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Autore: Lady_Tuli    29/12/2016    0 recensioni
Vietnam, 1968. Tre soldati dell'esercito americano scoprono un'inquietante verità nascosta nella giungla devastata dalla guerra. Andrej, un medico dell'esercito di origine russa nato a New York, dovrà fare i conti con una guerra ben più spaventosa, contaminata dai fantasmi del suo passato.
Una storia di amore, dolore e vendetta.
Genere: Drammatico, Guerra, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Dopoguerra
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Andrej aprì a fatica gli occhi, si sentiva stanco, troppo stanco e i forti dolori alla testa non lo lasciavano in pace.
Dov’era? In una stanza? Aveva freddo e notò di essere senza maglia.
Sopra di lui c’era un’enorme lampada, come quella delle sale operatorie, spenta.
Provò ad alzarsi, ma una fitta al fianco lo fece fermare. D’istinto vi portò una mano e scoprì di essere stato fasciato. Ora ricordava: una camionetta era saltata e un pezzo del veicolo l'aveva colpito mentre urlava ai ragazzi lì vicino di spostarsi.
Forse la sua squadra aveva fermato i due Vietcong, ucciso il tedesco e ora si trovava in un ospedale a Saigon. Doveva essere andata così.

Voleva abbandonarsi a quel pensiero, ma dovette ricredersi quando sentì una porta aprirsi e un uomo dall'accento aspro parlare.
Trattenne il respiro per sentire meno il dolore e si mise a sedere, appoggiando la schiena contro il muro freddo dietro di lui, alzò il volto verso l’alto e chiuse gli occhi. Non voleva morire come cavia di uno scienziato pazzo, ma nemmeno avrebbe tradito l'esercito.

La porta si aprì e riconobbe subito Rezic, alto quanto lui e robusto come gli avevano raccontato: una montagna, ma i capelli neri avevano lasciato spazio al grigio. Lo accompagnava un uomo più basso, dal naso aquilino e gli occhi di ghiaccio. Con i suoi capelli platino sembrava quasi un fantasma. Andrej stranamente si chiese se anche lui dava l’impressione di essere uno spettro con i capelli biondi.

Si rivolsero a lui in russo, fu Rezic a parlare:“Ben svegliato, sono tre giorni che aspettiamo che tu apra gli occhi.”
Andrej non rispose.
Rezic si avvicinò al ragazzo e prese in mano le piastrine che portava al collo, come faceva ogni marine.
“Andrej. Tipico nome americano.”
Sono americano.”

Rispose in inglese. Sosteneva lo sguardo del nemico, anche se si sentiva come un topolino consapevole che tra pochi istanti il grosso gatto che aveva davanti lo avrebbe fatto a pezzi.
Rezic sorrise:“Hai un bel carattere ragazzo. 1945... Ventitré anni. Sei un po’ troppo magro per la tua età, ma almeno sei giovane, forse questo resisterà un po’ di più, Georg.”
Il tedesco si avvicinò a lui dall’altra parte del letto e anche lui parlò in russo, ma con un marcato accento tedesco:“Speriamo, Dimitri. Forse voi russi avete la pelle più dura.”
Gli si avvicinò al volto, Andrej si sentiva come uno schiavo, un fantoccio in vendita, ma non si sarebbe arreso.
“Maledizione, sono americano!”

Non gli capitava spesso di sentirsi piccolo e indifeso, nulla di simile da quando aveva sei anni e suo padre tornava a casa ubriaco e picchiava sua madre. Questo pensiero svanì quando Rezic gli mise una mano sul petto e lo spinse violentemente contro il muro, togliendogli il respiro.
Rimase fermo per un attimo, poi riuscì a piegare la testa in avanti e riprendere fiato.
“Bene, pare che anche gli americani abbiano la pelle dura. Cos’è quella cicatrice che hai sul petto?”
“Che ti importa?”
“Sembra una bruciatura da sigaro.”
Andrej non rispose, ma il modo con cui evitava lo sguardo di Rezic confermò la teoria, così ripresero il contratto con il tedesco.
“La benda non è più insanguinata da ieri, ti stai riprendendo bene. Forza ora, alzati in piedi.”

