo fuori da scuola, in un ambiente diverso da quello in cui lui si sentiva più a suo agio. Chissà quanto si sarebbe sentito perso…
Elias rise un poco alle sue parole. “E’ solo una delle sue stupide idee. Lui lo sa che non riuscirei mai a stare seduto davanti ad una scrivania per tutto il giorno, è solo una cosa che vorrebbe lui”.
Era probabilmente la prima volta che non affrontavano una conversazione superficiale, ma così personale.
“E allora cosa vuoi fare? Intendo dopo la scuola” chiese sorridendogli in modo quasi incoraggiante.
Qualcosa dentro di Nora le diceva che stava accadendo qualcosa di raro e che dovesse stare attenta a non fottere tutto.
Lui si rilassò sul sedile di nuovo e la sua coscia sfiorò quella di Nora. “Non lo so, ho sempre voluto andarmene da qua, con Xander” rifletté ad alta voce.
Non ci aveva mai fatto caso, chissà come si sentiva… Come si era sentito quando Xander era partito. Che Xander fosse il miglior amico di Elias era palese, erano sempre assieme e quando ne vedevi uno già ti preparavi mentalmente a vedere sbucare intorno la figura dell’altro. “Da quanto… Da quanto tempo eravate amici?” gli chiese diretta, cercando il suo sguardo. 
“Non lo so. Non l’ho scritto sul mio diario” sogghignò e cambiò ancora posizione. 
“Lui era semplicemente sempre lì… Da quando riesco a ricordare”. 
“Non riesco ad immaginare essere amici di qualcuno per così tanto” replicò Nora senza pensarci. 
Elias non rise, non disse niente, la guardò semplicemente, aspettando una spiegazione.
A volte, quando lo guardava di soppiatto, dopo la dipartita di Xander, le faceva trapelare un senso di inquietudine. Perché anche se non era mai solo, le trasmetteva una percezione di abbandono. La malinconia se la portava addosso come fosse un profumo.
“Intendo dire, mi sono trasferita a Vienna alcuni anni fa e i miei vecchi amici non li ho più sentiti, nonostante ci fossi molto affezionata. Appena arrivata ho fatto amicizia con Cissy e sappiamo entrambi che non è finita bene l’anno scorso… Abbiamo litigato e nonostante recentemente ci siamo chiarite non è più come un tempo. Adesso ho le ragazze, Karina, Charlotte e insomma le altre, la nostra amicizia sembra possa durare per l’eternità adesso, ma chi lo sa. Insomma è la vita, niente permane per sempre” spiegò, parlando quasi a macchinetta.
Cissy era stata la prima che Nora aveva definito “migliore amica” e ora si sentivano in imbarazzo a chiedersi come stavano a vicenda. Si parlavano, per carità e si scambiavano i compiti di chimica, ma non erano più quelle di una volta. 
E Dorian. Dorian lo aveva amato, in modo platonico, ma non per questo meno forte. Innamorarsi di lui le era sembrato naturale, quasi non se ne era accorta, si era ritrovata quasi per caso a volergli più che bene. Pensava che non avrebbe provato quel sentimento per nessun altro, quella sensazione di mettere qualcun altro su un piedistallo. Nessuno l’aveva fatta sentire come lui, ma ora seduta di fianco ad Elias pensava a quello che le faceva provare lui. Era diverso da Dorian. Dopotutto era cresciuta. Ma era così intenso… Lui non la lasciava mai andare, non si accontentava mai di un “no” con lei, non aveva mai badato alle incomprensioni e non si era mai lasciato spaventare dai muri che lei aveva eretto. La teneva stretta tra le mani quasi fosse liquida e temesse che gli scivolasse via.
“Non addormentarti! Ti ho portato con me affinché mi intrattenessi in questo lungo tragitto fino a casa” le disse Elias giocosamente, interrompendo il flusso di pensieri che le aveva riempito il cervello afferrando la sua mano e incrociando le loro dita assieme.
Il lato oscuro di Elias sembrava essere stato inglobato dal solito Elias– quello scherzoso.
“Non preoccuparti, non mi sto addormentando. Non voglio che tu stia solo senza di me” mormorò sbadigliando. Elias le avvolse un braccio attorno alle spalle, avvicinandola.