Il ragazzo lo guardò sconcertato, parlava a fatica e si aspettavano che riuscisse a stare in piedi?!
Non obbedì, ma guardò il nemico con aperta aria di sfida.

Rezic guardò d'improvviso il ragazzo con aria seria e sorpresa, come se si fosse ricordato di una cosa importante. Riprese le piastrine di Andrej, gliele strappò dal collo e se le rigirò tra le mani.
“Andrej Duvalic!” Si lasciò scappare una risata ironica:“Ma tu lo sai chi sono io?”
“Sì, un bastardo.”
“A quanto ho sentito dire, il vero bastardo sei tu. Non posso credere com'è piccolo il mondo! E come sta la tua mamma? La mia dolce sorellina fa ancora la puttana? Da quando sono in esilio Ania ha chiuso ogni contatto con me ed è scappata in America a fare la puttana, poi ha trovato un marito, il caro Olaf. Quanti anni sono passati dall'ultima volta che hai visto tuo padre?”
“Olaf non è mio padre!”
Andrej sentì una terribile sensazione, un invisibile pugno allo stomaco e per un attimo la sua espressione fu di panico, ma dovette ricomporsi.
Sapeva che Rezic era suo zio, lo aveva sempre saputo, ma cosa avrebbero detto Frank e Lyn?
Con Ania,aveva toccato un nervo scoperto.
Rezic andò alla porta dove un gigante in divisa grigia attendeva ordini:“Portala qui.”
E tornò al letto dove Andrej lo guardava con viva ansia, chi doveva portare?
“Allora, nipote, vediamola così: tu farai tutto ciò che ti verrà chiesto o io ucciderò tua madre davanti ai tuoi occhi, poi farò a pezzi te e ogni stramaledetto marine che mi si parerà davanti, chiaro?”
Andrej non rispose, era impossibile che trovassero sua madre, era protetta dalla forza militare americana da quando lui veniva coinvolto in missioni top secret, eppure la donna che portarono dentro la stanza era lei e questa volta Andrej parlò russo.
“Mamma...”

Rezic si avvicinò alla donna, la prese per un braccio e la trascinò davanti al letto. Cercò di avvicinarsi a suo figlio, ma la trattenevano per le braccia e lei senza volerlo pianse.
“Incredibile, vero? Pensavi che gli americani fossero tutti fedeli al presidente? Ho anch'io le mie spie. L’ho fatta portare qui con la speranza di salvarla da qualcosa di più grande che capiterà... E ora salti fuori tu. Coraggio Ania, dì al piccolo Andrej di alzarsi in piedi.”
Sua madre era sempre bella, anche se i capelli biondi erano più corti e ora aveva qualche ruga in più. Aveva sempre pensato di rivederla a Brooklyn in un bar davanti ad un caffè.
“Drej... Sono fiera di te.”
Il russo la colpì in volto:“Diglielo, puttana!”
“Non toccarla!”

Andrej continuava a ripetersi che era un incubo, doveva esserlo.
Con una mano appoggiata al muro, scese dal letto soffocando un gemito di dolore quando dovette alzarsi e guardò quei due uomini che sorridevano compiaciuti degli sforzi della loro cavia, mentre sua madre lo implorava con gli occhi di tornare a sedersi. L'avrebbe fatta pagare a entrambi. Si avvicinò a lei, Rezic disse con un cenno alla sua guardia di allontanarsi e Andrej buttò le braccia al collo della madre.
Era più alto di lei, di almeno venti centimetri, ma la strinse a sé più che poté, anche se le ferite gli facevano male.
Il tedesco si allontanò dal letto per avvicinarsi a Rezic:“Ora cammina, vai verso la porta.”
Questa volta non si ribellò e silenziosamente zoppicò fino alla porta.
“Il passo è un po’ incerto, ma è un soldato, se la caverà. Secondo me è pronto, Dimitri.”
“Pronto a cosa?”
“Alla tua prima prova.”

Un sorriso diabolico si presentò sul volto del russo. In quel momento entrarono tre guardie, due presero per le braccia Andrej, anche se era una spanna più alto di tutti e tre.
“Che diavolo state facendo?! Prima lasciatela andare!”
La terza guardia gli assestò un colpo allo stomaco con un guanto borchiato, questa volta il male non se l’era immaginato.
Di nuovo cercò di riprendere fiato mentre involontariamente una lacrima scese sulla guancia per il dolore, sua madre si mise davanti a Rezic:“Dimitri! Dimitri prendi me, farò quello che vuoi, ma ti prego non Andrej!”
Von Schreder si rivolse al suo collega:“Dopotutto è il sangue russo che ci serve, perché non usarli entrambi?”
“No. Lei ci serve come garanzia o il ragazzo non collaborerà, ma se non si calma non avremo alternative.”
Lo trascinarono a forza in una stanza circolare, dove al centro vi era una sedia con dei lacci:“Che diavolo volete farmi?!”
Con molta fatica lo fecero sedere sulla sedia e gli legarono i polsi, poi le guardie uscirono ed entrarono nove uomini con dei camici bianchi ed una cartelletta su cui prendere appunti.

“E voi chi cazzo siete?!”

Rezic gli passò stancamente un dito sulla lacrima umida che era rimasta sulla guancia, fu lì che notò la cicatrice bianca sopra l'occhio sinistro che spaccava il sopracciglio e continuava sotto l'occhio, il segno più di un'incisione che di un taglio accidentale
"Regalo di papà anche questo, vero?"

Per la prima volta dopo anni, Andrej aveva paura, sapeva di avere paura e anche il nemico lo vedeva.
“Cosa volete farmi?”
Rezic si avvicinò al ragazzo:“Non sei tenuto a saperlo, ma ti assicuro che farà male.”
“E lei?”
“Lei resterà qui con me.”
“No, no! Per favore, non lasciare che resti qui.”
“E perché non dovrei?”
“Ti prego.”
Alla fine l’uomo sospirò, vedeva l’odio negli occhi del ragazzo mentre lo pregava di non far vedere alla madre quanto avrebbe sofferto.
“No, stai tranquillo. Questo posso anche farlo, dopotutto c’è un legame di sangue tra noi. Potresti... rivelarci qualche piano del presidente prima, come ci avete trovati e tutto il resto.”
“Piuttosto la morte.”
Rezic rise, seguito dagli altri uomini presenti:“Oh no, non così facilmente. Pensa che ciò che stiamo per farti è per il bene della scienza, della Germania e della Russia. Se sopravvivi oggi, alla prima delle tre iniezioni...”
Andrej guardò dietro Rezic e vide Von Schreder con una lunga siringa in mano.
“Che diavolo sta facendo?!”
“... La prossima settimana tornerai qui...”
“No! Stammi lontano!”
“...E rimpiangerai di non essere morto sul campo con gli altri. Signori, annotatevi tutto ciò che accade, io purtroppo devo assentarmi.”
Prese Anya per un braccio e a forza la trascinò fuori dalla porta che chiuse alle sue spalle.
“Siete un branco di bastardi! Giuro che vi ammazzerò tutti!”

Von Schreder gli iniettò nel collo senza troppe cerimonie il liquido violaceo che si trovava nella siringa. Non ci mise molto a fare effetto.
Andrej cercò di mantenere il controllo il più possibile, ma non fu per molto. Prese a urlare per il dolore insopportabile, si sentiva bruciare, come se lo stessero scorticando vivo.
Sentiva qualcosa trapanargli la testa dall’interno e cercò di portarsi le mani al volto, ma erano bloccate.
Mai cercò di supplicare, non avrebbe mai dato loro soddisfazioni.