“Bene” le disse prima di notare una cicatrice sulla sua mano. “Come te la sei procurata, questa?” le chiese toccandola con lentezza. Aveva la forma di un serpentello.
“Ferita di battaglia” scherzò prima di guardarlo. “Avevo quattro anni e facevo la bulletta con il cane dei miei nonni. Quando mi ha azzannata e ho visto così tanto sangue… Giuro, ho pensato di morire. Sono svenuta”.
Elias scoppiò a ridere. “Non mi sorprenderebbe se accadesse la stessa cosa oggi” le disse accarezzandole la ferita di battaglia. Nora alzò gli occhi al cielo.
“Oh sta’ zitto”.
“Anche io ho una cicatrice molto figa. Non sembra un serpente come la tua, ma in realtà somiglia a Donald Trump” le spiegò fiero e orgoglioso facendola scoppiare a ridere, molto rumorosamente. Le altre tre persone nel pullman si girarono a guardarli.
“Tu non hai una cicatrice che ricorda Donald Trump”.
“Sì, invece. E’ la mia cicatrice” le rispose guardandola. 
“Me l’avresti già fatta vedere! E l’avresti già detto a tutti. In più è biologicamente impossibile averne una del genere” spiegò guardandolo, usando un tono da saputella. “Ma se ce l’hai, fammela vedere” osò lei, lanciandogli il guanto di sfida e spingendolo a leccarsi le labbra. 
“Vorrei, ma è in punto piuttosto… Intimo. Te la farei vedere qui, ma-”
“Dimentichi che ti ho già visto nudo? L’avrei notata” replicò prima di lanciargli un’occhiataccia. “Stai mentendo”. 
“E’ l’ultima cosa a cui penseresti se siamo entrambi nudi, Nora. Non l’hai semplicemente notata, ma c’è. Te la farò vedere più tardi, a casa” così tremendamente sicuro di sé.
“E’ solo una fottuta scusa per toglierti i vestiti. Non funzionerà, Elias” ci aveva provato ed aveva fallito. Aveva provato a spostare la conversazione sempre su argomenti limpidi e puliti, ma Elias spostava sul sesso anche un tema come le cicatrici. 
“Quando io e mia madre andavamo via per le vacanze giocavamo sempre a un gioco. ‘Cosa vedo con il mio occhietto’” disse Nora guardandolo. “Io vedo con il mio occhietto… Qualcosa di verde” iniziò lei, facendolo scoppiare a ridere.
“Seriamente? ‘Cosa vedo con il mio occhietto’?” domandò lui sarcastico, ma vedendola guardarsi attorno e fuori dal finestrino sbuffò. “Le sedie” rispose. 
“Okay, l’ho fatta semplice semplice perché era la tua prima volta. E’ il tuo turno” e si girò a guardarlo.
“Va bene. Vedo qualcosa con il mio occhietto ed è… nera”.
Il nero è uno dei colori più comuni di tutti, uno dei più comuni nel pullman. Le scarpe della donna erano nere, entrambi gli uomini indossavano dei jeans neri e Nora stessa era per lo più vestita in nero. 
“Okay… il tuo maglione” tentò Nora. Tentò di indovinare nominando altre cose, ma Elias continuava a rispondere ‘no’ con un ghigno soddisfatto stampato sul volto.
“Sembra proprio che tu sia una pessima giocatrice a ‘cosa vedo con il mio occhietto’” ridacchiò lui. “Nonostante tu abbia giocato a ‘cosa vedo con il mio occhietto’ per tutta la tua infanzia” ripeté il nome del gioco solo per il puro gusto di irritarla. 
Dopo aver tentato di indovinare altre due volte, fallendo, Nora decise di mollare. “Okay, hai vinto, che cos’è?” gli chiese sbuffando.
“Là fuori, proprio davanti ai tuoi occhi” il suo ghigno non era mai stato così ampio. Amava prendersi gioco in quel modo delle persone. 
“Naturalmente hai scelto “là fuori”… Naturalmente…” brontolò dandogli un colpetto sul braccio. “Non è affatto divertente giocare con te”.
“Io sono molto divertente” le disse, finendo per toccarle la coscia in una languida carezza che esibiva con indifferenza. “Tu sei solo pessima in quel gioco, e non è colpa mia”.
Nora decise di cambiare posizione, facendogli allargare le gambe su entrambi i posti ed infilandocisi in mezzo, dando le spalle al suo torace sulla quale si appoggiò completamente con un sopiro.
Lui continuò ad accarezzarla, sempre con più malizia, finché quando le assestò un pizzicotto lei non esibì un “hey” piuttosto scocciato. Nora si appoggiò di più, la testa finì contro la spalla di Elias, perché quest’ultimo scelse di appoggiare la fronte sul collo di lei, ottenendo per entrambi una posizione estremamente comoda, quasi come se fossero nel loro letto. “Stanca?” le chiese dopo averla vista chiudere gli occhi per un secondo, solo per resettare. 
Lei annuì e gli occhi le si chiusero di nuovo. “E va bene, dai dormi. Ti sveglierò non appena arriveremo a Vienna” le assicurò. 
“Davvero?” domandò Nora strabuzzando gli occhi e facendolo di conseguenza ridere di nuovo. 
“Non sei divertente stanca” insistette lui, appoggiandole un braccio sul fianco.
Due secondi più tardi si era già addormentata ed Elias pensò che la curva del collo di lei fosse il suo posto preferito al mondo, inspirò contro la sua pelle e chiuse gli occhi.
“Nora”.
Sentire il suo nome sussurrato nell’orecchio le fece lentamente aprire gli occhi. Sbatté le palpebre un paio di volte, prima di stropicciarsi gli occhi. Stropicciarsi gli occhi non era stato intelligente, considerando il trucco che aveva applicato sulle palpebre.
Il pullman era deserto e dalla finestra si riusciva a riconoscere l’impostazione architettonica familiare della stazione. 
“Sono sveglia” mormorò prima di sgranchirsi le ossa. Dopo aver fatto lo stretching necessario, si alzò e le sembrò di vivere ancora nella bolla del sonno, con le gambe di gelatina. “Dai” mormorò prima di guidarla fuori. 
L’autista era davanti al pullman e si stava fumando una sigaretta. 
“Grazie e buona notte” salutò Elias, passandogli di fronte ed entrando nella stazione principale. 
Durante il pisolino di Nora anche il cellulare di Elias si spense. Si trovarono costretti ad andare a controllare il tabellone degli orari del tram. 
“Altri quaranta minuti” mormorò Nora. Si sentiva più sveglia e energica dopo il pisolino. 
“Andiamo a prenderci qualcosa da mangiare, sono affamato” disse Elias incamminandosi. 
Nora non rifiutava mai il cibo, perciò disse che lo avrebbe accompagnato dove gli andava. Elias decise per il negozio kebab aperto 24h24. Nora scelse un panino con la salsa piccante e le patatine e Elias ne ordinò uno con tutte le salse, che erano almeno otto.
“Mangerai davvero un kebab con tutte le salse?” gli chiese Nora con un’occhiata torva mentre tornavano in stazione.
“Sì. E’ il migliore, ha un sapore che…” si interruppe prima di emettere un mugolio estasiato, fermandosi per strada e chiudendo gli occhi.
“E’ disgustoso” Nora non era per niente convinta, anzi, ma le sue smorfie facevano solo ridere Elias, non producendo l’effetto sperato. “Senti, Elias. Ci sono diversi generi di salse, con diversi sapori. E sono tutte create per valorizzare l’ottimo sapere del kebab. Ma tu devi solo sceglierne una, al massimo due, altrimenti rovinerai con la tua trascuratezza la santa creazione” e detto ciò sventolò il panino che aveva in mano come per rafforzare la sua diatriba.
Elias la fissò basito e Nora per aggiungere più enfasi al discorso, diede un morso al panino ed esibì la precedente espressione di Elias, facendolo sbuffare.
“Scusami, e tu chi saresti? La kebab-esperta? Proprio come eri esperta di ‘cosa vedo con il mio occhietto’?” disse inarcando le sopracciglia ironicamente. “Non giudicare prima di averlo assaggiato”.
“Prima di tutto hai barato quando abbiamo giocato a ‘cosa vedo con il mio occhietto’...” enfatizzando sul nome del gioco come aveva fatto lui precedentemente. “E non assaggerò il tuo dannato kebab” aggiunse piccata.