Rezic era appoggiato alla porta chiusa: quelle urla di dolore gli riempivano il cuore di gioia. Ania, in preda alla disperazione, continuava a picchiare contro quella maledetta porta che non si apriva. Il ragazzo aveva chiesto che la madre non guardasse, ma chi era lui per impedirle di sentire?

Era una storia che si ripeteva al contrario: Olaf l’aveva salvata dalla prostituzione sposandola, ma solo per tenersela per sé fino a quando tutti i loro guadagni finirono annegati nell’alcol e suo marito la costrinse a tornare sulle strade di New York, dove vivevano temporaneamente.
Il peggio toccò ad Andrej a causa dell’ossessione che Olaf aveva per lui, l’odio incondizionato nei confronti di un bambino che sapeva non essere figlio suo.
Quando Andrej era piccolo, Olaf lo chiudeva a chiave in bagno per fare in modo che non intervenisse per tentare di salvarla. Non voleva uccidere un bambino; Olaf era un mostro sì, ma aveva dei limiti. Voleva vedersela con il ragazzo, vedere di che pasta era fatto quando avrebbe avuto l'età giusta e poi farlo a pezzi. Ania ricordava molto bene i pugni del bambino che picchiavano sulla porta.
Ora era lui ad avere bisogno del suo aiuto e di nuovo una porta chiusa li separava.
Andrej era l’unica cosa che gli era rimasta, l’unica luce che le dava speranza da quando era diventato abbastanza grande e troppo alto anche per quell'essere. Quando aveva diciassette anni sfiorava il metro e ottanta e Olaf tornò a casa ubriaco per l'ultima volta.
Ania non ce la faceva più e cercò di chiuderlo fuori di casa, ma lui ruppe la finestra sparando con una pistola presa chissà dove.
Entrò in casa e cercò di colpirla, ma Andrej, che aveva sentito gli spari, corse nel salotto e si mise davanti a suo padre per bloccarlo, lui lo colpì in fronte con il manico della pistola che cadde a terra con il ragazzo,riaprendo il taglio che già da due anni portava sopra l'occhio sinistro.
Olaf pensò a raccoglierla, ma corse verso Aniia che si era appiattita contro il muro e lo guardava terrorizzata.
Stava per aggredirla quando Andrej prese la pistola e sparò a suo padre. Non lo uccise, ma lo ferì. Il processo interpretò il suo gesto come difesa personale e Olaf rimase ai lavori forzati in Russia. 

Dopo questo episodio, Andrej tornò in America con la madre e insieme andarono a vivere a New York, dove era nato e si arruolò nella marina. Era così fiera di lui.
Poi partì per il Laos, lei non voleva, ma lo pagavano per questo genere di lavoro, ogni mese gli davano dei soldi e lui li spediva a sua madre che non avrebbe più dovuto lavorare.
Rezic sospirò a fondo quando sentì il silenzio dall’altra parte, si era affezionato al suo nuovo animaletto e aveva in mente di farlo soffrire ancora, di usarlo come capro espiatorio per le colpe dell'America che cercava di annientarlo.
Lui, Andrej, suo nipote, americano.

Sentì Von Schreder riferirsi ai suoi compagni scienziati:“Signori: il soggetto è ancora vivo. Il primo passo ha dato i suoi frutti, lasciamo che si riprenda e settimana prossima passiamo alla seconda dose. Sentitevi fieri del vostro risultato, finalmente Arian comincia a dare risultati.”
Ci furono degli applausi mentre il ragazzo tremante cercava di dire qualcosa, ma svenne dal dolore.
Finalmente la porta si aprì e Ania poté correre da lui, vide suo figlio abbandonato sulla sedia con la testa ciondolante. Riprese a correre per slegarlo:“Andr...”
La pallottola di Rezich la raggiunse prima. 

   
 
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