Raggiunsero la fermata dalla quale sarebbe passato il tram e si sedettero sulla panchina deserta.
Faceva un freddo cane e Nora non si interessò nemmeno del suo aspetto, catatonico e col trucco tutto sbavato.
Man mano che passava il tempo, la stazione iniziava a diventare lievemente più frequentata, probabilmente da gente che iniziava un turno di lavoro. Un sacco di loro guardavano Nora e Elias divertiti. Era strano come Elias si sentisse a suo agio anche con degli osservatori, non si sentiva in imbarazzo, non modulava il tono di voce in modo che suonasse più basso e non gli importava di dire idiozie.
Alle cinque e mezza il tram arrivò puntuale ed Elias le porse una mano per aiutarla ad alzarsi. “Proverò di avere ragione sul kebab la prossima volta” esordì lasciando velatamente intendere che si sarebbe stata una prossima volta.
Nora sbuffò e salì per prima sul tram. “Nulla mi farà cambiare idea”.
Non dovette girarsi per capire che Elias stava di nuovo ghignando. Scelse di ignorarlo e andò a sedersi. Era strano essere nel tram deserto quando di solito stava sempre in piedi e minacciava un attacco di panico perché non riusciva nemmeno a respirare data la quantità immane di persone.
C’erano solo un paio di adulti che leggevano il giornale o che giocavano con il cellulare. “Ancora cinque fermate per casa tua” le sussurrò Elias circondandole le spalle con un braccio e avvicinandola.
Furbescamente Nora infilò una mano tra i capelli di Elias e gli sorrise benigna. “Già. Quindi starai da solo per altre due fermate” mormorò ghignando, come se lui glielo avesse insegnato.
Lui mugugnò qualcosa in protesta. “Stai perdendo la più grande chance della tua vita: quella di vedere la mia cicatrice con le sembianze di Donald Trump. E anche di scopare con me” disse leccandosi le labbra e sospirando.
Era frustrante guardarlo provocarla in quel modo, in pubblico. E parlare di quelle cose, in pubblico.
Si sentì rispondere imbarazzata: “Non ora” e la irritò il tono della sua voce e come il suo “Mai più” fosse diventato un “Non oggi” o un “Non ora”.
Quando il tram si fermò alla fermata più vicina a casa sua, si divincolò lentamente dal braccio di Elias. Era stato strano il modo in cui si era divincolata, quasi riluttante, molto più di quanto avrebbe ammesso.
Si alzarono in piedi contemporaneamente e lei arrossì. “Bene, ci vediamo…-” iniziò ma, la mano di Elias che l’aveva afferrata di colpo e la stava trascinando giù le impedì di continuare, ma si limitò a strabuzzare gli occhi.
Si guardarono quando il tram ripartì lasciandoli soli alla fermata. “Le mie parole non cambiano e valgono ancora” gli ricordò, facendolo sbuffare.
“Voglio solo riportarti a casa, per impedire che tu ti perda per le strade. Ti conosco, so esattamente come sei” replicò alludendo al suo pessimo senso dell’orientamento.
Lo guardò un istante, prima di scuotere la testa e iniziare a camminare sulla via di casa. L’avrebbe fatta impazzire.
Mentre camminavano verso casa di lei, il mondo intorno a loro iniziava lentamente a svegliarsi, c’era chi usciva frettolosamente di casa o chi usciva a fare jogging. Lentamente l’ambiente si stava quasi riscaldando… Quasi.
Elias fingeva l’indifferenza, ma notava come i loro corpi collidevano e come la sua spalla si strofinava apparentemente casualmente al braccio di lui.
“Eccoci” fece Nora girandosi a guardarlo, insicura sul da farsi.
“Eccoci” ripeté lui guardandosi intorno, prima di sorriderle in un modo letteralmente ambiguo. Largo e luminoso.
Prima che potesse replicare, Elias le fu addosso, la circondò con le braccia avvicinandola e baciandola con decisione, esprimendo una richiesta esplicita, che non aveva mai fatto trapelare quella notte.
“E’… E’ il momento di andare a dormire” riuscì a dire Nora a fatica, prima di dargli le spalle e andarsene, incapace di dire altro o più semplicemente di guardarlo.
Lui aveva fatto quella cosa con la lingua che le faceva diventare le gambe di gelatina, si sentiva improvvisamente debole e succube tra le sue braccia quando accadeva e la sua mente diventava confusa, disordinata e… caotica. Un accozzaglia di pensieri sparati alla rinfusa.
Lui la guardò appena, esibì uno scettico sopracciglio inarcato, prima di tuffarsi sul suo collo. Si muoveva come una pantera, aveva fatto un tattico passo avanti, come per sondare il terreno, per vedere se lei avrebbe indietreggiato o se fosse ancora nel vaporoso coltre di nebbia che erano le sue riflessioni. Un istante dopo, l’aveva afferrata per le spalle e spinta contro il muretto che circondava casa sua. Le baciò la mascella in un percorso peccaminoso che arrivò al collo. “Non c’è davvero bisogno di fare questo, Nora” le mormorò.
Nora se possibile si accigliò ancora di più, lui credeva che stesse facendo la difficile ma che non avrebbe resistito, che lui era irresistibile.
Si fece coraggio e lo spinse via, si morse il labbro e inghiottì il boccone amaro.
Elias si sentì spingere via delicatamente e la assecondò con riluttanza, non voleva essere arrogante, ma non sapeva davvero come comportarsi.
Nora lo fissò arcigna. “Buonanotte, Elias”.
Lui sorrise e la osservò percorrere il brevissimo sentiero che la portava al portone, entrare a casa e chiudere la porta immediatamente dopo.
Nora tirò un sospiro di sollievo, togliendosi gli stivali e salendo le scale fino. La casa era silenziosa come sempre, silenziosa e buia come una casa disabitata. Le sue cose in bagno sparse ovunque testimoniarono che invece era anche troppo abitata. Sbuffò promettendosi che avrebbe ripulito quando si sarebbe svegliata.
Si tolse le calze trasparenti che si era messa sotto la gonna e trovandole smagliate si trovò costretta a gettarle direttamente nel cestino. Si ricordò delle carezze moleste di Elias sul pullman e lo ringraziò mentalmente.
Afferrò dei dischetti di cotone e del solvente struccante che si gettò praticamente in faccia, prima di strofinare via ogni residuo.
Si lavò la faccia con del detergente e dopo averla asciugata si guardò allo specchio. Senza trucco era quasi più carina, solo che si dava quasi due anni in meno.
Il campanello interruppe il suo flusso di pensieri. Stava suonando.
“Non può essere serio” pensò, mettendosi a ridere.
Elias non era insistente, mai, con nessuna. Forse perché se qualcuna lo rifiutasse – ammesso che qualcuna l’avesse mai rifiutato – lui si sarebbe trovato piuttosto facilmente con chi rimpiazzarla.
Nora spalancò la finestra del bagno e si sporse per guardarlo. La testa di Elias si alzò immediatamente.
“Sono assolutamente sicura di non voler vedere la tua cicatrice con le sembianze di Donald Trump” assicurò gridando, cercando di nascondere un sorriso.
Lui sorrise appena verso di lei. “Non mi hai dato la possibilità di darti la buona notte” disse semplicemente.
“E sei tornato indietro per questo?” domandò sbigottita.
Lui non replicò e Nora si costrinse a non alzare gli occhi al cielo. “E va bene, ecco la tua possibilità, allora” rispose scuotendo la testa incredula.
“Buona notte, pessima giocatrice de ‘cosa vedo con il mio occhietto’” le augurò con un ghigno, riprendendo a camminare a ritroso, senza interrompere il contatto visivo, finché Nora non chiuse la finestra.
Rapidamente si rinfrescò per l’ennesima volta il viso e si spazzolò i denti.
Nora decise che era il momento di andare a dormire, uscì dal bagno e si precipitò in quella che aveva riadattato come camera sua: un confortevole seminterrato dal soffitto piuttosto alto, con una grande finestra basculante che dava sul cortile e di conseguenza sulla strada.
Nora abbassò la zip laterale e fece lentamente scivolare la gonna a terra, restando in mutandine e con il maglione che aveva scelto la sera – oramai prima.
Poi si sentì sospettosamente osservata e si girò verso la finestra basculante, trovandosi davanti il volto allegro di Elias.
La salutò con la mano mantenendo un sorriso innocente.
“Sul serio?” sbottò, prima di correre ad aprire la finestra. “Fai lo stalker?”
“Relax” replicò lui. “Ho dimenticato le mie chiavi nella macchina dei miei amici. Sono tornato a chiedere asilo. Ma se vuoi che dorma sotto un ponte e che molto probabilmente muoia con un raffreddore, non ti biasimerò ovviamente per questo. Anche se il mio spirito iracondo potrebbe ritorcersi contro di te per sempre” spiegò.
Nora non riuscì a fare a meno di ridere, poi indietreggiò lasciandogli spazio, affinché si intrufolasse nel seminterrato con un salto.
Elias entrò nella stanza con un saltello buffo e chiuse la finestra dietro di sé.
“Mi è piaciuto lo spettacolo però” disse sfacciatamente. “Sentiti libera di continuare” e detto ciò si gettò sul letto, incrociando le braccia dietro la nuca e levandosi a calci le scarpe.
“Ti piacerebbe, eh?” domandò sarcastica avvicinandosi con un sorriso.
“Sì” rispose, facendosi improvvisamente serio.
Elias si tirò a sedere e la raggiunse, attirandola per le cosce e avvicinandola.
Nora riusciva ad immaginarsi i muri che si era costruita crollare improvvisamente fino a seppellirla.
“Le tue mani sono fredde” gli disse.
Elias si lasciò cadere sul materasso, tirandola giù con lui. Le sue mani si misero a correre sulle sue cosce, arrivando al sedere che strinsero.
Lei si chinò per baciarlo e con le mani andò a sollevare il maglione e la camicia che indossava Elias.
Sentiva Elias sussurrarle dolcezze nell’orecchio, senza smettere di toccarla, come se avesse memorizzato in chissà che modo quali punti toccare. Elias sapeva esattamente cosa fare, sapeva tutto di lei, anche i dettagli più intimi. Si lasciava guidare dalle sue reazioni, la toccava con più decisione a seconda di dove la sentiva più ansimare.
Tutto era stato come la volta precedente, ma sembrava allo stesso tempo completamente differente. Forse perché si erano avvicinati?
Forse per quella notte?
Più tardi quella notte/mattino, Nora si sentiva stranamente felice ma esausta. Tutto quello che voleva fare era dormire per una decade.
Si era rannicchiata nella sua coperta con gli occhi chiusi stretti stretti, ma accanto a lei Elias continuava fastidiosamente a cambiare posizione.
“Elias, stai fermo, cazzo” mormorò seccata.
“Fanculo, perché devi avere tanti cuscini? Mi stanno soffocando!” si lamentò iniziando a gettare via i cuscini.
“Elias, se non ti calmi, rivaluterò l’idea di quel ponte” lo minacciò.
“Fanculo” mormorò tra sé e sé prima di attirarla verso di lui, mettendo la testa sul suo petto e avvolgendola con un braccio. Poi scontento le prese una mano e se la infilò tra i capelli.
“Non è molto comodo per me, ora” si lamentò Nora come una bambina, nascondendo un sorriso.
“Shht. Preferirei dormirti sul culo, ma questo non sarebbe comodo per te. Quindi sii grata” la rimproverò a mo’ di scherzo. Lei iniziò silenziosamente a carezzargli i capelli, passando poi a morbidi grattini che lo fecero gemere contro la sua pelle.
Nora gli disegnò cerchi immaginari sui capelli finché non si addormentò.
Quando Nora si svegliò era incastrata nella presa di Elias che ancora dormiva. Si staccò dal suo abbraccio e si alzò. Indossò i pantaloni del pigiama e una maglietta qualsiasi e assonnata si mosse verso la porta della sua camera da letto. Prima che gli notasse, inciampò distrattamente sui jeans aggrovigliati di Elias, finendo a terra. Cercò di liberarsi dei jeans che le si erano attorcigliati attorno al piede, divincolandosi con movimenti bruschi. Un rumore metallico la distrasse.
Le chiavi di casa di Elias erano a terra.


 
   
 
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